Tecnica e disumanizzazione.
La disumanizzazione è in larga misura conseguenza della sviluppo tecnico. Nella conferenza del 1933 sulla “Questione della tecnica” Heidegger era giunto a conclusioni chiarissime. La scienza “deifica le cose in oggettualità e falsifica l’Essere”. Di conseguenza la tecnica, nel mondo antico, non fabbrica, ma disvela, conducendo le cose “ verso il compimento della pienezza”. Come l’arte e tutto ciò che, senza remore e astruse giustificazioni, celebrava il bello. La tecnica nel mondo moderno ha caratteristiche opposte: è violenza esercitata sull’Essere dall’esistente, una violenza che “provoca per produrre”, che oscura il mondo invece di risvegliarlo alla verità. L’uomo moderno è un essere “insurrezionale” : nell’uccisione di Dio trovano il loro compimento la metafisica e la presa del potere da parte della tecnica. Schiavitù, oppressione, sfruttamento, disumanizzazione non dipendono dall’organizzazione della società, dall’uso della scienza e della tecnica, dalla proprietà dei mezzi di produzione, dalla gerarchia dei valori che nasce sulla base dei rapporti tra esseri umani, ma sono irrimediabilmente connessi all’impresa , diabolica e prometeica, di una conquista e di un assoggettamento del mondo naturale. L’Eclisse della ragione di Horkheimer è del 1947, ma le conclusioni non sono differenti. “Nel dominio della natura - scrive il sociologo di Francoforte – è incluso il dominio sull’uomo”. D’altro lato la scienza moderna si identifica con una forma d’imperialismo , nasce e si sviluppa da un empio desiderio di dominio, i suoi metodi e le sue categorie sono frutto della insaziabilità umana, sono prodotti della lotta dell’uomo contro l’uomo, della volontà sopraffattrice: “La natura è oggetto di uno sfruttamento totale…la sete di potere dell’uomo è insaziabile”. Nelle guerre in atto, Palestina, Ucraina, Siria, vediamo all’opera sofisticati strumenti di morte che l’uomo ha messo a punto avvalendosi della scienza. La stessa scienza che non è riuscita a eliminare la fame nel mondo e portare l’acqua dove è necessaria per la sopravvivenza di milioni di persone. Il dominio nefasto della razza umana sulla Terra non trova paralleli in quelle epoche della storia naturale in cui altre specie animali rappresentavano le più alte forme di vita poiché gli appetiti di quelle razze animali erano limitati dalla necessità della loro esistenza fisica. I risultati raggiunti, non hanno ridotto lo slancio della scienza e della tecnica. L’organizzazione capitalistica della scienza in generale, non è necessariamente legata alla natura politica. Per orientamento capitalistico s’intende la volontà di trarre il massimo profitto da ogni azione umana guerre incluse, si possono denunciare i fatti, ma purtroppo non succederà mai che l’essere umano sia altro da se. E’ per questo che hanno poco senso le accuse rivolte a Galileo e agli altri precursori della rivoluzione scientifica, come Bacone che subì pensanti accuse da parte di Da Maistre e da Leibig. Come ricorda Lowith il motto della scienza moderna è il baconiano “sapere è potere”. Il discorso riaffiora distorto anche dalle tesi di alcuni filosofi marxisti. Karel Kosik, per citarne uno, ha sicuramente ragione nel polemizzare contro quelle forme di scientismo che sono solo prodotti complementari alle varie tendenze irrazionalistiche. L’assenza di valori, che è stata ed è, teorizzata a priori come espressione di libertà svincolata dall’etica. Essa ha cause che non sono tanto da ricercare nei rapporti sociali, ma nella “efficacia” e nella “utilità”, nel processo puramente intellettuale della scienza che trasforma gli esseri umani in unità astratte, nella pretesa dell’uomo di comprendere se stesso astraendo dalla proprio soggettività, nella matematizzazione, e quantificazione, nella ragione quale è concepita da Bacone, Cartesio, Galilei e gli autori dell’Encyclopédie.
L’azzardo del futuro.
Presunzione e ignoranza dei vertici delle istituzioni hanno ricadute negative sui discorsi del futuro, fatti da chi non capisce il presente. Natura e storia hanno tempi diversi, molto più lunghi dell’agire della politica, al di là delle avventate profezie.
Di certo non è facile prevedere le conseguenze sulla società alla luce dei radicali rivolgimenti avvenuti negli ultimi 30 anni. Quando nell'antichità i primi filosofi hanno posto temi, che poi sono stati elaborati dalla filosofia sviluppata nei successivi 2500 anni, la situazione dell’umanità a quell’epoca era molto più semplice, vi era maggiore povertà, guerre e scarse cure della salute.
Il dibattito filosofica verteva sugli assoluti. Parmenide sviluppo la sua filosofia con acuta e astratta razionalità. Nella sua straordinaria sua opera, scritta in versi, una scelta forse meno eccentrica di quanto sarebbe oggi ma non per questo meno originale.
Alcuni dei problemi filosofici affrontati da Parmenide sono stati ripresi da altri filosofi. Lo stesso Platone affrontò temi trattati da Parmenide nella sua filosofia. Ad esempio il discorso falso. Pensare e indubbiamente pensare qualcosa pensare nulla significa non pensare affatto. Se però quel qualcosa che viene pensato è un falso il pensiero,il discorso falso non possono essere privi di senso. Che relazione ha allora con la realtà il discorso che ha un significato ma non è vero?
Per molti aspetti è lo stesso insieme di questioni si è ripresentato in forme sempre più raffinate fino ai giorni nostri. Nel Tractatus Ludwig Wittgenstein, un lavoro metafisico paragonabile per ardimento e astrattezza a quello di Parmenide,prende le mosse da una domanda che implica la preposizione inversa del principio a parmenideo: come possiamo dire ciò che non è?
Le cose del mondo naturale che gli amanti dell'esperienza sensibile considerano l'unica realtà Contrariamente ai filosofi che sono alla ricerca della verità.
Anche Martin Heidegger affrontò il problema del tempo nel libro “Essere e tempo”, riprendendo la traccia di Parmenide e sviluppando un proprio discorso con concetti molto elaborati
Uno degli allievi di Parnenide,forse il più noto, fu Zenone, il quale elaborò una serie di paradossi relativi al movimento. Celebri quello della tartaruga e della freccia, che qui non è il caso di affrontare.
Fino agli anni ’90 del secolo scorso, la creazione di realtà virtuali era affidata a pittura, teatro,cinema, erano elaborazioni semplici facilmente distinguibili dal mondo reale. Oggi con la realtà virtuale creata dall'intelligenza artificiale, ascoltiamo e vediamo immagine create virtualmente che appaiono del tutto reali. Tutto ciò finisce di ridurre arte e teatro obsoleti strumenti di rozze rappresentazioni, residui del passato. Anche le cosiddette provocazioni, di carattere blasfemo o sessuali, hanno perso ogni significato di fronte alla totale libertà sessuale e generalizzato ateismo.
Parmenide nutriva una pessima opinione degli umani Come Nietzsche 2400 anni dopo. Li considerava ignoranti, parlava di balorde schiere di insensati ai cui occhi'essere di non essere appare insignificante quesito, mentre sono totalmente assorbiti qui e ora, immersi in una realtà che non capiscono. In questo senso in 2500 anni non è cambiato nulla.
Monadici giochi speculativi.
Il cosiddetto mondo dell’arte è sempre più una realtà separata, i giochi di mercato, le speculazioni avvengono all’interno di un circuito che ha come unico riferimento la speculazione. Se ogni procedimento artistico, ha senso solo nel contesto del proprio gioco linguistico, se d'altra parte la critica non chiarisce e rende perspicui i monadici giochi speculativi,ma si stabiliscono affinità di famiglia, diventa del tutto pleonastica l’analisi critica.
Dopo i barattoli di merda di Piero Manzoni, la rana crocefissa di Martin Kippenberger, il crocefisso nell’urina di Andres Serrano, si arriva all'opera di Maurizio Cattelan, la banana fissata al muro con lo scotch, opera sicuramente non blasfema per la religione ma non per questo meno provocatoria.
Si conferma l'affermazione di Andy Warhol secondo cui ; un artista deve essere anche un uomo d'affari. La vendita della banana a 1,5 milioni di euro è sicuramente un ottimo affare per Cattelan,anche nella ipotesi l’opera fosse stata acquistata all’asta dallo stesso artista tramite persona di fiducia.
La notizia della vendita all’asta della banana ha suscitato, com’era prevedibile, un enorme clamore mediatico che si traduce in altrettanta pubblicità per l’artista e contribuisce a incrementare il valore della sue opere ancora in circolazione.
Il costo della operazione è sicuramente modesto in rapporto al ritorno pubblicitario, si tratta di corrispondere solo la commissione alla casa d’aste. L’operazione di marketing è perfettamente legale, prescindendo dal cinismo che porta all’insensato costo dell’opera. In assenza di creatività si supplisce con il ricorso a parodia e provocazione. L’artista è sempre più un giullare al servizio degli squilionari, egli monetizza la propria insipienza.
L’entusiasmo che induce alla conoscenza.
È ancora possibile oggi credere nella sincerità dell’artista e del filosofo? Come si effettua la scelta nella troppo vasta ampiezza del sapere che sembra pretendere di giungere ad abbracciare tutto lo scibile della natura?
Tanto più lo studioso è scrupoloso, tanto più appare inverosimile.
Forse si arriva sempre troppo tardi a scoprire quel brandello di verità ricercata tutta una vita, quando il meglio del tempo che ci è accordato è passato e molto di ciò in cui credeva sarà stato degradato, degenerato, cosicché il giudizio di valore non avrà più un significato. Nel caso contrario si rischia di diventare un dilettante dalle mille percezioni inutili e si sarà perduto l’entusiasmo che induce alla conoscenza. La buona sottile Sapienza resterà chimera, forse nascerò il desiderio di diventare un grande attore, una specie di Cagliostro il cui copione recitato racchiude la mistica assenza di verità. Cosa rende leggero il discorso filosofico? Quali ragioni ispirano la domanda del significato può avere oggi per noi la filosofia, se tutto, significato incluso, è provvisorio?
Se anche gli artisti, anziché fare il loro mestiere, si cimentano in fantasiosi anacoluti concettuali, forse è il momento di trarsi da parte e rinunciare al gioco cercando altri modi di evadere.
Vivere oggi in disparte, sinceramente oscuri nella propria pelle,in tutta semplicità, forse è la via migliore da seguire facendo tesoro della poca conoscenza accumulata nel corso degli anni con fatica e, forse con poca umiltà.
Ognuno, nel corso della propria esistenza dovrebbe avere sperimentato il lato umano delle cose,e forse scoperto che l’innocenza è qualità molto rara. Esiste a tratti nei grandi filosofi, che hanno l’illusione di parlare della verità mentre in realtà parlano di se stessi seguendo l'impulso che porta alla luce quella grandissima, impudente innocenza fondamento di ogni sapere. La ragione si trova a dover filtrare tra le molte parole quel poco di vero che può essere utilizzato in un discorso orientato verso un ontologia della verità.
Non facciamo, per così dire, che chiacchierare nel vuoto, diffondere e sperperare brandelli di verità di cui ci è sfuggito il senso. Così quel poco di verità che conosciamo di dissolve come la luce del sole. E’ un peccato che il vuoto non abbia orecchio.
Dunque il comportamento dei filosofi sarà questo spettacolare lucido e insieme impotente tentativo presuntuoso di migliorare il mondo, sempre fallito, perso nelle parole che non tutti comprendono e ancora meno ascoltano.
Nietzsche distingueva nei termini che cosa è malato e sano che non è gregario o singolare il giovane professore di filologia che nel 1861 si esprime e reagisce ancora da erudito Borghese Tuttavia ricorre al cinismo di una frase” L'arte non può esistere per la povera gente”
Dare continuità al possibile.
Tra le caratteristiche del nostro tempo, spicca la fretta, la frenesia, la velocità, legate all’ossessione del nuovo, del cambiamento, considerato sinonimo di progresso. Forse nessun testo è meno attuale di “Elogio della ripetizione” di Kierkegaard. La ripetizione implica la rinuncia alla fretta, all’ansia di cambiamento. Non c’è dubbio che, anche se non ce ne rendiamo conto, la ripetitività è alla base della vita. Le funzioni vitali, il nutrimento, il sonno, sono necessariamente ripetitivi. Stare in contatto con le persone care è un piacere al quale vogliamo dare la maggiore continuità possibile. Il gusto è una fattispecie che induce alla ripetizione. Il cibo che preferiamo tendiamo a consumarlo con più frequenza. La scelta dell’abbigliamento, la foggia, i colori, fanno parte del gusto personale, che orienta le nostre scelte. Quello che definiamo “stile” non è altro che la coerenza con la quale scegliamo e dalla quale ci facciamo guidare nei molti aspetti della vita, la costanza di questo orientamento ci caratterizza. Ogni scelta avviene dunque all’interno di una traccia della quale il gusto è il segno. Se amiamo l’arte, la nostra predilezione va a certi artisti. Avendone la possibilità vorremmo acquistare le loro opere per poterle ammirare con comodo nella nostra casa ogni giorno. Dunque la fretta, la “distrazione” con la quale molti vivono la loro vita, rende impossibile la sedimentazione di scelte meditate, in buona sostanza rivela carenza di amore per la vita stessa, la quale è resa gradevole da ciò che amiamo. L’incapacità di scegliere, distratti dalla fretta che ci induce a soffermarci all’apparenza delle cose, significa incapacità di dare un senso alla nostra vita, di vivere con gioia i suoi multiformi aspetti ed espressioni. Corriamo il rischio di chiuderci in noi stessi, vittime di una frenesia che non riempie il vuoto che sentiamo. La paura di vivere porta al nichilismo, ci induce all’ossessione del movimento. Decentriamo l’attenzione su molte cose perché non ne amiamo nessuna, soprattutto finiamo per non amare neppure noi stessi.
L’immagine e la parola.
Periodicamente riemerge la diatriba tra parole e immagine. Sul tema Michel Foucault ha pubblicato il libro: “ Le parole e le cose” nel quale, partendo dal periodo arcaico, quando vi era similitudine tra parole e cose, arriva alla nostra era nella quale si è persa l’illusione che la cultura consenta di poter circoscrivere e possedere le cose.
In questo ambito si attua il confronto arte, scrittura, realtà. Rispunta il discredito dell’arte, che com’è noto, risale a Platone ed è ripreso quasi con identiche parole da Biagio Pascal, il quale manifesta il suo disprezzo per la pittura “…che faticosamente presenta qualcosa che in originale si potrebbe vedere e possedere meglio”. Per Valéry invece la potenza della pittura sta appunto nel renderci consapevoli dell’assenza del suo oggetto.
Il teatro è un'altra forma dell’arte dell’inganno. Scriveva Chanfort ; “Il teatro è la prova che gli uomini, anziché correggere i loro difetti, preferiscono celebrarli”. Infatti, per attuare l’inganno, la più importante qualità di un attore è la spontaneità, muoversi e parlare in modo da dare l’illusione che egli sia ciò che finge di essere.
Parole e immagini possono rappresentare cose belle e bruttissime, come ha documentato Umberto Eco nel libro “Storia della bruttezza”, pubblicato nel 2007 (Bompiani). Secondo Aristotele, anche il brutto,dipinto, diventa, se non bello quanto meno interessante.
Anche la parola, anzi più la parola che l’immagine , può esprimere il brutto e la trivialità. Gustave Flaubert, celebre autore di Madame Bovary, in una lettera indirizzata a Louis Bouilles scriveva: “E’una cosa strana come lo spettacolo della natura, ben lungi dall’innalzare la mia anima al creatore, stimoli il mio stomaco. L’oceano mi fa sognare le ostriche, l’ultima volta che attraversai le Alpi mi venne in mente un cosciotto di camoscio che avevo mangiato quattro anni prima…”.
Come rappresentare in pittura desideri così ordinari e materialistici? E’ chiaro che solo la parola può esprimere ciò che l’immagine non arriva a definire, per esempio i desideri di Flaubert.
Sappiamo che anche il surreale può essere raccontato e dipinto. Durante un viaggio nel Sudamerica dei due studiosi Humboldt e Bompland, Gottlieb Schick dipinse: “ Scena notturna sull’Orinoco”, dove i due studiosi, in abito da sera e capello a cilindro in piena foresta amazzonica, si recavano a cena presso un indigeno che aveva preparata per loro una scimmia cotta alla griglia.
Quale futuro ci aspetta.
Nel 1984 Milan Kundera pubblicò “ L’insostenibile leggere dell’essere”. Il libro ebbe grande successo, e fin dal titolo appare la cifra del nostro tempo, superficiale, leggero, femmineo.
La cultura e l’arte hanno perso quella che un tempo veniva definita “profondità”, il lato oscuro della fantasia che ha ispirato artisti e poeti impegnati nell’esplorare gli abissi della natura umana. Oggi forse ci siamo arresi, il compito d’indagare la profondità della mente umana è solo più compito di psichiatri.
La separazione tra io e mondo, l’alienazione dell’uomo dalla natura e la conseguente svalutazione di questa, trovano origine già nel pensiero religioso dei primi secoli cristiani, il rapporto conflittuale e disarmonico con l’ambiente naturale costituisce una delle prime cause della crisi dell’uomo occidentale, arriva fino ad estraniarlo da se stesso al punto da mettere in dubbio genere e natura dei rapporti umani.
Nel 2005 Susan Greenfield pubblicò il libro “Gente di domani” basato su una serie di inquietanti ipotesi. La natura umana sta per cambiare per sempre? Si può immaginare un mondo nel quale tutto ciò che oggi diamo per scontato su noi stessi, immaginazione, libero arbitrio, sesso, apprendimento, memoria, desiderio, sia diventato obsoleto? Pare proprio che questo stia accadendo,specie in occidente, a un ritmo sempre più accelerato.
Di fronte a questa realtà quale sarà la funzione dell’arte? Anzi, è immaginabile che, in un mondo capovolto, l’arte possa procedere semplicemente aggiornando le proprie tecniche di rappresentazione?
Forse, la domanda fondamentale che dovrebbe essere posta è: da dove l’essere umano può trarre gli strumenti per gestire trasformazioni così radicali? I temi oggi di attualità sono; AI, ecologia, sperimentazione genetica, bio-ingegneria. Il problema che ognuno di questi settori di ricerca è spesso una sorta di hortus clausus, con sporadici approcci a altre discipline.
In ogni caso tutti gli studi per affrontare quelle che saranno le nuove realtà sono di carattere tecnico. Eliminata quasi del tutto quella che un tempo era definita cultura umanistica, ovvero quella “inutile”. Diceva Bertrand Russell: “La cultura veramente importante è quella inutile”. Intendendo appunto la cultura umanistica, orientata a formare carattere e modalità di pensiero, mentre tutte le discipline tecnico scientifiche generalmente sono “aride” ,sicuramente non contribuiscono a formare la personalità umana.
Comprensione e consapevolezza.
Per quanto possa essere creativa l'immaginazione pensiamo sempre una realtà possibile, introiettata nella nostra memoria. Quindi possiamo esprimerci elaborando i nostri ricordi, consci e inconsci, ma restiamo prigionieri di quello che possiamo definire antropospazio.Ogni nostra intuizione e percezione è racchiusa nella camicia di Nesso della nostra realtà.
Ci sono due modi di essere e due soltanto: l’essere in se, che è quello della oggettività dispiegata nello spazio, e l’essere per se, che è quello della coscienza. La coscienza di me predispone alla comprensione di ciò che mi circonda.
Da questo dualismo Merleau-Ponty trae la convinzione che la percezione naturale può essere interrotta dalla consapevolezza. Ciò significa, secondo il filosofo, che percezione e razionalità sono aspetti diversi dell’approccio al reale, la percezione vera sarà del tutto e semplicemente una vera percezione se l'immaginazione non sarà turbata dalla razionalità capace di distogliere dall’immersione nel momento,la sensazione,in quanto pensata, indurrà alla presa di coscienza che in qualche modo distoglie dalla percezione pura.
Questa considerazione del filoso francese ha un qualche collegamento con il danese Kirkegaard, il quale in Aut-Aut, attua un confronto tra etica ed estetica e formula la stessa tesi avendo come riferimento l’annullamento nel godimento, che, egli sosteneva, è tanto più totale quanto maggiormente la coscienza si annulla nell’attimo. Il piacere, frutto della percezione fisica con cui la ragione raramente e comunque solo parzialmente, coesiste.
Anche l’illusione è una sensazione nella quale è assente la razionalità, di qui la contrarietà di Platone a quella che egli definiva la doppia illusione dell’arte. Dunque la psicologia della forma ha basi opposte alla epistemologia della scienza. il processo creativo non può essere basato sulla sola immaginazione..
Tuttavia la peculiarità dell'illusione consiste proprio nel non darsi come illusione. Quando percepisco un oggetto reale, quasi istintivamente lo colloco in un contesto che gli conferisce un senso. Per non perdere di vista la realtà è necessario avere conferma della percezione, avere cioè presa di coscienza.
L’artista conserva lo stupore di fronte al mondo,questo stupore lo stimola a tradurre la realtà, filtrata dalla propria immaginazione creativa, nel flusso del pensiero-immagine che da forma a ciò non esiste quanto meno nella forma che egli ha immaginato.
Arte metaforicamente può essere simile alla scrittura, come nell’aneddoto usato da Roberto Grossatesta. Il filosofo medioevale usa la metafora della mano che scrive e attraverso il segno delle parole dettate dall’intelletto da senso al pensiero. L’arte mimetica segue il libro della natura e lo esalta attraverso l’immagine. L’agnosticismo contemporaneo privo di phronesis ha eliminato il percorso che nutriva cultura e fantasia.
Filosofia e tempo.
Non è solo nella raffigurazione di simboli l’arte rappresenta il tempo, ogni aspetto di un’opera ha inevitabilmente richiami all’epoca nella quale è stata realizzata che la situano in un preciso periodo temporale,ovvero storico. La storia rappresenta il nesso tra il tempo e l’antropologia, vale a dire il tempo vissuto dall’essere umano.
L’arte ci aiuta a comprendere il tempo come soggetto storico. La temporalità originaria non è costituita da una sovrapposizione di elementi esteriori, essendo prerogativa dell’arte di mantenerli insieme nella loro specificità.
Comprendere un opera, non significa farne la sintesi, il che sarebbe riduttivo, ma predisporsi a una identificazione semantica del campo percettivo arricchito da gnosi ed empiria, anche se i nostri limiti ci pongono spesso nella condizione denunciata da Socrate: cosa cerchi se non sai cosa cercare?
Il tempo cronologico non sempre coincide con la nostra percezione. Come ci ricordano i versi di Montale: “Passarono anni brevi come giorni”. Altre volte per immergersi nella nostra soggettività annulliamo il tempo. Kierkegaard in Aut-Aut esplora la sensazione ludica del seduttore che, per raggiungere il piacere. si annulla nell’attimo durante il quale il tempo non esiste più.
Eraclito l’oscuro, fu il primo filosofo a porsi il problema del fluire del tempo usando la nota metafora: entriamo e non entriamo nello stesso fiume.
Agostino, con modestia, manifesta la sua difficoltà a definire il tempo quando scrive. Quando ci penso so benissimo cos’è, ma se debbo spiegarlo mi trovo in difficoltà. Egli sosteneva che per costituire il tempo serve una presenza del passato, una presenza dell’avvenire, oltre quella del presente.
Merleau-Ponty nel libro “ Fenomenologia della percezione” azzarda una articolata teorizzazione, in decine di pagine tenta di definire quanto meno il modo in cui noi percepiamo il tempo. Tuttavia le sue teorie non hanno basi scientifiche, quindi la sua, resta una visione filosofica che infatti è stata ripetutamente contraddetta.
Logica e sensibilità.
Per Platone la filosofia è conoscenza di oggetti che sfuggono ai sensi,per Kant e conoscenza razionale per concetti puri, in questa prospettiva sembrerebbe senza senso consegnare riflessioni filosofiche a un'immagine. Questo scettico luogo comune suggerisce un’ermeneutica delle opere solo attraverso l’intuizione, lasciando da parte teorie, concetti, richiami filosofici. In realtà sappiamo che nei pittori del rinascimento, ad esempio nella Scuola di Atene di Raffaello, ai Tre filosofi di Giorgione, fino a Rubens, Goya, De Chirico, Magritte si sviluppa un originale percorso euristico attraverso le immagini.
Il tema, considerato sotto l’aspetto iletico contemporaneo suscita la domanda: ha ancora senso attribuire all'arte un contenuto o richiamo filosofico, vale a dire valenza universale?
Di certo molta acqua è passata nei fiumi del mondo da quando Occam proponeva che dall’incontro della logica con l’epistemologia, si deducesse la possibilità di dare un significato concettuale al segno, e alla narrazione linguistica volta a indagare il significato delle cose percepite sensibilmente, una sorte di cenegesi culturale con cui arricchire la forma. La percezione sensibile è punto di partenza, che non può considerarsi l’approdo gnoseologico relativo alla lettura di un opera d’arte.
La tradizione aristotelica e scolastica avevano accordato uno statuto sostanzialistico alla impostazione astratta e tutti gli schemi di generalità in funzione dei poteri di simbolizzazione della mente umana. L’arte rientra in questo ambito espressivo, perché riconducibile al potere di simbolizzazione, capacità propria della mente umana esercitata nella indagine logica.
Anche Zabarella, filosofo della Università di Padova effettuò studi per indagare la natura del significato ontologico dell’arte, prendendo in esame le tecniche e le procedure nelle arti avendo per oggetto i grandi pittori veneti ed emiliani della sua epoca. Frequenti i richiami a Hobbes e ad approfondimenti sul concetto di verità e falsità attraverso l’inferenza circa la proprietà non delle cose,ma del pensiero logico espresso attraverso le immagini.
Quando Danto archivia la metafisica, che presumibilmente non conosce, come inutile vecchiume, di fatto butta via, insieme al bambino, anche l’acqua e la bacinella che contiene entrambi, azzera cioè, non un bagaglio di conoscenze, ma un metodo mediante il quale si attua il percorso che indaga l’ontologia dell’arte.
I filosofi del tardo Medioevo, Occam, Hobbes, Zabarella, Grossatesta, affrontarono la questione se l’approccio al sapere dovesse privilegiare la sensibilità o la logica. Detto in altri termini, se dovesse prevalere il metodo naturale o l’artifizio logico costruito dall’uomo del quale si serve anche la scienza per indagare la natura delle cose. Oggi sembra prevalere l’opzione sensibile, cioè emotiva, che trascura il bagaglio di sapere a vantaggio della percezione immediata.
Individualismo e creatività.
In che modo l’individualismo creativo dell’artista può essere catalizzatore del sentire collettivo? Come può l’arte rappresentare la totalità se la società contemporanea è frammentata e confusa? L’identità ridotta a una protesi dell’evidenza di se in una società della totale incertezza.
Le teorie dei filosofi che affrontano temi sociali sembrano attribuire alla massa la consapevolezza del proprio agire. La realtà smentisce simile ottimistica visione. La globalizzazione collide con la cultura, a partire dalla lingua. Secondo una ricerca UNESCO esistono 6700 linguaggi e un numero non censito di dialetti. Questi datti, se da un lato confermano la molteplicità culturale del passato, mettono in evidenziano la difficoltà di comprensione tra i popoli, considerato che ad ogni linguaggio corrisponde una cultura e una storia.
Vi è un’inevitabile estraneità tra creatività e storia. Ciò che ha da dire la storia dell’arte sul problema della prospettiva nella pittura, non tocca minimante il problema delle guerre di conquista dell’Europa e il commercio degli schiavi e tutte le evenienze di oggi.
L’arte tratta di universi simbolici separati, ciascuno può essere caratterizzato per se , non c’è comunicazione. Ovidio parla dei fieri dell’arte, della creazione dell’opera d’arte la cui epistemologia consente la realizzazione formale del pensiero sottostante. Vi è un’arte che esprime il significato dei fenomeni, questa è per così dire un’arte filosofica. Un'altra arte tenta di esprimere il confronto tra forma e realtà
La pretesa contemporanea di seguire esclusivamente la libertà, ci sottrae al determinismo che regola l’ambito fenomenico,che si applica la mera apparenza delle cose nello spazio in base alla ragione pratica. Nietzsche ritiene che sia necessaria una presa di distanza dalla confusione della massa e cercare di dal pensiero la capacità di agire.
Hegel sosteneva: “L’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si da esistenza”. Difficile immaginare che l’arte s’innalzi e si perfezione se abbiamo cessato di credere ai valori che l’ha esprimono. La storia dell’arte è un regressivo percorso di rinuncia a tutto ciò che trascende la bieca realtà ontologica.
Il furto dell’essere.
Non è sostenibile la tesi secondo cui esistono diverse realtà nell’esistenza di ciascuno di noi, privato, pubblico, professionale. Sembra più che altro un espediente retorico che porta alla frammentazione sociale. Diciamo piuttosto che gli umani fanno pace con le proprie colpevoli abitudini. “Le vite” del Vasari descrivono i dettagli della vita dei singoli artisti. Le loro vite incidono sulla loro arte.
Oggi è diventato tutto molto più difficile, attraverso la tecnologia siamo soggetti al furto dell’essere. Gradatamente rinunciamo al pensiero pensante per adagiarci sull’adeguamento alla funzionalità dello strumento che usiamo, inconsapevoli di essere prigionieri in una formalità operativa che condiziona il nostro agire. Il cedimento alla tecnologia ci porta all’aridità creativa.
Cosa ne è stato della filosofia che da Talete in poi ha formato il pensiero della civiltà occidentale? Iniziamo a capire cosa significa il fatto che le evidenze europee, insieme alle loro regole linguistiche, antropologiche, filosofiche, giudiziarie, valgono solo per l’’Occidente e non riflettono affatto il common sense dell’intera umanità.
Amiel ha collegato questo ritrarsi del pensiero occidentale al vuoto che si è venuto a crearsi per la rapidità con la quale è mutato il nostro mondo e la società. Siamo afflitti da cronofagia. L’attuazione di un opera d’arte che un tempo richiedeva mesi, anni, oggi, adottando le modalità della tecnologia, è pressoché istantanea. Ma il corpo umano è soggetto a propri tempi, il ciclo circadiano detta le proprie regole, la rapida modifica dei ritmi di vita non è senza conseguenze sull’intelletto e sul corpo. La nostra vita scorre suscitando nostalgia del mondo che non sappiamo più vedere, capita che la memoria ci metta di fronte al panorama di ciò che andato perduto. A poco serve una cultura velleitaria che tenta di fermare i rivoli di un esistenza che si disperde in suggestioni estemporanee. L’intelligenza solipsistica può esistere solo frammentando gli spazzi privati in una dilatazione di senso che includa esclusivamente forme di evasione dal pensiero consapevole. Il percorso della dissoluzione della ragione accompagna la decrescita e declino della civiltà.
Martin Lutero nel testo “Contro i profeti celesti”,scrive: “La ragione è la più grande delle puttane del diavolo, bisognerebbe metterla sotto i piedi e distruggerla”. Ci sarebbe quindi da supporre che la filosofia, principale frutto del pensiero raziocinante e immaginifico, sia esercizio vano. La volontà di Schopenhauer, ansia di potenza di Nietzsche, lo slancio vitale di Bergson, i flussi di Deleuze, sono tutti esercizi mentali che non approdano a nulla se non, qualche volta, alla pazzia.
Escatologia dell’arte.
L’arte esprime il proprio tempo a volte anche a prescindere dall’oggetto che raffigura. Tra il tardo Medioevo e il Rinascimento la pittura rappresentava soprattutto opere di carattere religioso. Con l’avvento della Borghesia e del cosiddetto Romanticismo , sono subentrati ritratti di borghesi, paesaggi, interni. Dalla fine del ‘900 le avanguardie hanno in pratica cancellato due millenni di arte imponendo un’arte rozza e volgare. La Modernità ha imposto il materialismo, il genere, la struttura, l’inconscio, la massa. Tutto questo era già in discussione sotto aspetti meno grossolani e dirompenti, Con il prevalere del dominio del cliente in un mercato deregolamentato del senso, le scelte erano à son goùt, senza impacci di carattere culturale.
Hans Sedlmayr denuncia la pratica della modernità, con la sopravvenuta perdita del centro. Nelle arti figurative dei secoli XIX- XX le questioni morali vengono ad assumere un valore irrilevante, prevale l’assioma secondo cui, l’arte essendo libera, non è legata a nessun tipo di condizionamento etico. L’arte è autonoma, anche dal proprio significato. L’assunto trascura un dettaglio, l’artista è inevitabilmente condizionato dal proprio contesto e dalla propria cultura. In questa situazione, l’arte getta il guanto di sfida al mondo reale, ma non si accorge di scivolare verso un materialismo ontologicamente squallido. Andy Warhol, accanto a Marilyn Monroe, dipinge Lenin e Mao, Escatologia dell’arte. Joana Vasconcelos presenta un lampadario fatto con tampax. E’ tutto un potpourri da vendere agli squilionari il cui cinismo e pari all’ignoranza.
In Italia diventa icona dell’avanguardia Piero Manzoni, Figlio di un produttore di carne in scatola, Mazotin. L’artista defeca in una bacinella e riempie dei propri escrementi novanta scatolette di metallo del peso di 30 grammi. Su ciascuna scrive “Merda d’artista. Contenuto netto gr.30. Conservata naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961”. Tutto viene rigorosamente numerato, etichettato e firmato. E’ l’ingresso ufficiale della merda nel mondo dell’arte occidentale.
L’operazione artistica di Manzoni è resa possibile dal precedente di Duchamp che nel 1913 presentò uno scola bottiglie come opera d’arte, seguito dal orinatoio nel 1917. Duchamp fu finanziato a sostenuto dalla ereditiera americana Katherine Sophie Dreier. Così l’Occidente unito ha creato un nuovo mondo dell’arte prontamente monetizzato dai mercanti ebrei. Castelli, Guggenheim, Sonnabend.
Necessità di un diverso approccio critico.
Necessità di un diverso approccio critico.
Creatività e simbolo.
Rousseau è stato tra i primi a dare alla psicologia sociale e alla diversità scientifica la connotazione di disprezzo per l’essere umano. Anche l’arte moderna sembra inconsciamente richiamarsi a forme di denigrazione, salvo quando si affida a un tempo onirico della ragione in cui il possibile assorbe in se il reale.
Se cercassimo nei nostri tempi formulazioni di percorsi verso forme simboliche nel campo dell’arte, ci troveremmo di fronte all’arte fantastica dell’immagine , in cui i simboli psichici del profondo hanno preso la forma di formulazione visive. Un esempio sono le rappresentazioni di alberi di Renè Magritte, soprattutto nell’opera dal titolo “La reconnaissance infinie”. Del 1994. Una tempera di piccole dimensioni mostra un albero a forma di cuore. Il quadro può essere letto come un trattato ermetico sulla trasposizione fantastica di una realtà separata che richiama l’albero della vita.
Gaston Bachelard con la sua fenomenologia dell’immaginazione ci ha offerto una chiave di interpretazione sul percorso del surreale simbolico. La mano sognante che traccia il segno. Sembra che l’inconscio riconosca quale simbolo la duplicità dell’esistenza inconsapevole e tuttavia tesa alla ricerca della solidità di un pensiero che sia base di positività.
L’opera d’arte compiuta perpetua il ricordo della gratificazione e ha valore nella misura in cui contrappone il proprio ordine a quello della realtà, un ordine in cui è possibile intravedere ciò che può essere fatto per continuare a dare senso all’esistenza senza bisogno di sconvolgere lo spirito e i sensi, secondo definizione della vocazione poetica data da Rimbaud
E’ un luogo comune lo stereotipo dell’artista eccentrico ed eccessivo. L’arte necessità di intelligenza presente a se stessa. La tradizione latina usa l’espressione “trascendere” che ha fatto la storia del pensiero di cui l’arte è l’espressione visiva. Prima di trascendere è necessario scendere, approfondire, un minimo della conoscenza di ciò che s’intende superare attraverso una parafrasi creativa, in caso contrario tutto si riduce a un brancolare in un vuoto privo di significato.
L’arcana conoscenza delle religioni antiche.
Il linguaggio dell’arte precede la scrittura e trae origine da un sistema di segni che rappresentavano eventi, sentimenti, cose. Quando Champollion riuscì a decifrare la pietra di Rosetta, scoprì che i geroglifici erano una scrittura che aveva radici ermetiche. L’interpretazione della scrittura geroglifica ha dominato la cultura dell’Occidente da Platone fino a Champollion il quale riuscì a dare significato ai simboli e allegorie di una forma di scrittura che può anche esprimere concetti astratti. La scrittura degli Egizi infatti non esprime concetti mediante sillabe aggiunte una all’altra , ma mediante il significato degli oggetti che sono stati copiati e mediante il loro significato figurativo che, per pratica, si è impresso nella memoria. Per esempio, gli Egizi tracciano il segno del falco, per loro significa tutto ciò che accade rapidamente dato che questo animale è la più rapida delle creature alate, il concetto dipinto è quindi trasferito, mediante appropriata metafora, a tutte le cose rapide a tutto ciò che ha proprietà di essere rapido. Il coccodrillo è simbolo di ciò che è male. Per significare il mondo viene rappresentato un serpente ravvolto su se stesso che si morde la coda. Indicano l’anno con il Sole e la Luna che misurano il tempo. Il mese viene rappresentato con ramo. Il fato con una stella, il leone per rappresentare il coraggio, Ibis per indicare il cuore, la fenice per indicare la vicissitudine delle cose. Essi avevano cura di non mostrare le teorie dei sapienti a uomini che giudicavano indegni, sottraevano agli ingegni volgari la comprensione delle cose perché non potessero farne cattivo uso, mentre i saggi potevano comunicare senza bisogno di parole – sine loquela – ma solo attraverso i simboli. Non c’è dubbio che tracciare simboli richiedeva un certa abilità manuale molto affine all’arte, tanto è vero che gli scrivani Egizi erano spesso gli stessi artisti a cui veniva affidata la creazione di sculture di carattere religioso e funerario. Appare evidente il paradossale accostamento, in tema di rappresentazione di segni e figure, tra due universi distanti. La Chiesa Cattolica, avendo rinunciato alla iconoclastia, ha reso possibile la pittura del Rinascimento italiano. Tuttavia la pittura, come tutta l’arte oggettivata, si presta al possesso del singolo, apre la strada al mercato che finisce per svilire l’arte, non solo perché la rende oggetto tra gli oggetti, ma anche perché finisce per affidare al gusto della massa l’evoluzione, o involuzione, della produzione artistica. Esattamente ciò che è avvenuto. La scrittura e l’arte egiziana ha permesso che arrivassero fino a noi le tracce e i simboli della più antica a importante civiltà africana. Mescolandosi all’idea di una filosofia scritta dagli antichi Egiziani sugli obelischi, di una riposta e segreta sapienza sacerdotale velata dalle immagini e comprensibile solo agli iniziati, connettendosi ai temi dell’ermetismo, del neoplatonismo, dell’allegorismo, della letteratura emblematica, alla interpretazione dei geroglifici attraverso gli scritti di Plotino, Orapollo, Marciano Capella, Marsilio Ficino, Francesco Colonna, Pierio Valeriano, Andrea Alciati fino a Athanasius Kircher, questa cultura esoterica, incomprensibile ai non preparati, arriva quasi inalterata fino al XVII secolo. Il riscontro nel mondo dell’arte di questa profonda cultura si riflette nella iconologia così ben indagata da Erwin Panofsky.
E’ illusione la creatività del dolore.
All’inizio del secolo scorso, di fronte allo sviluppo industriale e al dilatarsi delle metropoli, l’artista si trovò inglobato nella cultura di massa che condizionò anche il suo percorso esistenziale avviandolo a a un impegno politico. A poco servì “farsi diverso”, attuare scelte devianti e il ricorso all’ “art pour l’art”. Tutti atteggiamenti che, per altro, non sempre trovano riscontro nelle opere.
La pretesa di dare significato simbolico alla propria devianza è un espediente che non ebbe successo visto che l’arte fini per essere sommersa dal conformismo che sopraggiungerà nell’arco di pochi anni.
Quando Arthur Rimbaud fa appello alla “sregolatezza di tutti i sensi”, non fa altro che anticipare quello che accadrà tra breve nel mondo dell’arte, dello spettacolo e finanche nella letteratura. Bataille esalta gli stati nevrotici e il dolore. Questa concezione, per cui il dolore è essenziale per perpetuare la vita, e la tesi che al piacere segue sempre un dolore, era già stata fatta oggetto di riflessione da Kant, ma in nessun caso il dolore risulta fonte d’ispirazione, nemmeno Sade riesce a trarre poesia dalla malvagità che resta prerogativa dei malati.
Nietzsche formula il suo contradditorio:
“Non appena gli esseri umani cercano di annullarsi nei sensi, non trovano altro che la follia, rinunciano a se stessi nella presunzione di essere liberi”.
Non pare che gli insuperabili maestri dell’arte greca avessero bisogno di particolari abbruttimenti del corpo ed esibizionismi esistenziali, per ottenere risultati dalla loro arte. Plinio scrive di Apelle: “Dipinse persino cose che non è possibile dipingere, tuoni,lampi, fulmini dei quali alla vista pareva di sentire il rumore”.
Nella nostra società decadente, il gusto dominante sceglie il suo ideale dalla pubblicità, dall’estetica d’uso. Così il detto socratico secondo cui il bello è l’utile,si è, alla fine, ironicamente realizzato.
L’artista, come tutti gli esseri umani, deve fare i conti con la precarietà dell’esistenza e spesso, per debolezza o eccesso di sensibilità, soccombe. L’immagine romantica del “genio e sregolatezza” è uno stereotipo nel quale la sregolatezza prevale sicuramente sul genio.
La dualità degli istinti di vita e morte corrisponde esattamente alla posizione di Freud il quale affronta il tema in “Al di là del principio di piacere” e in “Il disagio della civiltà”. Egli ha una idea, per così dire ottimistica dell’arte, ritiene infatti che l’arte fornisca soddisfacimenti sostitutivi alle rinunce imposte dalla civiltà. L’arte inoltre, secondo Freud, promuove sentimenti di identificazione, con il rischio però di soddisfacimento narcisistico.
Arte come relazione simbolica con la realtà.
L’arida saggezza per cui non c'è nulla di nuovo sotto il sole, perché tutte le carte dell'assurdo gioco sono state giocate, tutti i grandi pensieri sono stati pensati, le scoperte possibili si possono costruire a priori, e gli uomini sono condannati all'autoconservazione per adattamento. Quest'arida saggezza non fa che riprodurre la fantasia pret a porter e la ripristina continuamente per contrappasso.
Ciò che già era ciò che potrebbe essere viene programmato, livellato dal sistema globale del quale stampa e tv sono gli strumenti. Tale sistema erige eristicamente i confini dell'esperienza possibile, il prezzo dell'identità, la qualità della tua esistenza, tutto deve essere identico a se stesso.
L'Illuminismo, la prima filosofia moderna della dissoluzione, aveva adottato l’efficace slogan: legalità, fraternità, uguaglianza. A distanza di 234 anni ci ritroviamo la fame e super lusso, a dissolvere la vecchia uguaglianza è subentrato il mito della libertà. La mia vita è laida miserevole vuota, ma sono libero di annientarmi nel vizio e abbruttire la mia umana natura.
Ciò che Kierkegaard loda nella sua etica protestante che appare già leggenda, è uno degli archetipi del potere e precede l'incommensurabile teorica delle possibilità umane.
La tecnologia formidabile strumento di manipolazione, è una beffa rivolta a quella società che dichiara di voler fare dell’individuo un individuo, la macchina mutila gli uomini, anche se li sostenta.
La tecnologia mette a disposizione gli strumenti del comunicare dei quali però i padroni conservano le chiavi. Chiunque comunichi ciò che non linea con il pensiero globale,viene, ipso fatto, cancellato. La sua liberta è posta in stand-by.
Dall'antica barbarie al trionfo dell'uguaglianza repressiva il dispiegarsi dell'uguaglianza giuridica, l’ingiustizia tramite uguali, il mito di cartapesta scritto nella carte dei diritti dell’uomo, ogni giorno violati da coloro che li hanno redatti. Gli Stati occidentali attuano rappresaglie terribili ogni volta che i popoli oppressi osano una rivolta. Questo gioco crudele, rivela come la libertà non è che un fragile birillo esposto alle cannonate del conformismo più laido.
In che modo l’artista fa sentire la propria voce? Viene meno quella che voleva essere la preistoria favolosa della relazione simbolica tra realtà ed evento, il rito quotidiano trasformato in una ulteriore e meno triste possibilità. L’artista è ridotto a crocevia di reazioni e comportamenti convenzionali, finte provocazioni,estemporaneità eccentrica, è tutto ciò che ci si attende da lui. Egli è sempre esposto al rischio di barattare la libertà vera, con il successo.
La cultura e il progresso si sono accordati da tempo contro la verità e hanno lasciato libero campo alla menzogna. La stessa esistenza della verità è negata da intellettuali da filosofi talmente avvolti nel loro asservimento da definire il servilismo: libertà.
E’ la continuità di una situazione culturale che precede l’illuminismo, e che l’illuminismo non ha scalfito, se mai giustificato. ”Filosofia nel boudoir” , fa apparire infantili le pruderie delle sfumature. Donatien-Alphonse–Francois Marchese de Sade rappresenta il soggetto borghese liberato dal controllo della ragione, la cui definjzione era già presente negli scritti di Machiavelli e Hobbes.
L’impotenza della filosofia.
In un certo senso la “Fenomenologia dello spirito” di Hegel potrebbe essere vista come una sorta di storia della filosofia. Hegel traccia una serie di passaggi seguendo l’evoluzione del pensiero filosofico e politico di epoca in epoca.
L’impressione è che sopravaluti la creatività filosofica, ovvero la capacità dei filosofi d’incidere sul comportamento umano, dà per scontato, come quasi tutte le storie della filosofia, che la creatività filosofica degli autori coincida con la situazione culturale e civile dell’epoca,
in cui i vari filosofi sviluppano le loro teorie. L’esperienza insegna che non è così.
Gran parte delle esortazioni dei filosofi sono rimaste lettera morta. Molti filosofi hanno affrontato il tema della verità. Nel v secolo a.C. Parmenide pubblicò un poema; La verità e l’opinione. Egli sosteneva che ciò che regola la verità e la conoscenza è la verità ontologia, la verità dell’oggetto.
Cinque secoli dopo Pilato si chiede: cos’è la verità? Nel 2005, il pragmatismo americano emerge con Pascal Engel e Richard Rorty che pubblicano: “A cosa serve la verità?”.
Posizione più radicale del torinese Gianni Vattimo, che nel 1983 pubblicò il libro: “Il pensiero debole”. Sviluppando elaborate argomentazioni, sostenne che non esiste verità, e neppure i valori che dovrebbero orientare il comportamento delle masse.
Verso la seconda metà dell’800 di fronte all’oppressività del mondo industriale, alle metropoli percorse da folle immense e anonime, vi fu un tentativo di reazione alla prorompente modernità. Gli artisti si isolarono, esaltarono l’arte per l’arte, assunsero atteggiamenti snob. Come Villiers de L’isle Adam, il quale scrive: “Vivere? Ci pensano i nostri servi per noi”. Paul Verlaine paragona la sua epoca al mondo della decadenza romana e bizantina.
Hegel sosteneva che l’arte moderna ha avuto inizio con il cristianesimo in opposizione all’arte classica greca, La fine dell’arte quindi coincide con il venir meno dell’influenza politica e culturale del cristianesimo diventato istituzione, come tale condizionato da pragmatismo politico, quindi incapace di ispirare ancora l’idealità che è precondizione per la creatività. Finiscono per prevalere aspetti estranei all’arte. L’artista si rifugia nella provocazione destinata a fallire perché subito fagocitata dalla nascente borghesia, alla fine nel mondo dell’arte, prevale la rassegnazione, l’artista rassegnato ricorre alla tecnologia.
L’arte, com’è stata intesa nei millenni, è giunta dunque all’epilogo, immaginare che abbia subito un mutamento radicale per adeguarsi ai tempi, non basta a spiegare lo stato attuale della produzione artistica.
Il disincanto della modernità.
Simulazione disincantata: la pornografia, più vera del vero, il colmo del simulacro. Simulazione incantata: il trompe-l’oeil, più falso del falso, il segreto dell’apparenza contro cui già si scagliava Platone. Nessuna favola, racconto, composizione, scena teatro, azione di happening si sottrae alla necessità dell’inganno proprio della rappresentazione. L’arte contemporanea ha creduto di sottrarsi all’inganno offrendo rappresentazioni minori, contorni, dettagli. Rifiutando le raffigurazioni delle grandi opere del passato, eliminando il discorso della pittura, rifiutando la sfida di misurare la manualità con la tecnica. Non raffigurano più, non sono più oggetti, solo segni bianchi, segni vuoti, espressione dell’antisolennità, anti rappresentazione sociale. Detriti della vita sociale . Gli artisti si rivoltano contro, fanno la parodia dell’arte, rinnegano l’essenza del proprio agire convinti in questo modo di compiere un gesto di verità. Tutto questo è privo di senso. Non descrivono nessun tipo di realtà. Non ingannano. Non rappresentano nulla. Sono figure banali, lontane dalla scena del mondo, spettri che ballano nel vuoto. La loro non è seduzione estetica, ne pittura, ne rassomiglianza, è soltanto una metafisica abolizione del reale. Oggetti effimeri che si contrappongono anche alla reversione, irreali. La loro insignificanza è offensiva per chi non rinuncia a pensare. Oggetti senza referente, spogliati di significati, vecchi giornali, vecchi libri, vecchi manifesti, resti di cibo, oggetti caduti in disuso, fantomatici nella loro posizione di estraneità. Potevano rappresentare il ricordo di una realtà perduta, l’ombra di una vita interiore, il conato di un pensiero creativo, ma lo spregio d’uso ha annullata anche questa possibilità. Resta la resa alla tecnica che ha cancellato il tutto per sostituire, come scriveva Pierre Charpentrat “ l’opacità inafferrabile d’una non Presenza”. Purea apparenze, senza l’ombra di ironia per troppa realtà.
Psicologia, conoscenza, significato.
Secondo Heidegger, la psicologia non ha nulla a che fare con la “coscienza” e le “esperienze vissute”, poiché è soltanto una dottrina dell'essere del vivente, un’ontologia di quell'essere che è caratterizzato dalla vita. Essere orientati significa semplicemente avere idee chiare circa le autentiche determinazioni ontologiche della vita. Per questo la psicologia ha un compito a un limite determinato. Aristotele fornisce l'orientamento più preciso in merito, il filo conduttore delle opinioni medie che l’individuo ha di se stesso. Un'opinione di questo tipo è la definizione dell'uomo in quanto essere dotato di linguaggio. Le ulteriori definizioni si muovano nella direzione di quest'ultima.
Su questa traccia dobbiamo riconoscere che la psicologia della conoscenza non equivale a comprensione. Ciò è particolarmente vero nel campo dell'arte dove la critica non parla delle opere ma sulle opere.
In quanto all’artista, è possibile per lui acquisire una buona tecnica, capacità di disegno, altra cosa è dare un significato alle opere. Per questo vediamo che l’attribuzione di significato è demandato al critico o filosofo. Questo procedimento ha consentito di accreditare le cose peggiori delle avanguardie.
In cosa consiste “l’universalità dell’arte”? In che modo marmo,pietra metallo sagomata esprimono l’universale? In che modo il colore che assume forma, o resta solo colore, rappresenta la sensibilità umana? Per non parlare dei prodotti delle avanguardie che ha partire dal secolo scorso hanno attribuito statuto artistico a happening, fotografie, ready made, e varie.
Nella narrativa della critica dell’arte viene descritto ciò che l'artista si sarebbe proposto di rappresentare,spesso però nulla di ciò che costituisce la narrazione è ravvisabile nell'opera. Una pratica eristica che è prassi per critici e filosofi.
Forse a base della civiltà c’è proprio questa forma di adulterazione del pensiero in base al quale l’umanità ha tentato di dare un senso, una giustificazione alla propria esistenza, proiettandone l’esito al di là della vita terena. Vi è una certa similitudine tra arte e religione. In entrambi i campi sono stati scritti migliaia, forse milioni, di libri senza mai approdare ad alcuna certezza. Con grande astuzia, i padri fondatori hanno sostituito la verità con la fede, che per definizione non è indagabile. In questo modo è stato messo un suggello alla verità.
La paura dell’ignoto ci rende tutti vulnerabili alle suggestioni di un al di là premiante: “ ….la terra inesplorata dai cui confini nessun pellegrino fa ritorno…”
Poesia e malinconia dell’arte greca antica.
Keats si rivolgeva all’arte greca ed esprimeva in una struggente poesia la malinconia che in lui provocava il contrasto tra l‘immutabile regno dell’arte e il fatale svanire della vita umana. Dell’arte contemporanea molta critica vanta la provvisorietà, quasi fosse una dote. In realtà le mastodontiche strutture prodotte con sistemi industriale che molti artisti, specie americani, presentano come arte, non sono tanto effimere quanto insignificanti. Platone, è noto, esprimeva ammirazione per gl’immobili schemi dell’arte egizia. In una opera scritta in tarda età, Le Leggi, egli biasimava l’eccessiva libertà che veniva lasciata agl’artisti greci. Lo stile concettuale dell’Egitto aveva un’impronta concreta sottolineata da Platone nel celebre passo della Repubblica. Egli sosteneva che la rappresentazione dell’arte è infida e incompleta; si appella alla parte inferiore dell’anima, alla nostra immaginazione, piuttosto che alla ragione e deve perciò essere bandita come agente corruttore. La polemica contro gl’inganni della pittura non varrebbe come critica all’arte moderna. Il compiacimento dell’artista che crea il trompe-l’oeil, ha lasciato il posto al nichilismo. Non sfugge neppure la figura umana. L’empietà verso la figura umana nel rappresentarla nel suo estremo degrado, promuove, attira, lascia intendere che l’artista nel rappresentarla muova una implicita critica. In realtà egli è perfettamente in accordo, partecipa, alimenta, fruisce del degrado che lo dispensa anche dalla necessità della ricerca di quel varco nel nulla contemporaneo che dovrebbe essere scopo di ogni arte. La mancanza di freni nell’espressione artistica non è che la manifestazione di un pericolo. Lo sfregio dura più a lungo nell’immagine che nella carne. Disintegrare un viso sulla carta, la tela, la pellicola, la scena è sempre l’espressione di una non piccola sconfitta.
L’arte contemporanea è orfana di bellezza.
Winckelmann, il cui influsso fu determinante per la estetica e la filosofia della storia della sua epoca, usa i due concetti, simbolo e metafora come sinonimi, e così fa tutta la letteratura estetica del XVIII secolo. I significati delle due parole hanno infatti una origine di comune; entrambe indicano qualcosa il cui senso non risiede nell' apparenza immediata, sia l'aspetto visibile o la lettera del discorso, ma in una significazione che va al di là di essa. Ciò che hanno in comune è dunque il fatto che una certa cosa sta per qualcos'altro. Tale connessione di significati, mediante la quale ciò che non è sensibile diventa percettibile con i sensi, ha luogo nel campo della poesia e dell'arte figurativa.
Solo un’indagine accurata potrebbe stabilire più precisamente in che misura l'uso antico dei termini simbolo è allegoria abbia aperto la via alla contrapposizione che per noi è diventata familiare. Possiamo indicare solo alcune linee fondamentali. Ovviamente i due concetti non hanno all'inizio nulla a che fare l'uno con l'altro. L'allegoria appartiene originariamente alla sfera del dire del logo ed è quindi una figura retorica o ermeneutica. Al posto di ciò che realmente si intende, si dice qualcos'altro, di più facilmente comprensibile, ma in modo che questo faccia intendere quell'altro.
Il simbolo invece, non è limitato alla sfera del logos, giacché il simbolo non è in rapporto con un altro significato mediante il proprio significato, ma il suo stesso essere sensibile ha significato. Nel suo essere presentato è qualcosa di cui si riconosce qualcos'altro più facilmente comprensibile.
Nel secolo XVIII quando si parla di allegoria si pensa sempre anzitutto le arti figurative.
La posizione positiva di Winckelmann nei confronti della allegoria non corrisponde affatto ai gusti dell’epoca e contrasta con le opinioni dei teorici contemporanei.
Il moderno concetto di simbolo non si può comprendere prescindendo dalla funzione gnostica. Il termine simbolo può passare dall’uso originario in cui sta a indicare il documento, il segno di riconoscimento, al concetto filosofico in cui diventa qualcosa di misterioso, la cui decifrazione è riservata agli iniziati. Il simbolo indica un’esistenza in cui in qualche modo viene riconosciuta l’idea.
La liberazione della poesia dall'allegoria come la propugna Lessing, significa anzitutto la sua liberazione dalla sottomissione al modello delle arti figurative.
Winckelmann sembra soggetto all'influsso di Wolff e Baumgarten, quando scrive che il pennello del pittore deve essere intinto nell'intelletto. Egli non respinge l’allegoria in generale quindi non si rifà l'antichità classica per svalutare in confronto ad essa le allegorie moderne.
Schiller , nel fondare l’idea di un’educazione estetica dell’umanità sull’analogia di bellezza e moralità formulata da Kant, si ricollega a indicazioni esplicite kantiane nella quali è posto l’accento sul fatto che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza.
Adattare alla contemporaneità le teorie classiche che hanno tentato di dare all’arte un contenuto gnoseologico e di arricchimento della sensibilità umana appare oggi impresa tanto ardua quanto inutile
Il problema del verosimile
Con una intenzione di cui percepisce la temerarietà, Platone, nel Timeo si propone di offrire racconti verosimili. Tuttavia gli manca la possibilità di effettuare la prova che trasformerebbe le sue congetture in realtà. L’arte è questo tentativo, un sistema d’immagini per raffigurare ciò che non è intellegibile, al quale non si addice la dialettica. Il principio che domina la cosmologia del Timeo e del libro decimo delle Leggi: è la convinzione del filosofo che il mondo sia una meravigliosa opera d’arte.
Il problema che nasce con le avanguardie è: come può essere considerata un’opera d’arte quando l’artista rinuncia alla identità estetica che costituiva l’essenzialità dell’arte? A questo punto si entra nell’ambito delle teorizzazioni e delle ipotesi.
Il campo della argomentazione diventa il verosimile, il probabile, che sfugge alle certezze, soprattutto quando per dare significato all’opera ci si affida a interpretazioni di introspezione psicologica.
Ora, l’idea nettamente enunciata da Descartes nella prima parte del Discorso sul metodo, era di considerare quasi falso tutto ciò che fosse considerato solo verosimile. Per Descartes l’evidenza è il marchio della ragione.
Ovviamente le tesi di un filosofo, seppur insigne come l’autore del Discorso sul metodo, non costituisce una certezza assoluta, infatti le contestazioni alla sue tesi sono state molteplici e si sono susseguite nel secoli. Tuttavia contestazioni e teorie contrapposte non hanno risolto il problema del vero e del verosimile che restano affidati all’opinione. Anche perché,parafrasando La Bruyère, si potrebbe dire che la critica d’arte ha come mira costante l’inganno. Non si spiegherebbe altrimenti la ragione per cui, da quasi un secolo, si continua a dare risalto a un arte che ha come unico fine la provocazione, nonostante che dopo di barattoli di merda di Manzoni, il livello massimo della provocazione sia stato superato da un pezzo, dominano estemporaneità ed emotività, di fatto, un vuoto pneumatico di pensiero, galleggiamento mondano nel quale vive il mondo dell’arte oggi.
Sensibilità e significato
Senza dubbio l'arte costituisce la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo.
La critica e filosofica dell’arte abitualmente non esercitano la loro funzione, cioè vera critica, piuttosto attuano una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista. Inoltre l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. Difficile negare che,accanto a opere significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l'arte abbia un valido significato culturale che permane con il passare dei secoli, è un azzardo.
La Filosofia antica tratta con ampiezza la questione del soggettivistico fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte ritenendola frutto di doppia illusione.
Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un'altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante, nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente.
Dunque qual’è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall'oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato.
Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva, quando ci si affida all'organo del senso, in questo caso produce la sensazione, oppure,in alternativa, vi è la fruizione razionale. tesa a identificare il significato nell’opera.
Non esiste altro che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita.
Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, essere. Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte.
Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, sviluppa una filosofia che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte.
Nell’ultimo secolo, critica e filosofia dell'arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili negli oggetti osservati. Su questo aspetto non si riflette mai a sufficienza.
L'arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera d’arte plastica, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore.
Dare forma alla storia del pensiero attraverso l'immagine, è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.
La parola e la forma.
Il linguaggio e la logica non creano il significato. Il linguaggio descrive il significato di ciò a cui si riferisce. La logica ha la sola funzione di ordinare parole e significati. Usare il linguaggio in modo errato significa presupporre un significato che non esiste. Questo uso decettivo del linguaggio è il fondamento di ciò che definiamo menzogna.
Nel linguaggio dell'arte il tema è più articolato. Le singole opere possono realizzare la rappresentazione banale della realtà, street art, e opere di Jeff Koons, addirittura opere senza significato. Ecco allora che si rende necessario l’intervento del critico o del filosofo, i quali spesso non illustrano il significato dell'opera, lo creano.
Il critico e il filosofo fanno quindi ricorso alla menzogna. E’ possibile vi possa essere buona fede, ma in questo caso buonafede e ignoranza coincidono. L'articolazione tecnicamente colta della narrazione può assumere l’apparenza di verità, tale narrazione crea la suggestione a chi leggerà il loro testo. L’uso di concetti non provati che per generazioni hanno usurpato la dignità dell’arte creando finzioni ermeneutiche prive di senso.
All’angoscia di una società liquida, priva di futuro, gli artisti rispondono realizzando nani da giardino ed esibizioni del corpo nei suoi aspetti più laidi e sgradevoli. Oppure l’arte ridotta a livello della pubblicità e del consumo di massa, aspetti di cui copia le modalità.
Giuseppina Giordano presenta la sue opere in mostra sugli scaffali di supermarket. Damien Hirst espone la prima versione di Pharmacy alla Galleria Cohen di New York. Arte che fa il verso alle compulsioni da consumo.
Forse Pitagora, considerato il creatore della parola “filosofia” avrebbe disapprovato i procedimenti con i quali molti filosofi giustificano certe espressioni artistiche,non avrebbe considerato i loro testi filosofia, ma elucubrazioni nelle quali filosofi, specie di matrice statunitense,esibiscono una pseudo cultura ad esclusivo beneficio del mercato.
Per Senofonte stabilire un ordine di valori, non basta l’esperienza sensibile, tanto meno l’accettazione sociale, ma è necessaria una riflessione morale già altamente critica.
L’aspetto che riguarda l’arte astratta,in questo caso l’opera non esprime alcun significato, la fruizione dell’opera è affidata all’emozione del colore steso sulla tela, la questione è relativa alla lettura emotiva dell’opera,tema di attualità sul quale ,è stato scritto molto.
Non c’è dubbio che le avanguardie hanno fruito in modo notevole del supporto della critica e filosofia che con i loro scritti hanno contribuito ad alimentare eccessi che, a partire dall’inizio del secolo scorso, hanno inquinato il mondo dell’arte. Senza il supporto della letteratura critica e filosofica sicuramente taluni fenomeni artistici non avrebbero mai avuta l’eco che hanno avuta nella società di massa disposta ad accettare tutto ciò che provoca e diverte, senza remore di carattere culturale.
Le discipline tecnologiche si considerano esentate da valutazione etica.
Nel libro “Introduzione all’etica” , Edmund Husserl affronta, tra l’altro, il tentativo di definizione o confronto, della cultura, pratica e teoretica. Il tema, in forma e con intenti diversi, è stato trattato da Snow Charles Percy in un libro pubblicato nel 1980 con il titolo “Le due culture”.
Oggi forse l’argomento è di minore attualità dal momento che la cosiddetta cultura umanistica ha lasciato il posto alle dottrine tecniche.
La filosofia ha di fatto rinunciato ad essere la coscienza critica della società, impiegata piuttosto nel giustificare la deriva etica. Il pensiero debole è uno dei percorsi verso l’abbandono di tutto ciò che costituiva l’impalcatura di sostegno alla fragile società umana, l’osservazione del dato cognitivo dell’esperienza.
Le discipline tecnologiche, più in generale scientifiche, si sono sottratte alla valutazione etica e per certi aspetti anche alla ragione, intesa nel senso più ampio, cioè non concentrata sul risultato immediato. Il settore in cui è più palese la cecità della scienza è testimoniato dalla distruzione dell’ecosistema.
Un altro campo in cui emerge lo spregevole cinismo della civiltà, è quello degli armamenti. Mentre una larga parte del pianeta soffre la fame e le conseguenze delle malattie, sono state destinate risorse enormi per l’invenzione e la produzione di armi sempre più sofisticate e letali. Tutto sempre declamando il rispetto dei diritti dell’uomo e la sacralità della democrazia.
E’ chiaro che, vista la situazione, qualsiasi interesse al campo dell’arte appare come pretesto di distrazione. Ma, per ritornare al riferimento iniziale, anche l’arte ha abbandonato il principio teoretico, cioè la cultura “inutile” come la definiva Bertrand Russel, per adottare la tecnologia e le modalità di creazione della realtà virtuale.
Husserl sembra aver realizzato che la distinzione tra cultura pratica e cultura teoretica finisce per essere questione di lana caprina. Il bisogno di cultura, senza distinzioni, nella società è venuto meno. Ci sono stati ingegneri che hanno creato capolavori letterari, giuristi che hanno creato opera d’arte meravigliose, medici che hanno indagato le profondità della coscienza umana. Tutti costoro attuavano autonomamente la distinzione tra conoscenza delle tecniche professionali, e il bisogno di coltivare la sensibilità nutrita dalla cultura umanistica senza la quale ogni vera cultura è chimera.
Il cattivo artista si abbandona alla soggettività
L’Occidente si crede superiore, è una civiltà che tenta di imporre con arroganza la sua visione del mondo e si attribuisce titolo per giudicare il resto del pianeta. Intanto la produzione di arte e cultura è sempre più di infima qualità, tanto che si moltiplicano i richiami al passato.
L’uomo occidentale concentra il suo sguardo verso tutto ciò che è materiale, gli sfugge l’essenza stessa delle cose e alla fine prova nausea di fronte alla propria vuota esistenza. Il fattore verità è ignorato, o al più delegato alle divagazione filosofiche, come fa Jacques Derrida nel suo libro “ Il fattore della verità” dove esamina i testi di Lacan, e si addentra in una sorta di psicoanalisi collettiva.
Un antica leggenda narra che il re Mida insegui a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dionisio, senza mai riuscire a prenderlo. Quando infine riuscì a raggiungerlo e fermarlo, il re quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile sileno tacque; finche dietro alla insistenze del re scoppia in un irrefrenabile riso e pronuncia queste parole: “Stirpe miserabile ed effimera , figlia del caso e della pena, meglio sarebbe non fosse mai nati, ma presto sarete estinti”.
L’umanità ha in qualche misura paura di attuare la conoscenza di se, il “Nosce te ipsum”suggerita dall’oracolo di Delfo, fatta propria da Socrate, è stata scelta la deriva abbandonandosi al dominio della materia. Estetica e bellezza ridotte alla fatua apparenza, esaltazione di se,finanche arrivando a definire opera d’arte gli escrementi. L’estetica moderna ha dato forma alla materia soltanto per predisporla al consumo.
Il cattivo artista si abbandona al soggettivo, a ogni forma di capriccio individuale. Schopenhauer suddivide ancora le arti tra fra il soggettivo e l’oggettivo. Il Soggettivo vuole promuovere le sue apodittiche teorizzazioni e non si accorge del vuoto che il suo pensiero e la sua opera producono.
Solo liberato dalla esasperazione soggettivistica, non priva di immotivata presunzione, l’artista può diventare un medium attraverso cui libera l’illusione, la creazione come passaggio, o trasfigurazione della materia, l’essenza dell’arte è simile alle affascinati immagini della fiabe.
Solo così l’arte può contribuire a colmare il vuoto di una società depravata e corrotta che ricorre al rumore e alle luci , ad ogni forma di distrazione, incapace di accettare l’idea di essere avviata alla debacle di tutto ciò che fu speranza e sogno di una vita degna di essere vissuta.
L’Io: unico discontinuo riferimento.
L’età moderna registra il perpetuarsi di una decadenza che dura da Platone è pure capace di convincersi che la propria insipienza sia il superamento della tradizione. Ciò porta esperienze che sono il vivere la propria banale mediocrità ed accettare lo sgretolamento dei principi che hanno reso possibile il costituirsi della società civile. Anche l’arte è asservita al consumo veleggiando all’interno di una cultura della superficialità e cecità riguardo al nucleo essenziale di ciò che costituisce la crescita umana, la inconsapevolezza di ciò che Nietzsche per la prima volta ha riconosciuto come nichilismo. Il nichilismo di Nietzsche è rimasto tutt’ora incompreso, soprattutto non ha portato alla meditazione. Se così non fosse non sarebbero sorte le avanguardie artistiche con l’avvallo di una filosofia da rotocalco. Nel vuoto, trova ampio spazio la tecnica , la quale si fonda epistemicamente sul sapere matematico in grado soggiogare la natura e dominarla. A ciò corrisponde al modo in cui si giunge al sapere e alla diffusione rapida e di massa di conoscenze mal comprese tra il maggior numero di persone possibile e nel più breve tempo possibile; la scolarizzazione che nella pratica odierna capovolge lo stesso significato del sapere. Tutto questo diventa inquietante quanto meno è appare, quanto più facilmente diventa quotidianità. Questa aridità culturale e mentale è perfetto terreno di coltura della emotività e di un piatto sentimentalismo privo di autenticità. Prende spazio il vissuto, l’accumulo di esperienze per colmare il vuoto che deriva dalla difficoltà di capire. L’Essere diventa preda della caccia di esperienze vissute. Diceva Giovanni Scoto Eriugena: “Non serve cercare nell’esperienza ciò che l’esperienza non ci può dare, ma cercare in noi stessi e portare alla consapevolezza dello spirito tutte le nostre virtualità”. Un simile preposizione nella contemporaneità non ha significato ne senso. L’arte contemporanea si affranca dall’esperienza di vita vissuta? Oppure cambia solo ciò che viene vissuto addirittura in modo tale che adesso il vivere diventa ancora più soggettivo? Il vissuto diviene l’indole tecnologica dell’impulso creativo stesso, il come del fare e dell’inventare informale e le relative distonicità e vuotezza del simbolo il quale rimane ancora metafisica del vissuto, dell’Io come unico, discontinuo riferimento, dal cui vuoto nascono gli incubi di esistenze infelici.
Narcosi da consumo.
Secondo una tesi centrale del pensiero postmoderno, nella nostra società i segni non rimandano più a un significato, ma sempre e soltanto ad altri segni, noi nelle nostre analisi non cogliamo più qualcosa come significato, ma ci muoviamo lungo una catena infinita di significanti. Secondo questa tesi il segno, che Saussure poteva ancora descrivere come unità di significante e significato, sarebbe stato infranto. Si può osservare nella pittura a partire dalla fine degli anni settanta, messa a confronto con l’arte informale degli anni cinquanta e sessanta, un ritorno di segni che suggeriscono un significato, la cui particolarità consiste nel fatto che non si può in alcun modo attribuire loro un senso. Non è del tutto chiaro se al discorso sull’arte postmoderna corrispondano opere d’arte, stabilito che, come l’ombra non è l’ombra non è la cosa che3 riflette, così come la forma non è il significato.
Di fatto ci si trova di fronte al paradosso di dover tentare una ermeneutica su oggetti ai quali viene attribuito un “valore” ma a cui è pressoché impossibile attribuire un significato. Arnold Gehlen sostiene, non senza ragione, che la modernità artistica è entrata in una fase di “cristallizzazione” già prima della Grande Guerra, diventando incapace di rinnovamento. I movimenti d’avanguardia, con i loro plagi sfacciati e la loro provocatoria famigliarità, si pensi ai gesti pubblicitari dei dadaisti, hanno infranto anche i confini dell’arte d’intrattenimento, strettamente sorvegliati dalla modernità orientata alla centralità dell’opera. Essi hanno messo in discussione il concetto di necessità della forma, dominante fin da quando l’autonomia dell’arte venne istituzionalizzata. Essi si rivolgono all’allegoria, che conosce una forma non necessaria, puramente convenzionale. Ciò che oggi si cerca di definire con il concetto postmoderno, rischia di rivelarsi una dilatazione della problematica avanguardistica che ha di fatto rinunciato all’arte in favore della modernità.
Mettendo sempre di più l’arte di fronte alla propria infondatezza, la modernità ha eliminato l’elemento semantico come estraneo alla “purezza” dell’estetico, prima di rinunciare all’estetico considerandolo una camicia di Nesso per la libera creazione.. Tutto ciò è stato possibile in quanto il supporto del mercato ha di fatto permesso di coagularsi di gruppi per una produzione di oggetti destinati alla vendita, senza pleonastiche mediazioni culturali, se non nell’ottica di attribuzione di valore, con buona pace di Gorge Dickie. La nostra epoca vede il trionfo dell’edonismo effimero, quasi a consolazione per avere perso la speranza di futuro ormai ritenuto impossibile. Quello che non è avvenuto nei periodi bui della storia dell’occidente avviene oggi per effetto della narcosi da consumo.
L’artista costruisce la realtà con le proprie mani.
Attraverso quale processo culturale, antropologico l’artista diventa ciò che è? Attraverso le sue opere? C’è il detto: l’opera loda il maestro. L’artista è origine dell’opera. L’opera è origine dell’artista. Nessuno dei due è senza l’altro. Artista e opera ogni volta sono, in se stessi e nel loro rapporto reciproco , in virtù di un terzo elemento, che è il vero, il primo elemento: l’arte, in quanto realtà conseguita, realizzata. Ne consegue che se l’opera non realizza ciò che è definito con il sostantivo arte, non esiste neppure l’artista.
L’arte non è nient’altro che una parola alla quale non risponde nulla di concreto. Ma poiché rimane aperto il problema di cosa sia l’arte, la ricerca di significato può essere cercata solo nell’opera. E’ necessario rispondere alla domanda cos’è un’opera d’arte? Allegoria e simbolo delineano la prospettiva, l’ottica, entro la quale, da sempre si muove la caratterizzazione dell’opera d’arte. Sembrerebbe quasi che la realtà dell’opera d’arte sia una sorta di substruttura entro la quale e sopra la quale venga costruita la realtà immaginata dall’artista. E non è forse questa realtà che l’artista, in senso proprio, costruisce con le proprie mani?
Si ritiene che l’essenza dell’arte possa essere desunta da un’analisi comparativa delle varie opere d’arte esistenti. Tuttavia come possiamo essere certi che, alla base di una tale indagine, stiamo effettivamente ponendo delle opere d’arte se non sappiamo cos’è l’arte? Basta a risolvere il problema la provocatoria affermazione di Geoge Dickie secondo il quale: tutto è arte? Tale affermazione non risolve il problema, lo cancella.
Il quadro, la scultura, il disegno, depositati in una galleria o museo, offerti alla ammirazione, o almeno all’attenzione di chi osserva senza porsi il problema di cosa ha davanti, il contesto gli dice che trattasi di opere d’arte.
Ecco dunque che, tra equivoci e autoreferenzialità una persona si considera artista e si convince che ciò che produce sia un’opera d’arte, l’osservatore è convinto di stare osservando un’opera d’arte.
A complicare ulteriormente la situazione è stato lo sradicamento totale compiuto dalle avanguardie di ogni epistemologia ed ontologia dell’arte,così come erano venute delineandosi in due millenni. Dunque, in base alle considerazioni esposte, sembra proprio che il cosiddetto mondo dell’arte sia basato su un equivoco costruito non dalle opere, ma dalle parole che presumono di dare un significato alla opere.
Dal pensiero nasce l'idea a cui la mano da forma.
Il declino dell’arte, è stato anche prodotto dalle teorie delle avanguardie, infarcite di aporie. Particolarmente negativa la teoria relativa alla rinuncia della fatica creativa della manualità.
Il creare può essere rappresentato solo come espressione concreta del fare, di cui nasce il sostantivo arte, il pensiero che prende forma. L’arte è in equilibrio tra il mondo delle cose e il mondo dei significati. L’artista dovrebbe possedere la conoscenza che gli permette di passare dal mondo della percezione al mondo della ragione, cioè dello strumento attraverso il quale dare forma al proprio pensiero. Il concetto di creare si fonda sull’analogia con l’attività dell’artigiano, la stessa filosofia, lo stesso Platone, non riesce a concepire Dio se non come l’ immagine mitica del demiurgo.
In Egitto il dio Ptab veniva venerato come il grande dio dell’inizio, come il dio originario, ma allo stesso tempo il suo agire è paragonabile all’agire umano, viene considerato protettore degli artisti e degli artigiani. Questo principio è giunto al suo pieno sviluppo con la conoscenza filosofica, esposta nel Timeo di Platone.
Hume scriveva: “Il fatto che la mia volontà muova il mio braccio, non è per nulla più comprensibile e più intellegibile che se essa potesse fermare il corso della luna”.
Questa grande fiducia nelle possibilità del fare con le proprie mani, sembra essere radicata nella memoria atavica. I Pangure della Guinea ritenevano che nello strumento che l’uomo costruisce passa una parte della sua forza vitale, la quale ora si può manifestare ed agire in modo indipendente.
Quando Hegel decreta la fine dell’arte, è in corso la prima rivoluzione industriale, il filoso intuisce che si avvicina la fine della manualità, sostituita dalla macchine,quindi l’agire magico dell’arte verrà sostituito dall’agire tecnico. In particolare la mano della quale Aristotele diceva: “Più intelligente deve essere colui che sa opportunamente servirsi del maggior numero di strumenti; la mano costituisce non uno ma più strumenti, è uno strumento preposto ad altri strumenti”.
L’intervento dell’uomo dà al mondo la sua determinata forma e la sua determinata impronta, se mancano sensibilità e spiritualità, il mondo si avvia alla sterilità. Attraverso l’uso della mano guidata dalla intelligenza l’uomo impara a conoscere il proprio corpo e le sue capacità creative.
Linguaggio,mito,arte, hanno rivelato ciascuna un proprio mondo e hanno fornito nutrimento alla creatività umana. Abbandonata la manualità, anche la creatività che ispira la forma, arranca e finisce per arenarsi,arrendersi alla tecnica, al materialismo che costituisce l’esatto opposto di ciò a cui si riferisce il sostantivo arte.
Monetizzare la propria esistenza
Periodicamente emergono fenomeni di commistioni illecite tra politica ed economia. Dal momento che nella nostra società, materialista ed atea, il denaro è la cartina di tornasole, i giornali dedicano per settimane e settimane le prime pagine agli episodi di criminalità economica. In realtà, è noto a tutti, non solo l’economia, ma tutta la società italiana è dominata dal fenomeno politico denominato “sotto-governo”. Cardini della complessa macchina sociale vengono affidati molto spesso non in base alle competenze, ma a persone che hanno i giusti referenti politici. Questo spiega in buona parte il regresso dell’Italia in tutte le classifiche internazionali. Non si sottrae a questo perverso meccanismo nessun settore della vita sociale. Cultura, scuola, università, accademie finiscono per vedere operare corpi docenti con scarsa cultura ma con radicate convinzioni politiche. Faziosità a prova di logica. Siccome la politica priva di ideali, è solo contrapposizione di potere e di interessi, resta la prassi generalizzata di un ancor maggior spazio al pragmatico cinismo da sempre nel nostro dna. Tutto ciò non può non avere disastrose conseguenze sulle nuove generazioni. Metafora della situazione in atto è l’arte sempre più solo oggetto di feticismo e di speculazione economica. Quando si parla di un artista, delle sue opere, non ci si chiede più quanto vale, ma quanto costa.
Theleme
It is a common place, as all the common places contain a good dose of truth, the diffused conviction that the true artists we have the ability to anticipate the future. Leaf through the history of the literature the examples do not lack, here we would want to be stopped on the masterpiece of Francois Rabelais, “Gargantua and Pantagruele”. After the war against Picrocole, Gargantua rewards those who has fought from its part. Between Giovanni it refuses all gifts and it asks for being able to erect a abbey that will call “Thelème”. From the Greek, desire, will: to mean that it was a free place. In fact on the fronton of the abbey it came carved the phrase? It makes what you want? This would have had to be before the rule of that place. If not that, written in poetry and prose, they follow pages in which is indicated who can be accommodated, who not, what can be made what cannot be made. The originality consists in the fact that the rules are exactly opposite to those the must at the epoch in the convents, however always rules is. But, here brilliant the intuition of Rabelais, the rules turn out in bottom not necessary prevail the gregarious spirit. It writes in fact ours: just for such freedom, they assumed one praiseworthy emulation to make all what they saw to make to one of they. If someone say : “To drink”, all drank; if it said “To play”, all played; And therefore of continuation. If someone thinks the young people today? Honni soit qui male y pense.
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E’ un luogo comune, come tutti i luoghi comuni contiene una buona dose di verità, la diffusa convinzione che i veri artisti abbiamo la capacità di anticipare il futuro. Sfogliando la storia della letteratura non mancano gli esempi, qui vorremmo soffermarci sul capolavoro di Francois Rabelais “Gargantua e Pantagruele”. Dopo la guerra contro Picrocole, Gargantua premia coloro che hanno combattuto dalla sua parte. Fra Giovanni rifiuta tutti i doni e chiede di poter erigere un abbazia che chiamerà “Thelème”. Dal greco, desiderio, volontà: a significare che era un luogo libero. Infatti sul frontone dell’abbazia venne scolpita la frase “ Fa quello che vuoi” Questa avrebbe dovuto essere la prima regola di quel luogo. Se non che, scritte in poesia e in prosa, seguono pagine in cui è indicato chi può essere ospitato, chi no, cosa si può fare a cosa non si può fare. L’originalità consiste nel fatto che le regole sono esattamente opposte a quelle in vigore all’epoca nei conventi, tuttavia sempre regole sono. Ma, ecco l’intuizione geniale di Rabelais, le regole risultano in fondo non necessarie giacchè prevale lo spirito gregario. Scrive infatti il nostro: “E proprio per tale libertà, assunsero una lodevole emulazione di fare tutti quello che vedevano fare a uno di loro. Se qualcuno diceva:”Beviamo”, tutti bevevano; se diceva “Giochiamo”, tutti giocavano; …” E così di seguito. Se qualcuno pensa ai giovani di oggi? “Honni soi qui male y pense”.
Il corpo dell’Arte.
Gli artisti, e ancora più le artiste, fanno l’uso frequente della esibizione del corpo, in films e fotografie. Questo si traduce in oggettivo svilimento della persona.\
“Si dovrebbe onorare meglio al pudore col quale la natura si dissimula dietro enigmi e incertezze variegati. E’ possibile che il suo nome, parlando Greco, sia Baùbo? “ (Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza.)
Anche il misantropo Schopenhauer rivaluta a suo modo la sessualità quando scrive: “…Nella realtà i genitali costituiscono il vero punto focale della volontà, e quindi il polo opposto al cervello che rappresenta l’intelligenza,ossia l’altra faccia del mondo”.
Jacques Lacan nelle sue lezioni del 1959 “ Etica della psicoanalisi”, ha esaminato parte di ciò che sotto il nome “la Cosa”, tentava di esprimere un oggetto psicologico preoggettivo: secondo Lacan bisogna prima di tutto che l’oggetto deve sempre essere considerato come perduto. Vi è l’esigenza di rimuovere la negatività per dare spazio al necessario.
L’utero diviene,va al di là, la vulva, si offre nell’illusione artistica, l’immaginazione invitante che però, nell’eccesso di libertà e di offerta, ha perso un gran parte attrattiva, anche se resta ciò che Heidegger chiama l’inaggirabile.
J.P. Sartre, in “ L’essere e il nulla” (Galimar, Parigi 1943) scrive: “ L’oscenità del sesso femminile è quella di tutte le cose aperte; è un richiamo a essere, come d’altronde tutti i buchi”.
Secondo Maurizio Ferraris l’arte ha il solo scopo di suscitare emozione, se non suscita emozione non è arte. Tesi quanto meno azzardata, anche perché,se tale principio venisse applicato,buona parte dell’arte contemporanea non sarebbe arte, il che probabilmente è vero, ma per altre ragioni.
Quando parliamo di emozioni dell’arte a cosa ci riferiamo? Che tipo di emozioni possono suscitare le scultura con donne a carponi che defecano di Kiki Smith , il letto sfatto di Trace Emin, le sculture di vagine di Cindy Sherman. Perché vi è l’ossessione femminile per sesso?
Ovviamente non c’è stato critico, sottolineo critico, non laudatore, che si sia inoltrato in una ermeneutica artistica su questo tema che risulta piuttosto scivoloso. .
La filosofia che usa l’arte per le proprie precarie teorizzazioni ricorda il barone di Mùnchausen, il quale caduto in uno stagno con il proprio cavallo cercava di sollevare l’animale con le proprie gambe e se stesso tirandosi su per i capelli.
La candela filosofica
La candela, umile oggetto ormai in disuso anche se amato specie dai seguaci della new age, è stato utilizzato come oggetto di riferimento per dispute filosofiche tra Descartes e Locke che hanno scritto due storie diverse ma complementari della candela: il primo ne ha realizzato uno schema intellettuale espropriato di ogni senso comune: “ Che cosa è dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in quel pezzo di cera? Certo non può essere niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l’odorato o la vista o il tatto o l’udito si trovano cambiate, e tuttavia la cera stessa resta….” Locke vede invece l’altra faccia: il grado d’intensità della esperienza ordinaria che è sufficiente per non metterci un dito sopra: “ Poiché, non rispondendo le nostre facoltà alla piena estensione dell’essere, né a una conoscenza perfetta , chiara e comprensiva delle cose , libera da ogni scrupolo e dubbio, bensì soltanto alla conservazione di noi stessi, cui sono date; e rispondendo esse, da come sono costruite, all’uso della vita, servono assai bene al nostro scopo finchè ci danno soltanto notizia certa di quelle cose che sono per noi convenienti o dannose. E infatti, chi veda un candela accesa, e abbia fatto esperienza della forza della fiamma mettendovi sopra un dito, non dubiterà davvero che esiste fuori di lui, che gli fa del male…” La scienza e il senso comune si sostengono reciprocamente; cioè sono aree che si spartiscono compiti e competenze diverse. Il senso comune per Locke finisce per essere tutto ciò che non è scienza; e quindi è odore, sapore, gusto e simili entro nessi di concomitanza empirica che costituiscono guide sicure per l’orientamento pratico. Il salto che a noi pare enorme tra i risultati della scienza di oggi, sono avvenuti con gradualità nell’accettazione comune di quelli che, viste nell’ottica degli antichi, sono scoperte strabilianti.
Alcuni filosofi hanno avuto atteggiamenti critici nei confronti del reale. George Berkeley negava l’esistenza della materia e la possibilità dello spazio assoluto. Emarginato per molto tempo venne rivalutato dalla teorie di Ernst Mach, Bohr e addirittura di Eistein del quale venne considerato un precursore.
Se mettiamo a confronto filosofie critiche come quelle di Berkeley con la prosaica filosofia dell’arte che celebra dettagli di realtà inventandone il significato,non possiamo che restare perplessi,
Ma pensiero non è solo il realizzarsi della ragione nella forma, ma è ragione intuitiva che precorre la scienza anche se incorre in errori gravi visto che Berkeley negò valore alla teoria di Newton sulla gravitazione universale.
L’enigma dell’effetto.
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico.
Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia.
Danto definisce pattume la metafisica, ma non rinuncia ad utilizzare i sofismi intorno In quali si ramificano l'argomentazione della metafisica alle cui parole, come nella filosofia dell’arte, si tenta di dare corpo all’invisibile.La critica ritiene di avere nel proprio sapere, in quanto tale, la capacità di creare leggi estetiche.
Non c’è dubbio che, per stabilire il significato di un opera la critica procede secondo convenzioni e pregiudizi. Quando si trova di fronte a un oggetto che ha determinate proprietà estetiche, per così dire mute, alle quali deve essere attribuito un significato, perché il processo di attribuzione sia comprensibile, quindi accettabile, è inevitabile il ricorso a richiami simbolici, culturali, sociali. Dunque nella narrazione critica non vi è alcuna originalità, solo ipotesi e opinioni dalle quali e con le quali si pretende di estrapolare il significato dell’opera. La critica non crea nulla, ma utilizza e adatta all’oggetto che sta esaminando ipotesi immaginifiche..
Ora, quando più l’oggetto e lontano dalla mimesi ed costituito dalla casualità della forma, tanto più l’attribuzione di significato è arbitrario.
Schopenhauer nel suo capolavoro “Il mondo come volontà e rappresentazione”, ha una visione particolare dell’artista la cui volontà creatrice guida la sua capacità di dare forma al pensiero in funzione propedeutica
Di fatto la critica confronta il contenuto solo con se stesso, si riduce quindi a tautologia, Se presumiamo che l’arte possa avere un contenuto di verità dovremmo anche presumere di conoscere aspetti del processo creativo che in realtà ci fuggono.
Considerazioni a margine
Scrive Hegel:” L'esperienza insegna che, se l'occhio è l'organo della vista, con il cranio invece non si uccide, ne si ruba, ne si scrivono versi”. Detto così può sembrare una banalità tautologica, in realtà esprime una verità profonda che stimola, o dovrebbe stimolare una quantità di riflessioni sulla realtà del pensiero riflettente, proprio partendo dalla constatazione che mentre la funzione dell'occhio è chiara, diretta, il contenuto del cranio, l'organo del cervello che elabora pensieri guida la nostra vita, non solo, ovviamente. non è visibile è poco comprensibile ai più, ma anche i prodotti della che elabora non sono prevedibili, quindi non codificabili se non parzialmente è solo per gli studiosi della materia. Nonostante questo limite oggettivo, azioni e pensieri raramente sono soggetti a sufficienti riflessioni e valutazione. Una considerazione di stretta attualità. L'umanità comprende circa 8 miliardi di persone, quanti di questi 8 miliardi hanno voluta la guerra in Ucraina? Quanti conoscono le vere ragioni della guerra? Come tutte le guerre provoca morti e distruzione e. come in tutte le guerre, nonostante la retorica che in questi casi domina l’informazione. nessuna della vittime ha avuta voce in capitolo sulla guerra, nessuno ha davvero capita la necessità della guerra.
Dalla neurobiologia siamo passati alla politica che è una delle attività umane nella quale maggiori sono le mistificazioni e il prevalere della malafede. E’ quindi un argomento che meglio di altri ci aiuta a evidenziare la profonda irrazionalità delle azioni umane. conseguenza di una psicologia che riflette la nostra natura animale.
Vi è un enorme divario tra i successi della scienza e della tecnica e l’evoluzione umana in termini di dominio di se,controllo dei nostri istinti animali. Gli strumenti di morte hanno raggiunto livelli di efficacia che ci consentono di sfogare la nostra aggressività usando la tecnologia. A prendere le decisioni è una oligarchia la cui scelta è anch’essa frutto del nostro modo rozza di pensare. Abbiamo creato un sistema di selezione basato sulla pubblicità, si vende il potere come si vende un detersivo, convincendo i cittadini che quella è la scelta migliore. Dopo di che posto una firma su una scheda, il cittadino non ha più alcun controllo e deve accettare le scelta di colui al quale, convinto dalla pubblicità, ha concesso la sua fiducia.
Questo è anche il mondo in cui vivono gli artisti, veri o sedicenti. E’ immaginabile pensare che coloro che dovrebbero essere creatori di realtà immaginarie sappiamo sottrarsi ai pervasivi condizionamenti di cultura e informazione al servizio del potere? Giova forse ricordare una significativa affermazione di Heidegger: “ La forma dell’uva non incide sul gusto del vino”.
In forma di parole.
Diceva Roland Barthes: la letteratura non è altro che la ricerca della parola giusta. Ma qual è, come si trova la parola giusta, adeguata ad esprimere chiaramente ciò che pensiamo?
La parole si costruisce con il pensiero,in questo senso è uno strumento che ci aiuta a decifrare la realtà. Quando la si è trovata la parola acquista una propria autonomia, diventa uno strumento con il quale costruiamo la nostra il nostro percorso di conoscenza.
Le parole sono ciò che noi pensiamo. Tutti portiamo nel nostra memoria personaggi immaginari della letteratura che, in qualche misura, sono entrati a far parte del nostro vissuto. Non accade così per l’arte figurativa, perché l’immagine limita la nostra fantasia, ciò che vediamo è ciò che ricordiamo.
Tommaso d’Aquino definiva la parola una sorta di specchio nel quale è riflesso il nostro pensiero, l’immagine da forma alla cosa pensata. Il carattere peculiare di questo specchio ha limiti che coincidono esattamente con quelli della cosa che in esso si specchia, solo quella determinata cosa, di modo che esso riflette la sola immagine. La profondità di questa immagine consiste nel fatto che la parola è qui concepita come il rispecchiamento perfetto nella cosa cioè come una sua espressione che ha lasciato ormai alle proprie spalle l'itinerario del pensiero al quale tuttavia deve la propria esistenza.
Come l’abilità del pittore consiste nel dare alle forme che crea una pluralità di significati, così colui che usa la parola dovrebbe poter dare alla propria narrazione la ricchezza di contenuto che la fantasia contiene.
Quando riflettiamo sul significato da dare al nostro pensiero attraverso le parole, ci rendiamo conto che la parola è essenzialmente imperfetta, nessuna parola umana può descrivere in modo completo ciò che proviamo dentro di noi. Rarissimi gli scrittori che si avvicinano alla interiorità dei personaggi che creano.
La poesia, forse più di ogni altra forma artistica, è lo strumento con il quale si attua il tentativo di forzare i limiti della parola, di vedere meglio le immagini dello specchio.
L’imperfezione della parola è conseguenza della incompiutezza della articolazione del pensiero che la crea, ciò non è solo un'imperfezione della parola come tale, ma un rispecchiamento opaco di ciò che il pensiero intende. Per peculiare l'imperfezione,lo spirito umano, non possiede mai una perfetta presenzialità ed è frammentato nelle diverse parti che costituiscono la riflessione.
Per questa essenziale imperfezione,consegue che la parola umana non ha mai un unico significato, ma si articola necessariamente come una molteplicità di significati. La parola acquista senso solo se collegata all’interno della struttura lessicale. Solo nel contesto linguistico la parola ottiene la propria possibile perfezione, si avvicina alla maggior compiutezza del pensiero.
La parola dunque è il prodotto del lavoro del pensiero, chi pensa la produce in se nell'atto stesso in cui pensa. Il pensiero a differenza di altri prodotti della natura umana, rimane l’elemento astratto dal quale sorge la relazione che ci consente di entrare in rapporto con noi stessi.
Arte e corpo.
E’ stato scritto molto sulla rappresentazione teatrale della tragedia, forse si è trascurato un aspetto psicologico importante. Perché le persone sono attratte da situazioni di disperazione e dolore fin dal tempo dell’antica Grecia dalle opere di Eschilo e Sofocle? Quale vizio della ragione ci rende attratti da vizio, sofferenza, dolore?
Dovremmo forse convenire che nella società la salute mentale è cosa rara? Il mondo in cui si sono affrontate molte devianze è stato non considerarle tali. Nella società di massa, quando taluni comportamenti sono adottati da un certo numero di persone sono omologati e resi legittimi.
Anche l’arte, more solito, si adegua. Hermann Nitsch presenta opere con pezzi di carne sanguinante. Joana Vasconcelos, alla Biennale di Venezia del 2015 presentò un lampadario fatto con tampax. Clara Mori esibì in una mostra a Matera nel 2019, il mestruo come opere d’arte. Daniel Spoerri presentò opere d’arte costituita da avanzi di cibo e stoviglie sporche.
La domanda non è quale turbe mentali e travagli psichiatrici abbiano questi artisti, piuttosto chi sono i collezionisti che le acquistano e, presumibilmente, le espongono nelle loro case.
Qua’ è il meccanismo mentale che ci porta a accettare ciò che è brutto, laido sgradevole? Perché le donne sono in prima fila nel produrre opere che riguardano aspetti degradati del corpo e umori?
Sono passati oltre 2000 anni da quando Aristotele sosteneva che l’arte rende piacevole anche ciò che è brutto. Egli si riferiva a opere di mimesi pittorica eseguite con perizia, non avrebbe mai potuto immaginare la situazione di decadenza in cui assistiamo oggi, la tragica confusione mentale che si esprime attraverso l’arte, forse è un disperato richiamo alla possibilità di salvezza attraverso l’arte?
La mestizia tragica provocata dalla mancata presa di coscienza e incapacità di controllo della ragione, impotente perché sovrastata dal dominio del corpo nei sui aspetti più triviali. In questa situazione il mito estetico della fantasia e della capacità creatrice dell’artista non supera la prova dei fatti. L’esistenza si arena e si perde annaspando nel vuoto mentale.
Al di là della considerazioni estetiche che sarebbero pleonastiche in presenza delle opere citate, resta inesplorato il lato oscuro della cultura la quale, con speciose argomentazioni ermeneutiche, si ostina a sostenere che certa arte abbia una ragione e un significato.
Simbolo e metafora.
Winckelmann, il cui influsso fu determinante per la estetica e la filosofia della storia della sua epoca, usa i due concetti, simbolo e metafora come sinonimi, e così fa tutta la letteratura estetica del XVIII secolo. I significati delle due parole hanno infatti una origine di comune; entrambe indicano qualcosa il cui senso non risiede nell' apparenza immediata, sia l'aspetto visibile o la lettera del discorso, ma in una significazione che va al di là di essa. Ciò che hanno in comune è dunque il fatto che una certa cosa sta per qualcos'altro. Tale connessione di significati, mediante la quale ciò che non è sensibile diventa percettibile con i sensi, ha luogo nel campo della poesia e dell'arte figurativa.
Solo un’indagine accurata potrebbe stabilire più precisamente in che misura l'uso antico dei termini simbolo è allegoria abbia aperto la via alla contrapposizione che per noi è diventata familiare. Possiamo indicare solo alcune linee fondamentali. Ovviamente i due concetti non hanno all'inizio nulla a che fare l'uno con l'altro. L'allegoria appartiene originariamente alla sfera del dire del logo ed è quindi una figura retorica o ermeneutica. Al posto di ciò che realmente si intende, si dice qualcos'altro, di più facilmente comprensibile, ma in modo che questo faccia intendere quell'altro.
Il simbolo invece, non è limitato alla sfera del logos, giacché il simbolo non è in rapporto con un altro significato mediante il proprio significato, ma il suo stesso essere sensibile ha significato. Nel suo essere presentato è qualcosa di cui si riconosce qualcos'altro più facilmente comprensibile.
Nel secolo XVIII quando si parla di allegoria si pensa sempre anzitutto le arti figurative.
La posizione positiva di Winckelmann nei confronti della allegoria non corrisponde affatto ai gusti dell’epoca e contrasta con le opinioni dei teorici contemporanei.
Il moderno concetto di simbolo non si può comprendere prescindendo dalla funzione gnostica. Il termine simbolo può passare dall’uso originario in cui sta a indicare il documento, il segno di riconoscimento, al concetto filosofico in cui diventa qualcosa di misterioso, la cui decifrazione è riservata agli iniziati. Il simbolo indica un’esistenza in cui in qualche modo viene riconosciuta l’idea.
La liberazione della poesia dall'allegoria come la propugna Lessing, significa anzitutto la sua liberazione dalla sottomissione al modello delle arti figurative.
Winckelmann sembra soggetto all'influsso di Wolff e Baumgarten, quando scrive che il pennello del pittore deve essere intinto nell'intelletto. Egli non respinge l’allegoria in generale quindi non si rifà l'antichità classica per svalutare in confronto ad essa le allegorie moderne.
Schiller , nel fondare l’idea di un’educazione estetica dell’umanità sull’analogia di bellezza e moralità formulata da Kant, si ricollega a indicazioni esplicite kantiane nella quali è posto l’accento sul fatto che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza.
Adattare alla contemporaneità le teorie classiche che hanno tentato di dare all’arte un contenuto gnoseologico e di arricchimento della sensibilità umana appare oggi impresa tanto ardua quanto inutile
Dialettica dell'oscurantismo.
Nel corso dei secoli si è andato accumulando in scritti, disegni, pittura, ciò che abitualmente viene definita cultura. Nonostante la gran mole di libri e di opere, al presente si è accentuata la tendenza alla semplificazione. Non solo il linguaggio quotidiano, cosa che sarebbe accettabile, anche la narrativa, la scrittura in generale fino alla massima semplificazione dei linguaggi dei network. Quale sia l’incidenza di questo processo linguistico sulla società in generale è riscontrabile nell’uso sempre più diffuso di stereotipi ripetuti continuamente.
La letteratura usa espressioni rozze, involute, con riferimenti sessuali non sempre necessari. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se fosse applicata la boutade di Oscar Wilde: “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto ad usarla”.
L’arte partecipa al processo di semplificazione, in molti casi lo anticipa. Le opere di Malevic e altri suprematisti russi ne sono un esempio. Alla nascita delle avanguardie, con le prime apparizioni dell’’arte astratta, molti artisti motivarono le ragioni delle loro scelte. Kandinskij, Mondrain, Malevic. In particolare Kandinsky seppe sviluppare una interessante teoria per la propria scelta tematica, che fu ulteriormente approfondita dal nipote, il filosofo hegeliano Alexandre Kojève.
Col tempo e l’accumularsi di opere degli epigoni, le spiegazioni non apparvero più necessarie, si dette per scontata la scelta dell’arte astratta. Per supplire alla mancanza di senso delle opere critica e filosofia attuarono una sovrapposizione verbale. In molti casi si ebbero esiti contradditori. Si leggono ampi saggi critici relativi a opere delle quali è arduo scorgere il nesso con il sostantivo”arte”. In occasione dei mondiali di calcio in Corea, al calciatore coreano che con la sua bravura fece vincere la squadra, furono colorate le piante dei piedi per trarne impronte. Fotografate e riprese con calchi, furono vendute come opera d’arte a caro prezzo. Andarono a ruba.
Questo non è un caso limite di confusione e paradossi della cultura contemporanea che celebra come capolavori i nani da giardino di Jeff Koons.
Come scritto in precedenti interventi, le cosiddette avanguardie storiche compirono una azione di rottura, forse consapevoli di non riuscire ad uguagliare gli artisti del passato. La loro azione aveva quasi sempre come riferimento il rifiuto della cultura classica, motivato con argomenti speciosi, Intanto ammettevano implicitamente la differenza tra qualità e forme d’arte. La loro avrebbe dovuto essere arte di massa, quasi le masse potessero disporre dei milioni di euro che vale una qualsiasi opera prodotta dai maestri delle avanguardie.
Quando Marinetti dichiara “La guerra è l’igiene del mondo!” cita Polibio, il quale si riferiva all’ascesa e declino degli Stati, individuando, secondo una visione stoica della storia, nella diffusione del benessere generalizzato, nel venir meno del “metus hostilis”, della paura del nemico, l’origine della decadenza dei popoli.
La conoscenza umana può avanzare solo cautamente, un passo dopo l’altro. La realtà noumenica ci sfugge. La storico francese Henri-Irénée Marrou in un suo saggio racconta un aneddoto. “Mi trovavo sulla sommità di una roccia, posto in alto sulla riva di un lago alpino, seguivo i tentativi di un pescatore: scorgevo brillanti nell’acqua cristallina le belle trote, che egli agognava dalla riva, muoversi lontano dalla sua canna troppo corta:” Marrou trae una conclusione: “Una cosa del genere accade spesso: i mezzi limitati di cui disponiamo non ci permettono di raggiungere ciò a cui miriamo”. L’arte il cui sviluppo sta tra conoscenza e intuizione, ha bisogno per esprimersi di riflessione. L’artista dovrebbe “vedere” le trote senza l’ansia di catturarle ma rallegrare con la loro elegante argentee bellezza quante più persone possibili. Oggi purtroppo l’artista si comporta come colui che ha fretta di catturare le trote per portarle al mercato e ricavarne denaro.
L’arte è il modo in cui la verità si da esistenza.
Il tema del “sublime” fu teorizzato per primo dal filosofo Longino (213 273 d.c.) il suo trattato, insieme alla poetica di Aristotele fu tra le più importanti opere di estetica dell'antichità.
Il sublime è agli antipodi di tutto ciò che è mediocre, banale, laido, è espressione della suprema poesia della sua forma più incisiva sia nella pittura che nella letteratura.
Umberto Eco, nel suo romanzo più noto, “Il nome della rosa”, costruì una narrazione intorno alla fobia di un vecchio monaco cieco che odiava la poetica di Aristotele perchè poteva indurre al sorriso.
La storia dell'arte contiene il riferimento agli artisti che hanno tentato, immaginato, di esprimere il sublime. Tentativi raramente riusciti.
Dare una definizione del sublime presenta non poche difficoltà, rappresentarlo è impresa riservata a pochi grandi geni della poesia e dell’arte.
Vale per il sublime ciò che Agostino d'Ippona diceva del tempo; quando penso al tempo so perfettamente cos'è, quando mi trovo a doverlo spiegare ho difficoltà.
Le avanguardie hanno cancellato non solo il sublime, ma anche il bello, con speciose argomentazioni.
Kant, in “Critica del giudizio”, sostiene che il giudizio sul bello è sempre soggettivo. Non sarebbe corretto affermare: questo oggetto è bello. Ma più corretto dire: questo oggetto mi piace. Significa abolire il canone di riferimento, ridurre tutto al gusto soggettivo. Si finisce quindi per lasciare spazio ad ogni forma di devianza estetica, come le avanguardie hanno dimostrato.
Baumgarten (1743) coniò il neologismo “estetica” (sensibile) e tentò di creare una filosofia del bello, chiaramente divenne il principale bersaglio delle avanguardie.
Esiste un inscindibile legame tra attività conoscitiva e attività estetica che rischia di essere annullato da eccessi di soggettività. Non pochi filosofi dell’arte,specie di matrice statunitense,hanno avvallato le scelte anti-estetiche, delle avanguardie. Per tentare di dare un senso alle loro argomentazioni hanno dovuto, non solo ripudiare duemila anni di storia dell’arte, ma anche i filosofi che hanno dato senso all’arte attraverso ermeneutiche con solide basi logiche e culturali.
Alla fine è subentrata una sorta di rassegnazione espressa nell’affermazione di Hegel: “ L’arte non vale più per noi come il modo più alto in cui la verità si da esistenza…”.
L’orientamento materialistico e consumistico contemporaneo ha confuso e sovrapposto alla sensibilità spirituale il puro edonismo estetico. I risultati sono visibili nell’arte di oggi, anche perche,come sosteneva Shaftesbury: “ L’estetica ed etica sono una parte sistematica dell’arte,la chiave di tutta l’epistemologia artistica”.
Nietzsche, che non amava Kant,lo definì spregiativamente:“il cinese di Konigsberg”. Contro la sua teoria etica inventò lo slogan: “Riduzione della morale a estetica”!!!”.
Nel libro delle leggi degli ebrei vi è un comandamento”Tu non ti farai alcuna immagine o figura di ciò che è in cielo, o in terra, o sotto terra…”. Considerata la massiccia presenza ebraica nel mondo delle avanguardie artistiche del ‘900, il furore contro la rappresentazione della natura era inevitabile.
La ragione non basta se manca la volontà.
Nel 1797 sotto il regno di Carlo IV re di Spagna, Francisco José de Goya Y Lucientes, realizzò la serie: Caprichos.
Il Caprichos 43, meglio noto con il titolo: “Il sonno della ragione genera mostri”, ha indotto a varie interpretazioni. Nel periodo in cui venne realizzata l'opera erano passati 8 anni dalla presa della Bastiglia e l’inizio della rivoluzione francese.
J.J. Rousseau,filosofo illuminista, autore de “Il contratto sociale” e “Emilio”, opere che affrontano il tema della libertà, distinse tra chi nega la libertà, chi si batte per conquistarla, questione intorno a cui si è dipanata la storia umana. Che parte ha la ragione in questo confronto?
Presumere che la libertà possa essere concessa dal potere è una illusione. La storia dimostra che, nel perenne confronto tra esseri umani c’è chi soccombe e perde la libertà. Tutte le rivoluzioni, le teorie, non hanno eliminato questa realtà. Coloro che conquistato il potere,spesso negano la libertà ad altri uomini. Millenni di filosofia e religione non solo non hanno eliminato i conflitti sociali,ne hanno creati altri. Oggi, oltre alle guerre, mai cessate, vi sono conflitti tra generi. Le donne reclamano più potere e rispetto dei loro diritti. Questo conflitto che taglia in due la società, maschi contro femmine, non esisteva al tempo di Goya.
Alla luce dell’esperienza, dopo rivoluzioni e guerre è ancora pensabile che la ragione, dormiente o meno, sia capace di governare il mondo? Il Capriccio 43 appare ottimistico quando presume che la desta ragione abbia come fine il bene comune.
Nel 1511 Erasmo da Rotterdam pubblicò il saggio: “Elogio della Follia”. Il grande umanista olandese,il solo che seppe confrontarsi con Martin Lutero sul piano logico e dottrinale, aveva un concetto diverso da Goya della ragione umana.
Per la creazione della sua opera pare che Goya traesse ispirazione dalla lettura dell’Ars Poetica di Orazio e da alcuni scritti di Marco Vitruvio. Gli studiosi che si sono dedicati all'ermeneutica dell'opera, gli hanno attribuito significati diversi. Chi vide una lettura positiva all'illuminismo, altri sostennero il contrario. Mettere una donna sull’altare e adorarla come dea della ragione, non era certo un segno di condotta razionale. Soprattutto, era contro la ragione scatenare il terrore, e massacrare migliaia di persone. Lo slogan che ispirò la rivoluzione francese : Libertè, Egalitè, Fraternitè, non è mai diventato realtà.
Dunque, la ragione è uno strumento neutro. I peggiori crimini commessi dagli uomini contro altri uomini sono sempre stati giustificati usando la “ragione”,a volte aggettivata come “dialettica”.
Adam Smith,docente di filosofia morale, in “La ricchezza delle nazioni”,scrisse:“Non è dalla benevolenza del macellaio,del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il pranzo,ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”. Difficile conciliare la ragione con egoismo che domina il mondo.
Dall'opera di Goya, siamo approdati al macellaio di Adam Smith sul filo della ragione. Cartesio, Hume, Locke, Kant, Voltaire, ogni filosofo ha dato una lettura diversa della capacità raziocinante dell’uomo. La natura ha dotato gli esseri umani di intelligenza ma non di volontà sufficiente per contrastare aspetti meno nobili della propria natura. Anche quando la ragione non dorme, raramente è impegnata a far del bene agli altri, piuttosto, come i bottegai di Smith, è impegnata a curare i propri interessi, soddisfare i propri desideri.
Dopo l’ incisione del Caprichos 43, Goya non ha più affrontato il tema, in vecchiaia, come Voltaire e altri filosofi pare sia giunto alle stesse conclusioni di Kant: “Nessuno riuscirà mai a raddrizzare il legno storno dell’umanità”. La ragione non basta.
La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato.
Scrive Marcuse: “ Un intima necessità distingue l'opera d'arte autentica da quella non autentica, e questa è l'impossibilità di cambiare di una sola riga un singolo suono”. Si tratta certo di una “tirannia della forma”. Tuttavia con ciò non viene meno l'immediatezza dell'espressione, ma solo la falsa immediatezza, falsa nella misura in cui trascina con sé il mondo riflesso di una realtà mistificata.
In difesa della forma estetica,Bertolt Brecht osservava nel 1921: “Mi accorgo di diventare sempre più un classico”. Sono vani tutti gli sforzi esasperati dell'impressionismo per espellere con ogni mezzo certi contenuti banali destinati a diventare prima o poi classici.
Si rimprovera ai classici la sottomissione alla forma mentre in realtà, in un’opera riuscita, è la forma ad essere sottomessa.
In ogni caso, se la tesi di Marcuse è corretta, dovremmo concludere che tre quarti delle opere teatrali classiche sono state cancellate dalla lettura e messa in scena in chiave contemporanea. Significa che l'arte web, che ha la pretesa di attuare una interpretazione in chiave tecnologica di opere classiche, è totalmente negativa.
L'essenzialità, o se si preferisce l’aridità formale di molte opere contemporanee, deriva dalla incapacità di trasfigurazione estetica di una realtà che si fa materia di pensiero.
Alcuni personaggi letterari sono entrati a far parte del nostro immaginario, dei nostri ricordi, abbiamo l’impressione di avere condiviso con loro una parte della nostra vita, la parte immaginaria nella quale loro sono stati protagonisti.
E’ questa creazione di una realtà separata che si radica nella nostra memoria la differenza sostanziale tra l'arte vera e opere che sono solo frutto di velleità concettuali, facili ricorsi alla ormai inutile provocazione.
L’arte è parte di un gioco linguistico le cui regole sono costantemente violate in una prassi che contrasta lo spirito di Wittgenstein quando sostiene che padroneggiare il linguaggio è base di una corretta comunicazione. La filosofia dovrebbe stabilire un legame tra ciò che è dipinto e ciò che è pensato. Non a caso il linguaggio del segno finisce per dover ricorrere a una narrazione verbale, un’ermeneutica che altro non è se non una forzata attribuzione di significato.
Già ai primordi della filosofia, l’ontologia di Eraclito, il lessico dei sofisti, nell’offrire l’abbrivio alla elaborazione del pensiero filosofico hanno creato le basi per la conoscenza.
Aristotele raccoglie e amplifica il pensiero di Eracle l’oscuro, in uno spazio di riflessione dialettica nella quale include gran parte del sapere dell’epoca in cui visse. Il suo impegno gli valse il titolo di: maestro di coloro che sanno.
L’arte moderna è lontana anni luce dalla profondità di pensiero che ha articolato la storia della evoluzione culturale. Con supponenza gli artisti hanno attuata un cesura con il sapere “inutile”, secondo la definizione di Bertrand Russell, ed hanno optato per la tecnologia finendo per diventare una parodia triste, priva di vera capacità creativa, adagiata sulla pretesa apodittica di chi attribuisce a se stesso lo status di artista e si attribuisce capacità che non possiede. Purtroppo nel vuoto culturale del nostro tempo tutto viene accolto e celebrato per ragioni che sarebbe forse interessante quanto inutile indagare.
Scrive Max Scheler :”L’uomo contemporaneo tende a trascendere se stesso in quanto essere naturale, in questo modo avvia l’estinzione della civiltà come è andata configurandosi nei millenni”.
L’esperienza estetica è dinamica.
Una ostinata tradizione dipinge l'atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato apprensione diretta di ciò che viene presentato, incontaminato da qualsiasi concettualizzazione, isolata da tutti gli echi del passato,da tutte le minacce e promesse del futuro.
Non c’è dubbio che filosofia e critica d’arte hanno creato e radicalizzato una serie di luoghi comuni che prescindono dall’osservazione e concretezza operativa e realizzatrice di un’opera. E’ certamente difficile tentare di sgomberare il campo da riti falsamente purificatori che pretendono di spogliarsi di ogni pregiudizio nel momento stesso in cui lo creano.
Non esiste la possibilità d’interpretazione basata su una visione originaria, immacolata del mondo. E’ necessario sottolineare ancora una volta le aporie filosofiche e le assurdità estetiche che una siffatta concezione pretende di difendere. A meno che si ritenga di adottare un atteggiamento passivo di fronte a un opera d’arte, in questo caso significa rinunciare alla comprensione. Forse il giusto atteggiamento è osservare l'opera e tentare di leggerla cognitivamente al livello di cultura e conoscenza che ciascuno possiede.
La pittura, tanto quanto la poesia, realizzano un’esperienza estetica dinamica. Dobbiamo quanto meno tentare di operare le necessarie discriminazioni, evidenziare le delicate relazioni, le sottili identificazioni, riesumare sistemi simbolici e caratteri propri che il sistema dell’arte esprime, o dovrebbe esprimere. In breve, dovremmo tentare di porre l’opera all’interno di un sistema di significati, nel contesto del quale è realizzata e, in quell’ottica, tentare una lettura.
In questo processo si denota e si esemplifica l'interpretazione delle opere, si riorganizza nelle opere la lettura del mondo pro quota artistica. Il mondo, e gran parte delle nostre esperienze e delle nostre competenze hanno un ruolo importante, e possono essere trasformate dall'incontro tra l'opera e la nostra interpretazione, questo perché l'atteggiamento estetico è un atteggiamento mobile di ricerca ed esplorazione.
Cosa distingue l’attività estetica dagli altri comportamenti intelligenti? Qual’è la nostra percezione dei fenomeni della vita quotidiana, la nostra condotta,nel rispetto della rappresentazione estetica? La risposta che viene solitamente data è che l'estetico, contrariamente alle nostre scelte ordinarie, non ha un fine pratico. Non mira alla acquisizione di beni necessari, non si pone come obiettivo il controllo della natura. L'atteggiamento estetico non riconosce scopi pratici al proprio operare.
Chi scrive ritiene invece che sia frutto di malafede culturale porre l’arte sull’altare della purezza creativa, assumendo che l’artista è avulso dalle realtà quotidiane. La nostra esperienza c’insegna che non è così. Anche senza ricorrere alla boutade di Andy Warhol che recita: “ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”, sappiamo che l’artista non vive una realtà separata, lo stereotipo dell’artista con la testa nelle nuvole, non interessato e non coinvolto nella realtà, è una immagine falsa e retorica. Ma anche supponendo assenza di scopi, questo non è sufficiente a caratterizzare l'atteggiamento estetico ed esplorativo e dare valore e significato all’opera. Come scriveva Oscar Wilde: “ Le peggiori opera d’arte sono realizzate con le migliori intenzioni. La ricerca di conoscenza, l’accumulo di epistemologia, hanno necessariamente scopi e conseguenze pratiche, l’artista è interessato al conseguimento di un risultato che acquista significato solo nel momento in cui è condiviso socialmente. Nessun artista lavora solo per se stesso, a meno di considerare rari casi di patologia mentale.
Traslitterazione estetica.
Una ostinata tradizione dipinge l'atteggiamento estetico come contemplazione passiva del dato immediato apprensione diretta di ciò che viene presentato, incontaminato da qualsiasi concettualizzazione, isolata da tutti gli echi del passato,da tutte le minacce e promesse del futuro.
Non c’è dubbio che filosofia e critica d’arte hanno creato e radicalizzato una serie di luoghi comuni che prescindono dall’osservazione e concretezza operativa e realizzatrice di un’opera d’arte. E’ certamente difficile tentare di sgomberare il campo da riti falsamente purificatori che pretendono di spogliarsi di ogni pregiudizio nel momento stesso in cui lo creano.
Non esiste la possibilità d’interpretazione basata su una visione originaria, immacolata del mondo. E’ necessario sottolineare ancora una volta le aporie filosofiche e le assurdità estetiche che una siffatta concezione pretende di difendere. A meno che si ritenga di adottare un atteggiamento passivo di fronte a un opera d’arte, in questo caso significa rinunciare alla comprensione. Forse il giusto atteggiamento è osservare l'opera e tentare di leggerla cognitivamente al livello di cultura e conoscenza che ciascuno possiede.
Una pittura, tanto quanto una poesia, realizzano un’esperienza estetica dinamica. Dobbiamo quanto meno tentare di operare le necessarie discriminazioni, evidenziare le delicate relazioni, le sottili identificazioni, riesumare sistemi simbolici e caratteri propri che il sistema dell’arte esprime, o dovrebbe esprimere. In breve, dovremmo tentare di porre l’opera all’interno di un sistema di significati, nel contesto del quale è realizzata e, in quell’ottica, tentare una lettura.
In questo processo si denota e si esemplifica l'interpretazione delle opere, si riorganizza nelle opere la lettura del mondo pro quota artistica. Il mondo, e gran parte delle nostre esperienze e delle nostre competenze hanno un ruolo importante, e possono essere trasformate dall'incontro tra l'opera e la nostra interpretazione, questo perché l'atteggiamento estetico è un atteggiamento mobile di ricerca ed esplorazione.
Cosa distingue l’attività estetica dagli altri comportamenti intelligenti? Qual’è la nostra percezione dei fenomeni della vita quotidiana, la nostra condotta,nel rispetto della rappresentazione estetica? La risposta che viene solitamente data è che l'estetico, contrariamente alle nostre scelte ordinarie, non ha un fine pratico. Non mira alla acquisizione di beni necessari o di lusso, non si pone come obiettivo il controllo della natura. L'atteggiamento estetico non riconosce scopi pratici al proprio operare.
Chi scrive ritiene invece che sia frutto di malafede culturale porre l’arte sull’altare della purezza creativa, assumendo che l’artista è avulso dalle realtà quotidiane. La nostra esperienza c’insegna che non è così. Anche senza ricorrere alla boutade di Andy Warhol che recita: “ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”, sappiamo che l’artista non vive una realtà separata, lo stereotipo dell’artista con la testa nelle nuvole, non interessato e non coinvolto nella realtà, è una immagine falsa e retorica. Ma anche supponendo assenza di scopi, questo non è sufficiente a caratterizzare l'atteggiamento estetico e esplorativo e dare valore e significato all’opera. Come scriveva Oscar Wilde: “ Le peggiori opera d’arte sono realizzate con le migliori intenzioni. La ricerca di conoscenza, l’accumulo di epistemologia, hanno necessariamente scopi e conseguenze pratiche, l’artista è interessato al conseguimento di un risultato che acquista significato solo nel momento in cui è condiviso socialmente. Nessun artista lavora solo per se stesso, a meno di considerare rari casi di patologia mentale.
Rappresentazione e metafora.
Le emozioni sono ovunque le stesse ma la loro rappresentazione artistica varia da un'epoca all'altra da un paese all'altro. Siamo educati ad accettare convenzioni in coerenza con la società nella quale viviamo. Purtroppo in questi ultimi decenni abbiamo perso il collegamento psico-sociale della società così come è andata configurandosi negli ultimi decenni. Sembra che ci sia una diffusa incapacità di capire cultura e l’arte che sono la nostra storia, la base stessa della nostra civiltà.
Oggi la nostra società è femminilizzata, lacrime ed emozioni sono provocate dai più futili stimoli. Ciò che accade ai confini dell'espressione,nella differenza del possesso del sapere, il metaforismo è sfumato nella estemporaneità e non meditata superficialità. La lettura dell’arte non è in chiave culturale ma mondana il che impedisce di veder le differenze sostanziali. Un quadro di Albert ha una determinata costruzione, certi colori, in che misura siamo in grado di leggere la relazione tra forme, dimensione, colori? La lettura di un’opera non è sempre facile, lo status di una proprietà non è solo la rappresentazione letterale, ma il significato che in qualche caso ha aspetti oscuri e profondi che andrebbero indagati.
Esprimere significa interpretare. La natura dell’arte è essenzialmente metaforica, intrepido scavalcamento dei confini della ordinaria visione. Un acquarello di Dὔrer, un dipinto di Jackson Pollock, una litografia di Soulage, pur nella diversità della forme espressive e di valore, rappresentano un tentativo che verrà, o dovrebbe essere sottoposto al giudizio critico.
Le analisi delle funzioni simboliche dell’arte sono state radicalmente sostituite da stereotipi convenzionali. Alcuni studiosi, in conformità al temperamento e alla loro cultura, hanno considerato l’espressione come qualcosa di superato, pleonastico,nella società del frettoloso consumo di immagini. E’ in questo modo che si è finito per attuare una sorta di traslitterazione dal pensiero creativo all’adattamento mondano. Basta variare l’etichetta applicarla a qualsiasi oggetto. Certa arte pretende di attuare una metafora letterale, il che è semplicemente un ossimoro. Si dimentica la differenza tra espressione e rappresentazione. Esprimere significa mostrare, raffigurare. Possono esserci rappresentazioni stereotipate e pur tuttavia, anzi proprio perché stereotipate, possono più facilmente entrare nell’immaginario collettivo. La strada del successo può essere più facile con la banalizzazione. Warhol e molta arte statunitense ha percorso con successo questa strada. Come già detto, l'esemplificazione scontata è in genere più eloquente, può essere stimolante anche se banale. Una proprietà espressa per quanto debba trovarsi in una relazione costante con forme letterali, non coincide necessariamente in estensioni con alcune prevedibili descrizioni letterarie della natura della metafora che l’arte dovrebbe esprimere. La scopa di Robert Rauschenberg è una banalissima provocazione. L’attitudine caratteristica dell'espressione letterale quasi sempre include insinuazioni elusive e intrepido scavalcamento dei fondamentali.
Ruoli e storia, natura e società.
Fingiamo di dare importanza a tutto ciò che viene, in modo generico, definito: cultura, in realtà forse non siamo consapevoli di ciò che indica il sostantivo: cultura che, spesso usiamo per modificare ciò che è “naturale”, una presa di distanza dalla natura è imposta da certe realtà socio-culturali. Trascuriamo l’assunto che l’elemento logico e la forma della conoscenza.
Creiamo formulazioni teoriche di assoluta artificiosità, non teniamo conto dell'influenza profonda che hanno certi meccanismi psicologici sulla nostra natura..
I limiti della nostra conoscenza e della capacità di controllo delle nostre azioni in un naturale confronto con la realtà non è mai sufficientemente valutato. D’altra parte la natura agisce per caso e per necessità, come ci aiuta a capire il libro il cui titolo è appunto “Il caso e la necessità”, saggio sulla filosofia natura della biologia contemporanea, scritto dal premio Nobel Jacques Monod.
In natura tutto avviene secondo logiche che restano in parte oscure. Noi conosciamo quasi sempre gli effetti, ma difficilmente siamo in grado di risalire alla causa prima. Di un individuo affetto da una malattia, ricostruiamo l’eziologia, ma non sappiamo spiegare il perché in quel determinato momento. in quella determinata persona nasce questa determinata malattia.
La natura ha stabilito ruoli che noi pretendiamo di modificare, in qualche caso cancellare assumendo fattori culturali ed esigenze sociali. Questa pretesa nasce da supponente ignoranza. D’altra parte,come scriveva Turgenev: “capita che persone prive di competenza si uniscano a persone privi di scrupoli dando vita a partiti e istituzioni”.
Il femminismo ha sviluppata teorie spurie che partono dal presupposto che la condizione di “inferiorità” della donna sia da attribuire all’arroganza maschile. Si sopravaluta il maschio e falsifica la storia della civiltà. Montesquieu, in “Lo spirito delle leggi”, getta luce sulle differenze tra il tradimento del marito e della moglie. Oggi l’ansia unificante ed omologante finisce per essere . che una omologazione ottusa e indiscriminata. Shakespeare definiva la storia: “ un racconto noioso narrato da un idiota”.
Prima dell'avvento delle macchine e della tecnologia, il lavoro richiedeva grande fatica e forza fisica. Quando le guerre era combattute con armi bianche, sul campo di battaglia erano fondamentali forza fisica e coraggio. Quanti milioni di maschi sono morti sui campi di battaglia? Quante donne?
Senza dubbio oggi le condizioni della società, del lavoro, sono profondamente cambiate. Le guerre, purtroppo esistono ancora, ma si combattono con armi tecnologicamente complesse e
non ci sono quasi più confronti corpo a corpo sul terreno, le armi sono tecnicamente facili da usare..
Argomentare sulla condizione della donna senza tener conto degli oggettivi fattori storici significa manipolare la realtà e falsificarla.
E’ inoltre necessario tener conto che natura e storia hanno tempi ben più lunghi della durata media di una vita umana, gli effetti di delle scelte sbagliate si ripercuoto sulle generazioni future, così i cambiamenti imposti alla società potrebbero in futuro avere conseguenze che oggi non siamo in grado di valutare.
C’è chi ritiene la società contemporanea sia felice ed equilibrata? Che il pianeta non abbia subite conseguenze negative dalla scoperte scientifiche e dal sistema di produzione nato con la rivoluzione industriale? Certo il benessere di oggi non è comparabile con il passato, ma , se alle domande poste diamo risposte corrette, abbiamo chiara l’idea che sono stati moltissimi gli errori, anche gravi, delle generazioni che ci hanno preceduto, il sistema produttivo e l’organizzazione sociale comportano una quantità di conseguenze negative a partire dal fatto che siamo costretti a a produrre anche cose inutili, in qualche caso dannose per evitare il l’intero sistema economico vada in crisi. .
L’arte non consiste in ciò che l’artista decide sia arte, all’opposto è la qualità dell’opera nella sua concretezza a determinare quando un individuo è un artista.
Cosa abbiamo in mente quando pensiamo al significato di un'opera d'arte? Per semplicità usiamo come esempio una classica opera pittorica su tela. Essa è costituita da telaio di legno, colore, tela. Il materiale costituisce l'opera ma non esprime il suo significato. Il significato deriva dalla forma è contenuto sulla tela. Come si desume il significato? Basta l'abilità con la quale è realizzata la figura, se si tratta di un'opera figurativa, o la gradevolezza emotiva di una pittura astratta?
Sappiamo che l’opera astratta non viene giudicata in base alla disposizione dei colori, esistono opere in bianco e nero, altre costituite di solo linee. Dunque qual’ è il riferimento del critico per esprimere la propria valutazione? Spesso nel descrivere le opere di Hartung i critici usano l'espressione: “Esprime la forza del segno”. A quale forza si riferiscono non è dato sapere.
L'arte, è noto, nasce come magia evocativa nei Graffiti delle Grotte di Addaura, Altamira, Lascaux. Questi ritrovamenti sono i più conosciuti, ma sono molti i reperti di pittura rupestre, anche in Italia.
Con il progredire delle tecnica del disegno l’arte si misurò con la mimesi, come narrano gli aneddoti sulla pittura di Parrasio, Apelle, Apollodoro, Aglafonte, Zeusi e altri grandi artisti dell’antica Grecia.
Leggendo “Le vite – Dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” di Giorgio Vasari, abbiamo un ampio spaccato di cos’era l’arte, possiamo agevolmente confrontarla che quello che è diventata.
A partire dalla fine dell ‘800 la pittura abbandona la mimesi precisa e lascia ampio spazio alle articolazioni delle figure e del paesaggio, la tecnica pittorica, le pennellate, la disposizione del colore, viene messo in primo piano, le pennellate volutamente esibite. Pensiamo agli Impressionisti.
Con l’avvento delle avanguardie la tecnica del disegno e della pittura perde importanza, viene introdotto il ready made, entra in campo l’arte concettuale, inizia la tendenza ad usare la provocazione come prassi. Gli artisti abbandonano l’epistemologia propria dell’arte, accumulata in duemila anni. L’arte da allora, si affida alla convenzione espressa nella tesi: è arte ciò che l’arista decide debba essere considerato arte. Una tautologia le cui conseguenze sono manifeste. Forse è vero il contrario; non è arte ciò che l’artista decide sia arte, all’opposto l’opera nella sua concretezza nel suo valore che qualifica la persona come artista.
Va da se che simili spurie argomentazioni approdano a pura convenzione catafratta in una presunzione involutiva che rinnega se stessa.
Quando ci riferiamo all'oggetto libro, lo consideriamo Istintivamente come oggetto, compatto, unico. In realtà il libro è costituito da singole pagine, dall'inchiostro usato per la stampa, dalle parole poste in sequenza. Togliendo una di queste proprietà l’oggetto a cui ci riferiamo è ancora un libro? Allo stesso modo l’arte, privata dei suoi elementi costitutivi non è più arte se non per forzate convenzioni.
Sappiamo che in molte case esistono biblioteche costituite da libri finti, cioè solo la copertina Hanno una funzione estetica esibiscono un inganno è quanto avviene per molta arte moderna, non rappresenta nulla è solo apparenza senza contenuto né significato
I cento talleri di Kant.
I cento talleri di Kant sono l’esemplificazione di come tutto abbia un valore stabilito per convenzioni. Viviamo in una realtà costruita, fittizia, La finzione non riguarda solo l’arte, rappresentazione teatrale, ma tutto ciò che, per consuetudine, consideriamo reale. Siamo immersi in una realtà non realtà. L’attribuzione di significato avviene attraverso il pensiero che, per così dire, crea la realtà.
Hegel dedica centinaia di pagine alla geometria, al calcolo integrale, differenziale, infinitesimale. Tutte dottrine che esprimono aspetti logici del pensiero. La cosiddetta filosofia dell’arte procede invece per apodismi, così come la critica dell’arte. Tali discipline si richiamano a paralogismi basati su luoghi comuni trasformati in dogmi. “L’arte non può essere sottoposta a giudizi di merito o di valore”. Questo assioma poteva essere considerato parzialmente vero quando l’arte era mimesi, guidata da valori estetici. Nel momento in cui l’artista azzera l’epistemologia dell’arte e si avventura in ambito concettuale, entra di fatto nella materia filosofica- scientifica. Quindi, non solo si può, ma si deve sottoporre l’arte a considerazioni di sostanzialità logica per valutare se le intensioni dell’artista si sono realizzate nell’opera. Limitarsi a “Va bene così”, secondo il principio espresso ironicamente da Ludwig Wittgenstein nel “Tractatus logico-philosophicus”, equivale rinunciare a chiarire il significato di quanto realizzato dall’artista, relegando l’arte nel limbo confuso e velleitario di una ontologia priva di senso. E’ quanto è avvenuto dopo l’avvento delle avanguardie.
Ogni epoca costruisce, insieme subisce, la propria fenomenologia che coincide con gli aspetti culturali, sociali, psicologici. Il tema è trattato con efficace chiarezza da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” . Nel testo i due autori esaminano le ricadute della filosofia degli illuministi in ogni ambito sociale e culturale della modernità, inclusa la produzione artistica la cui deriva è iniziata con il romanticismo.
A partire dall’inizio del secolo scorso l’insignificanza dell’arte è stata spesso mascherata con forme di volgare provocazione, o presentata sotto l’aspetti ludici emotivamente percepiti. In queste forme è stata accettata da èlite incolte, amanti del kitsch, che hanno contribuito alla nascita e sviluppo del mercato dell’arte con il sostegno di una critica servile verso i mercanti, integrata da un uso massiccio di pubblicità e marketing.
Passione : patologia dell’anima.
L'età moderna ha tentato inutilmente di rimuovere antichi timori per l'incertezza, l'instabilità e la indecifrabilità del destino in cui affonda il domani. La condanna medievale della passione, compresa la più intellettuale, la curiosità.
Le passioni sono una sorta di patologia dell'anima, crescono con il declino o il non controllo della ragione, cessano di apparire solo effetto della tentazione diabolica, per occupare uno spazio riconosciuto nella riflessione antropologica
Erasmo da Rotterdam segnala come un paradosso la necessità di ribaltare i modi consolidati, pensare la realtà, per tentare di capirla solo attraverso la follia che egli pone come protagonista del suo notissimo “Elogio della follia” . Come spiegare ciò che muove davvero il mondo? Non certo la ragione,cara ai filosofi.
La filosofia non è riuscita a spiegare esaurientemente cosa significa la realtà dell'essere umano nel proprio sentire, l’ordine fittizio della commedia umana che recita se stessa sulla scena del mondo sempre uguale nei millenni al di là delle lingue e dei costumi. Niente sembra risolvere in profondità il destino dell’umanità che si batte contro se stessa per le più effimere e crudeli ragioni.
E’ ardua la comprensione dell’esistenza di ogni essere umano, la verità non sta neppure nel tirare giù la maschera, piuttosto nel seguire lucidamente le millefoglie di autoinganno per smascherarle per capirle per risolvere in noi stessi questa difficoltà di comprensione e perseguire, rendere sopportabile la felicità disponibile più legata all'illusione che alla saggezza.
La spregiudicatezza di Erasmo sta nel mettere a fuoco con chiarezza la illogicità della maggioranza delle azioni umane. La difficoltà di comprendere le molte facce della verità posta sul piano pluridimensionale dei desideri che gli umani vivono, temono, sognano.
Come scrisse Jacque Monod nel saggio “Il caso e la necessità” è praticamente impossibile stabilire sequenze logiche degli eventi.
Anche in pittura, anzi soprattutto nell’arte, esiste una buona dose di casualità. E’ noto l'episodio del pittore Apelle, il quale frustrato nel suo intento di dipingere in modo realistico la schiuma alla bocca di un cavallo, al culmine dell'ira gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto. Ne ottenne con stupore l'effetto desiderato.
L'unico motivo per coltivare la riflessione per cui vale la pena di sviluppare le risorse logiche e dialettiche, è imparare il controllo di sè attraverso il pensiero, come suggerisce la filosofia buddista. Detto in altre parole, noi non possiamo dominare il mondo, la realtà che ci circonda, ma possiamo imparare a dominare noi stessi ed attrezzarci spiritualmente per affrontare le evenienze che la vita ci impone.
Purtroppo avviene esattamente il contrario. La nostra presunzione antropologica ci illude di avere il controllo della realtà, ci fa credere che le nostre scelte siamo sufficientemente motivate. Scambiamo la nostra psicogorrea per profondità.
Sopravvivere al proprio divenire.
Nel dipanarsi del pensiero si attua il confronto con la realtà. La mente raziocinante attraverso l’esperienza accumula e articola la conoscenza. All’inizio della logica Hegel esamina le varie eccezioni del concetto di pensiero. La prima, la più comune, e anche la più pericolosa, è il pensiero come declinazione spirituale . Non esiste rappresentazione alcuna in cui non sia implicata la ragione che trasforma il pensiero in linguaggio o in arte. L’artista quando realizza un’opera non fa che socializzare il proprio sapere. La rappresentazione è sempre singola. Il passaggio dalla rappresentazione al concetto è quindi passaggio dalla singolarità all’unità espressiva. La pretesa di attribuire a un soggetto che si definisce “artista” la facoltà di affermare “questa è arte” , non stabilisce qualcosa, ma prende apoditticamente posizione su qualcosa, prescindendo dalla ragione. Kant esprime questa riflessione: “ La ragione è la facoltà dell’unità delle regole dell’intelletto sottoposte a principi”. I principi non sono altro che compendio della conoscenza. L’arte che si arena nella soggettività si sottrae alla condivisone critica, di conseguenza si banalizza in pleonasmi formali. Nella schiera dei sedicenti filosofi dell’arte, spicca per incongruenza logica George W. Bertram il quale, nel libro “L’arte come prassi umana” (Ed. cortina 2014), inanella una serie di anacoluti concettuali e truismi che per essere contestati richiederebbero ben altro spazio di questo breve scritto. Gli artisti moderni hanno eletto Ulisse come loro idolo, l’unico avventuriero a sopravvivere al proprio divenire. Per coerenza, quando hanno successo, dovrebbero voler uscire dai cataloghi e dalla storia dell’arte. Si usa spesso a sproposito la parola amore. L’espressione “amore dell’arte” si traduce amore di ciò che l’arte può dare. L’amore vero sconfina con la pazzia, e non si limita certa alla “fedeltà”, cioè rinuncia al sesso con altro soggetto per pura libidine. L’amore vero dell’arte è una sorta di coinvolgimento totale, una sorta di libidine mentale totalizzante. La storia registra alcuni eccessi, soprattutto femminili, nei trasporti amorosi declinanti anche in chiave religiosa. Sono noti gli eccessi di Santa Teresa d’Avila durante le sue crisi mistiche. Mistica deriva dal greco myein, ossia “chiudere gli occhi”, quindi sottrarsi alla realtà e alla ragione. La body art, è esattamente il contrario del misticismo, abbandonarsi al dominio del corpo, usarlo come strumento di espressione artistica. Gli esempi di amore vero sono rari nella storia. Abelardo e Eloisa, un amore che impose una rinuncia al sesso. Ma più significativo l’amore di Artemisia moglie di Mausolo re di Caria: la quale così perdutamente amò il marito , che il corpo di lui morto ridusse in polvere , e diluito nell’acqua lo bevve.
piergiorgio firinu
La nascita della cultura afroamericana.
E’ morto l’ultimo personaggio della Beat Generation Lawrence Ferlinghetti, aveva 100 anni. Scrittore, poeta, pittore, editore. In omaggio a Charlie Chaplin, alla sua libreria dette il nome : “City lights”. Nel 1951 pubblico il libro di Jack Kerouc, “Sulla strada”, praticamente l’unico libro di Kerouc. Cosa resta della folta schiera di provocatori che negli anni ’50 dettero uno scossone al mondo della cultura statunitense? Per Hegel il tempo è divenire intuito. Ma di costoro restano i titoli di libri che pochi hanno letto allora, nessuno legge oggi. Basta provocare per fare cultura? Il libro di Allen Ginsberg “ Jukebox all’idrogeno” suscitò all’epoca un certo scalpore. Molti della Beat Generation erano omosessuali, non a caso Ferlinghetti apri la sua libreria a San Francisco. Pubblicò “Pictures of the gone World”. Ogni libro era una serrata critica alla società dell’epoca accusata di perbenismo. Oggi non avrebbero argomenti.
Del gruppo facevano parte William S. Borroughs, Gregori Corso, Lucien Carr. La loro “cultura” preparò il terreno a quella che doveva essere la più colossale orgia di droga, alcol e sesso. Il festival è noto con il nome della località in cui avvenne: Woodstock. Tre giorni dal 15 al 17 agosto del 1969. All’epoca la Beat Generation era ormai parte della establishment culturale ed aveva influenza nella formazioni di nuove tendenze, nel sorgere della cosiddetta controcultura che Theodore Roszak illustrò nel suo libro che aveva per titolo appunto “La Nascita di una controcultura” pubblicato a New York nel 1969.
L’impulso alla ribellione incoraggiò anche la rivolta dei neri. Il Movimento delle “Pantere nere” ebbe Malcolm Little, meglio noto come Malcolm X, tra i suoi capi. Vi fu un impulso alla cultura degli afro-americani. Malcolm X nel 1969 pubblicò la sua autobiografia. Ne venne fuori uno spaccato dell’America tutt’altro che perbenista. Le donne era già allora in prima fila. Malcolm annota che le moglie degli afro cacciarono le donne bianche dalle sedi delle pantere nere perchè, dissero, con la scusa di sostenere la loro protesta facevano sesso con i loro uomini.
Molti afro pagarono con il carcere la rivolta che non si affidava solo alle manifestazioni di piazza, anche alla pubblicazione di libri, alcuni dei quali sicuramente significativi del clima dell’epoca. Nel 1969, dalla prigione in cui era rinchiuso, Eldridge Cleaver pubblicò “Anima in ghiaccio”. Nel 1971, uscito di prigione,colui che era considerato il più prestigioso leader del “movimento di liberazione dei neri” pubblicò “Dopo la prigione”.
Altro esponente della cultura dei neri fu George Jackson che pubblicò un toccante libro sulla condizione carceraria di allora, specie per i neri. Di quella situazione “I fratelli di Soledad”, pubblicato nel 1971, è una testimonianza storica di tutto rilievo.
Il gruppo della Beat Generation erano soprattutto provocatori, ebbero però il merito di comunicare energia alla generazione di neri che gettò le basi di una società nella quale il colore della pelle non doveva essere una discriminante. Purtroppo viviamo in una società in cui tutto si tiene ma poco scuote davvero le coscienze.
Tra alienazione e tecnologia.
Nel XVIII secolo Kierkegaard ha espressamente esplicitamente afferrato e acutamente penetrato il problema dell'esistenza come problema esistentivo. La problematica esistenziale gli è però così estranea che egli quanto alla prospettiva ontologica resta completamente sotto il dominio di Hegel e della filosofia antica vista attraverso quest'ultimo. Perciò dal punto di vista filosofico c'è molto più da imparare dai suoi scritti di edificazione che da quelli teorici e inclusi nel concetto di angoscia. Quando pensiamo all'angoscia rappresentata nella pittura automaticamente viene in mente l'urlo di Munch, questa figura sul ponte, sotto il profilo pittorico non è poi così significativa, e tuttavia è entrata nell'immaginario collettivo come espressione di angoscia.
Molto più angoscianti sono le pitture di Francis Bacon, esseri sanguinanti, quarti di bue appesi a ganci, visi deformati e urlanti.
Lucien Freud dipinge l’essere umano di fronte alla decadenza fisica, rappresenta corpi in preda al disfacimento, persone anziani con sguardi voti, rassegnati, con espressioni di assoluta tristezza.
Nella pittura di Baltus troviamo invece immagini apparentemente meno inquietanti, adolescenti ritratte in pose lascive, scomposte. Rappresentazioni di un pedofilo la cui inquietudine è sublimata dalla pittura,una forma più sottile ma non meno profonda d'angoscia.
Grant Wood uno dei maggiori esponenti del gotico americano realizza figure statiche con espressioni perse nel vuoto, in ambienti freddi con edifici che si richiamano allo stile Gotico del quale sembrano fare la parodia.
Edward Hopper crea immagini di una modernità che sembra aver perso il senso dell’esistenza, coppie assenti a se stesse, incapaci di comunicare, sedute in stanze di albergo anonime.
Getty Image va oltre, presenta l’essere umano con ferite sanguinanti che vengono coperte con fasce. Difficile immaginare il contenuto di comunicazione di simili figure che sono allo stesso tempo banali e inquietanti.
Herman Nitch mutila e crocifigge gli animali, presenta immagini di una vagina nel periodo mestruale, fa del sangue oggetto delle sue opere con eccessi di brutalità visiva che si stenta a credere possano indurre al collezionismo.
Questa breve e incompleta rassegna di opere che sono sintomo chiaro di una società triste, confusa, cinica e immensamente triste, persa nell’angosciante vuoto esistenziale avendo perso il senso della propria vita.
Da sempre l’essere umano ha avuto difficoltà nel trovare un equilibrio tra sé stesso e la realtà nella quale si trova a vivere.
Hegel affrontò il tema dell’alienazione in un tempo in cui il problema cominciava a profilarsi, erano i primordi dell’era industriale, quando ebbe inizio la cesura tra essere umano e natura. E’ come se la natura avesse preso atto della nostra indifferenza per ecosistema e, per così dire, ci avesse abbandonati al nostro destino. L’estraneità alla natura ha reso l’essere umano alienato, come iscrive Hegel, dall’estraneità alla natura alla estraneità a se stesso, in un galleggiamento privo di pensiero, senza spiritualità, immerso nel materialismo, nel consumo, assorbito dalle proprie passioni ludiche, nei propri vizi e nei quali si dibatte, spesso quasi con compiacenza.
L’arte non anticipa i tempi, li segue zoppicando, quindi rappresenta senza filtro critico le immagini della “Commedia umana” che Honoré de Balzac descrisse così efficacemente nel suo celebre romanzo.
Il rimando del segno.
I segni sono in primo luogo mezzi, il cui specifico carattere di mezzo consiste nell’indicare. Sono segni di questo genere le pietre di confine, le tracce, le insegne, segnali stradali, segnali di servizi, di pericolo e molti altri.
Le opere d’arte è un segno che pone una necessità ermeneutica non codificata. Ciò lascia spazio a libere interpretazioni. Una figura richiede la conoscenza del rappresentato. Può trattarsi di un personaggio storico, un paesaggio, una persona, una situazione. In tutti i casi, se non ci si limita all’aspetto estetico, è necessaria la conoscenza del rappresentato e del contesto nel quale l’artista ha collocato il soggetto.
Se si tratta di un’opera astratta la lettura si affida esclusivamente alla percezione emozionale. Come scriveva Erwin Panofsky: il disegno si appella alla ragione, il colore all’emozione.
Stabilire il valore di un’opera, per valore non si intende ovviamente il costo monetario ma la rilevanza testimoniale, a prescindere dall’abusato riferimento tra forma e contenuto. Abusato perché in realtà la coincidenza non è mai sufficientemente approfondita ma più spesso ipotizzata.
Il segno rimanda ad altro da sè, in se stesso non ha significato ma valore di rimando. Un segno che non indica nulla è pleonastico.
Un’opera priva di significato può essere percepita nel suo aspetto ludico, piace perchè piace. Tautologia purtroppo diffusa, con la quale si crea una convenzione equivoca. Accettazione e comprensione non sono sinonimi. Il segno non è in relazione alla cosa che indica, ma è semplicemente un rimando la cui efficacia è in rapporto a chi osserva ed è grado di decifrare il contenuto.
Lo stesso segno può essere usato per indicare cose diverse. Così l’opera d’arte può essere letta in modi diversi e gli si può attribuire diversi significati. Di questa possibilità hanno abusato la avanguardie storiche con forzature semantiche in contrasto con l’ontologia dell’opera.
Il segno non richiede forme e materiali specifiche. Vi sono segni assolutamente soggettivi. Il nodo al fazzoletto ha significato per chi lo fa. Le briciole di pane di Pollicino acquistavano il significato di traccia solo per chi era alla ricerca del bambino. All’ampiezza dei significati possibili di un segno, fa riscontro la strettezza della comprensibilità e dell’uso. In molti casi, abbiamo visto che il segno è accessibile solo a chi lo ha fatto.
Molta arte contemporanea travalica l’uso originario del segno e attua una speculazione teorica oggettivamente decettiva. Secondo Heidegger : “ il segno è un utilizzabile ontico che, in quanto è questo determinato mezzo, funge nel contempo da qualcosa che indica la struttura ontologica dell’utilizzabilità e della totalità dei rimandi”. E’ qui sta il fondamento della peculiare utilizzazione del segno nel mondo dell’arte.
Le regole della abbazia di Thelème.
E’ un luogo comune, come tutti i luoghi comuni contiene una buona dose di verità, la diffusa convinzione che i veri artisti abbiamo la capacità di anticipare il futuro. Sfogliando la storia della letteratura non mancano gli esempi, qui vorremmo soffermarci sul capolavoro di Francois Rabelais “Gargantua e Pantagruele”. Dopo la guerra contro Picrocole, Gargantua premia coloro che hanno combattuto dalla sua parte. Fra Giovanni rifiuta tutti i doni e chiede di poter erigere un abbazia che chiamerà “Thelème”. Dal greco, desiderio, volontà: a significare che era un luogo libero. Infatti sul frontone dell’abbazia venne scolpita la frase “ Fa quello che vuoi” Questa avrebbe dovuto essere la prima regola di quel luogo. Se non che, scritte in poesia e in prosa, seguono pagine in cui è indicato chi può essere ospitato, chi no, cosa si può fare a cosa non si può fare. L’originalità consiste nel fatto che le regole sono esattamente opposte a quelle in vigore all’epoca nei conventi, tuttavia sempre regole sono. Ma, ecco l’intuizione geniale di Rabelais, le regole risultano in fondo non necessarie giacchè prevale lo spirito gregario. Scrive infatti il nostro: “E proprio per tale libertà, assunsero una lodevole emulazione di fare tutti quello che vedevano fare a uno di loro. Se qualcuno diceva:”Beviamo”, tutti bevevano; se diceva “Giochiamo”, tutti giocavano; …” E così di seguito. Se qualcuno pensa ai giovani di oggi? “Honni soi qui male y pense”.
Immagine: Aleister Crowley ha dato il nome di Thelème alla sua villa a Cefalù.
Arte come narrazione storica e del mito.
L’arte può essere ridotta a sperimentazione, provocazione, estemporaneità? Quando nel 1937 Duchamp mette insieme una sorta di happening durante il quale finge di decapitarsi, facendo il verso all’opera di Caravaggio “La testa di San Giovanni Battista offerta a Salomè”. Cosa esprime veramente? Quando Piero Manzoni nel 1961, assumendo di realizzare un’opera concettuale crea i suoi barattoli come opera d’arte definendola “Merda d’Artista”. Cosa esprime? Cosa rappresenta? Sono provocazioni o semplici intermezzi, una sorta di involontaria comicità surreale? Storici e filosofi dell’arte fanno ricorso a spurie argomentazioni, senza però saper entrare nel vivo del percorso creativo che pretende di creare una nuova ontologia dell’arte. In realtà l’ambizioso proposito si perde in un pensiero autoreferenziale. Forse il problema è più semplice di quanto si suppone. Una società bolsa, affetta da consumo, priva di ideali e di etica, non può che produrre artisti di quella risma e, inevitabilmente, celebrarli in funzione del riscontro mercantile. Tra le ragioni della creatività vi è anche la sublimazione. L’arte ha sempre interpretato la storia, il mito, forse anche quando non erano del tutto compresi. Stalin definì gli scrittori “ingegneri dell’anima”. Forse l’arte può essere definita balsamo dello spirito. Dovremmo riflettere sul fatto che nelle società nelle quali vige la repressione, nascono artisti di grande valore. Pensiamo alla Russia al tempo degli Zar nella quale operarono artisti come Fedor Dostoevskj, Leone Toltoj, Maksim Gor’kij, Anton Cechov, Nicolaj Gogol, Ivan Turgenev, molti altri scrittori di altissimo livello. Quale può essere la spiegazione? Forse viviamo in un tempo nel quale la società è femminilizzata, siamo nell’era dell’apparenza, della superficialità dell’edonismo. Come già aveva scritto Hegel, l’arte, nella sua essenzialità. è estranea alla civiltà moderna. Gli artisti non posseggono più la sensibilità e gli strumenti culturali per dare alla loro arte un’impronta storica di ampio respiro. L’ interpretazione del tempo che viviamo è l’esatto opposto dell’illustrazione, per certi versi involontaria, della modernità che si attua con la Pop Art. Si tratta di dar forma a cultura e storia. La morte di Pablo Neruda a Santiago del Cile il 23 settembre 1973 diede vita a polemiche infinite. Renato Guttuso creò un disegno e incisione che non furono mai esposti nei quali rappresentò la morte del poeta. Anche questa è la funzione dell’arte, la denuncia del dolore. Come David con la Morte di Marat. Oggi al più vi è l’utilizzo del mito in funzione di ideologie faziose, di corto respiro. Come la reinterpretazione in chiave femminista del mito di Leda e il cigno realizzata dall’artista americana Dana Schulz. I funerali dell’arte continuano da quasi un secolo in un tripudio di ottusa mondanità.
piergiorgio firinu
Il lato oscuro del mercato dell’arte e il valore di copie perfette.
Nei giorni turbolenti dell'Italia fascista immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale, circolava negli ambienti artistici la storia di un turista americano che aveva comprato un quadro di Tiziano a Firenze. Per ingannare le autorità ed esportare il dipinto lo fece ricoprire da un restauratore con una pesante vernice e, quando questa fu asciugata, vi fece dipingere sopra un paesaggio moderno. Il quadro superò la dogana di Modane e giunse a Parigi. A quel punto il collezionista cercò un altro restauratore ancora più abile e gli ordinò di rimuovere la ridipintura e di riportare il quadro allo stato originale. Il restauratore lavorò per varie settimane: scomparve il paesaggio moderno e riapparve Il Tiziano. Non contento però di ciò che aveva trovato, il restauratore continuo la pulizia finché al di sotto proprio sulla tela, apparve un ritratto di Mussolini. Ora, se è vero che la leggenda è probabilmente apocrifa, la morale che se ne può dedurre è evidente, poiché reca un'impronta di autenticità che va ben oltre le expertises degli studiosi, vendute così promiscuamente nelle sale d'asta. La questione della falsificazione delle opere d’arte è generalmente vista in modo errato. Si deve considerare che realizzare copie di opere d’arte famose è stata una prassi ordinaria anche dei grandi artisti. Era normale che Velasquez, Rubens, Poussin, facessero copie del Tiziano, Raffaello,Michelangelo. Lavorano alla luce del sole e conservavano le copie nei loro atelier. Questa attività costituiva un esercizio utile per perfezionare la tecnica pittorica. La differenza con i falsari veri e propri stava nel vendere le opere come originali. Sicuramente le opere di arte contemporanea non invitano alla falsificazione, tuttavia gli artisti hanno adottato criteri di classificazione che rendono difficile vendere per originali opere false. Ci sono artisti che, per la loro produttività abbondante e disordinata facilitano la falsificazione. Di Mario Schifano, a esempio, si dice che sul mercato siano più lo opere false che quelle autentiche. Qui si potrebbe aprire un discorso interessante sulla ragione per la quale un falso reso perfettamente debba avere un valore inferiore all’originale. Discorso pericolosissimo che è meglio non affrontare in questa sede. Il Portale Italiano dell’Arte www.artefutrura.org “Il lato uscoro del mercato dell’arte” Leggi sul blog e lascia un commento.
Limiti
Scienza e tecnica conferiscono all’uomo contemporaneo un illusorio senso di potenza, sicurezze che vengono periodicamente incrinate da eventi che dimostrano i limiti dell’intervento umano e rendono maggiormente visibili errori, presunzioni, inadeguatezze. Il Tsunami ha colpito l’Asia ha provocato migliaia di morti, modificato la geografia locale, cancellato interi insediamenti urbani senza che l’uomo potesse far nulla per impedirlo. L’entropia planetaria provocata da ragioni politiche e religiose trova giustificazioni e alimento nell’enorme disparita delle condizioni di vita sul pianeta. Con arroganza l’occidente vuole imporre la propria egemonia. Il crudele atto di terrorismo che ha colpito al cuore l’America l’11 settembre del 2001, di cui pubblichiamo le foto da oggi, è stata una azione criminale senza giustificazioni . Purtroppo non ha indotto gli USA a riflettere, ha suscitato solo una reazione altrettanto violenta. L’uragano Katrina ha quasi distrutta New Orleans. Gli “esperti” sapevano dell’arrivo della calamità, ma non hanno potuto o saputo fare nulla per ridurre vittime e danni. Risultato: migliaia di morti, una città viva e originale come New Orleans, quasi cancellata, sicuramente non sarà mai più come prima. Nella città disastrata imperversa il saccheggio degli sciacalli. Negare l’assenso al protocollo di Kyoto, dislocare in Iraq buona parte della guardia nazionale, è costato caro agl’USA. Una lezione terribile. E’ sperabile gli USA facciano un serio esame di coscienza, non solo sui fattori d’inquinamento ambientale, ogni cittadino americano inquina incomparabilmente di più di un abitante del terzo mondo, ma soprattutto riflettano sulla politica estera. Il brian trust della Casa Bianca dovrà capire che non si può imporre il consenso a cannonate, inevitabile avvenga il redde rationem, la storia non ha fretta, prima o poi presenterà il conto.
Diatriba tra pessimismo e ottimismo.
La lunga diatriba tra ottimisti e pessimisti è una delle tante questione che non ha trovato conclusioni. Non c’è dubbio che il pessimismo di molti filosofi sia ampiamente giustificato. Proprio in questo periodo, con il Codice 19 abbiamo un esempio di come le calamità possono colpire gli esseri umani. Il concetto di ottimismo è stato creato dall’uomo per descrivere un proprio stato d’animo. Sono molti i filosofi antichi e moderni che hanno affrontato il tema. Eraclito, Empedocle, Pitagora, Platone, ed anche narratori e scrittori di tragedie, Orfeo, Pindaro, Erodoto, Euripide, per limitarci agli antichi. Questi creatori d’immaginazione e di miti che hanno indugiato sul pessimismo, forse per ragioni personali oppure perché il periodo storico che vivevano suggeriva tale stato d’animo. Infatti l’ermeneutica della realtà, anche degli uomini di cultura, è condizionata dalla proprie emozioni. La vita, l’universo, la natura, non sono ne pessimisti ne ottimisti, sono semplicemente regolati da processi spontanei in base ai quali si produce la vita e la morte di tutto ciò che di vitale esiste sul nostro pianeta. La questione è in parte affrontata nel trattato di filosofia naturale scritto nel 1969 da Jacques Monod, dal titolo: “ Il caso e la necessità”. A parte i processi biologici, fonte della vita sulla terra, se osserviamo il nostro pianeta in una prospettiva planetaria, ci rendiamo conto che esso è ben poca cosa, un insignificante punto nello spazio. Dovremmo dunque ammettere che scienza, cultura, arte, sono frammenti insignificanti nell’economia dell’universo. Tutto il nostro sapere ha i limiti della nostra intelligenza ed ha necessariamente come riferimento noi stessi e il nostro pianeta. La natura che ci circonda contiene in se stessa la forza che la fa esistere e la distrugge. Qual è la ragione per la quale la gazzella è cibo per il leone? Attraverso ciò che definiamo “cultura” noi abbiamo modificato leggi della natura e abbiamo dato un’impronta alla società che spesso calpesta l’etica, con la nostra scienza improntata al solipsismo, abbiamo distrutto milioni di esemplari di fauna e di flora. La nostra presuntuosa arroganza va ben oltre la nostra intelligenza, tanto che ci stiamo rendendo conto dei disastri provocati ma non vogliamo, o forse non possiamo porre rimedio. Quasi tutti i filosofi, in primis Spinoza , al termine dei loro ragionamenti concludono: come volevasi dimostrare. In realtà le parole non dimostrano proprio nulla, se mai ipotizzano, presumono, immaginano. Anche l’immaginazione umana finisce per essere codificata. L’arte, specie dopo la deriva delle avanguardie, si è tradotta in forme espressive la cui essenzialità e significato sono affidati alla fantasia dei critici e dei filosofi dell’arte i quali costruisco castelli di parole che collidono con la realtà che abbiamo sotto i nostri occhi. Parafrasando il noto detto di Gramsci potremmo dire che si affidano all’ottimismo della presunzione.
Diatriba su pessimismo e ottimismo.
La lunga diatriba tra ottimisti e pessimisti è una delle tante questione che non ha trovato conclusioni. Non c’è dubbio che il pessimismo di molti filosofi sia ampiamente giustificato. Proprio in questo periodo, con il Codice 19 abbiamo un esempio di come le calamità possono colpire gli esseri umani. Il concetto di ottimismo è stato creato dall’uomo per descrivere un proprio stato d’animo. Sono molti i filosofi antichi e moderni che hanno affrontato il tema. Eraclito, Empedocle, Pitagora, Platone, ed anche narratori e scrittori di tragedie, Orfeo, Pindaro, Erodoto, Euripide, per limitarci agli antichi. Questi creatori d’immaginazione e di miti che hanno indugiato sul pessimismo, forse per ragioni personali oppure perché il periodo storico che vivevano suggeriva tale stato d’animo. Infatti l’ermeneutica della realtà, anche degli uomini di cultura, è condizionata dalla proprie emozioni. La vita, l’universo, la natura, non sono ne pessimisti ne ottimisti, sono semplicemente regolati da processi spontanei in base ai quali si produce la vita e la morte di tutto ciò che di vitale esiste sul nostro pianeta. La questione è in parte affrontata nel trattato di filosofia naturale scritto nel 1969 da Jacques Monod, dal titolo: “ Il caso e la necessità”. A parte i processi biologici, fonte della vita sulla terra, se osserviamo il nostro pianeta in una prospettiva planetaria, ci rendiamo conto che esso è ben poca cosa, un insignificante punto nello spazio. Dovremmo dunque ammettere che scienza, cultura, arte, sono frammenti insignificanti nell’economia dell’universo. Tutto il nostro sapere ha i limiti della nostra intelligenza ed ha necessariamente come riferimento noi stessi e il nostro pianeta. La natura che ci circonda contiene in se stessa la forza che la fa esistere e la distrugge. Qual è la ragione per la quale la gazzella è cibo per il leone? Attraverso ciò che definiamo “cultura” noi abbiamo modificato leggi della natura e abbiamo dato un’impronta alla società che spesso calpesta l’etica, con la nostra scienza improntata al solipsismo, abbiamo distrutto milioni di esemplari di fauna e di flora. La nostra presuntuosa arroganza va ben oltre la nostra intelligenza, tanto che ci stiamo rendendo conto dei disastri provocati ma non vogliamo, o forse non possiamo porre rimedio. Quasi tutti i filosofi, in primis Spinoza , al termine dei loro ragionamenti concludono: come volevasi dimostrare. In realtà le parole non dimostrano proprio nulla, se mai ipotizzano, presumono, immaginano. Anche l’immaginazione umana finisce per essere codificata. L’arte, specie dopo la deriva delle avanguardie, si è tradotta in forme espressive la cui essenzialità e significato sono affidati alla fantasia dei critici e dei filosofi dell’arte i quali costruisco castelli di parole che collidono con la realtà che abbiamo sotto i nostri occhi. Parafrando il noto detto di Gramsci potremmo dire che si affidano all’ottimismo della presunzione.
Parole e nuvole.
Da bambino, come tutti i bambini, spesso alzavo gli occhi al cielo e osservavo le nuvole alle quali, con la mia fantasia davo forme e significati. Vedevo angeli, giganti, cavalli al galoppo. Quando il cielo era coperto da nubi nere, immaginavo che le nubi bianchi lottassero per riemergere e il cielo libero desse spazio al sole. Crescendo ho imparato che,come le nuvole anche delle parole vengono fatti molti usi. Parole volgari, offensive, rozze. La poesia colpisce la realtà come un ariete, con parole carezzevoli o graffianti apre spiragli dai quali fare entrare la fantasia, il sogno, o più prosaicamente una realtà che non vediamo. La composizione poetica è sempre più eloquente di qualunque narrazione. Thomas Stearns Eliot nei “Quattro quartetti”. Scrive:“ Passi echeggiano nella memoria, in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai”. Baudelaire tentò tutta la vita di ampliare i confini della sua umana pochezza. Fu il primo critico dell’arte e riesumò la sua confusa coscienza in “Les fleurs du mal”. “Come il corpo pesca raffinati amori dei quali non è mai sazia”. Friedrich Nietzsche in “Così parlo Zarathustra” scrive: “ I poeti mentono troppo” . Ma poi aggiunge: “ Non è possibile rispondere peggio di quando si dice la verità”. Forse per questo il grande poeta Ezra Pound fu dichiarato pazzo e rinchiuso in manicomio. Egli scriveva: “ Tempus loquendi. Tempus tacendi” . Se la poesia è pura, raramente i poeti hanno l’anima e il cuore tersi. Arthur Rimbaud un uomo dalla vita travagliata e indegna che scrisse in gioventù, prima di far commercio di schiavi, poesie sublimi dalle quali trasparivano le sue voglie. “Oh! Così essere nudi, cercare gioia e riposo, / Con la fronte rivolta alla parte gloriosa, / E insieme liberi mormorare singhiozzi?”. Anche i poeti si trovano a dover affrontare il dolore. Oscar Wilde fu condannato al carcere per omosessualità, altri tempi, oggi la sodomia è un vanto. Chiuso nel carcere di Reading , compose “ La ballata del carcere di Reading”. Egli scrisse: “ Eppure ogni uomo uccide ciò che ama….” . Le parole fanno sanguinare, sono al servizio dell’inganno molto più che della poesia, e nella loro abbondanza non è contenuta la risposta alla domanda di Ponzio Pilato: “Cos’è la verità?”. Come gli spruzzi di una cascata impetuosa si succedono fulminei e si disperdono, mentre l’arcobaleno che da quegli spruzzi è generato, resta immobile nel cielo. La poesia e l’arte vanno oltre agli artisti e lasciano una traccia di speranza che altri potranno seguire.
Il linguaggio segna i confini del mondo.
Scriveva Wittgenstein: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Oggi il linguaggio è meticcio, in assenza di cultura ci si affida alla casualità delle parole. La bontà, la malvagità, la slealtà tutto ciò che si è soliti intendere con il termine “indole”, oggi ha perso significato. Consideriamo la parola “cuore” alla quale ci si richiama in modo retorico e falso, esattamente come la parola amore usata disinvoltamente. In un epoca in cui prevale l’ideologia femministoide. Si cita spesso il cuore inteso come concretezza e verità. Duro di cuore, la cosa mi sta a cuore, mi viene dal cuore, è stato per me un colpo al cuore, il mio cuore sanguina. Chi può leggere nel cuore di una persona? E’ qualcosa che strappa il cuore. Mi spezza il cuore. Potremmo continuare elenco truismi insinceri che si riferiscono al cuore. Le questione relative alla relazione sentimentale tra due persone si chiamano “affari di cuore” , quando in realtà a prevalere è l’attrazione sessuale. Bayron nel “Don Jauan” fa una satira delle donne per le quali le relazioni sono sempre questione di cuore. Spesso il cuore è posto in contrapposizione alla testa. La testa caratterizza la conoscenza. All’Accademia di San Luca a Roma fu conservato il cranio di Raffaello Sanzio fino a quando si scopi che era un falso. A Stoccolma fu venduto all’asta il cranio di Cartesio. L’umanità e sempre alla ricerca di simboli in grado di gratificare il nostro incontenibile antropocentrismo che c’impedisce di vedere il nostri limiti. Il linguaggio è il principale strumento dell’inganno con quale creiamo finzioni che finiscono per apparire reali. Quante volte si pronunciano le frasi: ti amo con tutto il cuore. Ti amo più di ogni cosa al mondo. Prigionieri del nostro stesso mentire ci ritroviamo in un angosciante vuoto di sentimenti senza poesia. Anche il linguaggio dell’arte riflette questa realtà nella quale galleggiano solitudini alla deriva che si rassegnano agli effimeri piaceri del corpo.
Religione, arte, storia.
Ogni religione ha una propria arte. E’ significativo che la la comune radice, la magia, ispisri forme, per cos’ dire spontaneamente , nelle quali è contenuto ed espresso il pensiero religioso la cui più pmeno raffinata forma riflette la complessità normativa della credenza che la ispira. Vediamo le forme terrificanti che si richiama alla religione dei Maya che richiama il sangue dei sacrifici umani, riti che per altro sono frequenti in molte religioni, incluso il cristianesimo che però e ha sublimati nella eucarestia. Le religioni e le culture animistiche dell’Africa si affidano a rozzi totem sul crinale tra magia e religione. Tali rappresentazioni simboliche, alle quali ri richiama anche Freud in “Totem e tabù” sono state riprese da tra la fine dell’’800 e l’inizio del ‘900 da molte arte europea, in primis il cubismo. Il richiamo ai Totem delle civiltà primitive africane, costituisce il velleitario tentativo di un ritorno al passato presentato come un’innovazione. Una delle molte contraddizione dell’arte europea che si definisce di avanguardia, mentre in realtà è reazionaria perché la ricerca della purezza primitiva della forma si attua in un contesto nel quale mancano le motivazioni di fondo, la genuinità non mediata che sfocia nell’impulso creativo. L’antica saggezza della civiltà indiana si esprime con un arte prevalentemente scultorea. Grandi sculture di pietra, figure statiche immerse nella meditazione. L’Islam vieta la riproduzione della figura umana. L’arte islamica è costituita per lo più da un raffinato segno astratto, realizzato spesso da mani femminili. Il mosaico è una delle espressioni artistiche diffuse nella civiltà islamica. Nella cultura religiosa cristiana il conflitto tra iconoclasti e tradizionalisti durò secoli. Venne affrontato nel concilio di Hieria. Nel 769 Papa Stefano III dichiarò la liceità della produzione dell’immagine religiosa. Senza quella pronuncia forse ci sarebbe stato il Rinascimento italiano durante il quale l’immagine religiosa su usata dalla Chiesa anche in funzione didattica, considerato il gran numero di analfabeti la storia e la elegia dei santi tramite le immagini di grande fascino e ispirate anche dalla cultura filosofica e storica. La tesi, sostenuta tra gli altri da Schopenhauer, secondo la quale l’arte si basa sempre sulla intuizione, mai sul concetto, ha aperto la strada verso il pregiudizio in base al quale l’arte non si giudica essendo libera espressione dell’artista. Qui si aprirebbe un discorso complesso sulla definizione, prima che dell’arte del suo produttore, l’artista. Tema delicato che forse è impossibile chiarire perché attiene alla indefinibile sensibilità dei singoli. E’ come stabilire cosa abbiano in comune un bocciolo di rosa che trema per il peso di una goccia di rugiada con la mano che ferma l’attimo magico. Oggi questo momento magico è facilmente riproducibile dalla tecnica.
Solipsismo creativo
Raffaello ci ha rappresentato in un dipinto simbolico il processo originario dell’artista. Nell’opera “Trasfigurazione”, la metà inferiore con il ragazzo ossesso, gli uomini in preda alla disperazione lo sostengono, gli smarriti e angosciati discepoli, ci mostranp il rispecchiarsi dell’eterno dolore originario , dell’unico fondamento del mondo: l’illusione. Egli rappresenta un riflesso del contrasto tra mondo “reale” e illusione. L’artista non interpreta il mondo, lo crea. Egli è strumento della trasformazione della realtà. Per realizzare il passaggio tra l’immanente e il trascendente deve sottostare a un etica della forma, esigenza primaria del conosci te stesso. L’estetica moderna è immersa nella soggettività. L’artista soggettivo è un pessimo artista. Senza oggettività, senza pura e disinteressata contemplazione del reale che deve essere trasformato, non sarà mai possibile una vera produzione artistica degna di questo nome. Schopenhauer suddivide le arti tra oggettive e soggettive. Secondo il filosofo il soggettivo non appartiene all’arte. E’ necessario che l’artista si liberi dal solipsismo creativo e diventi un medium attraverso il quale la realtà è assorbita e trasformata. Dunque la tecnica non può essere arte, il ready made non può essere arte. La dignità estetica che costituisce l’arte deve essere preceduta da una epistemologia capace di concretizzare l’idealità del pensiero in forma: l’eidos. La nostra epoca si crede superiore, usa lo sprezzante epiteto di “preudoidealismo”, rifiuta ogni forma di spiritualità, si crogiola nella propria inutile abbondanza. L’odierna accettazione dell’estetico industriale costituisce un ossimoro concettuale. Nonostante il profluvio di testi di filosofia e critica d’arte, nessuno è ancora riuscito a definire con precisione il sostantivo arte sviluppando un ragionamento semplice e chiaro sul piano della realtà sottratta a intuizioni ingannevoli. Questo perché la semplicità è un concetto complesso.
Segno e disegno.
Nel volgere del secolo scorso, durante il quale l’immagine si è affermata sotto tutti gli aspetti, tanto che la nostra era è stata definita l’era dell’immagine, vale a dire dell’apparenza. Contemporaneamente si è verificato il declino dell’arte figurativa, ovvero del segno che collega la narrazione alla mimesi. In parallelo è venuta meno l’autonomia dell’arte. Ciò ha permesso lo sviluppo di una verbosità che prevarica il segno nel momento in cui pretende di decifrarlo. La psicogorrea globalizzante ha portato a una sorta di appiattimento che ha avuto, tra le altre conseguenze, la resa dell’arte alla tecnica. In questo clima era inevitabile che venisse meno la epistemologia che costituiva il percorso dell’artista tra pensiero e segno. L’arte nata ai primordi del pensiero occidentale, ha finito per ridursi a semiotica elementare, rinunciando alla naturale primogenitura culturale. E’ un fatto che l’articolazione fonetica della parole viene molto dopo il segno, solo gradatamente si articola in comunicazione verbale. Peirce sosteneva che l’essere umano può pensare solo per mezzo di parole o di altri simboli. L’uomo è il pensiero. L’arte traduce il pensiero in forma narrativa e attraverso ad essa ci aiuta a conoscere qualcosa di più. Nella tradizione filosofica occidentale il segno o disegno realizza l’eidos , al quale faceva riferimento Parmenide. Ippocrate non era interessato ai segni linguistici,nell’esplicazione del proprio pensiero utilizzava il termine “segno”. Parmenide, opponeva la verità del pensiero dell’essere alla illusorietà dell’opinione e alla fallacia delle sensazioni. Quando osservando un’opera d’arte ci affidiamo quasi esclusivamente all’emozione, e come se l’arte costituisse soltanto una finestra dalla quale si affaccia la nostra fantasia. Dunque arte come pretesto, come divagazione soggettiva. E’ partendo da questa lettura dell’arte a cui è estranea la gnosi che nasce l’impulso che porta alla parabola discendente.
Musica e pittura.
Come scrive Cassirer, l’uomo è un animale simbolico, fin dai primordi della civiltà si è sempre affidato a rituali e creato luoghi sacri. La musica riveste un ruolo di rilievo in molti di questi rituali. Alcuni antropologi ipotizzano che la musica possa avere avuto un ruolo nel riunire l’Homo sapiens e quindi costituire un vantaggio nei confronti dell’uomo di Neanderthal meno socializzato. La musica è un atto sociale con cui le persone comunicano tra loro. I flauti paleolitici di 40.000 anni fa trovati in siti archeologici tedeschi , consentivano ai nostri antenati di comunicare a grande distanza. A differenza della musica l’arte figurativa, o arte plastica, impone la fruizione individuale. Infatti mentre la musica aggrega e si ascolta prevalentemente in gruppo, l’osservatore di un’opera può essere disturbato dalla presenza di molte persone. Di certo sia la musica che l’arte plastica hanno in comune l’origine magica ed insieme costituiscono una sorta di estraniazione ed insieme di evocazione. Infatti ogni religione ha i suoi simboli, le religioni come l’ Islam che vietano le immagini hanno comunque dei grafi, forme con le quali tramandare la memoria. E’ significativo che l’arte figurativa abbia preceduto di migliaia di anni la scrittura, la narrazione per immagini appartiene a quasi tutte le civiltà. Vi una è sintassi simbolica nei graffiti trovati nelle caverne che costituivano i rifugi del nostri antenati. La rinuncia all’estetica e alla simbologia nell’arte ha determinato la fine del segno evocativo che ha accompagnato la civiltà per millenni. L’aridità tecnologica dell’arte contemporanea è di per sè un segno significativo che va ben oltre lo stretto ambito del cosiddetto mondo dell’arte.
La visione diseducativa.
Cosa sappiamo di come viene visto, in particolare dai bambini, un programma tv, un film, una rivista illustrata? Dare una risposta a questa domanda è d’importanza cruciale per capire i risvolti culturali e psicologici prodotti dalla visione. Purtroppo chi organizza il palinsesto si preoccupa quasi elusivamente dell’ audience. Diamo per scontato che tutti, bambini inclusi, sappiano trarre significato “giusto” dalle immagini. Per esempio film che presentano fatti di guerra con scene cruente. E’ diffusa l’apodittica convinzione che ogni esser umano abbia imparato fin dalla nascita a guardare il mondo, quindi non avrà difficoltà a decodificare le immagini traendo da esse gli aspetti “positivi”. A parte la difficoltà anche per una persona esperta a trovare aspetti positivi dalle immagini di assoluto squallore che cinema tv trasmettono in continuazione, la lettura delle immagini ha carattere estremamente soggettivo, nel migliore dei casi. Nel caso opposto, anche attraverso le immagini si produce omologazione, si stimola lo spirito gregario che è dentro a ciascuno di noi. In breve, si stimolano gli aspetti peggiori a fini di lucro. Tutto ciò è noto da tempo, eppure la situazione sembra peggiorare ogni giorno. Attualmente, gli spettacoli più disgustosi della tv americana acquistati e presentati in Italia, sono anche quelli di maggiore successo. Segno evidente degli effetti negativi che i media in generale e la tv particolare hanno sugli ascoltatori.
L’esperienza come risultante cognitiva.
Se come dice Peirce l'esperienza è la risultante cognitiva della nostra vita passata, dovremmo prendere atto che il nostro agire nel presente è inevitabilmente condizionato dalle nostre passate scelte, quelle che hanno costituito la nostra formazione mentale prodrome agli stimoli delle nostre azioni attuali. Se prediligiamo la libertà alla ragione, la ragione finirà per abbandonarci. Ma è necessario cautela non solo nelle azioni, soprattutto nel linguaggio che le precede e in qualche misura le determina. Per esempio è un errore confondere brutalità e violenza, ci può essere brutalità nelle parole, si può essere brutali anche nella cedevolezza, nella resa ai desideri del corpo. Brutalità significa assenza di ragione. Infatti , l'arte degli alienati che Jean Dubuffet organizzò in una corrente che si autodefiniva “Art brut” era affidata al gesto, al puro istinto senza il filtro della ragione, in questo senso potremmo estendere l’appellativo di Art Brut a buona parte dell’arte contemporanea immersa com’è in un presente privo di prospettiva ideale. Si pretende di affidare all’atto, alla emotività, fare del gesto,dell’istinto, l’essenza stessa dell’arte. Chi sostiene simili tesi dovrebbe spiegare come può conservarsi l’istinto in una società che non ha nulla di naturale, nella quale siamo continuamente soggetti a stimoli e sollecitazioni condizionanti. La resa alla tecnica è l’esatto contrario dell’istinto, così come il ricorso a ready-made. Heidegger definiva la tecnica stupida, in effetti la sua influenza allontana sempre più dall’epistemologia dell’arte e non favorisce la creazione. Bertrand Russel sosteneva che la cultura più importante è quella inutile, nel senso che è priva di finalità pratiche e ha come unico obiettivo la crescita umana. Lo stesso Einstein sentì il bisogno di coronare la sua scienza con un richiamo filosofico che comprendesse temi che sono determinanti per ogni vero progresso civile. Uno degli aspetti più deprimenti di questo nostro confuso antropocene è l’ossessiva ricerca di “originalità”. Questa ossessione dis-orienta Il mondo dell’arte, tanto più finisce per prevalere un elemento di approssimazione culturale. Oggi arte e cultura sono in gran parte privi di significato, soggetti alla presunzione di essere fenomeno unico. Nella realtà siamo pervasi da conformismo, da spirito gregario, da una costante ripetizione di comportamenti che si susseguono nell’assenza di consapevolezza. Questo fenomeno è ben descritto da William James.Forse per questo la filosofia dell’arte si trova a dover far ricorso all’eristica, frasi d’effetto, tipo: “ L’arte è una scoperta di se stessi. Ogni buon artista opera in base a ciò che egli è”. Affermazione che potrebbe suonare offensiva per molti artisti, per esempio per Piero Manzoni.
Che cos’è la verità?
Quando Pilato pone la domanda che cos'è la verità, solleva una questione che a distanza di 2000 anni non è stata ancora risolta, e forse non può essere risolta. La ragione va cercata nella difficoltà di uniformare le interpretazioni sul significato di verità che attiene all’interpretazione della realtà secondo un'ottica soggettiva multiforme. È nota l’affermazione di Nietzsche per il quale non esistono fatti ma soltanto interpretazioni. Su questo assunto sono stati scritti molti libri e date varie interpretazioni, è nata la corrente strutturalista che ha avuto cultori soprattutto in Francia. Di fatto l'intento di molti libri non era chiarire il significato di verità, ma rimuoverla, o più semplicemente imporre la propria interpretazione. I filosofi si cimentano con dettagli, seguono percorsi epistemologici che si dissolvono in una dialettica fine a se stessa. Pascal Engel & Richard Rorty hanno pubblicato un libro “A cosa serve la verità?”.(2005) Il solo fatto che filosofi si pongano il quesito in quei termini, fa sorgere dubbi sulla funzione di molta filosofia. Si ricava l’impressione di considerare superflua, o impossibile la verità. Il pensiero debole ha dato un contributo notevole nel liberarci da vincoli etici dei quali la verità è il fondamento primo. Peirce nella semiotica cognitiva affronta il tema sotto il profilo linguistico e funzionale che certo non può dare risposte sostanziali di carattere psicologico. Jacques Derrida ha scritto “ La verità in pittura”(1978) nel quale tenta la propria interpretazione sotto specie estetica, impresa oscura quanto fallimentare. In uno dei suoi tanti paradossi Picasso afferma: “ L’arte è una bugia che realizza la verità”. Ci affidiamo al linguaggio per definire qualcosa che appartiene al sentire di ciascuno di noi ma che non riusciamo ad esprimere perché accettare il concetto di verità significherebbe azzerare molti interessi, ideologie, vizi. Le alternative possono essere approssimazione o malafede. Theodora Achourioti e Henri Galinon hanno pubblicato un volume a più voci con l’ambizioso titolo “Unificare la filosofia della verità”.(2015) Cosa può significare, unificare la filosofia della verità? Dovremmo risalire alla Scolastica, ancor prima alla Patristica che utilizzarono la filosofia dei greci al fine di elaborare una teologia della verità religiosa, per sua natura non accettabile da tutti. Forse per chiarire a noi stessi il concetto di verità dovremmo essere in grado di raggiungere una neutralità oggettiva, cioè la capacità di liberarci da tutto ciò che condiziona la nostra visione del mondo, liberarci dalla esperienza che condiziona il nostro pensare e il nostro agire, liberarci dalle passioni. Tutto questo non appare realistico, è impossibile, lontano dalla capacità di dominio di noi stessi. Di fronte alla difficoltà di definire il concetto di verità finiamo per ripiegare e accettare l'idea che la verità non esista.
Quando l’Occidente prese la strada sbagliata.
Sant’Agostino scrisse “La città di Dio” per tentare di contestare la femminilizzazione che il cristianesimo introdusse nella vita dei romani fino a provocare la caduta dell’impero. Qualcosa di analogo accadde in Inghilterra verso l’inizio del 19esimo, secolo durante il quale il femminismo si impose nella società inglese. Anche l’impero inglese si dissolse lasciando dietro di sè le macerie provocate dalla propria dominazione. Non ci fu in quel periodo artista capace di produrre un’opera paragonabile alla narrazione della conquista dell’Inghilterra da parte dei normanni raccontata dallo splendido arazzo di Bayeux realizzato nell’XI secolo. Lungo sessanta metri racconta le gesta dei combattimenti a piedi, cavallo, con le navi che trasportavano i guerrieri. Era il tempo in cui l’arte narrava la storia e ne costituiva testimonianza. Dal Medioevo l’Europa prese la strada sbagliata privilegiando il sistema economico produttivo che ebbe poi un deciso impulso con la rivoluzione industriale. Come scrive Marx, il sistema economico capitalista può esistere solo in regime di libertà. Ma quale libertà? La parossistica ricerca di libertà, libertà dall’autorità, libertà sessuale, libertà di perseguire i propri interessi, libertà dall’etica, quelle scelte ci hanno condotto sull’orlo del baratro. Forse per questo si profila oggi una risorgente nostalgia insieme alla consapevolezza che la libertà può rivelarsi un’illusione. Don Chisciotte non abita da tempo l’occidente. Mary MacCarthy scrisse che Madame Bovary è un Don Chisciotte in gonnella. Non teneva conto del pensiero che guida i due immaginari personaggi. Mentre il pensiero di Don Chisciotte era fantasia nostalgia di un tempo che non aveva vissuto. Madame Bovary era posseduta da un desiderio di evasione e libertà sessuale, simile al pensiero femminista che, quando prese piede dette alla società, dette un impulso radicalmente negativo le cui conseguenze si traducono in una pauperizzazione sociale e, indirettamente,dell’ambiente naturale. Con l’avvento della borghesia crebbero le disuguaglianze sociali. L’arte rinunciò a produrre opere che rappresentassero testimonianza storica. La società atea ed edonista ritenne che attraverso il mito della libertà tutte le caselle del puzzle sociali sarebbero, come per incanto, andate al loro posto. Di fatto per l’incapacità, forse ormai l’impossibilità, di apportare sostanziali modifiche al sistema sociale e produttivo,l’occidente galleggia in una perenne situazione d’incertezza alla quale la globalizzazione di mercati ed esseri umani ha dato, per così dire, il colpo decisivo dal momento che tutto ciò che si è realmente globalizzato è l’illusione di una possibile catarsi democratica globale. Non è necessario aver letto Kierkegaard o Heidegger per provare l’ansia che accompagna la consapevolezza, quel crampo interiore che sentiamo quando vediamo scorrere le immagini dei disastri che abbiamo compiuto e compiamo.
Quando l’idiozia diventa arte.
L’arte produce mete preferenziali, ma le mete preferenziali, a loro volta suggeriscono il comportamento artistico. Un labirinto senza uscita che si confonde con la ritualistica delle gallerie d’arte, delle riviste, delle edizioni d’arte, delle critiche d’arte, delle biennali, dei convegni, dell’insegnamento artistico nelle scuole. Tutto ciò ha smesso da tempo di produrre cultura, si limita soltanto a convogliare la produzione al mercato con tanto di etichetta firmate dall’intellettuale di turno. Prodrome alla situazione attuale sono state le correnti dell’attivismo artistico, negli anni ’50 l’Action Painting, nel ’60 la Direct Art, la Body-Art e l’Erotic Action, e anche per certo verso la Land – Art. Tutto ciò testimonia con brutale incisività, il grado di immiserimento intellettuale raggiunto dalla società borghese. Nata come classe che proclamava la vita la borghesia ha finito per soffocarla monetizzando sensibilità, erotismo, pensiero “creativo”, in forme di inaudita violenza. Tutto questa era stato in gran parte previsto da Ludwig Klages fin dal 1913 al sorgere dei primi conati delle cosiddette avanguardie. Il critico Grègire Mὔller nel descrive l’opera del Land-artist Michael Heizer, anziché rilevare lo sfregio alla natura prodotto dall’opera lo esaltava. Heizer è parte di una schiera di artisti che abbinano l’arte con il brutto e la violenza. Pensiamo a Hermann Nitsch che, tramite un intervento orgiastico su animali macellati, si ripropone di sublimare l’esperienza di uccidere, in quanto il desiderio di uccidere deve liberarsi dalla sua repressione. Qui abbiamo l’apoteosi del contradditorio pensiero borghese che usa le parole come talismani e pensa di creare una mistica della libertà annientando il pensiero. Nel 1972 alla Biennale d’Arte di Venezia Gino De Dominicis espose un mongoloide seduto su una sedia nella spazio dell’artista. Con squisita sensibilità l’artista giustificava l’atto con spurie argomentazioni, che non erano che pretesti privi di costrutto. Così il circuito finalmente si chiude: l’idiozia acquisita celebra l’idiozia congenita. E’ il primo di una serie di atti simili che vedranno lo sfruttamento di uomini e animali.
L’arte e la città.
Qual’ è l'influenza sociale dell'arte oggi ? La nuova idea di ambiente sembra obbligare ad affrontare continuamente problemi che finora, con o senza ragione, gli artisti avevano giudicati estranei alla responsabilità dell'arte. Mi riferisco ai problemi dell'ambiente sociale della influenza che l’arte può avere su di essi. Ciò che è chiamato ambiente fisico, case, strade, piazze, nei quali la nozione di opera d’arte sembra essere estranea, salvo sporadici casi in cui, più che opere, si espongono stereotipi di forme per lo più provocatorie. Questo cattivo uso dell’arte rischia di far perdere alle opere la loro originaria contrapposizione dialettica, l’arte diventerà molto concreta, nella sua eccezione peggiore, poiché il disegno delle opere si rivelerà solo come una particolarità distinta dall’insieme del contesto sociale. Forse cominciamo a comprendere che gli oggetti, cosiddetti artistici, che, candidamente avevamo pensato unici responsabili dell'attuale erosione del nostro concetto estetico, sono forse meno responsabili della formazione di base che comporta come conseguenza il formarsi di una diseducazione di massa, non solo estetica, sarebbe troppo ottimistico pensare che l’arte possa rimediare ai disastri di una scuola priva di una linea formativa, non impegnata nel rincorrere le ubbie socio-politiche del momento, ma più semplicemente e direttamente la condotta a individuare le crepe sociali che rendono possibile ciò che accade nelle nostre città. Dovremmo porci la seguente domanda: qual è la vitalità o plausibilità dell’arte, in un mondo come il nostro nel quale i fattori dominanti dell'ambiente sembrano essere la violenza, il pregiudizio, la rivalità, il sadismo, l'ostentazione, la volgarità, la sperpero? A mio giudizio la progettazione ambientale in condizioni tanto avverse è una chimera. Ciò che si presenta di solito come progettazione di un'opera d'arte è una grottesca falsificazione, una progettazione obbligata a piegarsi alle ragioni del mercato. Ambientazioni in fiere, musei, hanno più che altro lo scopo di promuovere l’oggetto artistico come prodotto lontano dal reale contesto sociale. Usare l’arte per abbellire l’ambiente, collocare opere d’arte in luoghi urbani particolarmente frequentati, è come mettere pomata sulle piaghe di un lebroso, dal momento che è l’intero tessuto culturale e urbano è in progressivo sgretolamento. In questo senso anche la Street art non può essere altro che arredo urbano, pseudo artistico, essendo la natura della Street art essenzialmente cartellonistica. La versione apocrifa dell'Opera ambientale è conosciuta nei paesi anglosassoni come Urban Renewal da quasi un secolo, quando Patrick Geddes aveva indicato la strada per superare questo deplorevole stato e migliorare l'uomo insieme al suo ambiente. Questa proposta non è mai stata presa in considerazione, in compenso hanno continuato a imperversare inutili libri di critica e filosofia dell’arte.
Brevi commenti alla Biennale d’Arte di Venezia 2019
La Biennale di Venezia del 2019 può essere vista come l’ennesimo tentativo di esprimere qualcosa con strumenti ormai logori, consumati dalle ripetizioni, condizionati dalla cattiva coscienza di chi li usa. Al direttore della Biennale 2019 è stata posta una domanda: nel confronto vince l'arte o il denaro? Com’era inevitabile Il curatore, essendo parte del sistema dell'arte, ha risposto: l'arte. Per giustificare la sua risposta ha usato un argomento improprio, ha affermato che l'artista Leonardo si ricorda, ma non si ricordano i vari mecenati e politici dell’epoca. A parte il fatto che di Leonardo ce ne uno, la questione è che l'arte non può essere soltanto a futura memoria, dovrebbe essere capace di rappresentare, e nello stesso tempo, trasformare il presente. Dovrebbe essere la coscienza critica di una realtà in divenire.
Capire è il primo passo per trasformare, la cultura è la base del processo artistico. E’ però necessario mantenere una certa distanza. Di fatto l’artista di oggi è un produttore di oggetti, spesso seriali, comunque prodotti in grande quantità perché è questo che il mercato richiede, egli è immerso in frequentazioni mondane che sono spesso base e ragione del suo successo.
L’arte oggi può ancora insegnarci qualcosa? Osservando le opere esposte nei vari padiglioni la risposta non può che essere un netto: NO. Le opere sono una tautologia del presente, il tentativo di narrazioni affidate alla retorica politica con uso di strumenti inadeguati. L’artista, in parte per convenienza e in parte per inadeguatezza culturale, cade nel tranello della contemporaneità alla quale fa il verso. Esporre come ready made il relitto di una nave naufragata nel Mediterraneo con centinaia di migranti morti annegati, è un gesto di propaganda politica, un appello all’emozione più scontata, e in quanto tale, anche frutto di una buona dose di cinismo. Siamo sul piano del bambino in mezzo alla strada mentre sta arrivando un automobile a forte velocità. La nave non indica la tragedia che l’ha coinvolta, non lascia trasparire nulla che ricordi la tragica morte di migliaia di persone e dunque è una testimonianza storica che necessita di una narrazione. Quindi nella migliore delle ipotesi potremmo considerarla un'opera incompleta.
L’arte che esalta il banale quotidiano, una versione cronachistica della Pop Art. Opere di 3 artiste lituane nelle quali è stata ricostruita una spiaggia artificiale con sabbia vera. Il visitatore con certi requisiti, può distendersi sulla spiaggia ed entrare quindi nell’opera. Sfugge l’aspetto artistico di questa specie happening su un set cinematografico casalingo, una triste riproduzione di una realtà fatta secondo schemi produttivi che abbiamo visto in una quantità di altre performance simili, quasi sempre declinate al femminile. Il sospetto che anche la Biennale si adegui alla imposizione di quote di genere.
Non sembra il caso di dilungarci in citazione di altre opere. Viviamo quello che vediamo con rassegnazione sforzandoci di capire, ammesso ci sia qualcosa da capire. Difficile immagina che questo tipo di rappresentazioni aiuti le giovani generazioni ad avvicinarsi all’arte come avventura dello spirito. L’arte di oggi fa a meno della cultura, si affida alla propaganda, alle autocelebrazioni, degli artisti immersi a tal punto nell’esistente da esaltare gli aspetti umani più laidi. Da tempo estetica e poesia hanno divorziato dall’arte, dalla quale non viene alcuna luce capace di illuminare il nostro vivere quotidiano.
Ipotesi sul futuro.
Hilary Putnam scrive un testo di 22 pagine nel quale si pone la domanda: i robot hanno coscienza? Se vivessimo in un mondo normale questa domanda porrebbe seri dubbi sul senso e la plausibilità di una filosofia che, ignorando la realtà di un mondo travagliato, affronta temi tanto alieni. Putnam, filosofo noto, da molti considerato importante,sostiene che il prossimo Michelangelo Buonarroti potrebbe essere un Robot.
Proviamo a immaginare che l'intelligenza artificiale si sviluppi in modo tale che le macchine, i Robot, si costruiscano e riparino in modo autonomo. A quel punto l'intervento dell'uomo diventerebbe superfluo, i Robot avrebbero una totale autonomia. Non essendo soggetti a malattie e morte, non dovendo ricorrere alla sessualità per riprodursi, la loro proliferazione potrebbe essere praticamente infinita, salvo che il robot stessi decidano di limitarla per ragioni di spazio. I Robot non si nutrono di prodotti naturali, anzi non si nutrono affatto, quindi non inquinerebbero. Anche inondazioni, frane, terremoti non avrebbe per loro le stesse gravi conseguenze che hanno per noi umani. In breve i Robot sarebbe pressoché immortali. Loro unico limite potrebbe essere costituito dal logoramento dei materiali di cui sono costruiti. Tuttavia, avendo raggiunto un elevato livello di I.A, troverebbero soluzioni, e comunque potrebbero essere decostruiti e sostituiti con altri costruiti da loro stessi.
Si verificasse la situazione sopra descritta, ci troveremmo in una situazione paradossale; da un lato il pianeta Terra popolato da Robot, dall’altro la moltiplicazione di fauna e flora, gli oceani, non più inquinati dalle attività umane, si purificherebbero, la fauna marina, più in generale acquatica, si moltiplicherebbe in misura notevole. Le foreste ricoprirebbero come era in origine il pianeta. I Robot si stabiliranno in luoghi asettici per loro più adatti. In breve i Robot potrebbero rappresentare la salvezza del pianeta Terra.
E gli esseri umani? La loro fragilità li esporrebbe a rischio di malattie e vittime di animali feroci proliferati. I Robot, non avrebbero bisogno di nulla, se non dell’energia che potranno ricavare dal sole e dal vento, non correrebbero rischi di nessun genere, utilizzeranno la IA per se stessi. Gli umani privi computer, che sarebbero gestiti dai Robot , esposti a tutti i pericoli che in 2100 anni di civiltà avevano ridotti al minimo. La loro sopravvivenza dipenderebbe dalla volontà dei Robot i quali, privi di etica, potrebbero decidere di abbandonare gli umani liberi nella natura ormai diventata matrigna.
In questa prospettiva è chiaro che l'analisi di Putnam sull’ipotesi che i Robot abbiano una coscienza, potrebbe diventare l’unica speranza per gli esseri umani. Al termine delle 22 righe nelle quali Putnam affronta il tema arriva alla conclusione che sia possibile attribuire ai Robot il possesso di una coscienza. Non solo, ma arriva a sostenere che una discriminazione fondata sulla morbidezza o durezza delle parti componenti il corpo di un organismo sintetico, dovrebbe essere considerata altrettanto schiocca di un trattamento discriminatorio degli esseri umani fondato sul colore della pelle. Ergo, noi ci preoccupiamo di non discriminare i Robot quando in realtà la nostra esistenza potrebbe dipendere da loro.
Ecologia, consumo, sessualità
Si definisce Antropocene la nostra epoca dominata dalla presenza devastante dell’Homo sapiens. Vista in un’ottica geologica la nostra storia è brevissima. Vi sono due scuole che attribuiscono due inizi alla devastante esplosione dell’antropocentrismo. Alcuni studiosi fanno risalire l’Antropocene al ‘700 con l’inizio della rivoluzione industriale. Altri hanno come riferimento un’epoca molto più vicina, il 1945 quando Harry Truman lanciò le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A parte il gran numero di morti e l’enorme inquinamento, il lancio delle due bombe diede inizio al confronto tra potenze basato sul possesso di ordigni nucleari per ottenere i quali si effettuarono centinaia di esperimenti facendo esplodere atomiche sotto gli oceani e su atolli del Pacifico. A parte il fatto che non sapremo mai i danni conseguenti a un così gran numero di esplosioni, senza dubbio le esplosioni segnano un punto di non ritorno. L’effetto narcotizzante del progresso e relativi consumi hanno oscurato la coscienza di scienziati e governanti. La cultura e l’arte non sono più state un contropotere culturale incisivo. Le cosiddette rivoluzioni come il ’68 sono avvenute all’interno di un sistema da parte di soggetti che erano parte integrante del sistema, il cui obiettivo era una sorta di libertà solipsistica. Basti dire che uno dei movimenti che hanno inciso e incidono sui comportamenti sociali, il femminismo, nasce con slogan tipo “l’utero è mio e lo gestisco io”. Quindi non cultura, valori, visioni ecologiche, politiche di contenimento di uno smodato consumismo, nulla di tutto questo. Obiettivo primario e reazionario la libertà sessuale. Perché reazionario? Semplicemente perché tutti gli animali presenti sul pianeta hanno una totale libertà sessuale, l’uomo, per creare la civiltà ha dovuto contenere e regolare i suoi istinti primari. Tutto questo è stato ampiamente trattato da Sigmund Freud in molti libri, in particolare in “Il disagio della civiltà”, nel quale tra l’altro, egli sottolinea l’irrefrenabili impulsi sessuali femminili legati alla legge naturale della procreazione che, con la rivoluzione sessuale femminile è stato ridotto a puro edonismo animale. Oggi è sempre più evidente il disastro ecologico prodotto da un sistema economico radicalmente sbagliato. Tutto quello che sappiamo fare è creare piccole icone come Greta Thunberg che servono per lo più a scrivere libri, fare cortei, vengono usate, con estrema sfacciataggine, dal femminismo che indica in questa bambina l’ennesima eroina ad uso della propaganda sui media. Tra i principali problemi che ci troviamo ad affrontare è l’enorme diffusione della plastica che inquina e produce danni immani dispersa negli oceani finisce nello stomaco dei pesci causandone la morte e. in molti casi, finisce sulle nostre tavole nella carne del pesce. Ebbene colui che inventò la plastica, l’italiano Giulio Natta ricevette il premio Nobel per la sua scoperta nel 1963. Questo ci dà la misura della lungimiranza della scienza e della cultura.
Truismi e falsità dell’informazione.
Molto è stato scritto sull’informazione spazzatura. Fabbrica notizie non vere. Deformate a proprio vantaggio, ancor più subdola e ridondante l’offensiva dell’informazione inutile. Nel suo libro “Gente di domani” la Greenfield immagina una società in cui tutti sanno e vedono tutto di tutti. Essa fa l’esempio di una giornata al mare vista da altre persone le quali possono vedere Lei, il paesaggio, ma non sono in grado di dare un significato all’evento in quanto non possono percepire lo stato d’animo che dà significato all’episodio che quella giornata rappresenta. I nostri telegiornali sembrano preoccuparsi di questo aspetto. Non si limitano a dare notizie, ma vogliono suscitare emozioni. I criteri di scelta sono difficilmente comprensibili. La vittima di un omicida. Un incidente stradale. Un militare caduto magari per essersi sparato per errore. La videocamera non si limita a farci vedere la scena, il cui contenuto informativo è pressoché nullo, indugia sui battimani che accompagnano il feretro. Battere le mani a un defunto è un’abitudine quanto mai discutibile, tanto più che avviene solo quando il funerale si svolge in tv. Seguono primi piani di mamme piangenti, donne in preda a crisi di nervi. Chiedersi quale significato informativo ha tutto questo può apparire cinico, tuttavia la domanda meriterebbe una risposta. Il tg non ci risparmia la rassegna dei politici, nessuno escluso, siamo costretti ad ascoltare i loro truismi e falsità, oltre allo strazio a cui viene sottoposta la lingua italiana. Nel settore artistico vale lo stesso principio: non conta la qualità delle opere, ma la notorietà di chi espone.
Significato cognitivo.
La linguistica e la filosofia del linguaggio analizzano l’articolazione del lessico in ogni suo possibile sviluppo e articolazione. Quando una preposizione non è intellegibile? Quando l’enunciato è fortemente sgrammaticato. Ma è possibile che un enunciato sia corretto ma insensato. Noam Chomsky cita esempi di enunciati insensati: “linguisti morti fumano fabbricati”. Carnap cita la frase “La pietra sta pensando a Vienna”. Tutte frasi che corrette sotto il profilo grammaticale sono prive di significato. Sono possibili varie modalità di interpretazione come ha fatto Roman Jakobson, per arrivare alla conclusione che non è possibile attribuire un senso. Se adottiamo la stessa forma di analisi all’arte ci rendiamo conto che il linguaggio dell’arte può fare a meno dell’attribuzione di senso. La corrente DADA, la pittura Metafisica e Surrealista usano l’immaginario per sottrarsi alla logica del significato. Anzi ancora più l’arte fa a meno del significato perché pretende di creare una modalità espressiva sua propria. Abbandonata la mimesi, ripudiata l’estetica, l’artista pretende di far uso di una propria sintassi con totale capovolgimento di senso. Il ferro da stiro con i chiodi di Man Ray, la ruota di bicicletta di Duchamp, il quadrato nero di Malevich, sono alcuni esempi nei quali l’oggetto esibito è assolutamente reale ma il suo significato è oscuro, o meglio assente. La Pop Art segue questa tendenza concettuale quando presenta oggetti comuni, perfettamente identici agli originali usati comunemente e pretende di dare a questi oggetti lo status di opere d’arte. Qui potremmo aprire una parentesi, chiederci quale tipo di suggestione può indurre le persone normali ad accettare la proposta dell’artista.
La critica e la filosofia dell’arte si adoperano per dare senso a ciò che senso non ha ma non accennano ad una possibile suggestione. Se ritorniamo alle frasi sopra citate, potremmo dire che è come se venisse accettata come sensata la frase che Carnap usa per indicare il non senso, “La pietra pensa a Vienna”, con la determinazione di attribuire ad essa un significato. E’ vero che l’arte non ha ricadute sociali particolarmente significative, oltre al fatto che, protetta da un alone di misteriose motivazioni, tuttavia in misura minima incide sulla sensibilità collettiva, accreditando il diritto di cittadinanza del non senso, non fa un buon servizio alla cultura. In questo varco, creato dall’assenza di significato, entrano comportamenti, linguaggi, rappresentazioni spesso di assoluta banalità e pur tuttavia oggetto di studi ed ermeneutiche. In breve la cultura del non senso gradatamente permea di se la società ponendo le premesse per un surrealismo sociale che può riservare spiacevoli sorprese.
La barbarie dal volto democratico.
Nell’affrontare i temi relativi alla dialettica sociale si cade nell’equivoco di supporre che le nuove forme di dominio ricadano nelle vecchie categorie del passato. Ad esempio, quando si parla di quarto potere si pensa a stampa e televisione, il cinema viene considerato un mezzo di divertimento ed evasione. In realtà è proprio attraverso il cinema che si attua la più incisiva manipolazione delle masse. L’opinione pubblica sceglie in genere giornali e libri che considera più confacenti alla propria idea politica. Il cinema invece, essendo considerato un mezzo di evasione, entra in tutte le case tramite la televisione. Hollywood- Sodoma è il luogo in cui l’industria del cinema è più potente. Quando dico “industria del cinema” intendo in modo letterale. Le masse non sono più condizionate dalla miseria, ma dal consumo di beni superflui in cima ai quali c’è il cinema. L’abilità del capitalismo che gestisce l’industria del cinema consiste nel fingere di difendere le idee di democrazia e giustizia. In effetti il cinema potrebbe far molto per l’educazione delle masse. Un piccolo dettaglio: non si vedono mai i protagonisti lavarsi le mani prima di andare a tavola. Abbondano scene di sesso, più o meno spinto, che non hanno alcun rapporto con la narrazione filmica, sono solo un espediente per attrarre il pubblico. Il femminismo ha capito benissimo l’utilità di usare il cinema per imporre la propria ideologia. Questo avviene non solo nei film di un qualche valore, ma soprattutto nei filmetti proiettati a getto continuo dalla televisioni di tutto il mondo per miliardi di persone spesso prive di cultura e quindi di anticorpi. La predominanza femminile e il potere dei neri è costantemente presente. Il capo della polizia nel 67% dei casi è una donna, nel 43% un nero. I temi della emancipazione femminile sono il filo conduttore di quasi tutti i film, a volte in forma palese, altre volte occulta. Ma di quale emancipazione si tratta? Semplicemente di comportamenti, specie in ambito sessuale, simile ai maschi. Non vi è mai un sia pur tenue tentativo di “educare” al rispetto reciproco, o nell’indicare i valori classici femminili, al contrario i valori che si richiamano alla tradizione sono invisi al femminismo. Per questo l’emancipazione femminile consiste nell’adottare comportamenti maschili in termini di aggressività e spietatezza. Donne che fanno a pugni, che non esitano ad uccidere, che ricorrono a tutti i mezzi per raggiungere lo scopo che si prefiggono. R. Aron pubblicò nel 1965 “La classe comme représentation et comme volonté”, titolo che fa il verso a Schopenhauer (Il mondo come volontà e rappresentazione). Il libro di fatto anticipa “Modernità liquida” di Zygmunt Bauman. Il nodo del problema è che nella società liquida le scorie inquinanti non sono facilmente distinguibili e soprattutto filtrabili, anche perché intellettuali e media in quella schiuma liquida galleggiano benissimo. Nelle redazione di case editrici e giornali, le donne sono maggioranza come nella scuola, nella magistratura, nella avvocatura. Non vi è quindi nulla che filtri le scorie della comunicazione e della produzione filmica. La tesi di sinistra e liberal, uniti come mai nella storia, è: quello che conta è la libertà di scegliere,seguendo l’indicazione dell’economista Milton Fiedman che scrisse un libro con lo stesso titolo. L’inganno consiste nel fatto che in realtà le masse non sono affatto libere di scegliere dal momento che subiscono condizionamenti di ogni genere. Com’è noto vale per i condizionamenti ciò che si dice del diavolo la cui massima astuzia è di far credere di non esistere. Così i condizionamenti sono tanto più efficaci quanto più sono occulti e danno alla “vittima” l’illusione di libertà, di libera scelta.
Il corpo: uso e consumo.
Quando pronunciamo la parola “corpo” siamo consapevoli di tutti gli enunciati che essa implica? Il corpo può essere oggetto di apprezzamento estetico, erotico, può costituire espressione artistica, attiva o passiva, può essere spinto all’estremo in una prova di agonismo sportivo . Di certo il corpo è sempre passivo di fronte alla malattia, dal greco male habÎtus. Quando deve sottoporsi a cura o interventi chirurgici diventa un “oggetto” della scienza assolutamente inerte. Scrive Emil Cioran: “ A dire il vero non è la morte, è la malattia che temo, l’immensa umiliazione legata al fatto di languire nei paraggi della morte”. Il corpo subisce nel corso della vita una serie di mutazioni, anche radicali, e tuttavia è vissuto sempre come lo stesso corpo anche da coloro con cui condividiamo la nostra vita. Il corpo indica per definizione qualcosa di omogeneo. Si dice corpo docente, corpo di polizia. Quando si manifesta un difetto di funzionamento siamo sempre sorpresi, non valutiamo a sufficienza la complessità delle funzioni che avvengono sotto la nostra pelle. In che misura l’esibizione del corpo, per lo più femminile, in arte, esprime alcune delle caratteristiche che abbiamo elencato? Non ci troviamo piuttosto di fronte a esibizioni erotiche, sadiche, intimistiche che non contribuiscono affatto alla valorizzazione del corpo umano. Gli antichi maestri rappresentavano il corpo femminile nei suoi aspetti estetico - seduttivi. Per esempio fino al ‘700 la cellulite era considerata eccitante espressione di femminilità. Il femminismo, sostenendo di voler liberare le donne in realtà ha solo indotto a una quasi totale disponibilità femminile alla sessualità, ha cancellato come retaggio del passato gli aspetti di seduttivi che del resto sarebbe incompatibili con la disponibilità sessuale. Con la presuntuosa velleità di rappresentare l’irrappresentabile, si è finito per dare spazio all’aspetto passivo del corpo, nei suoi aspetti scontati e animaleschi, anche nell’attività sessuale in cui l’erotismo è spesso assente.
L’uso delle Immagini.
Il tema della iconoclastia ha una lunga storia che risale ai tempi di Costantino e Silvestro. Nell’impero bizantino nei secoli ottavo e nono ci fu una forte opposizione all’uso delle immagini,soprattutto nel culto religioso. E’ noto che la religione islamica non permette la raffigurazione del corpo umano e più in generale delle immagini sacre. Non c’è dubbio che se avessero prevalso gli iconoclasti non avremmo avuto il Rinascimento così come lo conosciamo. In ogni caso la diatriba sulla iconoclastia coinvolse anche i Lumi, Diderot scrisse; “ Amico mio se amiamo la verità più che le Belle Arti preghiamo Iddio per gli iconoclasti”. Tuttavia nel 1° volume della Encyclopédie che porta la data 1751, nell’articolo Arts redatto da Diderot vi è una lunga appassionata argomentazione sulle attività liberali, ma alla pittura, scultura, architettura è dedicato poco spazio. In un volume di supplemento, edito nel 1776 viene pubblicato un lungo articolo Beaux Arts, dello svizzero Sulzer, autore di “Teoria generale delle Belle Arti”, in quattro volumi. Nel suo articolo lo studioso elvetico affronta il tema sociale dell’arte anticipando di tre secoli Hauser, egli attribuisce all’arte una funzione politica, l’uso dell’immagine in funzione di autopromozione sociale, per ciò stesso esprime riserva sul tipo di sviluppo iniziato con il mercato dell’arte a partire dai Paesi Bassi. E proprio nella sua storia sulla secessione dei Paesi Bassi che Schiller tenta di attribuire alla plebe la responsabilità dell’iconoclastia per allontanare la responsabilità della Borghesia. Per Rousseau la pittura e la scultura erano strumenti di corruzioni, quasi un Talebano avantilettera. E’ sorprendente come tra i filosofi fosse acuta la percezione del possibile cattivo uso dell’arte, una sorta di profetica visione di ciò che sarebbe puntualmente accaduto. Paul Heinrich Dietrich d’Holbach lanciava un monito: “ Sotto un cattivo governo i capolavori dell’arte servono solo a decorare il sarcofago della nazione”. Goethe e Goya si preoccupano dell’ istruzione degli artisti e della loro capacità di rappresentare in forme incisive gli aspetti sociali e i comportamenti del potere, cosa che lo stesso Goya realizzò nelle sue incisioni.
Memoria e ideologia
Per lo storico dell’arte si profila un vero e proprio “hic Rhodus hic salta” nell’approccio alla storia dell’arte. Anche il campo artistico sarebbe soggetto dell’analisi politica in senso lato. Precisare certe date, confermare certe attribuzioni modifica l’apporto dell’arte nel contesto sociale in cui opera. Non si tratta solo di esaminare l’evoluzione del collezionismo dell’arte, stabilire da cosa è influenzato, ma piuttosto sarebbe necessaria una indagine e successiva riflessione sulle reali ragioni che determinano il cambiamento di contenuto del prodotto artistico.
Già Panofschy tentò una prima analisi del fenomeno della committenza, in quel caso egli risalì allo stile Gotico e all’ordine sociopolitico condizionato anche dalla filosofia scolastica che, per così dire, indirizzava le modalità di comprensione delle opere e il loro significato nel contesto socio-politico nel quale venivano realizzate.
La stessa posizione delle arti nel contesto sociale è di per sé una chiave di lettura che aiuta a chiarire il mutare dei rapporti tra artista e committente. Dimenticanze e riscoperte di artisti sono strettamente connesse alle suggestioni storiche. Per fare un esempio le opere degli artisti che operarono ed ebbero successo durante il fascismo, sono state tout court considerate spregevoli senza preventivo, approfondito esame di carattere tecnico contenutistico.
Per questi artisti il meccanismo della riscoperta sarà legato agli eventi storici e alla capacità dell’Occidente, soprattutto dell’Europa, di liberarsi dai paraocchi ideologici. Nonostante i suggerimenti di Walter Benjamin e Francis Klingernder vi è una ostinata resistenza a valutare l’arte nel suo valore di comunicazione sensibile indicati da Thimoty Clark P. Angrand, J. Lethève. La stessa ideologia priva di un vero contenuto culturale che inquina la cultura in generale, si riverbera con maggior danno sul mondo dell’arte. E’ paradossale che, nel momento in cui fior di intellettuali hanno come bersaglio il “populismo”, nei fatti la cultura in generale e l’arte in particolare, vanno esattamente nelle direzione di una cultura nazional-popolare intesa nei sui aspetti più deteriori.
Obsolescenza formale.
In “Critica della economia politica” Karl Marx analizza il sistema del simbolismo formale citando la mitologia della Grecia antica. L’interrogativo marxiano si può porre oggi sul confronto tra arte e tecnologia. Adolf Gὄller rilevava la stanchezza formale nel processo di obsolescenza a cui hanno contribuito le avanguardie storiche. Con la pretesa di modificare alla radice l’epistemologia dell’arte, hanno in realtà cancellato ogni riferimento simbolico, insieme alla basilare sintassi del linguaggio artistico. Per J.A. Hobson quanto più l’arte si affida alla tecnica, tanto più rapidamente si rende inespressiva e transeunte.
Il manipolo di artisti borghesi che hanno preteso di anticipare i tempi, si ritrovano a rincorrere la storia e il mercato. Per citare ancora Marx del “Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte” “Gli uomini fanno la storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze da loro scelte, ma nelle circostanze storiche nelle quali si trovano a operare” . Alle domande che avevano preoccupato gli uomini del XIX non è stata data risposta. Nel confronto tra “Arte e rivoluzione industriale” di cui ha scritto F.D. Klingernder, l’arte è stata decisamente soccombente, non solo ha modificato la propria ontologia, ma si è ritrovata a far da ancella al mercato esaltandone i prodotti. La Pop Art è stata esattamente questo: vetrina pubblicitaria per il consumo. Francamente fa rabbrividire la prontezza con cui l’Europa, l’Italia in particolare, si è piegata alle imposizioni del nuovi barbari, la cui potenza economica e tecnologica è servita ad incoraggiare il servilismo europeo.
Come in politica anche nell’arte i tycoons hanno preso il soppravvento. Se sono in grado di “acquistare” la White House, a maggior ragione detteranno legge nel mondo dell’arte nel quale la cultura non ha più diritto di cittadinanza.
La scuola come inutile intervallo.
Uno degli aspetti paradossali della contemporaneità è costituito dall’abisso tra il sapere e la sua ricaduta sociale. Credo che un’indicazione eloquente possa essere tratta dal linguaggio. Dal “ Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure”, “ Il linguaggio e la mente” di Noam Chomsky, “Mente, linguaggio e realtà” di Hilary Putnam, tre tra i moltissimi filosofi che hanno studiato e sviluppato teorie relative al linguaggio. E’ evidente che la ricaduta sociale di questa mole di studi è assolutamente modesta, soprattutto perché gli stessi docenti, in parte ignorano e in parte trascurano una disciplina importante come il linguaggio per il supporto che può fornire all’approccio della conoscenza generale. Senza dubbio tra teoria e prassi vi è il percorso necessario alla maturazione sociale che non consente l’immediata applicazione della conoscenza acquisita. Ma oggi ci troviamo di fronte ad una realtà molto diversa. Il progredire di studi nella disciplina linguistica, non frena il progressivo deterioramento del linguaggio corrente e, cosa più grave, la qualità della letteratura. Sarebbe interessante stabilire le ragioni di queste discrasie. E’ fuor di dubbio che il livello dell’insegnamento scolastico è strettamente correlato al livello culturale degli insegnati e docenti. In molti casi la scuola finisce per essere, non acquisizione di sapere, piuttosto una sorta di intermezzo, per certi versi legato a ragioni generazionali. In altre parole lo Stato ha stabilito che dagli anni X agli anni Y i giovani devono frequentare la scuola. L’imposizione dalla scuola dell’obbligo, per certi versi ha aggravato la questione, sia perché anche la scuola soffre del lassismo generalizzato nella società, ed anche perché finisce per dar l’illusione di un sapere approssimativo e raffazzonato, quest’ultimo aspetto si vede soprattutto nel linguaggio scritto e verbale. Prima ancora di trasmettere un minimo di sapere, sarebbe necessaria una propedeutica educativa fin dalle scuole materne. Cosa che non avviene. La conseguenza è una scuola come una sorta di limbo, un intermezzo di vita inutile, durante il quale si apprende male una cultura elementare e quasi per nulla formativa. Va preso atto che la scuola è costituita prevalentemente da personale femminile, il cui ben noto spirito di tolleranza fa si che coloro che dovrebbero formare i ragazzi di entrambi i sessi, siano più preoccupati di sollevarli da ogni impegno “gravoso”. Nei rari casi nei quali l’insegnate dimostra una certa severità, rischia di essere aggredita dalle madri le quali evidentemente non hanno alcun interesse all’educazione e apprendimento dei loro pargoli. La conseguenza è che, terminata la scuola dell’obbligo, gli allievi approdano all’Università, democraticamente aperta a tutti, incapaci di scrivere un testo di un qualche valore e senza grossolani errori. Ovviamente tutti sanno usare benissimo telefoni cellulari e PC, alcuni possiedono anche rudimentali nozioni d’inglese. Questo è, purtroppo, lo stato dell’arte della scuola italiana oggi.
Educazione dello sguardo.
I temi che riguardano cultura, arte, politica, più in generale la società spesso vengono affrontati nell’ottica di pregiudizi che finiscono per oscurare i punti salienti dei problemi. Panofsky parla di una società la cui formazione culturale è monopolizzata dalla scuola, per cui la scelta dei testi determina l’indirizzo, ovvero attua l’imprinting che resterà per tutta la vita. Ora, delle due l’una, o consideriamo l’azione dell’insegnante e del docente insignificante, oppure pensiamo che la personalità di colui/lei a cui affidiamo l’educazione dei nostri figli sia importante. Nel primo caso togliamo credito alla scuola delegittimando chi la gestisce e la rappresenta. Nel secondo caso dobbiamo prendere atto di una serie di problemi che incidono sul processo educativo. Per quanto riguarda l’Italia dovremmo innanzi tutto tenere conto che l’89,5% del personale della scuola e di genere femminile. Karl Marx affronta il problema nei manoscritti del 1844. Ma più di recente Pierre Bourdieu ha rilevato come un’analisi dei testi contemporanei scelti per la scuola permette di individuare il pregiudizio ideologico che caratterizza il percorso di studi. Quando parliamo di studi il riferimento è ad ogni livello scolastico. Così come nelle scuola secondaria e nelle facoltà umanistiche la scelta dei testi indirizzano il pensiero dello studente, altrettanto avviene nei licei artistici e nelle accademie dove i punti di riferimento maggiormente insistiti sono i protagonisti delle cosiddette avanguardie che, a partire dall’inizio del secolo scorso hanno monopolizzato l’attenzione della critica. M. Ozouf sottolinea l’importanza della storia della vista, intesa come capacità di “leggere” l’opera d’arte. Tema affrontato anche da Wὄlfflin nel libro “I principi fondamentali”. Lo stesso problema è affrontato da Antal nel suo libro sulla pittura fiorentina. Otto von Simson tratta invece il tema della utilizzazione politica delle immagini. L’insieme delle tracce che abbiamo esposto ci pone di fronte alla inevitabile non neutralità della cultura e dell’arte. Le aporie culturali condizionano l’ermeneutica critica e la filosofia dell’arte e lasciano ampi varchi concettuali che contribuiscono poco all’educazione visiva, quanto piuttosto ai condizionamenti commerciali che permettono di snaturare l’arte. Ecco dunque che non la cultura, ma la provocazione ha il soppravvento e il sostantivo arte perde significato. Non sarà facile liberare il mondo dell’arte dalle scorie lasciate dalle avanguardie. Il primo passo è che a partire dalla scuola si prenda coscienza della deriva che da almeno cento anni caratterizza arte e cultura.
Ripensare arte, società, cultura.
Osservando i diffusi fenomeni della cultura contemporanea, più in generale della politica e della società, ci si rende conto del fallimento della sinistra.
Ci fu un periodo, dopo la seconda guerra mondiale, durante il quale la sinistra ebbe una certa egemonia,consenso più potere. Il tracollo successivo avvenne anche perché fu abbandonato il pensiero di Gramsci il quale, a differenza di Lenin, non concepiva il potere semplicemente come conquista dello Stato, un colpo di forza che lasciava invariate le condizioni delle masse, con inevitabili ricadute negative che in effetti si verificarono. Secondo Gramsci era necessaria una capillare azione per l’educazione delle masse, in modo da renderle pronte, non tanto alla conquista del potere, che poteva attuarsi attraverso un colpo di forza, quanto prepararle alla gestione del potere. Meno fucili e più libri. Meno violenza, maggiore responsabilità. Libertà guidata dall’etica. In questa ottica si inseriscono le affermazioni di Gramsci: “Compiere il proprio dovere è un atto rivoluzionario”. Osservando la politica, l’arte, la cultura contemporanea siamo lontani anni luce dal pensiero gramsciano. La società è stata travolta da una vertigine di libertà irresponsabile che si traduce in un vuoto solipsismo edonistico. Nessuna distinzione tra destra e sinistra, entrambe accanite nella conquista del potere. Ci ritroviamo con una letteratura postribolare. Arte come mestiere redditizio esercitando il quale la cultura è un inutile ingombro. Gli intellettuali hanno prima tradito per assenza, (Il tradimento dei chierici di Julien Benda, del1927) poi per cinica strumentalizzazione del sapere. In pratica si sono posti nella condizione di utili idioti al servizio del capitale che esercita il potere come forza, non come diritto. Oggi assistiamo alla crisi delle istituzioni, al decadimento della cultura. E’ tramontato il concetto di élite che Mills mutua da Vilfredo Pareto. Forse, oltre alla lettura di Gramsci, la sinistra dovrebbe far propria l’affermazione di Lenin circa l’impossibilità di capire Marx senza prima aver studiato e compreso la “Scienza della logica di Hegel”.
A questo punto dovremmo aprile un capitolo su uno degli effetti degenerativi del capitalismo: il femminismo. Teoria raffazzonata a favore di un solipsismo edonistico che ripudia la ragione logica. La conferma in una pluralità di pubblicazioni tra le quali i libri di Carla Lonzi; “Sputiamo si Hegel” , “La donna clitoridea e la donna Vaginale”. Questi sono i frutti di una sinistra i cui “protagonisti” si sono ridotti a utili idioti della borghesia dalla quale sono indistinguibili e della quale hanno fatto propri pensieri e vizi. Restano le ceneri di Gramsci.
Interrogazioni sul tempo.
Le scoperte scientifiche sono potenzialità della natura che la scienza porta alla luce della consapevolezza. Come si costituisce l’ambiente che serve da sfondo a ogni atto di coscienza conoscitiva, il movimento gratuito e infaticabile attraverso il quale cerchiamo di ancorare le nostre fragili sicurezze. Spesso sulla realtà ci troviamo ad avere lo stesso atteggiamento espresso da Agostino che nelle Confessioni si chiedeva: “ Che cos’è il tempo?” e rispondeva “Se nessuno me lo chiede lo so benissimo, ma se dovessi spiegarlo non saprei”. L’approccio nichilista alla realtà può resistere solo se parla d’altro, se divaga. I filosofi che si dovevano chiedere il perché delle cose sono stati soprafatti dalle teorie scientifiche, sconfitti anche per eccesso di arrendevolezza. Però la pervasività della scienza si arena sulla escatologia Einstein si rese ben conto che “Dio non gioca ai dadi”. Heidegger al termine del suo percorso filosofico affermò “Solo un Dio ci può salvare”. Popper e Eccles, a conclusione del loro viaggio/confronto in “L’Io e il suo cervello” dovettero convenire che vi è qualcosa al di là della umana possibilità di conoscenza. Di recente Stephen Hawking il più grande astrofisico vivente, nel suo ultimo libro “La grande storia del tempo”, davanti alla domanda del perché l’universo sia dia la pena di esistere, quasi vacilla e tradisce la sua scienza cercando aiuto nella filosofia. Può darsi che la religione non sia necessaria, di certo è necessaria maggiore umiltà. Chi non ha abbastanza coraggio, e fantasia, per accettare la scommessa di Pascal, non trova certo risposte nell’esaltazione di ciò che regresso umano e materia.
Vertigine di libertà e nichilismo.
La modernità è prigioniera di paradossi, frutto della vertigine di libertà prodotta dalla deriva sociale a cui le scoperte della scienza hanno fornito strumenti e alibi lasciando immaginare che tutto fosse possibile. E’ stata trascurata l’interiorità che ispira le nostre azioni e che non può essere affidata ad automatismi, tanto meno ispirata da raffazzonate teorie sociali, quali il femminismo. Si è creata una situazione di stallo tra il possibile e il desiderabile. Per superare il problema del presente si è fatto ricorso ad alcuni filosofi del passato che sono all’origine del nichilismo contemporaneo, in primis Nietzsche. Masse sprovvedute e incolte, hanno creduto di poter veleggiare sull’onda di una impossibile autonomia libertaria che pesca a piene mani nel consumismo e in tutte le forme di mistificazione alienante. L’estetica estemporanea corrisponde al nichilismo, elaborato dal “pensiero debole”, e utilizza una distorta ermeneutica di Heidegger , il quale, al di là delle sue complesse e oscure narrazioni, si richiama pur sempre alla pietas e alla tradizione del misticismo estetico. Il pensiero debole, filosofia della dissolvenza etica, si è affidato ad una caotica extramorale in base alla quale abolendo dogmi e credenze si creano spazi per una libertà felice priva di consapevolezza. Le lontane radici del romanticismo irrazionale che approdano a Schopenhauer e alla sua illusione che la volontà sia fonte della rappresentazione del mondo. Le pretese dei filosofi dovrebbero essere temperate dall’ironia usata da Elmar Salmann il quale dopo un conferenza, per rispondere a obiezioni che giudicava pleonastiche, disse: “ Dio esiste e non sei tu, quindi rilassati”. Ma non pare che il suggerimento sia stato accolto. Sui media e nella editoria trovano spazio filosofi mediocri, esponenti del pensiero unico che hanno alle spalle un passato da extraparlamentari, una storia politica ricca di fallimenti e tuttavia insistono nel suggerire soluzioni che si richiamano a formule del passato e di esperimenti bocciati dalla storia. Quindi non si tratta tanto di ripristinare un minimo di senso etico, impresa improba di fronte a una società alla deriva, quasi totalmente femminilizzata, ma piuttosto,affrontare il tentativo di trovare un equilibrio tra le varie realtà sociali, prendendo atto che l’arte si è autoesclusa dal dialogo socio-culturale, in quanto gli artisti hanno scelto di prostituirsi al mercato. L’artista gode del rispetto dovuto a qualunque produttore di merci, svolge un lavoro ormai in gran parte codificato, apprezzato nella misura in cui diverte i collezionisti borghesi e appaga il loro feticismo. Per avere la misura del degrado in cui è giunta la società dell’occidente basti pensare che esiste un sito, denominato “Panty.com”, attraverso il quale si vendono mutante usate. Sarà difficile andare oltre.
Agonia del pianeta Terra.
Il limite nella ricerca dell’ottimo, è stato trattato da Wittgenstein, sintetizzato nell’espressione “va bene così”. Plinio racconta che Parrasio venne a gara con Zeusi il quale presentò dell’uva dipinta così bene che gli uccelli si misero a svolazzare sul quadro e tentarono di beccarla. Parrasio espose una tenda , dipinta con tanto verismo che Zeusi chiese fosse tolta e finalmente fosse mostrato il quadro. Accortosi dell’errore Zeusi concesse la vittoria a Parrasio. Oggi che l’assoluta fedeltà delle immagini è facilmente riprodotta con strumenti tecnologici, gli artisti rifiutano il verismo, salvo la corrente dell’iperrealismo che fa storia a se. L’abbandono della mimesi pittorica è però stata sostituita dal nulla retorico di una avanguardia che da quasi un secolo fa il verso a se stessa. L’ossessiva ricerca di originalità, è espressa dall’ossimoro “originalità di massa”, idee surgelate, pensieri prèt a porter per cervelli frastornati dal nulla. Sul piano socio-politico il “va bene cosi di Wittgenstein è integrato dall’espressione “non generalizziamo”. Un numero imprecisato di bovini e volatili muore avvelenato dopo avere bevuto in un ruscello nelle campagne laziali. Decine di bagnanti devono ricorrere alle cure del P.S. dopo un bagno nel mare prospiciente Genova. La peste dei polli e mucca pazza, conseguenza del cibo innaturale e improprio dato agl’animali, sono lungi dall’essere debellate. Passiamo dalla siccità agli allagamenti per via dello sconvolgimento prodotto al clima dall’effetto serra e inquinamenti vari. I ghiacci dei poli si stanno sciogliendo con preoccupante rapidità. Evidente l’agonia del pianeta Terra. Di fronte a tutto ciò gli scienziati dopo avere direttamente e/o indirettamente prodotto i danni, non sembra abbiano la soluzione a portata di mano. Così i luminari, e con loro i cantori del progresso ad ogni costo, filosofi e intellettuali, non sanno far altro che esortarci a “non generalizziamo, va bene così”.
Progredire verso il regresso.
L’innovazione che caratterizza la contemporaneità si manifesta anche nel rifiuto della memoria. I Cimeli del passato valgono soltanto per il valore venale che deriva dalla rarità dei singoli oggetti, non dai significati e i richiami alla storia che in qualche caso rappresentano. Il faticoso esercizio del pensiero sembra scoraggiato a favore di una sorta d’immersione nel presente, in un continuo “Carpe diem quam minimum credula postero” di Orazio. Si vorrebbe afferrare l'apparenza, si afferra il nulla L'evoluzione dell'arte è, per certi versi, paragonabile all’evoluzione organica per il modo in cui procedono gli artisti migliori che cercano modalità per esprimere se stessi con immagini suoni e storie Purtroppo questo comporta una certa tendenza solipsismo, specie quando si tratta di arte femminile,e di intimismo. L’originalità non è tutto, il valore culturale di un opera consiste nella capacità di narrazione, il senso profondo di forme del possibile che ci trasportano in una dimensione di partecipazione creativa. Noi siamo come siamo fisicamente e intellettualmente da circa 100.000 anni . In questo lungo periodo siamo passati attraverso esperienze che hanno gradatamente creato le condizioni attuali. Ma, così come abbiamo modellato la realtà nella quale oggi viviamo, non ci può escludere possa iniziare un percorso a ritroso. A giudicare da talune manifestazioni sociali e comportamenti diffusi, c’è da temere che il percorso a ritroso sia iniziato. L’ansia di andare verso il nuovo, contrasta con comportamenti che ci riportano all’età della pietra, epoca nella quale il sesso veniva praticato senza distinzione di genere. Il progresso dovrebbe consistere in un miglioramento di arte, linguaggio, comportamenti sociali. Difficile sostenere che tale processo sia in atto. Al contrario linguaggio, abbigliamento, forme di “abbellimento” del corpo con anelli al naso, piercing, tatuaggi ci riportano al passato remoto. Cultura, filosofia, arte, non sono state sufficientemente approfondite, quindi superate con forme migliori di espressione. A meno che non si voglia considerare come massima espressione dell'arte l’orinatoio di Duchamp, il barattolo di merda di Manzoni, fotografie seriali di Warhol, la rana crocefissa di Kippenberger. Ci troviamo nel vuoto di una cultura che rinnega se stessa, forse per complesso d’inferiorità nei confronti di chi ci ha preceduto. Non siamo guidati da un progetto, un pensiero raziocinante, riflessivo, che ci aiuti a modificare la realtà in meglio, non solo sul piano tecnico, ma, molto più importante, sul piano umano. La ragione senza volontà è inattiva. La volontà senza ragione e impotente. L’atteggiamento apodittico di molti intellettuali, politici, operatori sociali, non è segno di ottimismo nel progresso, piuttosto di cecità sulle reali conseguenze delle scelte che compiamo, accordando ampio spazio ad aspetti più reazionari e animali del nostro agire.
Non è solo una questione etica, in gioco c’è la stessa natura della nostra civiltà. E’ il caso di ridurre le provocazioni e concentrarci sulla riflessione. Solo in questo modo, forse, riusciremo a procedere verso un reale progresso sociale. Non dovremmo confermare ciò che scriveva del 1788 Nicolas Chanfort: “ Chissà perché ogni volta che si trasgrediscono le norme, non è mai per elevarsi,ma sempre per sempre più in basso” Questo purtroppo rimane vero oggi come due secoli fa.
Arte e matematica.
La ricerca della forma delle cose risale ai tempi delle antiche civiltà dei popoli sumeri, babilonesi, egiziani. Gli artisti contemporanei hanno compiuto una trasmigrazione concettuale. Dopo avere abolito estetica e bellezza, si sono orientati verso forme d'arte con pretese concettuali. Tuttavia, per essere attuato, questo passaggio, comporta un minimo di conoscenza della filosofia, in alcuni casi, della matematica. Non è sufficiente ipotizzare un’idea d’arte che possa potenzialmente esprimere un concetto, è necessario possedere gli strumenti culturali per dar concretezza all’idea. La scienza matematica è complessa, presuppone un minimo di approfondimento. Leonardo Pisano, detto il Fibonacci ideò una sequenza numerica a cui fece riferimento un’opera di Mario Merz. Il matematico francese Francois Viète (1544-1603) applicò per la prima volta in algebra notazioni simboliche abbreviate, tali simboli furono utilizzati da alcuni artisti tra i quali Kounellis. Gottfied Wilhelm von Leibniz (1646.1716) introdusse il termine di funzione nel calcolo infinitesimale materia sulla quale è in diretta concorrenza con lo scienziato inglese Newton. Bernard Bolzano (1781-1848) fu tra i fondatori dell’analisi matematica moderna, egli anticipò la teoria dell’infinito, oggetto di opere d’arte e saggistica. George Cantor (1845-1918) è stato il padre della teoria degli insiemi. Henri Lebesgue sviluppò la teoria dell’integrazione. L’elenco potrebbe continuare. Ho voluto mettere in evidenza che l’uso estemporaneo dei numeri attuata da artisti, in relazione alla evoluzione della scienza matematica non ha generalmente alcun fondamento logico. Nel caso di Roman Opalka, vi è un insieme di azioni nelle quali è inclusa una progressione numerica, l’opera per come realizzata può avere una valenza concettuale -estetica. Non pare che ciò accada con Mario Merz, Robert Indiana, Glenn Ligon. Quale risvolto artistico può avere mettere numeri su pietre come citazione del teorema di Fibonacci ? Tale procedimento è un espediente intellettualistico privo di significato che non comunica nulla. Alcuni artisti si sono richiamati all'algebra a cui è stata attribuita valenza estetica. Herman Miller dichiara: “la matematica scienza dell'infinito”. Resta che la comprensione dell'infinito è affidata a strumenti umani, cioè finiti. L’artista non possiede una epistemologia che gli consente d’inserirsi in questo complesso dialogo con la scienza. Un tempo c’era chi sosteneva che l’arte comincia dove la scienza si arresta. Oggi questo non è più vero, non solo per la modesta cultura degli artisti, ma soprattutto perché l’arte fa il verso alla scienza e alla tecnologia, ha rinunciato alla narrazione creativa e alla interpretazione del reale nelle forme che gli sono proprie. La diagnosi di Hegel sulla morte dell’arte trova riscontro nella realtà contemporanea che rinuncia alla metafora nell’incapacità di interpretarla. Affrontare le aporie della realtà e formalizzarle nella forma estetica è oggi particolarmente difficile, tuttavia se l’arte rinuncia al proprio lessico, si autoesclude da ogni confronto culturale, abdica a un effettivo approfondimento della materia sua propria per incapacità di collegare significati diversi in un processo che si affida soltanto alla estemporaneità.
Il rumore che ottunde.
Il popolo, disse spesso Hegel, non ha ancora raggiunto coscienza di quelli che sono i suoi veri interessi. Una recente ricerca di Alfred Tomatis sulla psicoacustica ha documentato la propensione per il rumore, musica ripetitiva tipica da certa musica rock. Gli happening di artisti sono spesso accompagnati di musica ritmica dal suono ripetitivo. E’ ormai abituale vedere persone per strada e sui mezzi pubblici con cuffie nelle orecchie, presumibilmente intenti ad ascoltare musica, ignari di quanto accade intorno a loro. Su un altro versante apparentemente diverso dovremmo chiederci: cosa spinge una massa sempre più ingente di persone all’uso di stupefacenti, alcol, pornografia? Ci troviamo di fronte a un paradosso. Da un lato emerge un sempre più accentuato antropocentrismo, contemporaneamente esaltiamo comportamenti e azioni che sfuggono ad ogni razionale comprensione. Nel libro “Logica del senso” Gilles Deleuze cita Crisippo: “ Se dici qualcosa, questo passa per la tua bocca; ora, se dici carro, un carro quindi passa per la tua bocca.” Questa affermazione verrebbe contraddetta dalle/dagli amanti del sesso orale. Le parole sono una pallida rappresentazione del reale, ma sono sufficienti alla manipolazione dei pensieri. Parlare di popolo si rischia di essere annoverati tra coloro che prendono le distanze dalla modernità, ma il popolo esiste, il “progresso” non l’ha cancellato, anche se sicuramente l’ha manipolato, rendendo sempre più problematica la presa di coscienza che Hegel auspicava. Il rumore “musicale” è anch’esso un segno di regressione verso il tribalismo, insieme a tatuaggi, piercing, capelli rasta, e altre manipolazione del corpo in senso tribale. Quale mai potrà essere il grado di consapevolezza per queste scelte che, pur essendo del tutto irrilevanti, costituiscono un sintomo dell’ agire senza consapevolezza, alla ricerca di una identità e originalità che si riduce all’aspetto estetico, in senso lato. Se noi dovessimo prendere per vera l’affermazione di Crisippo dovremmo essere stupefatti di ciò che l’usuale linguaggio di oggi fa passare nella bocca delle masse. Peter Sloterddijk racconta l’impossibilità di sfuggire alle nostre parole e allo stesso tempo l’incapacità di dare senso al nostro lessico nella forma chiara che ci consente di attuare il tentativo di collocare il nostro pensiero in un percorso che abbia un senso sufficiente. Spesso non siamo in grado di decifrare la realtà nella quale, nostro malgrado, siamo immersi e dalla quale non possiamo certo sottrarci con piccoli espedienti estetici.
Credere nell'impossibile.
Molti sono esponenti della logica formale tradizionale, citiamo i nomi meno noti: Sigward, Ueberweg, Lotze. Tra essi, Meinomg distingue fra giudizio quale fatto di pensiero e proposizione quale espressione linguistica , includendo il linguaggio dell’arte. Tale distinzione riveste un significato particolare in quanto la preposizione non tiene conto dell’atto in quanto tale. L’interpretazione di un certo atto o di un certo oggetto assomma forma e significato in modo improprio. Il momento di convinzione nel quale si asserisce qualcosa con pretesa di verità, è una specifica e peculiare forma di giudizio che però è carente di conoscenza e di partecipazione. Il giudizio affermativo o negativo attiene all’immaginazione, non ai fatti. Nella realizzazione di un’opera d’arte, l’artista agisce come una sorta di medium che si colloca tra realtà e immaginazione. L’immaginazione crea una realtà parallela e la interpreta nella sua forma essenziale e in un significato attribuito a priori. Può accadere che non sempre si sia convinti di ciò che si dice, che si facciano affermazioni in mala fede, oppure si argomenti sulla base di un principio a-logico, a ipotesi che corrispondono ai nostri desideri. In questi casi le preposizioni non esprimono giudizi, ma assunzioni. L’assunzione è il giudizio senza convinzione, ovvero espresso in un momento di suggestione. Nel campo dell’arte un esempio classico è la cosiddetta sindrome di Stendhal durante la quali lo stato mentale impedisce la valutazione di ciò che stiamo osservando. Casi in cui ci si serve di assunzioni come menzogna, involontaria sono frequenti in campo amoroso, nel gioco, nella rappresentazione teatrale, in opere narrative: in breve in contesti finzionali. Il linguaggio è, per definizione, lo strumento atto all’inganno. Meinong riconosce ai giudizi quali atti psichici un momento quantitativo, che si esprime con più o meno certezza. Spesso, pensiamo ancora al discorso amoroso, si preferisce fingere una comprensione che in realtà non corrisponde al reale. In “Frammenti di un discorso amoroso”, Roland Barthes, esprime bene la frammentata impossibilità,un dibattersi, un vagare in figure che rinunciano al possibile e si affidano all’immaginario. In “Logica immaginaria” Nkolaj Aleksandrovic Vasil’ev affronta il tema del linguaggio come espressione di realtà decettive che tuttavia hanno una loro plausibilità.
Hofmannsthal.
Quando nel 1893 Hofmannsthal scrisse il racconto “Giustizia”, aveva diciannove anni: il suo stile era già perfetto, una prosa quasi condannata alla maturità e alla limpidezza, dove risalta ogni minima crepa, come in certe mirabili tazze giapponesi che così vengono fatte perché la loro bellezza sia più naturale. In quel racconto appare un angelo, “uno degli snelli paggi di Dio”, e chiede al giovane autore, traendo il suo stiletto dal fodero: “ Sei un giusto?”. E, alla inadeguata risposta, ribatte: “ Giustizia è tutto, giustizia è la prima cosa, giustizia è l’ultima”. Si può dire che tutta l’opera di Hofmannsthal sia stata un tentativo di risposta alla domanda dell’angelo: la sua vertiginosa precisione estetica accenna sempre a quella “giustizia” come alla sua origine, secondo le parole di Gregorio di Nissa che Hofmannsthal pose a motto dell’intera sua opera: “ Egli, l’amatore della suprema bellezza, ritenendo ciò che aveva visto quasi un’immagine di ciò che non aveva visto ancora, aspirava a goderne l’originale medesimo”. E’ questo il sottointeso che vibra in tutti i racconti scritti tra 1893 e il 1913, in parte pubblicati postumi. Hofmannsthal raggiunse in questi racconti alcuni dei risultati migliori della sua arte, per esempio nella “Mela d’oro”, rimasto incompiuto. Hofmannsthal sembrava rifiutare l’appagamento a ciò che il suo genio naturalmente lo favoriva: chiedere la perfezione in una figura.
Artigiani e artisti.
Protagonista della storia non è stata la classe operaia o la grande borghesia, ma piuttosto i piccoli borghesi. Nel campo dell’arte come della letteratura e nella politica. Hegel e Kar Marx esprimono un giudizio negativo sulla piccola borghesia. J.J. Rosseau fece della volontà del singolo individuo la base della società, egli era figlio di orologiaio. Altri intellettuali dell’Epoca erano provenienti dal ceto piccolo borghese, Alembert era un trovatello allevato da un vetraio. Harpe allevato in un istituto di carità , Marmontel figlio di un sarto del villaggio, Chamfort era un trovatello, Beaumarchais era anch’egli figlio di un orologiaio. Il “Contratto sociale”di Rosseau non ha mai trovato applicazione nel governo di nessun paese, al più i suoi testi hanno ispirato talune tendenze sociali d’impronta pedagogica. “Emilio” e “La nuova Eloisa”, la cui carica escatologica si rivelò modesta. Dai tempi dell’antica Grecia all’800, l’arte fu appannaggio della piccola borghesia. Mentre letteratura e musica era prodotti esclusivamente del pensiero, l’arte comportava un lavoro manuale, come tale rifiutato da nobili e alto borghesi. Come scrive Max Weber in “Storia economica e sociale dell’antichità”, gli artisti in Grecia erano considerati alla stregua di medici, cantori indovini, appellati con il termine demiourgòs. La posizione sociale e la considerazione degli artisti prese l’abbrivio con l’avvento del mercato dell’arte che ebbe origine nei Paesi Bassi. La maggior parte degli artisti non ricavava di che vivere solo con la pittura. Gli stenti di Rembrandt e di Hals sono un fenomeno prodotto dall’anarchia economica verificatasi all’inizio dal mercato dell’arte. Van Goyen per vivere commerciava in tulipani, Hobblema era esattore, van de Velde aveva un negozio di telerie, Jan Steen Aert van de Velde erano bettolieri. In Italia il mercato dell’arte in pratica non esisteva ancora, gli artisti lavoravano per lo più su commissione. Tutti comunque appartenevano alla piccola borghesia sempre in fermento per la propria precaria condizione sociale ed economica, ma incapaci di prendere davvero posizione fino a quando la Rivoluzione francese del 1789 dette un forte scossone alla società del tempo e scatenò l’ira di una massa indistinta che sfogò nella violenza le proprie rivalse e il proprio odio. Fu un momento relativamente breve perché, prima Napoleone, poi la restaurazione ricrearono le condizioni di dominio delle èlite. Prontamente gli artisti dettero vita allo stile Napoleonico, detto anche Neo Classico. Jacques-Louis David e Antonio Canova furono tra i principali esponenti di quella forma d’arte che precede il Romanticismo. Abbiamo dunque la conferma di come l’arte segua i tempi e li rappresenti quasi sempre in omaggio al potere. Oggi viviamo in una società che Zygmunt Bauman ha definito “liquida”, gli artisti sono soggetti a una sorta di sbandamento socio- culturale, pertanto si limitano a seguire il mainstreem, sostantivo che significa “corrente principale” , detto in altri termini un conformismo che pretende di essere progressista.
La reificazione dell’arte.
Spesso è fraintesa l’affermazione di Hegel secondo il quale “Tutto ciò che reale e razionale”. I limiti della nostra percezione sono impliciti nel linguaggio che la esprime. Ogni percezione è necessariamente soggettiva. Il mondo dell’esperienza sensibile e della percezione, è il mondo dell’apparenza. L’essenza è al di sopra del mondo del sensibile. Per questa ragione Platone diffidava dell’arte che egli giudicava mistificante. Il sipario che nasconde la realtà interiore può essere sollevato dalla sola ragione. La certezza che deriva dai sensi riguarda solo gli oggetti. Ciò che è più importante non è visibile; pensiamo a: intelligenza, sensibilità, forza. Di queste realtà sono percepibili solo gli effetti. Hegel dimostra che possiamo conoscere la realtà solo superando il mondo reificato. La reificazione porta con sè l’alienazione che condiziona anche l’operare artistico. L’orientamento epistemologico riguarda l’arte come qualsiasi altra attività umana. L’artista può acquisire un sentimento di falsa sicurezza quando vi è assenza di conoscenza. La vera prassi invece presuppone conoscenza profonda e meditata. La critica d’arte è soggetta a un paradosso; presume di essere orientata al positivismo, quando in realtà si dilunga in una narrazione chiaramente dicotomica rispetto alla realtà dell’oggetto che pretende di definire. L’artista può tentare di avvicinarsi alla realtà solo se tenta di superare il mondo reificato. Con l’abbandono della epistemologia propria dell’arte, l’artista finisce per orientarsi verso modalità tecniche estranee all’arte. In questo modo l’arte diventa un messaggio freddo, secondo la definizione di Macluhan. Quando l’arte si sottrae al tempo storico e si limita a rappresentare le cose, diventa, come scrive Maurice Merleau-Ponty in “ Fenomenologia della percezione”, “l’esatta definizione della morte”. Ecco quindi che, ritornando ad Hegel, diventa chiara la ragione per cui egli ha decretato la morte dell’arte nella sua essenza reale. L’arte resta viva come metodologia produttiva di oggetti estetici, senza storia e senza significato.
Roberto Grossatesta: metafisica della luce.
Vescovo di Lincon dal 1235 alla morte, l’inglese Roberto Grossatesta (1168 – 1253) , fu ecclesiastico, filosofo, scienziato. Egli si dedicò allo studio della teoria della luce le cui radici risalgono alle religioni indo-iraniche e all’antico mito del dio Sole. Per il pensiero occidentale la teoria della luce si riallaccia da un lato alla tradizione biblica, la luce è il primo prodotto della creazione, dall’altro il pensiero platonico e neoplatonico greco, che nella luce simboleggia il movimento del soprasensibile nella sua diffusione ed espansione, di grado in grado, fino a disperdersi nel sensibile della materia. Fisica e metafisica. La corporeità della luce, così eterea e semplice, sembra rappresentare l’intermedio fra l’intelligibilità del pensiero e la materialità del mondo corporeo. Il tema della luce, già trattato da Sant’Agostino, viene ripreso da Grossatesta che lo elabora in connessione anche alla ripresa, già nel XII secolo, delle dottrine più esplicitamente neoplatoniche dello Pseudo Dionigi e nell’ambito della conoscenza sempre più diffusa della filosofia e della scienza arabe ed ebraiche medioevali. La metafisica neoplatonica della luce si apparenta a una cosmologia, come già in Sant’Agostino e nella sua esegesi della Genesi, e alle scienze fisico matematiche dell’ottica, della geometria, dell’aritmetica. Il risultato è la cosmologia del Grossatesta, originale accostamento fra la Genesi e il De caelo di Aristotele, ma anche, a differenza dello Stagirita, per l’impiego della matematica, alla maniera platonica. Il pensiero di Grossatesta è espresso con vivacità in una ampiezza tematica che abbraccia le conoscenze scientifiche di allora, la metafisica, l’antropologia, nei loro grandi problemi riguardanti la forma, la potenza e l’atto, la casualità, l’epistemologia, il libero arbitrio. Discipline e sviluppi che solo secoli dopo furono sviluppate e codificate a partire da Ruggero Bacone, Duns Scoto, Occam. Ignoto ai più, Grossatesta fu figura importante, e un precursore in molti campi.
La memoria del tempo.
La filosofia ha definito in modo diverso la percezione del tempo. Bernard le Dovier de Fontenelle scriveva:” A memoria di rosa, non si è mai visto morire un giardiniere” . Un modo leggero, tipico del ‘700 nel quale Fontenelle visse,di affrontare una questione cruciale. Scriveva Borges: “ C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’infinito”. L’arte e la narrazione di brevi vite racchiuse nei limiti del proprio sentire vengono spesso enfatizzate per dare spazio alla mente che non trova risposte, perduta nel pur breve tempo della propria esistenza. La matematica di Leibniz, osservò Brunschvicg, prevedendo l’esistenza di diversi ordini d’infinità e di diversi gradi di differenzialità, consentiva di raffigurarsi il reale nella forma consentita dalla approssimazione filosofica. L’arte faceva proprio Il tentativo di fermare il tempo dando una raffigurazione alla storia individuale e collettiva. Gregorio da Rimini, Duns Scoto e Baruch Spinoza cercarono una possibile risposta negli arroventati pensieri dell’oltre a cui Hegel cercò di dare una alternativa razionale. Prima di allora la curiosa intelligenza ribelle di Giordano Bruno aveva tentato una discorsività razionale nel dialogo in “De l’infinito” . Tuttavia i limiti della nostra capacità di capire è un dato difficilmente superabile. Cusano scrisse dei limiti della nostra ragione che cercava risposte prigioniera della “De docta ignorantia”. Di per sè il pensiero è libero, perché noi siamo in grado di pensare la contraddizione. L’aporia consiste nel fatto che facciamo della contraddizione una traccia che seguiamo senza saper imporci una sana autocritica. Il pensiero filosofico ha fatto balzi nei secoli alla ricerca di risposte che non verranno mai. Nel suo “Le parole e le cose” Michel Foucault traccia le linee essenziali dell’evoluzione del simbolo del tempo a partire dal XVI secolo. Egli suggerisce che uno dei primi capovolgimenti della visione cinquecentesca di un mondo solcato da innumerevoli moltitudini non fosse che il rifugio nell’immaginario religioso o nella pazzia come scrisse Erasmo da Rotterdam nel suo “Elogio della follia”. La contemporaneità non lascia immaginazione e spazio alla mente prigioniera di pressanti impulsi e facili illusioni, anche la pazzia è omologata in raggelante epistemologia. L’essere umano è sempre meglio analizzato e sempre meno capito.
Immagine interpretata.
Secondo Platone l’atto è preceduto dall’idea, cioè dal progetto. A partire dal Romanticismo,ha preso piede la bizzarra teoria secondo la quale un individuo, apoditticamente definito “artista”, ha una speciale prerogativa, ovvero una particolarità detta “ispirazione” . In base a questa facoltà si presume l’artista possa produrre opere, non solo sottraendosi ai condizionamenti, come è giusto, ma prescindendo da ogni cultura e conoscenza, possa quindi dare all’arte una propria definizione e forma. In questo modo si creano le premesse per stravolgere le modalità di produzione dell’arte affidata a fantasie senza fondamento. A questo punto gruppi che furono indicati come “avanguardie”, con l’appoggio di critici e filosofi dell’arte, decisero di abolire mimesi, estetica, bellezza. Tutto questo è stato reso possibile da più fattori. Innanzitutto la caduta in verticale del livello culturale generale a cui si affianca la crescita esponenziale del mercato del quale i dominus sono commercianti privi di cultura che hanno come controparte borghesi di pari livello culturale, amanti del kitsch. Tutto questo ha concorso a creare uno stravolgimento della produzione artistica nella quale ha parte preponderante l’invadenza e l’incultura degli Stati Uniti d’America. In Europa gli esponenti del mondo dell’arte hanno avuto una posizione ancipite, un occhio alle ideologie, l’altro al mercato. Sostanzialmente si è preteso di attuare una variazione del tema senza conoscere in modo approfondito il tema. La semplice differenza tra l’immagine reale dell’oggetto e quella teorizzata su fondamenti di negazione privi di riscontri. E’ questa la linea seguita dalla critica e filosofia dell’arte negli ultimi cento anni. In realtà solo l’immagine reale dell’oggetto esprime determinate proprietà. Da un punto di vista psicologico la logica formale può essere deviata dall’impressione senza preoccupazione di rispetto della legge di non contraddizione, ma in questo modo il procedere sillogistico crea una serie di incompatibilità tra predicati e forma. Vi può essere la convinzione di asserire qualcosa con pretesa di verità evitando, nel caso dell’arte, la verifica logica assumendo che l’arte deve essere sottratta a giudizi di merito e di valore. Questa teorizzazione non ha riscontro in nessun altro campo, e con questo espediente si sottrae all’analisi logica e fattuale. Questo stereotipo è stata accettato ed è entrato nell’uso comune.
Soggetti passivi alla omologazione.
L’arte è per definizione l’immaginazione che crea forme suggerite da sensibilità e intelletto. La radicale deviazione della gran parte dell’arte contemporanea consiste nella negazione di questo principio. Heidegger nel libro “ L’Epoca dell’immagine del mondo” scrive: “ Il tratto fondamentale del mondo moderno è la conquista del mondo risolto in immagine”. Ma sono immagini spesso turpi, guardiamo lo spettacolo delle città americane, specchio di una società il cui mito è l’immagine, ovvero l’apparenza, è confluito nel cinismo di una civiltà che si rassegna a tutto senza mai uno scatto di verità, di dignità. Clamorose contraddizioni assorbite senza reazione. Scriveva Nietzsche: “ E turandomi il naso sono passato con disgusto attraverso lo ieri e l’oggi”(Così parlò Zarathustra). In effetti l’industria culturale del XXI secolo ha ricreato fenomeni che si possono interpretare come un riannodamento all’antico livello di bestialità. Libri, spettacoli, film nei quali la conflittualità e la sessualità fanno la parte del leone. Così come il femminismo ha tentato di fare nell’arte plastica mettendo in primo piano l’idea dell’esibizione del corpo, spesso nei suoi aspetti deteriori. C’è da chiedersi se avesse fondamento il fatto che, intorno al 1900, in Giappone furono scritti libri sull’odore disgustoso degli europei. Oggi la messa in evidenza del corpo non trova limiti. Paradigmatica la pubblicità televisiva dei pannolini femminili che “non lasciano trasparire gli odori”. Non è un caso che tra le opere più citate dell’arte d’avanguardia ci sia l’orinatoio di Duchamp e i barattoli di merda di Manzoni. La latrina massmediale organizza, per citare Nietzsche “ la connessione degli odori”. Fu l’autore della Gaia scienza e della Genealogia della morale , dotato di ’udito e di olfatto molto accentuato, a rendere conto a se stesso della misura in una società moderna di massa e femminilizzata, abituata a esaltare secrezioni e miasmi che un tempo erano, per quanto possibile, racchiuse nella dimensione del privato. E’ una inevitabile consequenzialità del fatto che il sesso è parte preponderante nella cultura dello spettacolo, cinema, teatro, arte, televisione. La caduta del desiderio sprona l’indecenza e l’immaginazione perversa. Il mito della libertà totale ha cancellato ogni residuo di ingenuità a partire dall’adolescenza. La paura della propria incontinenza mentale e fisica crea vortici nell’anima. La serenità di criminali impuniti trionfa sull’atteggiamento filosofico, una possibilità che secondo i moderni De Sade, con il culto del criminale-artista hanno saputo mettere a frutto semplicemente ottenendone la omologazione. Secondo Ludwig Wittgenstein: “ L’idea da abolire, è un ego che abita un corpo” (Esperienza privata e dati di senso).
Dalla avanguardia alla maniera.
Nel VII libro (Zeta) della Metafisica Aristotele affronta il tema di sostanza e forma. “…a proposito della sostanza il “nostro” discorso mostra che la forma non si genera (non si crea) …”. La materia e costituita da cose, sassi, fuoco, legno, per la cui modifica occorre l’intervento dell’uomo. Per descrivere un opera si usa spesso impropriamente il sostantivo “creazione” . Lo scultore può produrre cerchi, sfere, cubi, figure umane. Egli usa materiale esistente in natura variamente forgiato. Nel realizzare la forma egli ha per riferimento figure geometriche o figure umane. Può anche scegliere di creare sculture informi o variamente plasmate. L’abilità dell’artista è nel dare forma alla materia imitando ciò che esiste o modificando la materia in modo informale. In quest’ultimo caso si pone il problema del significato come vedremo più avanti per l’arte astratta. In cosa consiste la “creatività”? Nel caso in cui l’artista si limita a realizzare manufatti prodotti industrialmente in forma di quadrati, cubi, parallelepipedi di grandi dimensioni l’intervento dell’artista è ancor più limitato. Discorso parzialmente diverso per la pittura. Anche in questo caso siamo in presenza di utilizzo di materiale esistente. Se si tratta di figurazione vi è il ricorso alla mimesi, mentre nella pittura astratta non vi è imitazione ma, come nella scultura a cui abbiamo accennato sopra, si pone il problema del significato. E’ possibile che la lettura dell’opera sia di tipo emozionale. L’artista manipola il colore creando effetti che possono avere un impatto emotivo, una impressione, quello che è stato definito “Espressionismo astratto” sul quale sarebbe necessario dilungarsi più di quanto sia possibile in questo contesto. In questo caso entrano in gioco le suggestioni derivanti dalla critica e dalla conclamata notorietà dell’autore. Le avanguardie dell’inizio del secolo scorso hanno realizzato opere il cui carattere è “ideologico”, nascono cioè da un idea per lo più con intenti di provocazione. L’arte concettuale invece tende a dare forma ad un concetto. Purtroppo questi procedimenti artistici sono quasi totalmente falliti per almeno due ragioni. Innanzi tutto non hanno avuto effetto provocatorio, tanto che quelle opere sono finite nella maggiori gallerie del mondo e nei musei. In secondo luogo sono state fagocitate dal mercato diventando oggetto d’investimento. Ma il fallimento maggiore è dato dal “successo” , ovvero tutta l’arte è diventata avanguardia, ogni spinta di provocazione di originalità è diventata maniera, accademia, prassi.
Il viaggio come metafora.
E’ noto che il viaggio può essere visto come metafora. Tra il ‘600 e ‘700 furono molti i personaggi che effettuarono il Gran Tour, viaggio di conoscenza e scoperte dell’Italia. Notissimo ciò che scrisse Goethe durante il viaggio alla scoperta delle bellezze paesaggistiche e culturali del nostro paese. Più di recente è stato scoperto il viaggio del controverso filosofo della perversione Donatien Alphonse marchese De Sade. Ma anche l’avventuroso poeta Byron visitò il nostro paese, così come Shelley. Il viaggio avveniva con la diligenza trainata da cavalli, per i solitari, direttamente in sella a un cavallo, per i più poveri a piedi o dorso a di asino. Il percorso era faticoso e avventuroso, costituiva un accumulo di conoscenza ed esperienza. La calma visione di paesaggi, di antiche rovine, incontro con persone diverse, sentieri, strade, borghi villaggi ognuno con una propria originalità. Oggi usiamo automobile, treno, aereo, abbiamo fretta di arrivare alla meta, tutto ciò che appare nel percorso lo guardiamo distrattamente o lo ignoriamo del tutto. Inoltre le città hanno perso la propria personalità distintiva,sono sempre più simili in ogni angolo del pianeta. Il pensiero unico, “liberale e progressista” esalta la globalizzazione, contro ogni evidenza nega la progressiva uniformità del mondo che rende pleonastica l’espressione “multiculturalismo”, visto che vanno scomparendo le differenze socio- culturali. La cultura e l’arte sono espressione di questo “nuovo” mondo, privo di originalità, spesso privo di significato. Le opere sono realizzate avendo in mente la massa di consumatori, la stessa massa che passa una notte intera in strada al freddo di dicembre per acquistare un paio di scarpe da ginnastica. Ciò che particolarmente colpisce è la mancanza di orgoglio nazionale. Ci si accanisce, con retoriche francamente insulse contro il “sovranismo”. Sentendo la retorica politica di Mattarella e compagni, viene in mente ciò che Karl Marx scrive nella “Ideologia tedesca”: “Dovremmo aiutare i retori a chiarire a se stessi il significato e l’effetto delle parole che usano”. Ai retori anti - sovranisti vorrei consigliare il libro di Ronald G. Witt “L’eccezione italiana” – L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento (800- 1300)”.Dal libro emerge in modo chiaro che la cultura non è una spruzzata di mondanità, di saperi pragmatici, di retorici richiami alla “Resistenza”, fatti di storia contemporanea travisati dall’ideologia. Cultura è qualcosa di più profondo sedimentato nei millenni, è la ricerca di frammenti di conoscenza che diano senso alla nostra realtà e umanità come andata formandosi. Certo non la si arricchisce disperdendola in un globalismo ottuso, condizionato soprattutto dall’economia, cioè dal bieco materialismo. Il nostro viaggio sembra finito nelle periferie di città entropiche dove viviamo infelici dimentichi del nostro passato.
Narrazione mitologica.
Le opere della pittura classica sono diventate estranee alla nostra realtà, non solo per la foggia dei vestiti, per i contenuti rappresentati, per la grande abilità pittorica dei maestri del passato, sono estranee soprattutto perché gli spettatori, e non solo il paradigmatico “uomo della strada”, non hanno una adeguata preparazione culturale che consenta di “leggere” il racconto dell’opera. Gli contemporanei “artisti” sono in maggioranza nella stessa situazione. Per avere conferma basta una visita alla Biennale in corso. Quando Raffaello dipinse l’opera denominata “La Scuola di Atene”, creava l’immagine di un mondo scomparso da circa due millenni. Non era pittura celebrativa, ma epidittica, richiamava valori culturali “laici” profondi, anche se i suggerimenti per la realizzazione dell’opera provenivano da dotti componenti della curia Vaticana. L’opera è stata studiata e analizzata da un gran numero di studiosi, filosofi, letterati, anche in epoca recente, sono stati scritti importanti saggi, così come è accaduto per molti altri maestri, Giorgione, Rubens, Rembrandt. Poussin nella sua opera “Et in Arcadia ego” tratta temi non certo a lui contemporanei, dipinge icone simboliche di un mondo situato tra mito e storia. La ricchezza di richiami alla cultura classica fa della sua opera argomento di riflessione sempre stimolante e attuale. L’opera “Las Meninas”, di Diego Velàzques, ha un’incredibile ricchezza di contenuti, allusioni multi- semantiche. La costruzione del quadro rivela grande sapienza pittorica tanto che davanti all’opera pare che Thèophile Gautier abbia esclamato “Dov’è dunque il quadro?”. La grande cultura era alla base delle opere dei classici, vituperati dalle così dette avanguardie. L’apodittica convinzione che la pittura sia inadeguata a rappresentare la realtà contemporanea, appare una deformata metonimia. E’ vero che la realtà di oggi è piatta, squallida, ma questo non esime dal raffigurarla, a condizione di “saperla vedere” in modo non superficiale, ovvero non in un’ottica solipsistica come fanno “artisti” generalmente poveri di fantasia, scarsa cultura, incappaci di rappresentare la realtà, di superarla, tutto ciò che riescono a fare è rappresentare le loro personali nevrosi. Non mi sembra esistono molti “capolavori” d’arte d’avanguardia che offrano spunti per approfondite ermeneutiche . L’artista contemporaneo, malgrè lui, riflette il vuoto che c’è intorno e dentro di lui.
Duchamp: cavallo di troia dell'arte.
Taluni comportamenti degli intellettuali italiani si spiegano forse con il fatto che in molti, nel rinunciare alle ideologie (la cui storia non è detto conoscessero così bene) hanno buttato l’acqua sporca dell’estremismo con il bambino della riflessione culturale. In questo modo sono venuti meno gli anticorpi, ed è prevalso il provincialismo culturale che, unito all’ansia di potere, ha prodotto e produce guasti enormi alla cultura e alla società. L’arte è stata una delle vittime di questa insipienza. Porre al vertice del ministero dell’istruzione un soggetto come Fedeli, un ministro dei beni culturali come Franceschini che, vittima del suo provincialismo, non trova di meglio che collocare ai vertici dei maggiori musei italiani personaggi di mezza tacca provenienti da Stati Uniti e da altri paesi. Tutto ciò è il sintomo del livello culturale del paese, perché entrambi i soggetti sono stati eletti, quindi costituiscono una scelta di una parte di italiani. Karl Marx in “Ideologia tedesca” scrive la celebre frase: “ Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti…”.Sostituendo il temine classe con “nazione” abbiamo il riscontro del dominio statunitense a cui l’Europa, in particolare l’Italia, sono proni. Ogni paese dominante per mantenere il dominio, presenta i propri interessi come interessi universali. Lo hanno fatto Bush, padre e figlio, Clinton, Obama, lo hanno fatto i precedenti presidenti statunitensi. Lo sta facendo Trump in modo ancora più rozzo. Gli USA per colmare il loro divario culturale, soprattutto in campo artistico, hanno usato tutti mezzi per ribaltare il significato dell’arte stessa. L’ azione è riuscita molto bene anche per la mancanza di dignità di gran parte della classe intellettuale e politica italiana. A partire dal 1968 è stato un progressivo declino della scuola, l’ignoranza ha caratterizzato la classe politica e intellettuale di questi ultimi decenni. Il vuoto prodotto dalle evidenti carezze sopraddette, ha reso l’Italia priva di anticorpi. La scopa di Rauschenberg, le grafiche seriali di Warhol, arrivano dopo che Duchamp ha presentato il suo orinatoio alla Stable, evento che ha riscosso il plauso dei critici statunitense ben lieti di aver trovato un cavallo di troia che rompesse l’assedio e dissolvesse i complessi culturali nei confronti dell’Europa. Così gli utili idioti delle avanguardie europee hanno lavorato per il re di Prussia in cambio di trenta monete e un po’ di successo hanno prostituito l’arte al capitale americano aprendo la strada al progressivo declino che non si vede come potrà essere arginato.
Allegro ma non troppo.
Un “divertissement”, un guizzo anarchico dell’intelligenza. Credo si possano definire così le pagine di “Allegro ma non troppo” nelle quali Carlo M. Cipolla abbandona gli austeri panni dello studioso e giocando sul filo del paradosso e dell’assurdo –ma non troppo – costruisce due brevi saggi che precedono di qualche anno le trilogia del Cretino di F & L . Nel primo saggio Cipolla formula una ilare parodia della storia economica e sociale del Medioevo. Nel secondo saggio delinea una teoria non troppo inverosimile della stupidità umana. Il problema è che tutti noi, chi più chi meno, ci comportiamo nella scelta e riflessione sugli argomenti come dal verduriere: scegliamo quello che ci piace e lasciamo il resto. Siccome a nessuno piace identificarsi nel cretino, ogni richiamo a comportamenti che ci qualificano come tali, viene attribuito a “gli altri”. In questo modo perdiamo l’occasione per meditare su noi stessi. Se così non fosse i milioni di libri con insegnamenti, teorie, esortazioni, avrebbero ottenuto un effetto migliore di quanto ogni giorno ci tocca constatare.
Considerazioni inattuali.
Invece di scrivere un testo vorrei citare un lungo brano di Friedrick Nietzsche tratto da “La nascita della tragedia”, sottotitolo “Considerazioni inattuali”. Scritto intorno al 1878, il testo a mio parere è in parte attuale: “ La brama di sperimentare qualcosa per sé stesso e di sentire crescere in sé un sistema coerente vivo di esperienze proprie tale brama viene stordita e come resa ebbra dal delizioso miraggio che sia possibile assommare in sé in pochi anni le esperienze più alte riguardevoli dei tempi antichi, è proprio nei tempi più grandi. E’proprio lo stesso metodo folle che mena i nostri giovani artisti figurativi nei musei e nelle gallerie invece che nel laboratorio di un maestro e soprattutto nell'unico laboratorio dell'unica maestra, la natura. Già, come se si potesse così, da frettolosi passeggiatori della storia, imitare il passato nelle sue abilità e nelle sue arti, nelle sue vere conquiste di vita! Già, come se la vita stessa non fosse un mestiere che deve essere imparato dalla base e di continuo, e che deve essere esercitato senza risparmio, se non vuol fare sbocciare acciarponi e chiacchieroni! Platone riteneva necessario che la prima generazione della sua nuova società (nello stato perfetto) venisse educata con l'aiuto di una forte menzogna necessaria; i fanciulli dovevano imparare a credere di avere abitato già tutti per un certo tempo, in sogno, sotto terra, dove erano stati impastati e formati dall’artefice della natura. Impossibile ribellarsi a questo passato! Impossibile opporsi all'opera degli dèi! Ciò deve essere ritenuto inviolabile legge di natura chi nasce come filosofo ha nel suo corpo oro, chi come guardiano , soltanto argento, chi come lavoratore, ferro e bronzo. Come non è possibile mescolare questi metalli, spiega Platone, così non sarà mai possibile spostare e confondere l'ordine delle caste; la fede nell'aeterna veritas di questo ordine è il fondamentale della nuova educazione e pertanto del nuovo Stato”. E’ chiaro che questo testo veniva scritto in un'epoca diversa, da un filosofo notoriamente portato all’eccesso, il testo va quindi reinterpretato avendo cura di rilevare gli spunti di verità che, essendo parte della natura umana, non sono legati a periodi storici. Certo oggi, epoca di effetti speciali, del conformismo e del cinismo, quando da tempo abbiamo seppellito la verità, ogni cosa è opinabile, o come si dice oggi “relativa”. Quello che scrive Nietzsche sui giovani artisti è esattamente quanto avviene oggi. Il mestiere di vivere, ripreso anche da Pavese, non è una scelta, ma una necessità in cui un sempre maggior numero di persone tenta di sottrarsi con il ricorso a droghe, alcol, sesso. Ma come è ben narrato da Bergman nel “Settimo sigillo”, l’appuntamento che abbiamo rimandato arriva. Solo la luce del cuore e dello spirito può rischiarare l’angolo di mondo nel quale il Fato ci ha imposto di vivere.
Autonomia del significato.
E' stato Hegel il primo ad affermare che l'autonomizzazione dell'arte dalla religione, alla quale è stata per secoli così intimamente legata, porta nella modernità a svuotare il senso dell'arte, a rendere in sostanza indifferente la scelta delle opere che ammiriamo.
Seldmayr considera l'autonomia dell'arte un principio "ascetico", addirittura "calvinista", mentre l'estetismo viene visto come qualcosa di sibaritico. Estremizzazioni. Certo abbinare arte e religione è procedimento troppo drastico e riduttivo. Tuttavia, nel momento in cui ci accetta che l'arte non abbia significato, si imbocca una china che porta agli esiti discutibili di autori contemporanei. La convinzione di alcuni addetti ai lavori, "l'arte è ciò che l'artista considera arte", solo apparentemente è basata su una tautologia logica, in realtà la preposizione è decettiva, non tiene conto del fatto che l'opera d'arte non è tale per designazione collettiva, ma viene imposta come tale da una ristretta cerchia di persone per ragioni mai nobili. Dunque la gran parte delle "opere d'arte" contemporanea, sottratte al giudizio di valore, al criterio di adeguatezza formale, non soddisfano nessuna delle necessità estetiche e di contenuto. A questo si aggiunga che la stessa denominazione di “artista” è apodittica. Chi può essere considerato artista? Chi ha frequentato l’Accademia? Ma allora che senso avrebbero le battaglie della “avanguardie” contro l’Accademia? La teoria della morte dell'arte, è ormai realtà. L'arte contemporanea è ridotta a simulacro privo di valore e di significato e trova nel mercato la sua unica ragione di essere. La critica ideologica di alcuni, per esempio Bourdieu secondo il quale l'arte pura è un trucco, un segnale sociale che si legittima da solo, sfiora il ridicolo. Tutta l'arte, "pura" e "impura", anche quella esplicitamente laida, finisce nei musei pubblici e nelle collezioni private. Edgar Wind ha sostenuto che l'arte è ormai spinta ai margini della nostra vita e non riveste più alcun serio interesse estetico o gnoseologico. Questo perché gli squillionari si avvalgono dei pifferai, impropriamente definiti critici, unitamente al massiccio ricorso a pubblicità e marketing. Questo sembra avere conferito all'arte una pervasività mai prima raggiunta. Di fatto l'arte è un prodotto il cui consumo è indotto senza essere guidato dalla compressione. A questo punto anche le vecchie teorie dell'arte per l'arte hanno perso incisività. Le tendenze formalistiche nella critica delle arti figurative ispirate dai teorici della pura visibilità, quali Eduard Hanslick, ignorano l'aspetto contenutistico. Forma e significato attribuiscono all'oggetto valore di simbolo. La retorica secondo cui "l'arte inizia là dove la scienza trova il limite" è continuamente contraddetta dai limiti che l'arte pone a se stessa rinunciando alla propria funzione, essere sintesi, simbolo, espressione, nella forma di linguaggio visivo teorizzato da Rudolf Arnheim.
L’arte non basta.
La credulità popolare è sempre stata oggetto di studi e ironie. Un tempo era motivata dall’ignoranza e dalla superstizione. Racconti tramandati di bocca in bocca, come la leggenda delle masche delle campagne piemontesi. Oggi, anche la credulità, come tutto ciò che ci circonda, è artificiosa, apparentemente colta si nutre di apodismi. Sulle pagine di cultura di un quotidiano a grande tiratura, leggo appunti di filosofia minima. L’ importante questione, la natura degl’esseri umani, argomento che è dibattuto da millenni, nasciamo buoni e siamo fondamentalmente cattivi, è liquidato con argomenti di assoluta banalità. La credulità assume anche funzione di nemesi. Dive del cinema e della musica, le nuove èlite, cadono vittime di abili ciarlatani, guru improvvisati che predicano improbabili filosofie di vita, scorciatoie per la felicità. Negl’anni ‘60/’70 erano trendy le filosofie indiane, oggi riscuote grande successo la versione riveduta e corretta della Kabbalah ebraica. Trionfa la new age. Anche il “sacro” e la “mistica", sono commercializzati, usati da imbonitori per estorcere denaro a VIP, e a dive credulone. D'altra parte una società in cui ogni nuovo romanzo di Harry Potter surclassa per numero di copie vendute qualunque testo di storia e filosofia fin qui pubblicato, non ci si può aspettare nulla di diverso. Forse gli esseri umani non sono ne buoni ne cattivi, semplicemente più stupidi di quanto si credono. L’uomo, come sostiene Merleau-Ponty, è un idea storica e non una specie naturale. In altri termini, nell’esistenza umana non c’è nessun possesso incondizionato, ma neppure nessun attributo fortuito. Tutto ciò che siamo, noi lo siamo sulla base di una situazione di fatto che facciamo nostra e che trasformiamo incessantemente con una specie di struggimento che non corrisponde è mai una libertà incondizionata. E’ ormai chiaro che a migliorare l’uomo la filosofia e l’arte non sono sufficienti. E’ ormai chiaro che non abbiamo la capacità e il coraggio di riconoscere i nostri limiti.
Nouveau Réalisme.
“IlSole24Ore” di oggi domenica 21 ottobre 2018 in prima pagina affronta il tema dei rifiuti. Un problema, scrive il giornale, che va aggravandosi ed è sempre più difficilmente affrontabile per tutta una serie di ragioni che sicuramente non mi interessano direttamente, se non per il fatto che il tema dei rifiuti è stato un tema dell’arte.
Più volte ho scritto che gli artisti, loro malgrado, riflettono quanto avviene nella società. E’ vero che l'arte, come ho scritto più volte, non anticipa i tempi ma li segue zoppicando. Quanto più l’artista è immerso nel presente, avendo annegato nella mondanità appagante ogni progettazione utopica, tanto più diventa egli stesso semplice riflesso del reale. Forse inconsapevolmente gli artisti cadono nella coazione di un meccanismo che induce a rincorrere la modernità. Una sorta di stritolamento ideologico e culturale prodotta dalla società contemporanea afflitta da coazione al consumo e superficialità.
La maggioranza degli atti artistici non hanno significato e importanza, ciò nonostante sono esaltati dalla oligarchia che domina il piccolo mondo dell’arte e soprattutto il mercato. Quando Pier Restany nel 1960 a Milano presentò il manifesto sul nuovo realismo, sembrava una trovata interessante, nuovo argomento di conversazione per i salotti milanesi. L’idea venne accolta con sorrisini, come sempre avviene nel bel mondo quando non si capisce di cosa si tratta. Restany ripete l’esperienza a Parigi nel 1961 con un altro manifesto, infine a Monaco di Baviera nel 1963. I protagonisti del Nouveau Rèalisme adottarono diversi sistemi di produzione artistica. Arman accumula rifiuti li inscatola. Jean Tinguely crea meccanismi perfettamente funzionanti, presentate dal mio amico Harald Szeemann alla Biennale di Venezia del 1975 con il titolo “Le macchine celibi”. Daniel Spoerri inscatola avanzi di cibo su una tavola apparecchiata. Cesar raccoglie carcasse di automobili e le comprime come fanno i rottamatori di auto. Tutto questo rientra perfettamente nella nostra civiltà dei rifiuti. La motivazione di questi procedimenti artistici di varia natura, viene definita : “'avventura dell'oggetto”, il superamento dei Dada e altre elucubrazioni cervellottiche. In realtà questa arte si limita a aspetti della civiltà il cui intento critico, se esiste, si tramuta presto in celebrazione, da parte di critici, gallerie, musei. Questi artisti di certo sono lontani dalla pratica di progressismo sociale che enunciano nelle loro dichiarazioni tematiche. Sanno scegliere con cura le gallerie in cui esporre, spesso sono umanamente sgradevoli, come, ad esempio Jean Tinguely che incontrai nella galleria di Bruno Bischofberger a Zurigo agli inizi degli anni ’70. Questa arte è razzista, ovvero discriminatoria, da un punto di vista sociale, sia perché intellettualistica, sia perché non accessibile al comune collezionista. Impossibile per l’uomo medio mettersi in casa una “scultura” di Tinguerly, se non altro per una questione di spazio. Allo stesso modo il mitico uomo comune non collezionerebbe rifiuti e avanzi di cibo. Siamo dunque in presenza dell’ennesima dimostrazione di snobismo e stupro estetico avvallata da una massa di squilionari, tanto dotati di denaro quanto privi di gusto e di cultura artistica, quello che Hermann Broch chiama l’uomo Kitsch, perché il Kisch non potrebbe nascere nè esistere se non ci fosse l’uomo-Kitsch che ama il Kitsch, che come produttore d’arte lo vuole produrre e come consumatore è pronto a comprarlo e pagarlo profumatamente. L’arte contemporanea si fonda sulla menzogna, conseguenza dell’assenza di etica, perché, come sosteneva Kant, non può esistere estetica senza etica.
Woodstock: dove la libertà perse l’innocenza.
Tra il 15 e 18 Agosto del 1969 a Berhel , piccolo centro rurale nello Stato di New York si svolse il Festiva di Woodstock, probabilmente la più grande orgia di sesso, droga e alcol della storia mondiale. Prima di allora c’era stata la rivolta studentesca del ’68 partita dall’Università di Berkeley. Fu durante la riunione di studenti di quella università che Jack Weinberg pronunciò la storica frase: “Non fidatevi di nessuno sopra ai quarant’anni”. Era nato il gap generazionale ed insieme ad essa la società che abolisce il pensiero a favore di cartoon e slogan. Gli studenti esponevano slogan come: “Una società che sopprime l’avventura fa sì che l’unica avventura sia la soppressione della società”. I ricchi uomini d’affari vedono i loro figli arrestati nel corso di droga party. La guerra tra generazioni abolisce le separazioni di classe e di razza, conduce alla rivoluzione da salotto. L’esplosione del femminismo distrae l’attenzione dalla cura dei figli e orienta alla ricerca del piacere. Non è che prima le donne americane fossero virtuose. I pigiama party nei drive-in risalgono agli anni ’50. Nella sua Autobiografia Malcolm Little, più noto come Malcom X, racconta che le femministe bianche frequentavano le sedi delle Patere Nere, di cui Malcolm X faceva parte, vennero cacciate dalle mogli dei neri perché avevano capito che il loro scopo era soprattutto far sesso con i loro mariti con la scusa di contrastare il razzismo. D’altra parte Malcom aveva iniziato la carriera come sfruttatore di prostitute bianche. Tra gli anni ’70 e l’inizio degli ’80 vi fu una vera esplosione nell’uso di doghe. Timothy Lear fu considerato il profeta dell’LSD, l’allucinogeno diffuso tra la gioventù statunitense. Vennero scritti molti libri per spiegare le conseguenze dell’uso di droghe. Solomon H. Snyder pubblicò “Farmaci, droghe e cervello” . Douglas R. Hotstadter e Daniel C. Dennett danno alle stampe “L’io della mente”. Ormai la massa di giovani donne e uomini sembrava avere perso il controllo sulla spinta della cultura Yippie. Le donne sono in prima fila. Virginia Baely fu fermata mentre esibiva un cartello con una scena erotica e la scritta:” La ninfomania è una virtù” . Nancy Rabbit fu cacciata a calci dal Folk Festival di Newport perché distribuiva volantini pornografici e la scritta:” Scopa la prima suora che incontri”. I cortei si susseguivano in ogni città con slogan come: “ Il palcoscenico sei tu/L’attore sei tu/Tutto è reale/Il pubblico non esiste”. La storia di quegli anni è fatta di molti episodi anche peggiori di quelli citati. La domanda è: cosa hanno fatto quei giovani quando sono diventati classe dirigente, politici, finanzieri? Ognuno può dare una risposta osservando la cronaca politica e finanziaria di questi ultimi 25 anni durante i quali ci sono state innumerevoli guerre, crisi economiche, l’inquinamento è cresciuto in misura esponenziale, le disuguaglianze sono cresciute enormemente. Era questo l’esito che i “rivoluzionari” ,donne e uomini giovani di allora avevano in mente?
Considerazioni sul concetto di tolleranza.
Tolleranza è un termine assolutamente ambiguo, come ambigui sono i comportamenti che al termine si richiamano. Un esempio di questa ambiguità è data John Locke il quale scrisse “Epistole sulla tolleranza” che contiene un significativo passaggio nel quale afferma che si deve consentire a tutti libertà di opinione e la possibilità di fare propaganda, esclusi i papisti, come nell’Inghilterra del 1689 venivano chiamati i cattolici. Le democrazie parlamentari dell’occidente si definiscono tolleranti , in realtà, come ha rilevato Rawls, hanno atteggiamenti censori quando assumono, spesso in modo apodittico, che l’avversario professa credenze incompatibili con la democrazia. Le femministe Usa hanno creato una sorta di sant’Uffizio laico denominato “politically correct” che si attribuisce titolo a giudicare anche il linguaggio, oltre ai comportamenti che non coincidono con il credo femminista. L’imperfezione degli umani non riguarda un solo genere, come Freud ci spiega in dettaglio nei suoi testi. Honorè de Balzac in “Papa Goriot” illustra bene le miserie umane così come in “La Commedia Umana” . Le democrazie dell’occidente indulgendo sulla tolleranza inclinano all’iniquità. Negli USA, sentina di tutto il peggio dell’Occidente, vengono pubblicate riviste nella quali si spiega come si acquista, si tratta e si inietta l’eroina. Su questo non ci sono state prese di posizione e cortei delle femministe, così come la pornografia è diventata consumo quotidiano. Dopo di che, gli stessi gruppi “libertari” si perdono in nominalismi. Dovrebbe esserci un limite tra far cultura e plagiare emarginati e minus habens. La tolleranza, che non ha regole, riguarda la politica che omologa i comportamenti devianti, ma anche la cultura è l’arte. I prodromi della degenerazione sociale in atto sono venuti proprio dalla cultura filosofica , letteratura, cinema. Hollywood, che un tempo era considerata la fabbrica dei sogni, oggi è Sodoma del XXI secolo, non è un caso sia in mano alle donne, come abbiamo visto con la concertata esplosione di “Me too”,altra scorciatoia verso il potere. Quando si parla di libertà sessuali femminile e della libertà di omosessuali di adottare bambini, ricorrendo anche all’utero in affitto, comportamenti che giudicare esecrabili è un eufemismo, ci si dimentica del tutto dei bambini. Si assume, more solito in modo apodittico, che possano, anzi che debbano accettare una situazione innaturale. Concludendo dietro il sostantivo “tolleranza” si nasconde cinismo e solipsismo senza limiti, duole constatare che in questa corsa alla degenerazione in prima fila ci sono donne, a conferma di quanto scriveva Nicolas Chamfort quasi tre secoli or sono. “Secondo i naturalisti, in ogni specie animale la degenerazione comincia sempre dal genere femminile” . Dello stesso autore: “ Chissà perché quando si violano norme e leggi, non è mai per elevarsi, ma sempre per scendere più in basso”.
Quindici anni di isteria culturale,politica, sessuale.
Il libro “Sette anni di desiderio” pubblicato da Umberto Eco nel 1983, contiene molti spunti interessanti, ma lascia anche trasparire una vena di razzismo culturale, in quanto le moltissime citazioni contenute in ogni capitolo temo non siano alla portata della gran parte dei lettori delle riviste sui quali sono stati in origine pubblicati. Ma non è questo l’aspetto meno positivo. Nel brano titolato “Cento bordelli” Eco fa dell’ironia sulla crescente propensione al consumo di pornografia e al linguaggio osceno. A me pare ironia fuori luogo. Di questo modo “leggero” di affrontare la realtà in divenire oggi vediamo le conseguenze. Ragazzine ansiose di esporre sul web le loro parti intime, o mentre compiono atti sessuali, che sono viste da milioni di persone. Il dilagare della prostituzione giovanile. Abbigliamento che un tempo si sarebbe definito sconcio mentre oggi è indossato per andare a scuola e finanche in luoghi di culto. Tutto questo in ossequio al mito della “libertà” e dei mitici “diritti individuali”. Ciò è iniziato dalla generazione di Eco, degli intellettuali “liberal” , tra loro molti insegnati e docenti. Su questo punto Eco tergiversa, ignora o finge di ignorare ciò che già allora, anno 1983, era evidente. Tra l’altro si contraddice clamorosamente. A pagina 59 sostiene che le elucubrazione di Radio Alice sono solo opinioni che non influiscono più di tanto. A pagina 81 ammette che anche esprimere opinioni, anzi pubblicarle e diffonderle via radio può far danno. La stessa può acceder, anzi è accaduto esaltando comportamenti “sessuali liberi” e linguaggio da trivio, Eco si guarda bene dall’accennare al femminismo e al rischio che l’impulso verso una democrazia irresponsabile portasse inevitabilmente all’abbassamento del livello culturale ed etico. Eco è stato a dir poco tollerante verso il fenomeno del ’68, quando l’occupazione delle scuole era pretesto per fare sesso. E’ in quegli anni che si è liberata la tendenza ludico/politica. Da da allora è stato un continuo crescendo. In questo tripudio di libertà ad essere dimenticato è il tentativo di giustizia sociale. Le statistiche ci dicono nell’anno di grazia 2018 che l’1% della popolazione detiene oltre il 50% di tutta la ricchezza, mentre il rimanente 50% va diviso sulla maggioranza della popolazione. Certo questo non preoccupa più di tanto gli ex sessantottini che hanno raggiunto solide posizione di potere e/o economiche. Ma davvero questo non era prevedibile dal brian trust di cui Eco faceva parte?
Natura e mito.
Dopo 25 secoli resta comunque valida la domanda: “A cosa serve la filosofia?”. Paradossale che la risposta possa venire solo la filosofia. Chi altri ha interesse a dare una risposta, e riproporre la tesi che solo la filosofia ci aiuta ad esercitare e liberare la mente. E’ davvero così? La filosofia concorre a dissipare i miti, tenere a bada i turbamenti dell’anima, consolidare la potenza di un pensiero chiarificatore. Ma questo è possibile solo se, e solo se, riesce a purgare se stessa e dare lucidità al proprio sguardo sul mondo, sulla natura. In “De rerum natura” Lucrezio sostiene che la natura si oppone al mito. Nel descrivere la storia dell’umanità, Lucrezio ci presenta una sorta di legge di compensazione indicando il mito come fonte delle molte difficoltà dell’uomo nell’affrontare la realtà di una natura che non è quasi mai rispettata. Per Lucrezio gli eventi che fanno l’infelicità dell’umanità non sono scindibili dai miti. Distinguere nell’uomo ciò che fa parte del mito e ciò che fa parte della Natura, e nella Natura stessa ciò che è necessario salvare oppure superare. Il mito è sempre espressione del falso infinito e del turbamento dell’anima, stati che il Naturalismo tenta di arginare. Ma il Mito è come un idra dalle molte teste ognuna delle quale contiene pensieri devianti. La modernità non crede nei miti, e tuttavia ne crea continuamente. Sono miti effimeri come le spurie teorie che li alimentano. Lo spirito del negativo si nutre di apparenza, rifugge dalla concretezza di un pensiero guidato dall’essenzialità di ciò che è vero. Il Naturalismo, secondo Lucrezio, è il pensiero positivo che rispetta la Natura e non inquina le menti. Pare che alla fine della sua vita Lucrezia sia diventato pazzo, in questo e in altri aspetti simile a Nietzsche che, attraverso altri percorsi, perseguiva lo stesso scopo. Forse la pazzia è stato un premio della natura perché chi l’amava, alla fine dei suoi giorni non fosse consapevole della sconfitta. Oggi dove mai cercheremmo la Natura nel devastato e devastante mondo nel quale la realtà è creata dalla tecnica e anche l’arte è l’ancella di mammona.
Frammenti di un discorso sull’amore.
Goethe, scrisse “Le affinità elettive” , diede forma di romanzo a ciò che effettivamente avviene in natura. Fracois Jacob nel libro “ La logica del vivente” , descrisse l’affinità naturale spiegando che quando si mescolano delle sostanze, queste non restano inerti, ma si spostano l’una con l’altra; fra corpi diversi si osservano delle relazioni che li fanno unire più o meno strettamente. Allorchè, scrive Geoffroy, due sostanze dotate di una certa disposizione a unirsi si trovano combinate insieme, se interviene una terza sostanza che abbia una più forte tendenza a unirsi con una delle due, essa si unisce facendo abbandonare la presa all’altra. La forza che lega in questo modo le varie particelle naturali si chiama “affinità”. Dunque tutta la poesia dell’amore parrebbe distrutta dalla scienza. In tema di sessualità i migliori umoristi sono i filosofi e psicanalisti. Nel libro “La logica del senso” di Gilles Deleuze il capitalo titolato “Sulla sessualità” è quanto di più sciocco un filosofo possa scrivere. La psicanalisi non è da meno, specie nel cote femminile. Melanie Klein, celebrata psicoanalista, si perde in elucubrazioni su Edipo in tempi in cui il padre è figura assente o secondaria. L’essere umano possiede intelligenza e volontà, può, in certa misura, resistere alla bruta legge naturale se sceglie di dare senso alla propria esistenza sottraendosi al determinismo della natura. L’abbandono di etica ed educazione ha invece portato alla regressione. Nel 1977 Roland Barthes pubblicò “Frammenti di un discorso amoroso” . Barthes non affrontò il tema dell’amore, o meglio lo affrontò sotto un’ottica particolare, forse anche perché era omosessuale, la semiologia dei comportamenti da lui descritta esclude la verità. Ciò si è dimostrato vero dopo la rivoluzione sessuale che ha ridotto la libertà, come è intesa dagli stoici, e dato spazio all’istinto. Oggi è impossibile affrontare il tema di un discorso amoroso; la realtà si arrende alle parole, “amore” è forse la parola più usurata e falsa. Nel 1755 Tissot scrisse un testo clamoroso per l’epoca, trattò dell’onanismo e altre abitudini sessuali. Sollevò il problema della inadeguatezza maschile nel soddisfare il desiderio femminile. Il femminismo trasse da ciò lo spunto per reclamare la libertà di cambiare partners con la frequenza che oggi conosciamo. Passività e maggior appetito sessuale femminile si traduce in supremazia. Il femminismo ha dato vita a una retorica levigata e fredda che tende a rendere superfluo il maschio salvo rincorrerlo come possessore di pene. Verso la fine degli anni ’50 in raduno di intellettuali Lacan disse:” Il desiderio per i greci è molto difficile” Nel commentare le affermazioni di Lacan nel 1984, Jean Paul Aron scrisse: “ Oggi il desiderio è reso impraticabile dall’esasperazione dell’offerta che travolge e annienta la domanda”.
Il fallimento dei cattivi maestri.
La contemporaneità, in assenza di valori di riferimento, pone sul piedistallo miti assolutamente effimeri. Levi Strauss ha rivelato realtà che svelano la quinta essenza di un patrimonio ambientale universale restituiti in un affresco fatto a loro dimensione. Libri nei quali, senza riguardo alcuno alla realtà. vengono scorticati frammento per frammento sotto i nostri occhi in un progetto di possessività esorbitanti e vengono costretti a sputare fuori tutto il mondo interiore, pensieri, economia, famiglia il desiderio, sciorinare sotto i nostri occhi le situazioni imbarazzanti che il nostro residuale istinto ci mette di fronte. Intimità dispersa nel vissuto sociale. Nel 1937 Roland Barthes diede alle stampe un libro dal titolo “Mithologies”, pubblicato in Italia dall’editore Lerici nel 1962 con il titolo “Miti d'oggi”. Barthes prende lo spunto dall’attualità di allora che già lasciava intravvedere la deriva verso la quale la società occidentale era avviata. L'economia, la famiglia, la libertà sessuale delle donne formano ormai l’aspetto caratterizzante della realtà sociale nella quale viviamo. Prassi, incoraggiata dai mezzi di comunicazione e dallo spettacolo, debolezze e vizi resi incoercibili. Le frenesie tenute a bada, fino alla metà del secolo scorso da un residuo di pudore borghese, oggi ha rotto gli argini, viene a profilandosi un quadro di pratiche e rappresentazioni normalizzate e rese ordinarie mano a mano che l’indottrinamento sociale attuato da media e nuovi “maestri” va ad effetto. Rifiutare il sapere, abbandonarsi al piacere. Ulisse avrebbe dovuto mettersi a ridere quando la sublime voce di Orfeo scatena la rabbia delle sirene e quando esse si indispettiscono a morte per non essere riuscite ad attirarlo nel loro covo. La realtà oggi ha superato di gran lunga ciò Barthes narra nei miti d'oggi. Siamo al punto in cui vengono scritti i libri che decantano il fallimento, lo considerano un valore della società contemporanea. Questa presa di posizione è legata al crollo politico-culturale della sinistra. Quando lo strabismo ideologico, arriva a valorizzare la resa, significa che non è più ipotizzabile un futuro per i giovani, almeno in Italia.”Elogio del fallimento” di Recanati non è certo uno stimolo un’indicazione di speranza per il proseguimento di un impegno culturale sociale che possa accrescere la dimensione umana e conferire motivi per i quali valga la pena di affrontare la difficile realtà del mondo contemporaneo. Il fallimento della sinistra lascia sul campo scorie di amoralità e devianze culturali dalle quali non sarà facile liberarci. La sinistra tenta di far coincidere il proprio fallimento con il fallimento della intera società italiana,che tuttavia conserva ancora brandelli di positività. Dopo 73 anni di lavaggio del cervello praticato dalla cultura della sinistra con tale efficacia che i giovani arrivano a battersi contro se stessi e non vedono il fallimento politico davanti ai loro occhi. Forse dovremmo fermarci e riflettere, tentare di escogitare possibili soluzioni per dare un senso e un futuro all’esistenza delle generazioni che verranno. Non sarà facile, tanto più perché i cattivi maestri non si arrendono al loro fallimento, vorrebbero usare la loro frustrazione per alimentare uno scontento sociale nella speranza che questo consenta loro di riconquistare consenso e potere. Cacciari, vecchio arnese della sinistra estraparlamentare, ha emanato un proclama contro i “populismi”. In realtà è un tentativo di lanciare un salvagente a una classe politica e culturale sommersa dai propri fallimenti.
Gli gnomi ignoranti.
Trasmigrata negli Stati Uniti l'arte cosiddetta bella, necessità di un mercato e quindi segue sempre il denaro. Sono stati i Paesi Bassi i primi a dare impulso al mercato dell’arte,molto prima che Parigi diventasse il fulcro dell’arte “moderna”. L'Europa, in particolare la Francia, si accredita come centro del nuovo sapere che seguiva e/o creava la modernità. Dallo strutturalismo, che fece propria la nota affermazione di Nietzsche “Non esistono fatti ma solo interpretazioni”, fino ad approdare al post-moderno teorizzato da Jean-Francois Lyotard. E’ lungo elenco dei maitre à penser che hanno monopolizzato la Sorbona e le altre istituzioni scolastiche francesi. Passata la “moda”, scopriamo che non ci sono stati mutamenti significativi nel panorama culturale e politico, anzi molte delle teorie degli strutturalisti hanno dato l’abbrivio al degrado nel campo culturale e artistico. Tra l’altro vi è stata la rivalutazione di Sade idolatrato da Blanchot. A partire dal 1945, ma soprattutto dalla sua scomparsa avvenuta nel 1962, il nume tutelare della cultura francese sembra essere stato George Bataill. Fu colui che dettò il new look universitario, una specie di santo patrono, tanto che gli venne mossa l’accusa di misticismo. Antonin Artaud si consola, per lui è come se la vita trovasse nella letteratura uno specchio della sua ripulsa. La cultura anziché liberare la mente l’ha bloccata tra due tentazioni; tentare di fare la storia per trovare in essa la serenità dell'esperienza,oppure chiudersi nel rituale settarismo degli intellettuali cedendo alla disperazione dettata dalla consapevolezza di avere ormai armi spuntate. La volontà di sapere si è arenata tra le parole le cose. Ciò che ha condizionato la cultura europea per un lungo periodo si è rivelato un fuoco fatuo prodotto dal narcisismo intellettuale che forse in parte condizione tutt’ora gli intellettuali. Infatti non c’è testo di filosofia che non citi i mostri sacri degli anni ’70. Michel Foucault e Jacques Lacan in primo luogo, il semiologo Roland Barthes e molti altri di quel periodo. Se volgiamo lo sguardo al campo dell'arte dobbiamo prendere atto del disastro immane che certe teorie, forse in parte fraintese, hanno prodotto. Penso a “Fenomenologia della Percezione” di Maurice Merleau-Ponty, che ha istigato a forme d’arte artisti privi della capacità di realizzarle. L’arte sembra ossessionata dal disordine. Panofsky sosteneva che la prospettiva è la forma simbolica di una ideologia che afferma il primato della ragione. Questo è incompatibile con la modernità che si affida al ludico, non come piacere, ma come vizio. La differenza consiste nell’incapacità di autocontrollo: subiscono la loro libertà. Abbiamo raggiunto, o forse superato il punto zero dell’etica. Siamo così dominati dal prevalere dell’apparenza, che anche l’architettura non ha più preoccupazioni di solidità e sicurezza, si basa prevalentemente sull’estetica. Il ponte di Calatrava di Venezia è un esempio. Anche per i musei conta più il contenitore del contenuto. Poco importa se case, ponti e strade crollano, ci sarà altro guadagno per gli gnomi ignoranti che si sono impossessati del pianeta suggestionando le masse attraverso l’ipnosi della libertà totale. Newton ebbe a dire che gli scienziati della sua epoca erano nani che si reggevano sulle spalle dei giganti. Oggi gli gnomi ignoranti non hanno questa umiltà, tanto meno nell’arte.
Notorietà e valore: Carneade
L’incipit del VIII capitolo dei Promessi sposi. “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra se don Abbondio seduto sul seggiolone..”. Il sofista greco Carneade, è così entrato nella storia della letteratura. Ma quanti carneadi hanno dedicato la loro vita a scrivere libri che ben pochi hanno letto. La convinzione che la cultura abbia grande influenza sulla società forse, nell’era di Internet, va rivista. A meno che per cultura s’intenda il trip del momento dei mezzi d’informazione che stranamente si avventano come mosche sempre sulla stessa m…a. La produzione di libri e la pubblicità che li accompagna, non ha, come scopo primario educare il pubblico. Piuttosto la cultura di massa va a traino dei fenomeni estemporanei e segue il gusto del pubblico. Esempio significativo in tal senso: i graffiti. Da espressione spontanea e gratuita di giovani marginali, sono diventati opere da museo pagate a caro prezzo. Radicato principio della democrazia moderna nella quale conta il numero, cioè la quantità, mai la qualità. Nicola Cusano definisce il sapere umano un sapere sempre confrontabile, mai reale. L’abbassamento del livello delle opere produce un effetto domino amplificato dai mezzi di comunicazione di massa. Il sostantivo “cultura” è usato come etichetta per attività e manifestazioni sociali di ogni genere. La “cultura” del cibo, la “cultura” della pipa, la “cultura” della droga. E così di seguito. In compenso la cultura senza aggettivi sembra diventata residuale. La lettura, esercizio solitario, richiede tempi di riflessione. La letteratura di evasione ha maggiore successo perché può essere letta in metropolitana.
Ansia
Quando siamo travolti dall’ansia di futuro, viviamo un esperienza di annullamento del presente. Tutto ciò che attiene alla nostra esistenza è “passato”. La cultura, tutta la cultura, è memoria storica. Parlare di futuro significa parlare del nulla, di qualcosa di cui non sappiamo come sarà, se sarà. Hume disse “ che il sole sorga domani è una mera ipotesi”. L’affermazione è ripresa da Wittgenstein nel “Trattato logico-philosophicus” nella preposizione 6.36311. Rende particolarmente spiacevole quest’ansia del nulla espressa dall’arte contemporanea. Essa registra e amplificata questo nichilismo deteriore, che è spreco di pensiero e fantasia, conoscenza approssimativa, segno del tempo. Erwin Panofski, cultore e paladino del gesto, studioso appassionato del disegno rinascimentale italiano, riusciva a leggere nelle opere d’arte un’infinità di significati, la cifra della sensibilità di uomini che non erano assillati dal progresso ma costruivano il futuro che noi stiamo vivendo.Il tempo esiste in quanto ho un presente. Nel presente ho la percezione del mio essere, il mio essere e la mia coscienza sono tutt’uno. Comunichiamo con il mondo perché comunichiamo con noi stessi. Siamo presenti a noi stessi per possedere il tempo. Non è un caso che il nichilismo contemporaneo assuma l’aspetto di fuga dalla realtà. Cioè da se stessi, non attraverso il sogno, il pensiero, neppure nell’arte si apre il varco verso l’oltre. Sono necessari additivi chimici per darci la forza di sopportare una realtà che non sappiamo vivere perché non sappiamo capirla.
Civiltà smarrita.
Nel 1970 Michel Foucault pubblicò “Le parole e le cose” il cui sottotitolo era “Un’archeologia delle scienze umane”. In realtà, sull’onda del disfattismo culturale di quegli anni, buona parte del discorso di Foucault era un’approssimazione ermeneutico del linguaggio, materia che è stata affrontata da una quantità di filosofi e che richiede un approccio cauto essendo per definizione materia in divenire. Più che gli aspetti tecnici del linguaggio,tema per specialisti, il linguaggio richiede un approccio diverso. Tommaso d’Aquino definiva la parola come uno specchio nel quale vediamo le cose. Il carattere peculiare di questo specchio è che i limiti coincidono esattamente con quelli della cosa. I primi anatopatologi sezionavano il corpo per cercare la sede dell’anima. E’ questo il limite delle tesi di Foucault. L’itinerario del pensiero travalica le cose, ed è la ragione per la quale in un’epoca in cui le “cose” , la materia sono predominanti, il pensiero s’inaridisce, si arena in una narrazione priva di idealità. L’immagine dello specchio ci rimanda l’imperfezione della parola come tale perché il pensiero che la ispira è privo di completezza. Il pensiero precede continuamente a nuove concezioni e non può mai raggiungere una completezza in nessuna cosa. L’origine del linguaggio è determinato dalla necessità di dare un nome alle cose. Ciò significa ordinare , dunque il linguaggio nasce in funzione di una regola che poi si estende all’intera comunità umana ed è base ed origine della civiltà. Ogni civiltà ha il suo linguaggio, quindi le sue regole. La metafora della Torre di Babele sta a significare esattamente questo: una società senza linguaggio, ovvero senza regole, piomba nel caos. La parola è il prodotto del pensiero, chi pensa la produce nell’atto stesso in cui pensa. Platone descrive il pensiero come un intimo dialogo dell’anima con se stessa. Siamo quindi distanti dalla materialità del presente. Il linguaggio, ancor che approssimativo e rozzo della quotidianità, dei media, della letteratura, non riflette pensieri si limita a nominare cose. Potremmo accostare la realtà del linguaggio verbale al linguaggio dell’arte, in primis la Pop Art, che ignora ogni forma di trascendenza per celebrare la materia, il consumo, il presente, gli aspetti più beceri di una civiltà che, priva di regole ha smarrito il senso di se stessa.
Semplificazione e significato.
Nel corso dei secoli si sono andate accumulando le forme di espressione scritta e verbale, ciò che abitualmente va sotto la denominazione di “cultura”. Assistiamo però a un paradosso. Nonostante l’accumulo, o forse in ragione dell’accumulo, andiamo sempre più verso la semplificazione. Non solo nel linguaggio comune, costituito da pochi vocaboli, con frequenti intercalari che mutano di volta in volta e vengono ripetuti all’infinito. Anche la letteratura fa ricorso a espressioni rozze, involute, con riferimenti sessuali non sempre necessari. Proviamo a immaginare cosa succederebbe se fosse applicata la boutade di Oscar Wilde “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto ad usarla”.
L’arte partecipa al processo di semplificazione in molti casi lo anticipa. Le opere di Malevic e altri suprematisti russi ne sono un esempio. All’inizio delle avanguardie, dell’astratta, molti artisti ritennero necessario spiegare le ragioni delle loro scelte. Così Kandinskij, Mondrain, Malevic. Con l’andare del tempo e l’accumularsi di opere degli epigoni, le spiegazioni non apparvero più necessarie. Ebbe inizio la sovrapposizione verbale tra opere e critica. In molti casi si ebbero esiti contradditori. Si leggono ampi saggi critici relativi a opere delle quali è arduo scorgere il nesso con il sostantivo”arte”. Di recente, occasione dei mondiali di calcio in Corea, al calciatore coreano che ha fatto vincere la squadra sono state colorate la piante dei piedi per trarne impronte colorate. Vendute a caro prezzo sono andate a ruba.
Un caso limite della confusione e del paradosso che si esprime nella cultura contemporanea con accumulo-semplficazione. Siamo lontani anni luci dallo stile dei pittori del rinascimento indagati da par suo negli Studi di Iconologia di Erwin Panofsky. Egli portava alla luce temi umanistici contenuti nelle opere dei pittori. Riferimento storici, religiosi, sociali. Nulla del genere e reperibile nella produzione contemporanea. Le cosiddette avanguardie storiche compirono una azione di rottura, non senza chiedersi quali sarebbero state le conseguenze. La loro azione partiva quasi sempre da una solida cultura classica. Quando Martinetti dichiarava “La guerra è l’igiene del mondo!” Citava Polibio che si pose il problema dell’ascesa e declino degli Stati, individuando, secondo una visione stoica della storia nella diffusione del benessere generalizzato, nel venir meno del “metus hostilis”, della paura del nemico, l’origine della decadenza dei popoli.
La conoscenza umana può avanzare solo cautamente, un passo dopo l’altro. La realtà noumenica ci sfugge. La storico francese Henri-Irénée Marrou in un suo saggio racconta un aneddoto. “Mi trovavo sulla sommità di una roccia, posto in alto sulla riva di un lago alpino, seguivo i tentativi di un pescatore: scorgevo brillanti nell’acqua cristallina le belle trote, che egli agognava dalla riva, muoversi lontano dalla sua canna troppo corta:” Egli trae la conclusione. “Una cosa del genere accade spesso: i mezzi limitati di cui disponiamo non ci permettono di raggiungere ciò a cui miriamo”. L’arte il cui sviluppo sta tra conoscenza e intuizione, ha bisogno per esprimersi di riflessione. L’artista dovrebbe “vedere” le trote senz’ansia di catturarle ma rallegrare con la loro elegante argentee bellezza quante più possibili persone. Spesso l’artista si comporta come colui che ha fretta di catturare le trote per portarle al mercato e ricavarne denaro.
Il parroco di campagna che anticipò Marx.
Ci sono personaggi che la grande storia ignora nonostante abbiano anticipato idee il cui sviluppo ha caratterizzato lo sviluppo della civiltà. Uno di questi individui è sicuramente Jean Meslier, un oscuro parroco di campagna nato nel 1664 a Mazeny nelle Ardenne, Francia. Costui scrisse per tutta la vita una sorta di diario che era l’opposto assoluto della sua scelta religiosa e della vita che conduceva. Egli svolse un’analisi materialistica e razionale della società che di fatto anticipò di due secoli le teorie, ovviamente approfondite e divulgate da Carlo Marx. Forse gli scritti di Meslier sarebbero rimasti sconosciuti se il suo Testamento non fosse stato pubblicato su iniziativa di Voltaire nel 1764. Al di là del contenuto rivoluzionario degli scritti, non va dimenticato che era ancora l’epoca dell’assolutismo regio e del potere temporale della chiesa di Roma, pertanto lascia sconcertati che un parroco di campagna abbia potuto per tutta la vita ubbidire a regole ecclesiastiche e sociali che considerava profondamente ingiuste, recitare ogni mattina la messa essendo ateo. Meslier non sarà vittima della congiura del silenzio come avverrà più tardi per Morelly e Dom Deschamps, e di feroce critica come Mably e Rousseau, tutti intellettuali fortemente critici nei confronti della società del loro tempo. Meslier verrà usato strumentalmente da Voltaire e d’Holbach in funzione anticlericale, nonostante le sue tesi fossero estranee all’ecumenismo dei Lumi. Fu significativo il dibattito che si sviluppò anche tra i chierici che in qualche modo erano integrati nelle strutture istituzionali del potere. Non vi era alcun riferimento chiliastico negli scritti di Meslier, ma piuttosto un dura e motivata critica sul sistema di potere economico e politico che può a tutti gli effetti, fatti gli opportuni distinguo, considerarsi anticipatrice del materialismo storico.
Un futuro robotico.
Il linguaggio è strumento di conoscenza ma anche d’inganno. Non a caso Platone fondava la sua critica contro le argomentazioni sofistiche, non in modo logico, ma in modo mitico. Ciò è significativo dell’ambiguità che egli vede nel logo. La cultura artistica ci tramanda esperienza traendola dalla determinazioni della storia. Le orde avanguardistiche contestano ciò che in realtà non conoscono, conoscenza intesa nel senso di comprensione. Il sostantivo arte include storia e sapere, il cui rifiuto è dettato da ignoranza. Già Dilthey rimproverava agli empiristi carenza di cultura storica, cioè la base stessa di un sapere che può evolversi attraverso, non il rifiuto, ma l’approfondimento. Anche nel percorso di approfondimento delle forme in cui l’arte si evolve, si utilizza, per ragioni di pragmatismo utilitaristico, il metodo della scienza. Tale metodo consiste nell’oggettivare l’esperienza al punto che in essa non agisca più alcun elemento di storicità. Non solo la produzione artista si avvale di strumenti tecnologici, ma si affida a critici e filosofi per l’attribuzione di significato alle opere. Questa dislocazione epistemologica è una delle ragioni che ha determinato il prevalere dell’industria statunitense dell’arte. Anche se le avanguardie hanno avuto origini in Europa, l’impulso maggiore è di matrice statunitense, in quanto libera dai condizionamenti di una cultura millenaria che costituisce il DNA della civiltà europea. Per gli USA la cultura antica è semplicemente un’aggregazione psicologicamente neutra. L’esperienza culturale non consiste soltanto nell’acquisizione di sapere. Ciò è possibile nelle grandi biblioteche pubbliche e delle Università americane. L’esperienza culturale vera è costituita da qualcosa che si respira nelle città storiche, nella miriade di piccoli borghi millenari di cui è disseminata l’Europa. I Palazzi nei quali si è stata creata la storia, le piccole chiesette di campagna, le maestose cattedrali nelle quali si formato lo spirito europeo, con buona pace delle ignoranti vichinghe del nord Europa che pretendono di annullare la storia adattandola ai lori pruriti di libertà sessuale. La pauperizzazione della nostra cultura millenaria crea le premesse per la soverchiante presenza statunitense che impone il proprio rozzo consumismo utilizzando la martellante propaganda di cinema, tv, letteratura. Com’è possibile che in cima alla statistiche dei libri più venduti ci siano prevalentemente autori americani? Il dubbio che ciò sia dovuto, come nell’arte, al potenziale economico degli USA è legittimo. Parafrasando Carlo Marx “le idee dominanti sono le idee della nazione dominante”. Si attua un pregiudizio sulla reale natura sociale e ci si avvia a un futuro tecnologico che vede il ridimensionamento del fattore umano a vantaggio della tecnologia.
Da Apelle a Warhol
Nel continuo borbottio che è oggi la cultura contemporanea, pare emergere una asettica accettazione della kantiana “cosa in sè” avversata da Hegel. Dove la cosa in sè si riduce a una serie di icone prodotte da chi, dopo aver messo in discussione i cosiddetti stereotipi della cultura e dell’arte, li ha semplicemente sostituiti con riferimenti iconici di basso profilo. Il profluvio di articoli e libri sull’arte sembrano seguire la coazione indicata nella “Colonia Penale” di Kafka che consiste nel continuare a parlare laddove nulla si può dire, così capovolgendo il monito di Wittgenstein. Il linguaggio dell’arte, un tempo detta figurativa, non sembra essere in grado di esprimere la propria narrazione. L’artista che intende imprimere il proprio segno sulla tela da sempre si affidato a una certa casualità. Si narra un aneddoto sul pittore Apelle, il quale, frustrato dalla impossibilità di dipingere la schiuma che usciva dalla bocca del cavallo rappresentato nell’opera che stava realizzando, al culmine dell’ira, gettò la spugna intrisa di colori contro il quadro incompiuto, ne ottenne con stupore l’effetto desiderato. Ecco dunque che le riflessioni logico-dialettiche sono spesso del tutto immaginifiche. L’idea espressa da Gadamer che l’arte esprima un attimo di verità andrebbe forse riconsiderata alla luce del caso che ha una parte non secondaria nella creazione artistica come nella scienza. La filosofia della natura e la biologia contemporanea hanno ampiamente dimostrato quanta parte abbiano il caso e la necessità come recita il libro di Jacques Monod pubblicato nel 1970. La voragine del non senso travolge anche Hegel. In un recente libro pubblicato da Einaudi, si arriva a ipotizzare che Hegel abbia in qualche modo profetizzato l’avvento di Andy Warhol, il celebre grafico pubblicitario, considerato dalla critica d’arte un artista.
Genio da supermercato.
Nella tradizione ermeneutica e iconografica più antica, che la metodologia postromantica ha completamente dimenticato, il problema della epistemologia dell’arte che aveva una precisa collocazione nell’esame degli sviluppi della produzione artistica. L’ermeneuti casi articolava mediante la distinzione tra una subtilitas intelligenti, cioè il comprendere, e una subtilitas explicandi, ciò spiegare. Per quanto possa apparire sottile la distinzione, in realtà si tratta di operazioni mentali su due piani diversi. J.J.Rambach aggiunge la subtilitas applicandi, quella che dovrebbe riguardare l’opera dell’artista che, dopo opportuni approfondimenti ,su senso e segno realizza l’opera. Questi tre momenti costituiscono il percorso di conoscenza, pensiero, azione. Secondo Erwin Panofsky:” La ragione è più vicina all’anima inferiore; coordina le immagini fornite dall’immaginazione secondo le regole della logica”. Ma la materializzazione dell’arte si affida a metodi che non hanno la minima attenzione alla facoltà che esige finezza dello spirito. Il senso di questo procedere rozzamente materialistico ha come conseguenza di porre l’attenzione, nella migliore delle ipotesi, sulla perfezione formale. Su questa base è del tutto impensabile ripristinare il concetto di opera d’arte nelle forme e modi teorizzati da K.Ph. Moritz, Goethe , Shopenhauer e tutta la vasta schiera di filosofi che hanno coltivato un idea “alta” di ciò che si iscrive sotto il sostantivo “Arte”. Per Kant e gli idealisti l’opera d’arte si definiva come opera del genio. Se questo vale ancora oggi, il genio dovrebbe essere cercato nei supermercati, intento a promuovere il consumo di zuppe industriali e pagliette di ferro per pentole. Occorre davvero molta immaginazione e altrettanta ignoranza per accettare questa realtà. Come conferma l’elezione di Trump gli statunitensi sono ampiamente dotati di entrambe.
Cultura e potere femminile.
Il pensiero unico mette in primo piano femminismo,immigrati, omosessuali. Un Governo viene giudicato in base al numero di donne che include. La scena internazionale da mesi è occupata dalle denunce di molestie. Il Festiva di Cannes ha visto un'altra manifestazione di potere femminile. In questi giorni, cercavo informazioni su Art Basel , ho scoperto che tutti i referenti sono donne. Fame nel mondo, criminalità e uso di stupefacenti da parte dei minori abbandonati a se stessi, situazioni drammatiche di salute e povertà degli anziani, crollo delle nascite. Tutte questo è appena accennato dai media. In questo momento i tg e giornali italiani mettono in primo piano le condizioni di locazione “Della casa delle donne” di Roma. Che il mondo dell’arte sia ormai di dominio femminile è un dato di fatto sul quale ci siamo soffermati più volte. L’arte al femminile ha sempre il corpo come protagonista, una sorta di svilimento ulteriore della già tristissima situazione dell’arte contemporanea. Il femminismo vuole riscrivere la storia spesso senza conoscerla. E’ breve l’elenco delle filosofe prima che il femminismo irrompesse sulla scena dando spazio a tematiche di genere, quasi sempre con risvolti sessuali come avviene nell’arte. Platone parla di Diotima, l’amante di Pericle, Aspasia la compagna di Cratete, Ippacchia nel giardino di Epicuro. Ipazia d’Alessandria che non ha lasciato neppure un rigo scritto. Tutte queste donne parlavano la lingua della pura emozione che, tradotto, si riduce al solipsismo del corpo, ieri come oggi caratteristica saliente femminile. La cultura sociale europea ha trasferito in ambito giuridico le ambizioni femminili. I privilegi dell’aristocrazia medioevale femminile sono tradotti oggi in codice di famiglia e agevolazioni sul piano penale e civile. Gli impulsi sessuali spesso si sublimano in opere letterarie. Jumel de Barneville, baronessa d’Aulnoy, con la sua favole dell’uccello azzurro. Mme de la Guette che teorizzò l’economia libertina rappresentata meglio da Ninon de Lenclos, centrata sul valore dell’emotività contro la ragione. Libera all’interno del proprio potere sociale, la donna può giocare su molti tavoli. La seduzione come strumento di conquista del potere è diritto acquisito, a prescindere dalla non dichiarata inadeguatezza intellettiva. Il dominio femminile si realizza facendo strame, quando è necessario, di consuetudini e norme etiche. Rousseau è estremamente critico nei confronti delle donne che dominano i salotti nel ‘700, luoghi nei quali si esercita il potere. Mme de la Fayette, Mme de Sévigné, Mlle de Scudèry, le cosiddette Preziose, precorrono il femminismo. Mme de Lambert, scrive un saggio sull’amicizia. Nell’elaborazione teorica della specificità femminile si azzera il valore dell’etica, in favore di una libertà soprattutto sessuale. La prima donna che ebbe la cultura come guida era l’allieva prediletta di Montaigne, Marie de Gournay. Anche l’ambiziosa Mme du Chàtelet, modello di egoismo ed egocentrismo individuale conduce i suoi giochi di potere all’interno di una società nella quale la donna domina senza apparire. Mme de Staèl sviluppa la passione per la filosofia di Sophie de Groucy, moglie di Condorcet, si richiama a Rousseau come a un maestro migliore dell’ambiguo Voltaire. Ma non esiste solo la conquista del potere con mezzi soft, la storia è ricca di episodi nei quali emerge a tutto tondo la natura femminile. Troppo numerosi gli episodi perché sia possibile farne anche solo l’ elenco , alcuni davvero esecrabili. Nel 775 d.c. Costantino V, detto il Copronimo, muore, suo figlio Costantino VI è ancora un bambino , sua madre Irene diventa imperatrice reggente. Quando il figlio reclama il potere lei lo allontana e gli fa cavare gli occhi. Quando l’imperatore Teofilo il 21 gennaio 842 muore, la moglie, Teodora, diventa reggente del figlio Michele III, lo seduce per mantenere il potere. Il figlio riuscirà a ottenere il trono ma sarà un uomo distrutto, verrà ricordato come Michele l’Ubriacone. La filosofa Ipazia, oggi icona del femminismo, riceve profferte amorose da un suo discepolo, non trova di meglio che rispondere esibendo un assorbente igienico usato. La storia dimostra che non vi è mai stata una reale sottomissione della donna, il problema si riduce, oggi come ieri, alla condizione sociale e di potere. Già prima di Cleopatra, ex prostituta divenuta regina, è folta la schiera di donne che hanno occupato i vertici del potere quasi sempre attraverso espedienti o usando strumentalmente la sessualità, sono cose talmente note che solo la faziosità femminista ha l’ardire di negare. Oggi non è cambiato nulla, salvo forse una maggior dose di arroganza e menzogne dovute in parte a malafede, ma più spesso a ignoranza.
Evoluta credulità
La credulità popolare è sempre stata oggetto di studi e ironie. Un tempo era motivata dall’ignoranza e dalla superstizione. Racconti tramandati di bocca in bocca, come la leggenda delle masche delle campagne piemontesi. Oggi, anche la credulità, come tutto ciò che ci circonda, è artificiosa, apparentemente colta, si nutre di apodismi. Sulle pagine di cultura di un quotidiano a grande tiratura, leggo appunti di filosofia minima. L’ importante questione, la natura degl’esseri umani, argomento che è dibattuto da millenni, nasciamo buoni? O siamo fondamentalmente cattivi? Tutto è esposto con argomenti di assoluta banalità. La credulità assume anche funzione di nemesi. Dive del cinema e della musica, le nuove èlite, cadono vittime di abili ciarlatani, guru improvvisati che predicano improbabili filosofie di vita, scorciatoie per la felicità. Negl’anni ‘60/’70 erano trendy le filosofie indiane, oggi riscuote grande successo la versione riveduta e corretta della Kabbalah ebraica. Continua la moda della new age. Anche il “sacro” e la “mistica", sono commercializzati, usati da imbonitori per estorcere denaro ai VIP,e a dive credulone. D'altra parte una società in cui ogni nuovo romanzo di Harry Potter surclassa per numero di copie vendute qualunque testo di storia e filosofia fin qui pubblicato, non ci si può aspettare nulla di diverso. Forse gli esseri umani non sono ne buoni ne cattivi, semplicemente più stupidi di quanto si è creduto fin ora e si continua a credere. L’uomo, come sostiene Merleau-Ponty, è un idea storica e non una specie naturale. In altri termini, nell’esistenza umana non c’è nessun possesso incondizionato, ma neppure nessun attributo fortuito. Tutto ciò che siamo, lo siamo sulla base di una situazione di fatto. Facciamo nostra una realtà nella quale siamo solo comparse, ci trasformiamo incessantemente sotto la pulsione di una sindrome di inadeguatezza. La nostra è una vita in libertà incondizionata.
Sogni, mito, realtà.
Capita sempre più raramente di incontrare persone felici. Quasi tutti vorrebbero essere altro da ciò che sono. Vivere un vita diversa da quella che vivono. Forse non hanno consapevolezza che ciò che desiderano essere è spesso peggio di ciò che sono. Vi è una lunga schiera di filosofi, moralisti, libertini, ciascuno sembra avere la ricetta per una vita felice. Difficile essere all’altezza dei propri sogni, anche perché spesso quelli che consideriamo sogni sono in prevalenza desideri concreti, materiali. Prigionieri di noi stessi , concentrati su noi stessi, assorti su noi stessi. I greci hanno creato miti che sono altrettanto metafore dal valore perenne. La società contemporanea è posseduta da un conformismo desiderante la cui cifra è ben espressa dal mito di Tantalo. Nessuno è all’altezza dei propri sogni e così sceglie quella che considera concretezza ma in realtà è rassegnazione. Il mito di Sifilo esprime l’incapacità di sottrarci alla coazione a ripetere. Il masso rappresenta la materialità a cui non sappiamo sottrarci. La fatica di vivere finisce per essere la frustrazione che deriva dal non possedere. E’ lontanissimo da noi l’insegnamento di Diogene Sinope, inconcepibile accettare la povertà della sua esistenza. Cerchiamo scuse per la nostra infelicità. La nostra mente non ha altri limiti se non quelli della nostra sensibilità e intelligenza. Non è quindi la vera libertà che ci manca, piuttosto l’incapacità di realizzare noi stessi tenendo a bada gli impulsi del corpo per liberare i nostri sogni. Non è un caso che il sostantivo “spirito” sia pressoché espulso dal lessico moderno. Il mestiere di vivere del quale scriveva Cesare Pavese, e che lui non ha saputo apprendere ponendo fine alla propria vita, si è ulteriormente ingarbugliato per gli innumerevoli strumenti di distrazione che la contemporaneità ci offre. Non è più attuale l’affermazione di Shakespeare: “siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni”. Semplicemente non abbiamo più sogni ma solo una continua ansia desiderante che giustifichiamo e coloriamo in vario modo.
Allegro ma non troppo.
Un “divertissement”, un guizzo anarchico dell’intelligenza. Credo si possano definire così le pagine di “Allegro ma non troppo” nelle quali Carlo M. Cipolla abbandona gli austeri panni dello studioso e giocando sul filo del paradosso e dell’assurdo –ma non troppo – costruisce due brevi saggi che precedono di qualche anno le trilogia del Cretino di F & L . Nel primo saggio Cipolla formula una ilare parodia della storia economica e sociale del Medioevo. Nel secondo saggio delinea una teoria non troppo inverosimile della stupidità umana. Il problema è che tutti noi, chi più chi meno, ci comportiamo nella scelta e riflessione sugli argomenti come dal verduriere: scegliamo quello che ci piace e lasciamo il resto. Siccome a nessuno piace identificarsi nel cretino, ogni richiamo a comportamenti che ci qualificano come tali, viene attribuito a “gli altri”. In questo modo perdiamo l’occasione per meditare su noi stessi. Se così non fosse i milioni di libri con insegnamenti, teorie, esortazioni, avrebbero ottenuto un effetto migliore di quanto ogni giorno ci tocca constatare.
L’era della post-ignoranza.
Forse non dovremmo stupirci se il mondo dell'arte si affida ormai a una sorta di trovarobato tra ready-made e recupero di oggetti strani di ogni genere. La trasformazione della realtà attraverso l’uso delle parole ha reso tutto possibile. Dopo il postmoderno e la post verità, siamo arrivati alla post ignoranza. Su riviste, libri, inserti culturali, si leggono sequele di truismi e banalità. Non c’è più spazio per lo stupore. Il professor Cipolletta, nel libro “Allegro ma non troppo”, segnalava che la popolazione aumenta, l'intelligenza resta costante. Per supplire, la scienza inventa l'intelligenza artificiale, forse per la difficoltà di sviluppare l'intelligenza naturale. I media costituiscono una rassegna di assoluta insignificanza e volgarità. Usiamo parole delle quali non conosciamo il significato. L'espressione cinismo ha assunto un significato esattamente contrario a quello della filosofia cinica da cui scaturisce. Antistene, Diogene Sinope, Epitteto erano i maggiori esponenti di quella corrente filosofica. Nell’uso comune, cinismo è qualcosa che concerne disinteresse delle persone mirare ai propri interessi. In realtà i cinici proponevano una vita semplice, essenziale. I Cinici anticiparono di 2300 anni le regole che saranno state adottate da alcuni ordini monastici. Avevano come unica proprietà un mantello che serviva anche da coperta quando dormivano dove capitava. Mangiavano ciò che trovavano. Perché si usa la denominazione di “cinico” in senso diametralmente opposto al significato? La manipolazione del linguaggio è lo strumento per divulgare tesi decettive, in coerenza con il pensiero unico. Il linguaggio verbale e visivo si presta alla creazione di mitologie fatue, icone che sono l’opposto di una vita sana. Tra l’altro è paradossale l’adozione del temine “Icona”, una immagine religiosa di origine bizantina, adottata anche dalla chiesa ortodossa russa. Oggi è una icona una attrice pornografica, un cantante omosessuale, un trans gender noto nell’ambiente mondano. Assistiamo a un decadimento umano e culturale davvero penoso. Nel nome della “libertà” dei così detti “diritti individuali” tutto è non solo accettato, ma celebrato. Gli effetti collaterali, sono disordine, maleducazione, violenza.
Il senso del nulla.
La parola per così dire ordinaria si riferisce a una realtà esistente, mentre musica, pittura, e poesia, sono elaborazione della parola, creano il loro proprio oggetto. Dietro al linguaggio creativo c’è un pensiero trascendente. Il fenomeno del linguaggio non chiarisce stesso se non nella forma, perché ciò che va oltre la parola, ciò che il linguaggio evoca non è l’oggetto, ma la possibilità, la creazione in potenza. La sequenza delle parole è il tracciato che delinea l’astratto disegno che la mente elabora. Il reticolo del linguaggio cattura le emozioni, esprime opinioni, da corpo alle nostre fantasie. Lo sforzo di chiarezza serve alla mente per illuminare se stessa. Pascal dice delle opinioni: nei tre casi è lo stesso prodigio di una chiarezza a prima vista che scompare non appena vogliamo ridurla a quelli che, secondo noi, sono gli elementi che la compongono. Per questo l’arte, che esprime l’inesprimibile, è cosi importante. La formula verbale, scritta sulla carta o affidata alla memoria, non servirebbe a nulla se non abbiamo acquisito la facoltà interiore d’interpretarla. Come scriveva Goethe “nulla è più difficile e doloroso di un pensiero nuovo”. In troppi rifuggono dal soffrire. Ciò che abbiamo vissuto è e rimane perpetuamente in noi, il vecchio attinge alla propria infanzia. Ogni presente che si produce penetra nel tempo come un cuneo e aspira alla eternità. L’eternità non è un altro ordine al di là del tempo, ma l’atmosfera del tempo. Per questo il linguaggio dell’arte segna un tracciato nella coscienza sensibile che non controlliamo ma viviamo attraverso le emozioni. La teoria matematica fonda una tradizione. La pittura di Van Gogh s’installa in me per sempre, vederla, assimilarla significa compiere un atto che resterà impresso nella mia esperienza e che emergerà ogni qual volta affiora il ricordo, anche impreciso, del segno che esprime una dimensione a cui, forse, molto dopo la realtà si adegua. Dice Proust, siamo appollaiati su una piramide di passato, e non lo vediamo solo perché siamo assillati dal pensiero oggettivo, dal presente. Il rapporto tra ragione e vissuto, fra eternità e tempo, così come tra riflessione e riflesso, fra pensiero e il linguaggio o tra pensiero e percezione, è quel rapporto indefinibile che la fenomenologia ha chiamato Fundierung: il termine fondante, l’irriflesso. Il tempi fatui che viviamo c’inducono a rifuggire da ogni pensiero fondante nel timore che la ricerca del senso ci costringa a constatare il non senso della nostra esistenza.
Il livello della politica.
Non vi è nulla di incomprensibile nella pervicacia con cui la politica abbassa l’ideale asticella della moralità e della meritocrazia fino a nominare a capo della massima struttura scolastica un ministro donna che presenta una laurea falsa e tuttavia resta al suo posto. Altro schiaffo alla meritocrazia, alla selezione della classe dirigente, è l’istituzione delle quote rosa e di tutta una serie di privilegi concessi alla donne. Parafrasando ciò che sostiene Tessimaco interlocutore di Socrate nel libro I della Repubblica. “Tu credi che i pastori e i bovari vogliano il bene delle pecore e dei buoi se li ingrassano e li curano?” . L’ignoranza al potere fa il possibile per uniformare i cittadini al proprio livello. Socrate sosteneva l’uguaglianza tra uomini e donne perché, sosteneva il filosofo, ciò risponde a un criterio di meritocrazia. I privilegi concessi alla donne, comunque giustificati, vanno contro a tale principio. In una società ignorante, corrotta, diseguale, la corruzione dilaga. Politici, insegnanti, docenti, magistrati, alti funzionari dello Stato vengono necessariamente scelti tra i componenti della società, presumere che siano migliori, meno depravati, è un illusione. Infatti, quando vengono approvate leggi che omologano la depravazione, i politici sostengono che si tratta di leggi di civiltà. In questa situazione anche la cultura e l’arte tendono ad adeguarsi. L’opera d’arte non è isolabile dalla contingenza sociale, essa fa parte del mondo nel quale nasce. L’arte esprime la coscienza estetica del proprio tempo.
Incongruenze linguistiche.
I reperti archeologici non sempre sono oggetti d’arte, spesso sono oggetti di uso quotidiano, come tali costituiscono indicazioni della vita di coloro che ci hanno preceduti. La nuova tendenza di ospitare opere di artisti contemporanei in siti archeologici, non è una contaminazione, tanto meno,come è stato scritto, “dialogo con l’arte di oggi”. E’ piuttosto l’ennesima conferma della grande entropia culturale che domina il nostro tempo confuso. L’arte dovrebbe essere vissuta e sperimentata nel normale flusso della vita. La psicologia contemporanea ha perso l’originario senso della coscienza del tempo. Ciò che è dato, non è la coscienza come accedere del tempo, ma il tempo come forma della coscienza. Quando Henri Bergson scrisse: “ Les données immèdiates de la Conscience”, intendeva muovere un attacco critico contro la psicologia dell’epoca. Egli paragonò l’intima compenetrazione di tutti gli elementi della coscienza al modo in cui si ascolta una melodia nella quale tutti i suoni si fondono. Siamo anni luce dalla situazione contemporanea in cui più della melodia prevale il rumore. I nessi della realtà con l’opere d’arte sembrano frammentati in sensazioni superficiali e incongrue, come dimostra il forzato accostamento tra archeologia ed arte contemporanea. Viviamo in un perenne estraniamento del quale la realtà virtuale è parte. La commistione sembra sempre più utilizzata per propagandare e nascondere. Warhol, Kounellis, Kapoor, ed altri artisti contemporanei, hanno rapporto con la storia e le raffigurazioni di Pompei quanto la minestra di fagioli ha con il libro delle genesi. La pretesa della critica di utilizzare in modo arbitrario storia e arte del passato denuncia tutto il vuoto di idee nel quale si dibatte la cultura contemporanea.
Arciboldo2018
Risulta di estremo interesse mettere a confronto le opinioni di quanti, a vario titolo, scrivono sull’arte. Le opinioni sono spesso contrastanti, non di rado basate su apodismi. C’è da chiedersi quale influenza abbiano tali scritti su gli artisti. Se influenzano il loro lavoro significa che l’arte non è cosi “spontanea” e autonoma come taluni sostengono. Se invece non hanno alcuna influenza vuol dire che sono in parte inutili. Di certo la mitizzazione dell’arte e degli artisti, è andata sviluppandosi in misura inversamente proporzionale alla qualità delle opere. E’inoltre interessante notare che l’evolversi del progresso e dell’influenza della tecnica sulla società ha portato gli artisti a prendere le distanze dal cosiddetto realismo del quale Nietzsche scrisse: “ Essere fedeli alla natura, a tutta!” E poi? Quando è copiata la natura? Infinito è del mondo ogni frammento- Infine se ne dipinge quel che piace. – E che gli piace? Quel che dipinge!”. Forse consapevole del degrado ambientale l’artista ignora sempre di più la natura, forse è un errore. La società contemporanea omologa e appiattisce, è doveroso opporsi, per quel che è possibile. Ritrarre la realtà di oggi è un esercizio triste, ma non inutile. Arciboldo oggi costruirebbe le sue figure non con frutti della natura ma con strumenti tecnologici che aiutano l’essere umano e nel contempo lo degradano.
Lacrime di Klee
Thinking is come true for images. The images contain thought. For this the visual limbs constitute the natural land of the visual thought. To deal the art as visual thought can seem arbitrary. Sure the art to perform other functions. It abandons to you nearly of the all canon of beauty, harmony, order, the continuous art to carry out the function to render visible things on which of usual does not stop the attention. If the creation of the beauty created problems of selection and organization, less difficult it is not to render the invisible more today visible much that the instruments of communicating the art have been gone multiplying. Bill Beckley a day said to me: "the artist is like a radar, she picks up marks them and she transmits them after to have rendered them intelligible". Task had reason. But the motivations of acting are not altruistic, often are born from personal reasons. When Paul Klee writes in its per diem one: "I create some pour pas pleurer"; this is before and last reason ", is obvious that the designs and the pictures of Klee are use to a large artist as well as, a human as well as intelligent being as alternative to I plant to make clear which were the reasons of I plant, as that situation could living in spite of all. Therefore the art like
m a i e u t i c a shape, feeds the force in order to face the truth. Perhaps the true reason that explains because an artist works above all for if is this same, even if the result of its job is made use from a great number of persons. Important the way com' is made use the art work. In so far as, if excesses and improvisations are excluded, the contemporary art has the merit of to have reorganized the aura of the art, conciliating it with the reflection. To make use in complete way of an art work means to take control of. The object art, whose possession is dispute with huge sums of money, is died what if it does not communicate. If it communicates, in a sure sense, the possession is superfluous, if not for the vanity of the owner. We conserve in the mind the visions of works that we love, they illumination moments oxen of the life. Like us possession through the reading of the content of a book, therefore it can be for the art work. This is perhaps the only possible possession. To transform the works in fetish mean to vulgarise, to make they violence, to petrify them to venal value. Injurious the admiration to separate from the understanding. On the road of the acquaintance the art is not one truth separated, but essential nutriment of our sensibility
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Egualitarismo virtuale, ingiustizie reali.
Il cosiddetto egualitarismo democratico si è tradotto inevitabilmente in un drastico abbassamento del livello culturale. Il regime estetico delle arti ha una netta correlazione tra oggetto e forma. Una rivoluzione delle basi “creative” passa necessariamente dalla narrazione critica. Un’epoca, una società, devono essere lette negli abiti, nei gesti, nel linguaggio, secondo quanto sosteneva Balzac . Istituzione delle fogne e della pulizia delle città rivela il livello di civiltà, secondo Victor Hugo. Il trascinamento del luogo comune presume che la democrazia escluda la possibilità di elevazione sul piano culturale e induca alla rassegnazione e alla banalità. Non bastano le buone intenzioni. Oscar Wilde sosteneva che le peggiori opere d’arte sono ispirate dalle migliori intenzioni. L’arte, in tutte le sue forme; letteratura, cinema, arte plastica, non è altro che comunicazione. Non sempre appare accettabile l’affermazione di Marshall McLuhan “il mezzo è il messaggio”. La crescita esponenziale della comunicazione ha creato vistose crepe nella sfera dell’arte. La fotografia è diventata arte per aver imitato le forme dell’arte. Benjamin lo mostra chiaramente a proposito di David Octavius Hill: e grazie alla pescatrice anonima di New Heaven. Prevale il solipsismo narcisistico, presente anche in forme intimistiche che fanno leva sugli aspetti deteriori insiti in ogni essere umano. Aristotele sosteneva che l’essere umano è un animale sociale. Cassirer ha scritto tre volumi sostenendo la tesi che l’uomo è un animale simbolico, si affida cioè alla simbologia. Il rischio paventato da Nietzsche in “umano troppo umano” , si è rilevato inesistente. Paradossalmente la tecnologia, in primis Internet, ha confermato che la “bestia umana”, finisce per prevalere. Sessualità con animali, guerre, crimini di ogni genere, sono la realtà di una società che si dice civile. La cultura non frena ma alimenta e giustifica con spurie teorie. La narrazione ermeneutica sulla merda d’artista e orinatoi, hanno radici nella filosofia di de Sade, definito da Sloterdijk il primo filosofo della modernità. Lo stesso Sloterdijk definisce i quattro “disevangelisti” : Marx, Darwin, Nietzsche e Freud. Libido e materialità come essenza dell’umano. Certo, de Sade era andato ben oltre nelle anticipazione della modernità professando la sua fede nel crimine come unica forma di realizzazione umana. Atteggiamento antropologico di fondo ampiamente adottato dalla contemporaneità in base al principio che bisogna favorire l’essere umano desiderante a trovare appagamento nel mondo. Atteggiamento che potrebbe essere plausibile se si avesse l’onestà di accettarne le conseguenze senza inutili piagnistei. In realtà il richiamo ai “diritti individuali” spariglia le carte, rende giustificato il crimine lasciando la vittima l’unica indifesa. Nel caso dell’arte si celebra la continuità di uno stupro estetico che trova una pluralità di teorici giustificazionisti. L’odio per il bello, il sano, il giusto è tra le peggiori sindromi della contemporaneità.
Oscar Wilde, la zappa.
Quando si interpreta un’opera d’arte si dovrebbe ricorrere ad argomenti concreti, non a prove e dimostrazioni teoriche; la relazione empirica con l’opera suggerisce collegamenti fra ciò che è rappresentato nell’opera e l’intenzione dichiarata dell’artista e verificare se il risultato sia coerente con le dichiarazioni d’intenti. Il linguaggio dell’arte dovrebbe rifuggire dal realismo banale, ma esprimere l’idea mediante metafora. La celebre affermazione di Oscar Wilde “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto a usarla” non sembra più avere diritto di cittadinanza nel campo dell’arte, che usa ed abusa dell’objet trouvè, utilizza spezzoni di film, ready made, e quant’altro. Su Ilsole24ore un critico ha definito la biennale 2005,”biennale del tampas”. Espressione forse non elegante ma efficace. Poussin sosteneva “Chi conosce la stupidità e l’incostanza degl’uomini non si meraviglia di quello che fanno”. Per giustificare certe opere non basta certo servirsi di qualche cliché della critica ideologica in chiave femminista. Nelle poche migliaia di anni da che ha avuto inizio la civiltà umana i progressi della scienza e della tecnica sono stati enormi, mentre la natura umana è rimasta pressoché immutata. Ogni volta si inventano teorie che provocano e giustificano nuovi conflitti e divisioni, fino ad arrivare nell’arco degli ultimi 150 anni a fomentare la guerra tra i sessi. Sembra che la cultura non sia mai servita ad evitare conflitti, ma piuttosto a giustificarli.
L’enigma dell’effetto.
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico. Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia. Anche per questo l’avanguardia ha fallito.
Storia e memoria.
L’arte riflette, in qualche caso suo malgrado, le strutture e i movimenti sociali. Nel 2000 l’olandese Paul Jozef Crutzen, studioso di chimica dell’atmosfera, per definire l’epoca attuale dal punto di vista delle scienze naturali, propose il termine “ antropocene”., riprendendo un concetto analogo formulato nel 1873 dal geologo italiano Paolo Stoppani. Non c’è dubbio che l’esplosione demografica dovuta non solo ai progressi della medicina, tenuto conto che nei Paesi arabi dal 1900 al 2000, la popolazione è passata da 150 milioni di individui a 1200 milioni. La politica è impotente di fronte a questi fenomeni che registrano il fallimento del velleitarismo scientifico. Che posizione e peso può avere l’arte in questo sviluppo? Si ha l’impressione che gli artisti, culturalmente inadeguati a comprendere la dinamica socio-politica, si rifugino in dettagli, frammenti, di realtà prive di significato. La frenesia cinetica fa il resto. L’inadeguatezza degli artisti è sempre stata presente, anche se ignorata per ragioni ideologiche, giustificata con la balzana idea che arte, filosofia, politica, debbano prescindere da questioni etiche. Oggi il concetto si è diffuso nella massa. Quando il 16 ottobre del 1937, nelle isole Soloveckie i bolscevichi mandarono a morte 1116 persone, il celebre scrittore Maksim Gor’kij lo considerò un grande trionfo socialista. L’arte sembra costituire paravento e alibi per ogni atto, in questo senso ha successo. Non può più accadere quanto successe a Simone de Beauvoir, cacciata nel giugno del 1943 dal Ministero dell’Educazione Nazionale per avere intrattenuto rapporti sessuali con una sua allieva. Oggi siamo femminilizzati e moderni. I sessantottini cacciarono De Gaule che aveva attivamente partecipato alla resistenza francese contro i nazisti, lo accusarono di fascismo. Marx, Lenin Trockij e Mao furono inneggiati come eroi. Nel 1972 vennero ritratti accanto a Marilyn Monroe e Yves Saint Laurent da Andy Warhol. Nel 2017 all’Eliseo è stato eletto Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron, ex funzionario della Banca Rothschild. La sinistra italiana si è congratulata con l’eletto, non è stata solo questione di cortesia politica. Lo sfarinamento della civiltà in atto da tempo, si avvale soprattutto dell’ignoranza che genera incoerenza. Intellettuali, artisti , politici che si richiamano a ideologie che hanno compiuto massacri, s’indignano per l’atto di un singolo definito fascista. Costoro non dimenticano la storia, semplicemente non la conoscono.
La verità e compatibile con la storia?
Gli storici, come i filosofi, critici d’arte, sociologi, non studiano una determinata materia di studio, spesso la creano. Lo dimostra il proliferare delle cattedre universitarie sul argomenti più vari, spesso effimeri se non pleonastici. Non sempre i promotori sono mossi da nobili principi, ma frequentemente da interessi pratici, immediati.”Non osserviamo a caso. Non osserviamo tutto. “Osserviamo solo ciò che ci interessa”, scrive Dario Antiseri in “Epistemologia ed ermeneutica”. Questa affermazione apre una quantità d’interrogativi. Da cosa è orientata la scelta? Soffermiamoci sulle ragioni per le quali di tutti genocidi commessi nel corso della storia, la Shoah suscita tanta attenzione degli storici. C’è stato il genocidio di armeni, kurdi, kulaki, pellerossa nativi americani, aztechi, maya. In breve la storia è un susseguirsi di massacri, per ragioni religiose, di potere, di depredazione delle risorse che appartenevano al popolo sottomesso. Ma solo alla Shoah sono stati dedicati tanti libri, film, si è istituito il giorno della memoria, si è creato il reato di antisemitismo. La scuola ignora quasi del tutto la serie di genocidi commessi. E’ stato messa la sordina anche ai massacri dei partigiani di Tito, despota jugoslavo, che buttava italiani nelle Foibe. Lo storico dovrebbe porre delle domande e tentare di trovare delle risposte, ma questo non accade. All’opposto di quanto sosteneva Fevbre, all’origine di ogni acquisizione intellettuale c’è il conformismo, la scelta di non disturbare l’ideologia dominante e il potere. E’ noto che la storia la scrivono i vincitori. Scriveva Febvre: la verità non è un possesso, è un processo; viene continuamente costruita” . Ed è quanto sta avvenendo anche ai giorni nostri.
La biennalizzazione dell’Arte.
La Biennale d’Arte di Venezia è in forte calo di prestigio. Questo non dipende solo dal disordinato e tumultuoso sviluppo della produzione “artistica” che spinge ogni città ad avere la propria Fiera dell’arte, ogni nazione a istituire la propria Mostra d’Arte internazionale, biennale, triennale, quadriennale. Le ragioni vanno anche ricercate nelle mediocri edizioni precedenti. L’edizione del 2005, diretta da Rosa Martinez, è stata definita da un critico “La Biennale del Tampax”. Questo può servire épater les bourgeois, che sembra essere ormai il principale scopo dell’arte contemporanea, ma certo non invoglia a valicare frontiere e oceani per vedere opere insipienti come quelle che purtroppo sono state la norma delle Biennali degli ultimi anni, inclusa quella del 2017, dove all’insipienza delle opere si è rimediato imbandendo pranzi e cene, ovviamente a spese del contribuente italiano, con l’avvallo del ministro alla cultura Dario Franceschini. Ormai gli artisti sono più numerosi dei metalmeccanici e certamente più produttivi. Il sistema dell’arte è affidato al marketing. La presenza femminile è preponderante. Il filo conduttore non è la cultura, ma le richieste del mercato. All’inizio le avanguardie tentavano di esibire una sorta di contropotere per poi adagiarsi nella gestione di accademie e facoltà di estetica. I proclami del futurismo, che affermava di voler abolire le cattedre, si è trasformato in una proliferazione di cattedre. L’evento artistico è diventato oggi più che mai un fatto mondano. Un tempo le signore della ricca borghesia per vincere la noia aprivano boutique, oggi aprono gallerie d’arte. L’amicizia di un critico è molto più importante dalle conoscenza del proprio mestiere. Il successo si ottiene con il massiccio ricorso a pubblicità&marketing. E’ in questo modo si sono arricchiti certi direttori di “riviste d’arte” semianalfabeti. Se questa è la situazione, il declino delle manifestazioni d’arte” è segno di sana reazione del pubblico alla esibizione di manufatti esteticamente sgradevoli e privi di significato. Gli ottimi artisti, che ancora ci sono, non vengono per principio invitati. Invece di dare spazio a chi davvero ha seguito, presentato e studiato fenomeni artistici, come l’uso della fotografia in arte, si celebrano tardi apologeti, orecchianti pronti a seguire l’onda del momento. Come scrive Francois Jullien “ quello che il sapere abbandona è sfruttato dalla superstizione e dall’apparenza”. L’adagiarsi su una falsa evidenza, fatta di stereotipi delle avanguardie ormai vecchie di un secolo, non fa bene all’arte. Si sentono i primi sgretolii di un mondo artificioso e insano. Solo dopo il crollo sarà possibile riprendere le fila di un discorso interrotto dall’arroganza avanguardistica.
Leggi di civiltà.
Nel libro “La condizione neomoderna” (Einaudi 2017) Roberto Mordacci accosta l’attuale situazione a quello che egli definisce “la prima modernità” ed elogia quella che definisce “capacità critica” che a suo parere migliora la ricerca filosofica ed in genere agisce favorevolmente sull’attuale stato della civiltà. Viene spontaneo il richiamo a Marx, il suo invito ai filosofi a cambiare il mondo anziché limitarsi a descriverlo. Il problema consiste nel fatto che i filosofi non sembra abbiano esatta nozione del mondo nel quale vivono. I richiami a Hobbes, Grozio, Leibniz, Spinoza, Locke, Montesquieu, sembrano del tutto fuori luogo perché ci troviamo di fronte a una realtà sociale immune dalle influenza della filosofia e della cultura in generale. Se questa affermazione appare troppo radicale, invito a un giro sulla rete. Il cosiddetto “cyberspazio” è fitto di incongrue volgarità. Immaginiamo un malato che debba ricorrere all’uso di antibiotici per curare la propria patologia, com’è noto, se la cura antibiotica si interrompe, si annulla l’azione del farmaco. Fino alla fine dell’800, dopo il trattato di Vestalia, il potere aveva tentato di mettere insieme una società passabilmente civile, pur con tutti i limiti e le iniquità ancora esistenti. A partire dall’inizio del XIX secolo è stato ribaltato il tavolo. Fascismo, nazismo, comunismo quando è stata raggiunta la cosiddetta democrazia è stato alzato il vessillo della “Libertà” come già era avvenuto dopo la rivoluzione francese del 1789. In nome della libertà si è data la stura ad ogni forma di depravazione, prontamente omologata dalla cultura e sancita dalle leggi. E’ prevalsa la “democrazia” dei disvalori. E’ giusta la critica del potere, il richiamo alle conseguenze della globalizzazione, a patto di non dimenticare che il potere è espresso dalle masse, dalla cultura della massa. Non è un caso che i flussi migratori avvengano ora, senza che nulla sia davvero cambiato nei paesi di origine degli immigrati, anzi, in Marocco il PIL è maggiore di quello italiano,in Tunisia non c’è mai stata tanto democrazia. La società, come la natura, non tollera vuoti. Quando una società è priva di valori, pervasa da edonismo amorale, quando ha abbandonato la propria cultura e le tradizione è pronta per essere invasa, pronta ad accogliere chiunque serva a coprire il vuoto è colmato da masse di giovani africani avventurosi in grado di rispondere alla richieste di una società edonistica e corrotta. Il terrorismo è alimentato anche dal disprezzo verso un occidente privo di valori. L’ottimismo di Mordacci oscura la ragione. Mancano risorse culturali “sane” in grado di arginare la deriva della civiltà. La cultura non è prerogativa esclusiva dei moralmente sani, anzi, dal pensiero debole in poi, i filosofi non solo hanno negato il valore ontologico della verità, ma si sono accaniti contro ogni forma di etica, declinata con il termine spregiativo di ” moralismo”. In questi ultimi 5 anni di governo della sinistra sono state varate leggi contrarie al comune sentire, la giustificazione è stata: “sono leggi di civiltà”. Tanto basta.
Intellettuali, pifferai del potere.
Esistono ancora gli intellettuali? Se, come sostiene J.R. Searle “Il linguaggio non si limita a descrivere: crea e in parte costituisce ciò che descrive”. La responsabilità di chi lavora con le parole è grande. La decadenza dei chierici favorisce il decadimento della società. Quando nel 1958 Julien Benda pubblicò “La Trahison des clercs” diede vita a un dibattito sul ruolo dell’intellettuale nella società contemporanea. Argomento che ha radici lontane nelle clamorose vicende dell’affaire Dreyfus, che negl’anni a cavallo tra Ottocento e Novecento divise la cultura francese in due schieramenti inconciliabili. Gli sviluppi presero il nome, tra molti altri, di Croce, Gramsci, Paul Nizan, Jean-Paule Sartre. Confutato o esaltato il tema sollevato da Benda mantenne a lungo la sua carica provocatoria. Allora gli intellettuali, pur tra contraddizioni ed errori, seppero prendere posizione contro la crescente barbarie delle società occidentali, il loro impoverimento culturale e la tendenza di mettersi al servizio delle classi dominanti. Benda tentò di difendere un ruolo dell’intellettuale come “custode dei valori” L’idealismo che ancora era presente nella cultura del tempo, faceva supporre a Benda che l’attività dell’intellettuale non fosse volta a fini pratici, ma fosse unicamente rivolta al servizio di principi universali come Ragione, Verità, Giustizia. A distanza di 48 anni non ci resta che constatare la disfatta totale degli idealisti come Julien Benda. In molti se ne rallegreranno. Idee come l’autonomia dell’arte e del pensiero, hanno perso significato. L’arte contemporanea è una sequela di pleonasmi retorici spacciati per avanguardia. La scrittura, riflette il “parlato” .Se fosse applicato il principio enunciato da Oscar Wilde “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto a usarla”, vedremmo il rigoglìo di giardini e campagne. L’intellettuale contemporaneo è soprattutto al servizio di se stesso, si è data una regola “non avrò altro fine al di fuori di me”. Anche quando si schiera politicamente non lo fa all’insegna di valori ma spinto dalla convenienza. Genocidi, guerre, massacri, flagello della fame, delle malattie, delle disuguaglianze, raramente sono argomenti trattati con efficacia da artisti e intellettuali. La solidarietà è oggetto di spettacolo, argomento da spot pubblicitari, un’etichetta da porre sul prodotto nei supermercati per incrementare le vendite. Non è un caso che la teoria del pensiero debole abbia avuto tanto successo, essa giustifica e alimenta il nichilismo. La libertà diventa la foglia di fico dietro cui l’egoismo si manifesta in tutte le sue forme peggiori.
Immaginazione non creativa.
Tra i sogni dei giovani che parteciparono al ’68, vi fu quello di portare “l’immaginazione al potere”. Il sogno è fallito. Hanno prevalso le ragioni della politica. L’immaginazione resta una prerogativa individuale. Un altro slogan poetico fu “siamo realisti, vogliamo l’impossibile”. Chi afferma di vedere le cose come sono, sembra non rendersi conto che le cose vengono viste in base a ciò che sappiamo. E’ noto in proposito l’aneddoto sul medico di Socrate, raccontato da Platone. Chi rinuncia all’immaginazione cade nell’illusione. Vediamo solo l’apparenza delle cose. Confucio disse “non si possono dipingere le ossa della tigre”. Quando noi guardiamo un albero vediamo non la struttura interna, solo la superficie. Altrettanto accade quando guardiamo un essere umano. Se vedessimo l’interno di un corpo, ossa, cartilagini, umori, sangue, dove finirebbe il fascino di un corpo per quanto esteriormente perfetto? L’illusione è inganno dei sensi. L’immaginazione è la dilatazione, in qualche caso poetica della realtà. La capacità di attuare l’intuizione di Calderon della Barca “Siamo fatti della stessa sostanza dei nostri sogni”. Tra le calamità della contemporaneità c’è la tendenza a sostituire i sogni con gli effetti speciali, lasciare che altri ci forniscano le emozioni. Nostri sogni diventano pesanti, materia di cui è pregna la nostra quotidiana realtà, una sorta di coazione al consumo, l’attrazione al dell’effimero ci distrae dalla consapevolezza di ciò che siamo.
L’arte ridotta a simulacro.
La storia dell’arte è del tutto incompatibile con la realtà dell’arte come è presentata oggi. La società contemporanea è condizionata da propensioni ludiche, compulsioni consumistiche. Per la loro sensibilità gli artisti subiscono influssi e condizionamenti in base ai quali producono le loro opere. A partire dalla Pop-Art , che non a caso ha avuto origine negli USA, è stata posta la parola fine a ogni idealità artistica. Neppure la distruttiva contestazione DADA era giunta a tanto. Non pare che critica e filosofia dell’arte abbiano preso coscienza di questa realtà, e ne siano consapevoli, o forse, per ragioni di bottega, preferiscono ignorarla. La Pop-Art, nata per esaltare il consumo, dare impulso alla pubblicità dei prodotti da supermarket, ha eseguito perfettamente la propria missione al punto da diventare essa stessa oggetto di consumo e realizzare una autoreferenzialità di tipo pubblicitario. Era l’inevitabile esito. Dopo il processo di pauperizzazione dell’arte, sono presi di mira anche i luoghi nei quali l’arte è esposta, che diventano oggetto di profanazione. Si moltiplicano le manifestazioni estemporanee, sfilate di moda, selfie, mondanità di varia natura. La Biennale di Venezia del 2017, diretta dalla francese Macel, nomine omine, ha aggiunto alle celebrazioni mondane anche i raduni conviviali per pochi intimi, rigorosamente scelti dalla zarina di turno. Alcuni artisti, forse consapevoli della fine dell’epifenomeno arte, prendono di mira i musei, anzi, creano essi stessi luoghi in cui raccolgono “opere”. Già alla fine degli anni ’60 del secolo scorso Claes Oldemburg , pioniere della Pop Art statunitense, creò un contenitore a forma di testa di Michey Mouse dentro cui accumulò centinaia di oggetti della più varia provenienza. Mike Kelly, altro artista statunitense, ha realizzato un luogo denominato “Harem”, nel quale ha raccolto oggetti inutili, alcune immagini pornografiche e altre cianfrusaglie. Jim Shaw per decenni ha accumulato materiale che egli considerava pedagogico, per lo più d’impronta religiosa. Molte altre iniziative dovrebbero essere citate. Marcel Broodthaers nelle sue installazioni ha messo in scena una parodia del Museo per ridicolizzarlo. Appare evidente che gli artisti, cioè coloro che dovrebbero essere produttori e cultori dell’arte, hanno perso ogni fiducia in quello che l’arte dovrebbe rappresentare e si accaniscono in azioni di demolizione. Ci troviamo di fronte a una chiara conferma della incompatibilità dell’arte con la società e la cultura contemporanee. Un museo di Marsiglia, il MUCEM, ha proposto come opere d’arte i rotocalchi femminili in voga tra gli anni ’40 e ’70 del XX secolo. Si continua a valorizzare simulacri, prodotti commerciali, ai quali pervicacemente viene associato , in modo del tutto improprio, il sostantivo arte.
Pensare e agire.
La questione dell'ignoranza non va intesa semplicemente come assenza di sapere, è piuttosto qualcosa di molto più profondo che attiene la cura di sé, trattata da Socrate e ripresa da Foucault in molti suoi testi. Come si attua la difesa delle proprie ragioni avendo cura di non calpestare quelle degli altri? Impresa difficile come dimostrano i lati oscuri della politica, specie in Italia, dove si procede con le forzature che hanno origine nella ideologia, nella confusione, tra pensiero radicato e pensiero radicale. Nel senso etimologico del termine, essere radicale significa essere innovativo, ma nella realtà pratica significa imporre, anche se non con la violenza, le proprie radicate convinzioni giudicate giuste apoditticamente. Qui che entra in gioco l'ignoranza che rende la massa permeabile a tutto ciò che si presenta come libertario. Non esiste una visione più ampia che contempli vero rispetto delle opinioni altrui e della sensibilità diversa dalla nostra. Le sfilate del gay pride, che vede in prima fila politici di sinistra, soprattutto donne, viene spacciato come atto libertario, in realtà è una plateale violenza estetica che per lo più non valuta le conseguenze effettive, nella psicologia e nei comportamenti sociali. La politica dovrebbe rispettare soprattutto il principio di neutralità nella sfera dei comportamenti personali, senza forzature di carattere ideologico la cui verità ontologica è stata oggetto di radicali adulterazioni socio-culturali, giustificate con la necessità di essere in sintonia con i tempi. La cultura, che dovrebbe avere, come ha sempre avuto, oltre a funzione didattica, anche pedagogica, ha abbandonato il suo ruolo, si è accodata in massa nella scia del pensiero unico. Uno dei maggiori esponenti di questa corrente è senza dubbio Bergoglio, non a caso acclamato dalla sinistra è abbandonato in misura crescente dai credenti. Pretendere di imporre una convivenza alla maggioranza dei cittadini su principi non condivisi, contrasta con le basi stesse della democrazia. Le conseguenze non sono facilmente prevedibili. Secondo John Rawls la tolleranza dovrebbe essere applicata anche verso i non tolleranti. Questo per la semplice ragione che il termine “tolleranza” non ha delimitazioni e significati certi. Se l’orientamento ha carattere politico tutte le parti ritengono di essere nel giusto. Per questo la contesa politica ha abbandonato il campo delle idee per tracimare negli insulti. Nel campo della cultura e dell’arte più che tolleranza si tratta di cedimento alle tendenze peggiori. Chi ha un'opinione diversamente determinata non sempre costituisce un’alternativa. Le decisioni politiche sono quasi sempre basate su precisi interessi di parte, che non coincidono con la volontà della maggioranza. Le forzature politiche spesso sostengono interessi di una certa parte sociale per ragioni, come si dice, della bottega politica prigioniera di vecchi incagli ideologici. Di fronte alla situazione che viviamo, ogni settore della società, arte inclusa, è costretta a subire decisioni che non condivide. Ignoranza significa avere un visione miope delle realtà socio-culturali.
De gustibus
L’equazione tra gusto e cultura è stata spesso oggetto di studi. In “Il processo di civilizzazione” Norbert Elias ha esposto in modo convincente il rapporto tra gusto e buone maniere, prendendo in esame i comportamenti sociali delle varie classi. Ma il gusto non è necessariamente legato alla cultura. Nelle “Vite dei più eccellenti pittori”, il Vasari narra un divertente aneddoto. Papa Sisto IV promise un premio speciale a chi tra i quattro artisti che lavoravano alla Cappella Sistina “meglio in quelle pitture avesse operato”. Mentre ciascuno dei grandi artisti, Botticelli, Perugino, Ghirlandaio, si ingegnarono per meritare il premio, curando il disegno e colori adeguati, il quarto artista, Cosimo Rosselli, che il Vasari definisce “debole d’invenzione e di disegno”, con gran divertimento dei colleghi, coprì il suo affresco di colori vistosi, azzurri oltremarini e, precisa Vasari “molto oro”, per mascherare le sue manchevolezze. Grande fu lo stupore e la rabbia dei tre bravi artisti, quando Papa Sisto IV non solo assegnò il premio a Cosimo, ma costrinse loro a profondere nei loro affreschi gli stessi sgargianti colori usati da Cosimo. D’altra parte la cosa non deve stupire più di tanto se si considera che solo dopo una generazione dalla morte di Giotto, egli fu riconosciuto come un grande maestro. Fu il Boccaccio a celebrare Giotto in modo esplicitò nel Decamerone (giornata IV novella 5). Di certo oggi, che più della critica d’arte, decide il marketing, non c’è rischio che un artista, per quanto mediocre e privo di talento, sia ignorato se espone le sue opere in uno spazio alla moda. Qualche anno fa ABO scrisse che l’arte contemporanea è di consumo, non ha pretesa di durata. Sarebbe interessante vivere abbastanza a lungo da vedere molti musei a liberarsi delle brutture accumulate in questi anni, rispetto a certi sedicenti artisti di oggi, anche Cosimo Rosselli appare un genio.
All’origine dell’arte.
Quando si parla di arte dobbiamo fare il conto con migliaia di testi, interventi sui media, ogni idea viene trattata in un modo particolare, raramente le idee trovano punti di coincidenza Da “L’origine dell’arte” di Heidegger, “La critica del giudizio” di Kant, moltissimi altri libri nei quali le argomentazioni sull'arte prescindono dalla radice di antropologia culturale che coinvolge anche lo studioso, per quanto possa essere preparato. Ho manifestato molte riserve su ciò che ci viene dagli Stati Uniti, riserve che trovano spesso conferma. Una delle ultime pubblicazioni, a cui abbiamo già accennato, “Arte e neuroscienze”, l’autore, Eric Kandel, studioso al quale è stato assegnato il premio Nobel per studi su una branca della medicina, la neurologia. Kandel affronta il tema dell'arte dal punto di vista neurologico. A me pare un accostamento azzardato per una pluralità di ragioni, una delle quali è che la scienza deve necessariamente generalizzare. Da un lato la necessità di concentrarsi su un dettaglio, poi assegnare al dettaglio la possibilità di codificazione. In altri termini, il risultato dell’esperimento deve poter essere ripetuto da altri scienziati ed ottenere lo stesso esito. Se questo non avviene l’esperimento è fallito, il risultato è nullo. Ciò è esattamente il contrario di quanto avviene nell' arte. Ogni opera d'arte è frutto di una particolare epistemologia e non è codificabile. Osservando un’opera d’arte possono essere molteplici le reazioni. I complessi riferimenti scientifici sul funzionamento del cervello esaminati da Kandel, hanno poco a che vedere con l'arte. Da buon americano Kendel mette in evidenza artisti che secondo lui avrebbero modificato l'estetica moderna attraverso la pittura astratta, tutti statunitensi. Nel discorso sull'arte, vi è un altro aspetto molto importante: l’antropologia culturale. Un cittadino di Kansas city di fronte a un’opera di Edouard Manet presumibilmente avrà una reazione diversa di quella di un parigino. Anche per questo, generalizzare il concetto della visione dell'arte, affrontandolo con metodo scientifico non solo è inefficace, ma deviante. I tentativi di pittura figurativa da parte di artisti che poi hanno prodotto opere d’arte astratta, sono piuttosto deludenti, spesso francamente impresentabili. Questo induce a riflettere. Nel settore dell'arte succedono cose strane, da un lato si pubblicano molti scritti sull'arte, che finiscono per condizionare l'osservatore quando si trova di fronte ad un’opera. D’altra parte l'ermeneutica dell’arte non è più comprensibile dell’arte stessa per un osservatore non particolarmente preparato. Che idea si può fare dell’arte il mitico “uomo della strada” di fronte a un’opera di Jannis Kounellis che consiste in putrelle di ferro e stracci, presentata alla Biennale di Venezia nel 2015? Dubito che affrontare il tema dell'arte dal punto di vista delle neuroscienze possa aiutare la compressione. Ogni osservatore reagisce in un modo diverso, in base al suo background culturale. Il problema quindi non si risolve con metodi scientifici, con apparati critici. L’arte è per natura polisemantica. Dunque prevede varie tipologie di approccio. Il più banale dei quali si riduce a uno scontato: mi piace. Un gradino sopra vi è l’adesione per ragioni diciamo così ideologiche, l’arte come provocazione e innovazione. Il terzo tipo di approccio a mio avviso è il più valido,un approccio all’arte che parta da una base culturale. Il linguaggio dell’arte per essere inteso ha bisogno del supporto di conoscenza storica, filosofica, una sufficiente maturazione di sensibilità estetica. Visto il livello cultura medio e lo stato della nostra scuola bisogna essere dotati di una buona dose di ottimismo per coltivare illusioni.
Intuizione e conoscenza
Non basta Il dono naturale per produrre arte plastica, è anche necessaria conoscenza tecnica. In mancanza di questa si ricorre a ripieghi. E’ la strada scelta dalle avanguardie. Oggi gli artisti vivono immersi, direi soprafatti, dalla realtà del mondo, la loro arte percepisce gli stimoli di ciò che li circonda. Cosa trasmetterà alla posterità la loro arte? L'artista non è più colui che crea, che dà forma a idee originali perché nate da una vita “originale”, al contrario è colui che capta idee frutto del mainstream corrente , le riproduce in modo più o meno originale. Non vi è più mimesi della natura, ma mimesi sociale. Pressato dalle richieste del mercato trova la materia dalla propria creatività senza affrontare la fatica di una ricerca, è privo della capacità di sottrarsi al circo Barnum che è diventato il sistema dell’arte nel quale trova comode scappatoie per sottrarsi allo studio. Basta che produca ciò che il mercato richiede. La cultura che gli viene trasmessa dalle accademie, è povera. Nelle Accademie sono in cattedra coloro che si scagliarono contro l’accademismo. Ora, dalle loro cattedre, celebrano i protagonisti di quelle avanguardie che hanno permesso loro di far carriera. Tempo fa scrissi che l'artista dovrebbe essere un filosofo, non nel senso di pretendere di concretizzare in forma determinati concetti, questo è purtroppo ciò che già accade, ma di pensare, ad attuare l’eidos. Le idee sono per definizione estremamente mobili, si modificano, cambiano. Un concetto solidificato in forma è la pretesa di dare significato che rimane stabile. L'artista e filosofo, o dovrebbe essere filosofo, in quanto aspirazione in quanto conoscenza e riflessione che vada oltre la funzionalità diretta della lavorazione della materia, ma nello stesso tempo non può, non dovrebbe, dimenticare gli aspetti concreti del proprio mestiere d'artista Ora noi ci troviamo in una situazione paradossale,è in atto una sorta di sclerotizzazione duale. Uomo tecnica. Da un lato, soprattutto sul cote femminile, la persona, un antropocentrismo esagerato, l’essere umano al centro di tutto. Dall’altro lato il ricorso alla tecnica disumanizzante. La dicotomia non ha funzione stimolante come ci sarebbe da presumere, è solo un espediente retorico ancipite. La pretesa di capovolgere la realtà implica il rifiuto che prescinde dalla conoscenza come presuntuosamente scriveva Barnett Newman: “ Ci stiamo liberando della memoria, delle associazioni, della nostalgia, del mito, o di ciò che vi pare che sono stati gli emblemi della pittura dell’Europa occidentale”. E’ una dichiarazione di guerra basata sull’ignoranza. La storia dell’arte non può essere ignorata, ne soppressa. Il passo successivo e coerente sarà quello di George Bush che per esportare la democrazia provocherà 200.000 morti in Iraq. Azioni e contesto sono diversi, la mentalità arrogante e rozza è la stessa. In entrambi i casi l’azione è andata a segno. L’arte americana ha invaso l’Europa, l’Italia in particolare. Bush ha distrutto l’Iraq lascinadosi alle spalle morti e distruzione e nessuna pacificazione.
Valutazione casuale.
La teoria del giudizio è stata ridimensionata, se non abolita. Un malinteso senso di equità, tolleranza, democrazia, sembra imporre limiti alla libera opinione. Se consultiamo un dizionario alla voce “Giudizio”. Leggiamo: “facoltà propria della mente umana di confrontare, paragonare, distinguere persone e cose”. Dobbiamo quindi assumere che la censura sociale sul giudizio, implichi di fatto un limite a pensare, formulare ed esprimere le proprie opinioni. Uno dei tanti paradossi della modernità che sul piano formale concede tutto, ma nella sostanza, vuoi per limiti oggettivi d’espressione, vuoi per pregiudizi di segno opposto a quelli in essere fino a ieri, rende difficile, se non impossibile esprimere la propria opinione. Se infatti non posso far conoscere la mia opinione a un gran numero di persone, di fatto essa non ha alcun valore, resta mia personalissima convinzione. I mezzi di comunicazioni di massa sono zeppi di idiozie espresse in esclusiva degl’addetti ai lavori. Nell’era dei paradossi accade che l’America di Bush, con l’alibi del terrorismo, abbia posto un limite alle libertà individuali. Esprimere dissenso per i massacri perpetrati in Iraq era giudicato antipatriottico. Per contro, vi è una specie di Sant’Uffizio laico, denominato “politically correct”, attraverso il quale un certo numero di persone, in prevalenza donne, organizzate e agguerrite, si arroga il diritto di stabilire ciò che è lecito dire, si badi bene, non fare, “dire”, cosa invece deve essere interdetto. Un déja vu che si sperava appartenesse al medioevo. In realtà, in base a una logica capovolta, la censura viene applicata soprattutto verso chi esprime quelli che non molti anni fa venivano considerati valori positivi.
Valutazione casuale.
La teoria del giudizio è stata ridimensionata, se non abolita. Un malinteso senso di equità, tolleranza, democrazia, sembra imporre limiti alla libera opinione. Se consultiamo un dizionario alla voce “Giudizio”. Leggiamo: “facoltà propria della mente umana di confrontare, paragonare, distinguere persone e cose”. Dobbiamo quindi assumere che la censura sociale sul giudizio, implichi di fatto un limite a pensare, formulare ed esprimere le proprie opinioni. Uno dei tanti paradossi della modernità che sul piano formale concede tutto, ma nella sostanza, vuoi per limiti oggettivi d’espressione, vuoi per pregiudizi di segno opposto a quelli in essere fino a ieri, rende difficile, se non impossibile esprimere la propria opinione. Se infatti non posso far conoscere la mia opinione a un gran numero di persone, di fatto essa non ha alcun valore, resta mia personalissima convinzione. I mezzi di comunicazioni di massa sono zeppi di idiozie espresse in esclusiva degl’addetti ai lavori. Nell’era dei paradossi accade che l’America di Bush, con l’alibi del terrorismo, abbia posto un limite alle libertà individuali. Esprimere dissenso per i massacri perpetrati in Iraq era giudicato antipatriottico. Per contro, vi è una specie di Sant’Uffizio laico, denominato “politically correct”, attraverso il quale un certo numero di persone, in prevalenza donne, organizzate e agguerrite, si arroga il diritto di stabilire ciò che è lecito dire, si badi bene, non fare, “dire”, cosa invece deve essere interdetto. Un déja vu che si sperava appartenesse al medioevo. In realtà, in base a una logica capovolta, la censura viene applicata soprattutto verso chi esprime quelli che non molti anni fa venivano considerati valori positivi.
Valutazione casuale.
La teoria del giudizio è stata ridimensionata, se non abolita. Un malinteso senso di equità, tolleranza, democrazia, sembra imporre limiti alla libera opinione. Se consultiamo un dizionario alla voce “Giudizio”. Leggiamo: “facoltà propria della mente umana di confrontare, paragonare, distinguere persone e cose”. Dobbiamo quindi assumere che la censura sociale sul giudizio, implichi di fatto un limite a pensare, formulare ed esprimere le proprie opinioni. Uno dei tanti paradossi della modernità che sul piano formale concede tutto, ma nella sostanza, vuoi per limiti oggettivi d’espressione, vuoi per pregiudizi di segno opposto a quelli in essere fino a ieri, rende difficile, se non impossibile esprimere la propria opinione. Se infatti non posso far conoscere la mia opinione a un gran numero di persone, di fatto essa non ha alcun valore, resta mia personalissima convinzione. I mezzi di comunicazioni di massa sono zeppi di idiozie espresse in esclusiva degl’addetti ai lavori. Nell’era dei paradossi accade che l’America di Bush, con l’alibi del terrorismo, abbia posto un limite alle libertà individuali. Esprimere dissenso per i massacri perpetrati in Iraq era giudicato antipatriottico. Per contro, vi è una specie di Sant’Uffizio laico, denominato “politically correct”, attraverso il quale un certo numero di persone, in prevalenza donne, organizzate e agguerrite, si arroga il diritto di stabilire ciò che è lecito dire, si badi bene, non fare, “dire”, cosa invece deve essere interdetto. Un déja vu che si sperava appartenesse al medioevo. In realtà, in base a una logica capovolta, la censura viene applicata soprattutto verso chi esprime quelli che non molti anni fa venivano considerati valori positivi.
Apocalittici disintegrati.
Apocalittici disintegrati.
Apocalittici disintegrati.
Non è certo possibile leggere tutti i libri che vengono pubblicati su un argomento che ci interessa. E’ invece possibile leggere le critiche, alcune delle quali quasi più interessanti del testo di cui trattano. Il critico legge il testo di cui scrive nell’ottica delle proprie convinzioni. Aumenta il numero di studiosi, consapevoli che l’umanità è ormai in un vicolo cieco. Tra apocalittici e integrati sembra non esserci un vero confronto. E’ come se ognuno si esibisse in un soliloquio. I difensori ad oltranza del progresso sembrano non vedere ciò che sta davvero accadendo. L’uomo contemporaneo non è migliore ne peggiore dei suoi antenati. Il progresso della scienza e della tecnica ha avuto l’effetto di produrre nei contemporanei un sorta di delirio di onnipotenza, comunicare una sicurezza fittizia, come dimostrano i disastri naturali a cui l’uomo non può opporre nulla. Ma questa fittizia sicurezza sembra rendere superflue le cautele e tutte le forme che i nostri antenati avevano escogitato per tenere a bada l’animale che è in noi. Così si realizza il paradosso che mentre la civiltà può disporre di sempre più sofisticati strumenti tecnologici, sul piano umano l’uomo regredisce. Secoli di filosofia non hanno migliorato un gran che la natura umana che continua ad essere indotta a scegliere ciò che da piacere senza troppo preoccuparsi delle conseguenze. Gli animali non hanno il senso del futuro, concetto non naturale, ma culturale. Così come è più naturale l’egoismo che l’altruismo. Ecco perché secoli di filosofia edificante sono serviti a poco, mentre la filosofia che ispira la morale fai da te ha grande successo e fornisce giustificazioni teoriche al nostro spontaneo egoismo. Confermando ciò che Nicolas Chamfort scriveva due secoli fa. “Il teatro è la prova che gli uomini anziché correggere i propri vizi preferiscono celebrali”.
Arte e gnoseologia.
A ogni disciplina corrisponde inevitabilmente una storia che ne racconta gli sviluppi. Quella che definiamo genericamente storia della filosofia ha lo scopo di stabilire uno schema dialettico, una gerarchia di valori fra filosofi che la tradizione si trova unanime nel riconoscere come degni di questo nome. Per quanto riguarda la storia dell’arte, la cesura della contemporaneità, l’ha di fatto annullata. Non solo perché l’arte ha subito un processo di involuzione, anziché di evoluzione, ma soprattutto perché i riferimenti dell’arte non sono più in ambito culturale ma di mercato. L’arte come fenomeno mondano è esentato da riprodurre valori, proseguire un processo gnoseologico di rappresentazione e insieme d’interpretazione del mondo. La storia della filosofia conta oltre 30 secoli, la storia dell’arte è nata contestualmente al mercato. Nel momento in cui l’arte è stata considerata un valore di scambio, si è fatta merce tra le merci, da quel momento l’arte in quanto tale, nella sua oggettività, è retrocessa, in primo piano è balzato si è posto il produttore, come personaggio mondano, la cui esibite stranezze, lo rendono un buffone della borghesia, cioè dei suoi clienti. Detto in altri termini, alla degenerazione del prodotto “arte” si è accompagnata la valorizzazione dell’artista come personaggio. Poco importa che la sua cultura sia modesta, se non inesistente, egli è un produttore. Tutto ciò è coerente con i principi economici illustrati nella dottrina di Marx, Riccardo, Adam Smith.. Non solo le opere prodotte per il mercato, ma anche le opere a carattere religioso sono diventate oggetto di scambio, valori, merce. Oggi che anche i giornali finanziari si occupano con ampiezza del prodotto artistico, la storia dell’arte diventa irrilevante, se ancora resiste, è perché serve a “nobilitare” prodotti che altrimenti, come valore intrinseco, non varrebbero quanto un sacco di legumi.
Déjà vu.
Parafrasando ciò che Borges diceva del tempo “..basta una sola ripetizione per dimostrare che il tempo è un inganno..”si potrebbe dire dell’arte che procede per ripetizioni-imitazioni. Il luogo in cui più è evidente la ripetitiva imitazione e banalizzazione dell’arte contemporanea, sono le Fiere. Ormai una per città. Il trionfo del “dèjà vu”. L’arte contemporanea non imita la natura , ne più in generale la realtà. Imita soltanto se stessa in un cortocircuito di autocitazioni quasi sempre prive di signficato. Di fatto la cattiva pittura che precede è motivo di giustificazione alla pessima che segue. Il mito di Jean- Michel Basquiat, creato dai media e dai sui compagni di orge, è un perfetto paradigma dello stato dell’arte. Mentre nella letteratura e poesia, l’eterno ritorno fornisce argomenti di riflessione e approfondimento, l’arte figurativa, per la sua inevitabile staticità, è null’altro che noiosa imitazione-ripetizione. La poesia di Shakespeare, Rossetti, Verlaine, Ungaretti, la filosofia di Bergson, Benjamin, Bloch, lasciano fluire spiegazioni sulla psicopatologia del fenomeno, il dèjà vu nell’arte invece sembra dimostrare l’improvviso arresto del fluire dell’esperienza, il blocco di riflessione del senso ottico, come la capacità di vedere oltre le proprie nevrosi., rivela smagliature gravi nel tessuto dell’io. L’espressione dèjà vu è stata coniata da Emile Boirac ed esplicitamente tematizzata da Luis Dugas nel 1894. E’ significativamente allarmante che in un’epoca che sembra avere l’ossessione dei luoghi comuni, la mancanza di consapevolezza produce una ripetizione costante che si autogiustifica solo per il fatto di essere speculare a tutto ciò che fino a ieri era “pensiero comune”.
Confronti di differenze
Che cosa è una differenza? Differenza è un concetto molto peculiare e oscuro. Non è una cosa, un evento. E’ una sensazione soggettiva. Se cominciamo a porci le domande sulla natura delle differenze abbiamo difficoltà a definirle. Una differenza che si produce nel corso del tempo viene definita “cambiamento”. Nelle scienze fisiche gli effetti delle differenze costituiscono condizioni concrete. Un nero è diverso da un bianco, un pezzo di legno è diverso da un pezzo di carta. Ma quando si entra nel campo della comunicazione, dell’organizzazione, gli effetti non sono più così evidenti. Quando io guardo carta e legno, percepisco la differenza in quanto conosco a priori le caratteristiche della carta e quelle del legno. In caso contrario non potrei rilevare la differenza, potrei constatare soltanto che le due materie hanno caratteristiche diverse. La differenza tra legno e carta viene rilevata dalla retina ed elaborata dal cervello. L’elaborazione è possibile in base alle mie conoscenze. Nelle mia mente il nulla, ciò che non esiste, non può essere elaborato. Il cervello funziona solo in base alla captazione di dati sensibili o in base a esperienze pregresse. Nelle scienze fisiche noi ricerchiamo le cause, partendo dal presupposto siano reali. Ma, esistono effetti che la nostra conoscenza-esperienza da per scontati. Chi mai ha visto l” energia” eppure sappiamo che esiste una forza che convenzionalmente viene definita “energia”. Si dice anche “energia dello spirito”. Buona parte di ciò che crediamo di sapere in realtà consiste in un atto di fede su fenomeni e materia che non siamo in grado di verificare e spesso neppure di capire interamente. Le analogie dalle scienze fisiche sono prese a prestito come base concettuale per costruire teorie psicologiche e del comportamento. Questa struttura alla Procuste è spesso insensata, sbagliata. La parola “idea” , nella sua eccezione più elementare , è sinonimo di differenza. Nella critica del Giudizio, Kant afferma che l’atto estetico più elementare è la scelta di un fatto; egli sostiene che in un pezzo di gesso c’è un numero infinito di fatti potenziali. La Ding an sich, il pezzo di gesso, non può mai entrare nella comunicazione o nel processo mentale proprio a causa di queste infinite potenzialità. I ricettori sensoriali non possono intercettarle; le eliminano. Tra l’infinito numero di differenze ne scegliamo un numero limitatissimo, che diviene informazione. In effetti ciò che intendiamo per informazione , per unità elementare d’informazione, è una differenza che produce differenza.
Se noi valutiamo sotto il profilo informativo un’opera d’arte, scopriamo che quello che ci viene comunicato non è informazione, se non in rari casi, ma piuttosto conferma di una visione stereotipata di una porzione di realtà-conoscenza. Un’opera che riproduce frutti o sottobosco in materiale plastico quale tipo d’informazione veicola? Una riproduzione seriale di una icona della modernità quanta informazione contiene? Siamo in presenza di espedienti elementari che fanno perno sul fenomeno di semplificazione psicologica basata sul riconoscimento, sul déjà vu. L’arte contemporanea, contrariamente a quanto presume, è essenzialmente coazione visiva, immersa com’è nel contingente mondano. La stessa serialità, se non è dovuta a una tendenza alla diplopia, è dimostrazione evidente della difficoltà degli artisti contemporanei di sottrarsi ai limiti della loro modesta cultura, ricorrendo modesti artifizi. Ogni opera degli antichi maestri, e dei migliori artisti moderni, fa storia a se, illustra stimola, propone, allude. Caratteristica dei pasdaran dell’avanguardia, è la cifra ripetuta all’infinito. E’ ciò che il mercato richiede, l’immediata univoca identificazione, stereotipi ripetuti, logo immediatamente identificabile.
Credenza non è conoscenza.
Cosa c’è nella psicologia del desiderio che lo rende così diverso dalla credenza. Ogni risposta a questa domanda rischia di essere tautologica, quindi insoddisfacente. Non sempre quando voglio una cosa saprei spiegare in modo convincente perché la voglio. In qualche caso avrei anche difficoltà a giustificare razionalmente le mie credenze. Tuttavia, mentre accetto che i miei desideri possano essere privi di giustificazione, ho maggiori difficoltà ad ammettere che le mie credenze siano prive di senso. Si attiva una sorta di auto-inganno che trasforma i desideri in credenze. Il tifoso di una squadra di calcio si auto-convince che la sua squadra sia davvero la migliore. Il sedicente artista crede davvero che i prodotti del suo lavoro siano opere d’arte. Per questo è cosi difficile rimuovere certi comportamenti irrazionali, essendo essi stessi, in molti casi, incapaci di distinguere tra desideri e la realtà. Credono in ciò che desiderano e desiderano ciò in cui credono. Nella struttura psicologica dell’individuo difficilmente possono convivere credenze in contrasto tra loro, mentre capita di frequente di avere desideri contrastanti. La credenza generalmente ha bisogno di un minimo di razionalità per esistere, mentre il desiderio ha giustificazione in se stesso. Per dirla in modo grossolano quando la credenza è falsa, è la credenza che è in errore. Quando il mio desiderio è insoddisfatto è il mondo ad essere in errore. Quale è dunque la differenza che spiega le diverse proprietà logiche dei desideri e delle credenze? Il compito delle credenze è rappresentare come stanno le cose, colui che ha una credenza si sente impegnato alla ricerca della sua verità. I desideri non rappresentano le cose come sono, ma come vorremmo che fossero. Quando una credenza è radicata e forte può produrre ciò che viene definito “un obbligo” . L’opacità di concetti come “obbligo” e “bisogno” non è mai stata indagata a sufficienza.
Degusti bus.
Qualche anno fa un burlone compose una canzonetta mettendo in sequenza proverbi e frasi in latino. Forse era un modo per ravvivare una lingua “morta”. Il latino fu per secoli lingua dell’Europa, parlata e scritta dai dotti. Le vicende storiche, il prevalere anche in politica dei minus habens, ha fatto si che si riproducesse la babele ed alla fine prevalse,more solito, la lingua della nazione dominante. Una lunga storia con aspetti ignobili che ha portato alla finta democrazia contemporanea con al vertice soggetti come Trump che il latino probabilmente non sa cosa sia. Anche se non conosciuto un detto latino è oggi ampiamente applicato: “De gustibus non est disputandum”. Il Kitsch è oggi il gusto prevalente, anche se dettato dal conformismo, le cosìddette “mode” . Fino a ieri la moda aveva come riferimento vestiti sartoriali confezionati con stoffe di pregio. Oggi la “moda” consiste nell’indossare jeans strappati, per le donne corti a livello dell’inguine. Non si dica che è per economia, quei jeans costano come o più di un vestito, specie se firmati. Forse non si riflette abbastanza sul significato della scelta di capi di abbigliamento. Roland Barthes ha scritto testi memorabili sul linguaggio della moda. Il mainstream corrente costituisce la negazione del detto latino “tot capita tot sententia”. Le masse contemporanee non hanno vere opinioni, pensieri, solo voglie. Sono etero dirette, le tribù metropolitane hanno ragioni che la ragioni non conosce.
Fondamentalismi.
Nel formarsi delle opinioni, nell’esercizio della libertà di scelta, dovremmo chiederci in quale misura è possibile difenderci dall’influenza di opinioni nocive, personalità aberranti. Spesso, nel sostenere il valore della libertà in se stessa, si trascura il fatto che non sempre siamo in grado di individuare gli aspetti aberranti di personalità che,grazie alla libertà loro concessa, riescono a imporsi. La storia ci ricorda che il nazismo ebbe sostenitori del livello di Heidegger e molti scienziati. Accade la stessa cosa per Stalin e Mao il cui comportamento criminale emerse solo dopo la loro morte. Forse non si riflette mai abbastanza su limiti e patologie dell’intelligenza umana. Mentre si combattono i fondamentalismi religiosi, o supposti tali, si accettano di buon grado fondamentalismi di segno opposto. I fanatici del progresso, infatuati della tecnica che non vedono, non vogliono vedere, i prodromi aberranti di una scienza che non accetta limiti, e non sa porseli. Negl’USA è consentito alle donne di vendere i loro ovuli. Il prezzo va dai 3000 ai 6000 dollari. Lo zoologo Robin Baker prevede surrogati non umani che possono aiutare anche gli uomini che abbiano perduto i testicoli a causa di tumori, iniettare le cellule staminali di questi uomini, dalle quali verrebbero prodotti i loro spermatozoi, nei testicoli dei topi. I testicoli surrogati produrranno pertanto spermatozoi sia dei topi che degli esseri umani. Tali testicoli potrebbero poi venir trapiantati nello scroto umano consentendo all’uomo di servirsi del apparato testicolare sostitutivo di topo per eiaculare il proprio sperma nella maniera consueta. Queste non sono aberrazioni di un pazzo, o di un individuo sotto l’effetto di stupefacenti, sono proposte di scienziati riprese nel libro “Gente di domani” di Susan Greenfield, a sua volta docente universitaria. Questi i prodromi della libertà senza vincoli della scienza. I danni che simili aberrazioni della “libertà della scienza” possono provocare, sono certo di gran lunga superiori a quelli dei fondamentalismi religiosi. Ma su simili eccessi non si sente il minimo raglio d’asino che provenga dalle università e dagli intellettuali.
Filosofia da supermercato.
Nel 6° capitolo del libro di Ronald G. Witt: “L’Eccezione italiana – L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento”, nelle conclusioni Witt sottolinea la proliferazione delle scuole private che avvenne nel corso del XII secolo, fatto che determinò la commercializzazione dell’istruzione, fino ad allora appannaggio degli ecclesiastici ed erogata gratuitamente. Ci troviamo di fronte all’embrione di ciò che provocò la nascita dell’industria culturale, fenomeno che precedette di quattro secoli l’inizio del mercato dell’arte. Il radicalismo laico, portato avanti da molti “intellettuali” cresciuti nella scuola dell’obbligo e laureati con il 6 politico, pecca d’ignoranza e costituisce oggettivamente sostegno al femminismo anglosassone che si è battuto contro il riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa. Il riferimento alla “radici cristiane”, non significa affatto un richiamo alla religione cristiana, della quale l’attuale papa Bergoglio fa scempio, ma più semplicemente ad una cultura nata come erede della cultura ellenistica, humus dal quale sono nate la filosofia patristica e scolastica, dottrine di grande sapienza umanistica. L’equivoco, dettato da oggettiva ignoranza, tra cultura cristiana e religione cristiana, è all’origine delle aberrazioni che sono seguite. Diciotto secoli di storia sono stati deviati dalla filosofia illuminista. Si è di fronte ad uno dei casi di accecamento ideologico che ha dato l’avvio alle patologie culturali di cui ancora oggi stiamo pagando le conseguenze. In questo primo ventennio del XXI secolo assistiamo al crollo di tutto ciò che ha costituito base alla nascita della civiltà europee. L’industria culturale ha creato i presupposti per l’attuazione della legge di Gresham: “La moneta cattiva scaccia quella buona” . La scelta dei lettori non avviene valutando la qualità della scrittura, ma il contenuto, il pregiudizio ideologico e di genere, insieme alle propensioni devianti, dettano le scelte. Il risultato è la proliferazione di libri “rosa” pornografici, biografie di icone della modernità. Un esempio è Diana Spencer , di cui è difficile individuare le ragioni del susseguirsi di celebrazioni. A questo si aggiunge l’industria dell’insegnamento che si affianca all’industria culturale. I docenti, e gli aspiranti tali, hanno necessità di pubblicare per mantenere o ottenere cattedre. L’industria culturale ha interesse a pubblicare libri da porre sul mercato. Il risultato è il proliferare di libri assolutamente inutili che lungi dall’accrescere il livello culturale delle masse, finiscono per confondere e deviare, anche sotto la spinta dello strabismo ideologico oggi di estrema ambiguità. Non vi è più chiarezza nelle posizioni ideologiche, il capitalismo ha sbaragliato ogni ideologia, e tuttavia resta un’idea inquinata dagli ideologismi passati, a cui si aggiunge l’aggressività femminista che continua a condizionare la società nel vuoto di un pensiero etico che abbia la capacità di tracciare un percorso verso un umanesimo le cui tracce si sono perse nei supermercati.
Egoismo
Non è certo possibile leggere tutti i libri che vengono pubblicati su un argomento che ci interessa. E’ invece possibile leggere le critiche, alcune delle quali quasi più interessanti del testo di cui trattano. Il critico legge il testo di cui scrive nell’ottica delle proprie convinzioni. Aumenta il numero di studiosi, consapevoli che l’umanità è ormai in un vicolo cieco. Tra apocalittici e integrati sembra non esserci un vero confronto. E’ come se ognuno si esibisse in un soliloquio. I difensori ad oltranza del progresso sembrano non vedere ciò che sta davvero accadendo. L’uomo contemporaneo non è migliore ne peggiore dei suoi antenati. Il progresso della scienza e della tecnica ha avuto l’effetto di produrre nei contemporanei un sorta di delirio di onnipotenza, comunicare una sicurezza fittizia, come dimostrano i disastri naturali a cui l’uomo non può opporre nulla. Ma questa fittizia sicurezza sembra rendere superflue le cautele e tutte le forme che i nostri antenati avevano escogitato per tenere a bada l’animale con è in noi. Così si realizza il paradosso che mentre la civiltà può disporre di sempre più sofisticati strumenti tecnologici, sul piano umano l’uomo regredisce. Secoli di filosofia non hanno migliorato un gran che la natura umana che continua ad essere indotta a scegliere ciò che da piacere senza troppo preoccuparsi delle conseguenze. Gli animali non hanno il senso del futuro, concetto non naturale, ma culturale. Così come è più naturale l’egoismo che l’altruismo. Ecco perché secoli di filosofia edificante sono serviti a poco, mentre la filosofia che ispira la morale fai da te ha grande successo e fornisce giustificazioni teoriche al nostro spontaneo egoismo. Confermando ciò che Nicolas Chamfort scriveva due secoli fa. “Il teatro è la prova che gli uomini anziché correggere i propri vizi preferiscono celebrali”.
Déjà vu.
Parafrasando ciò che Borges diceva del tempo “..basta una sola ripetizione per dimostrare che il tempo è un inganno..”si potrebbe dire dell’arte che procede per ripetizioni-imitazioni. Il luogo in cui più è evidente la ripetitiva imitazione e banalizzazione dell’arte contemporanea, sono le Fiere. Ormai una per città. Il trionfo del “dèjà vu”. L’arte contemporanea non imita la natura , ne più in generale la realtà. Imita soltanto se stessa in un cortocircuito di autocitazioni quasi sempre prive di signficato. Di fatto la cattiva pittura che precede è motivo di giustificazione alla pessima che segue. Il mito di Jean- Michel Basquiat, creato dai media e dai sui compagni di orge, è un perfetto paradigma dello stato dell’arte. Mentre nella letteratura e poesia, l’eterno ritorno fornisce argomenti di riflessione e approfondimento, l’arte figurativa, per la sua inevitabile staticità, è null’altro che noiosa imitazione-ripetizione. La poesia di Shakespeare, Rossetti, Verlaine, Ungaretti, la filosofia di Bergson, Benjamin, Bloch, lasciano fluire spiegazioni sulla psicopatologia del fenomeno, il dèjà vu nell’arte invece sembra dimostrare l’improvviso arresto del fluire dell’esperienza, il blocco di riflessione del senso ottico, come la capacità di vedere oltre le proprie nevrosi., rivela smagliature gravi nel tessuto dell’io. L’espressione dèjà vu è stata coniata da Emile Boirac ed esplicitamente tematizzata da Luis Dugas nel 1894. E’ significativamente allarmante che in un’epoca che sembra avere l’ossessione dei luoghi comuni, la mancanza di consapevolezza produce una ripetizione costante che si autogiustifica solo per il fatto di essere speculare a tutto ciò che fino a ieri era “pensiero comune”.
Comunicazione
Tempo fa un’emittente televisiva ha trasmesso un dibattito relativo alla domanda se Internet allontanasse o fosse strumento di avvicinamento tra persone. Interpellato un noto fotografo convinto di essere un artista per avere esposto in una biennale veneziana una stanza tappezzata di fotografie di organi genitali, costui si è dichiarato contro Internet che,a suo avviso divide. La quasi totalità degl’altri partecipanti, scrittori, giornalisti, filosofi, artisti si è dichiarata entusiasta delle opportunità offerte da Internet, tutti o quasi d’accordo che Internet sia uno strumento di comunicazione democratica che mette in contatto le persone e facilità la comunicazione.
Il ragionamento potrebbe essere corretto se non fosse per il fatto che trascura la natura e qualità della comunicazione. Si comunica ciò che si sa ciò che si è. Il tempo dedicato a Internet viene di certo sottratto ad altre attività, sport, lettura, studio. Non sarà un caso se il dialogo della maggior parte di noi è ridotto a poche parole, e il tanto esecrato “nozionismo”, non è più oggetto di critica in quanto tutto si riduce a ciò che è utile, pratico, facile. Così come non sarà un caso se siti pornografici e chat sono i più frequentati. Il celebre detto di Mao sul dito e la luna è sempre attuale; si discute sui dettagli trascurando la sostanza. Ogni nostro pensiero e azione parte da noi e ritorna a noi. Non possiamo dire, dare, fare ciò che non sappiamo e non abbiamo.
Arte : quante storie
Recentemente si è parlato di dare più spazio all’insegnamento della Storia dell’arte nelle scuole. Il problema è la preparazione di insegnanti e docenti. Tema questo sul quale non credo ci sia molto da aggiungere dopo le inchieste che documentano l’impreparazione di chi dovrebbe educate ed istruire i ragazzi. Non è certo per la carenza di mezzi, come vorrebbero farci credere, se la scuola italiana è agli ultimi posti nel panorama mondiale. In quanto alla specifica disciplina dell’arte si potrebbe partire dalla parafrasi del noto libro di Raymond Carver “Di cosa parliamo quando parliamo di arte”. Negli anni ’70 Roland Barthes aveva assunto una posizione molto critica nei confronti delle avanguardie, contestava la stessa definizione, mediata dal linguaggio militare. Basta a giustificare l’agire artistico l’intenzione di épater les bourgeois? I pasdaran delle avanguardie sono approdati nelle accademie, la confusione è aumentata. Non è una questione nominalistica. Nelson Goodman in “Linguaggi dell’arte” ha tentato di rendere intelligibile l’esperienza estetica, ma non è andato molto più là di quanto già aveva teorizzato Merleau-Ponty. Vi è la difficoltà dei filosofi di definire lo stesso significato del sostantivo arte, questo lascia spazio a ogni manipolazione. E’ forse possibile, come ha fatto Kojève per lo zio Kandinsky, trattare le tematiche di un singolo artista. E’ invece arduo arrivare a conclusioni condivisibili, quando si affronta il problema della avanguardie. “La questione dell’arte” di Nigel Warburton e “Teoria dell’avanguardia” di Peter Burger hanno alimentato un breve dibattito, subito dimenticato. La ragione sta nel fatto che l’arte contemporanea è ridotta a fenomeno mondano, alimentato e promosso dal marketing. La gran parte dei critici si limita a fare da cassa di risonanza. Le affabulazioni, le esibizione dei critici alle quali assistiamo confermano l’assunto che conoscere non è sinonimo di capire. I fermenti delle avanguardie, la merda d’artista, hanno concimato un terreno dal quale sono nati frutti senza sapore e sostanza.
Arte e cucina
Vi è una relazione tra cucina e arte. L’argomento potrebbe essere declinato in vari modi, anche se sono lontani i tempi in cui lo stereotipo dell’artista era rappresentato da un individuo abbigliato in modo bizzarro, sempre affamato. I francesi, che alla cucina hanno sempre dedicata molta attenzione, chiamano la manipolazione che l’artista fa dei colori, la sua cuisine. Esistono dipinti destinati alla sala da pranzo. Vi sono ristoranti, come l’Asino d’Oro di Saint Paul de Vence, tanto ricco di opere d’arte alle pareti da apparire più una galleria d’arte che un luogo di ristoro. Certo la pittura non è tutta qui. La Venere di Botticelli, o un autoritratto di Rembrandt hanno altre dimensioni pittoriche. I critici hanno imparato a tout comprendre c’est tout pardonner, al punto che considerano opere d’arte le stoviglie usate, le cicche nel piattino del caffè, gli avanzi di cibo, non dipinti, ma semplicemente incollati alla tavola e chiusi in un contenitore di plexiglas pronti per essere esposti nei musei. Sono opere del nouveau rèalisme di cui Daniel Spoerri è uno tra i maggiori esponenti. Tali opere, sono trattate da importanti gallerie, esposte in musei. Il minimo che si possa dire, senza entrare nel merito del gusto, e un’evidente mancanza di fantasia. Viene in mente la famosa boutade di Oscar Wilde “ chiunque chiami zappa una zappa dovrebbe essere costretto a usarla”. Minaccia vana. Non c’è da meravigliarsi se per l’arte non c’è più “critica” sostituita dall’”apologetica”, molto ben retribuita e, per dirla con i teologi in partibus infidelium. Ma si sa, il mercato ha le sue regole e non sarà certo il “culturame” a frenare l’impeto produttivo dei “nuovi maestri”.
La luce dell'arte.
La tematica della luce è stata affronta da filosofi e studiosi. Intorno al 1200 d.C il francescano Roberto Grossatesta scrisse un libro, pubblicato in Italia nel 1986, con il titolo “Metafisica della luce”. La luce è stata la base stessa della pittura. I pittori dei Paesi Bassi, van Dyck, Rubens, van Eych, Rembrandt, fecero di necessità virtù dipingendo la luce delle candele, interni tenebrosi e suggestivi. Gli Impressionisti dipinsero la luce che dà forma a paesaggi e figure. Ma dall’inizio della storia della pittura la luce è una componente fondamentale dell’arte. La luce che cade dall’alto e illumina la scena di Paolo di Tarso caduto da cavallo nell’opera di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Episodio sul quale anche Pieter Bruegel aveva realizzato un’opera dal titolo “La conversione di San Paolo”. La luce è ciò che dava significato alla pittura. Certo, la pittura cartellonistica di Warhol come di buona parte dell’arte contemporanea, non utilizza la luce, che forse non saprebbe neppure dipingere. Sono molti gli artisti che usano la luce fredda dei neon, più adatto ad insegne di locali commerciali che all’arte. Nel 1998 a Torino viene dato il via a una manifestazione denominata “luci d’artista” che consiste nel dare il nome di un artista a una luminaria costruita da un comune elettricista. La cosa non stupisce visto che il sindaco dell’epoca era Piero Fassino, riuscito ad ottenere la laurea in scienze politiche alla tenera età di 49 anni, nonostante la ben nota tolleranza verso l’ignoranza delle Università italiane, ex comunista poi PDS, ora PD costui, per quanto insignificante, costituisce un sintomo del livello culturale della classe politica, la stessa che nomina direttori, per lo più direttrici, di musei, biennali, fiere e tutta la schiera di istituzione che non sono create per favorire davvero la conoscenza dell’arte, ma piuttosto, come dimostra il caso di Torino, per autopromozione dei politici. Non a caso, il compagno di partito di Fassino, il ministro della “cultura” Dario Franceschini, che in fatto d’ignoranza fa il paio con Veleria Fedeli ministro PD della Università, ha abolito l’accesso gratuito ai musei per le persone oltre i 65 anni. In compenso, come abbiamo già segnalato, finanzia cene e bagordi alla Biennale di Venezia del 2017, direttrice la francese Macel, nomen omen. Ecco che in questo brevissimo escursus abbiamo tracciato la parabola discendente dell’arte grazie al connubio tra la modesta cultura degli artisti, ormai soggetti all’influenza USA, e la politica “culturale”. Per la cronaca fin dagli anni ’60 del secolo scorso Sol LeWitt e Dan Flavin, due artisti USA, realizzarono opere con i neon. Dunque dalla magia della luce, indagata da Roberto Grossatesta, usata dagli artisti fiamminghi e dagli impressionisti, siamo approdati alla banalizzazione anche della luce, in un percorso di discesa dell’arte agli inferi che non sembra avere fine.
Linguaggio, politica, società.
In questi giorni Donald Trump è sottoposto ad indagini per supposti rapporti con la Russia prima e nel corso della campagna elettorale. La questione viene presentata dai media con “Russiagate”. Cercando su Google la parola “gate” , vengono date diverse indicazioni: interruttore, via d’accesso. Non è invece indicato, o almeno io non l’ho trovata, la ragione per cui viene usata così spesso dai media per indicare situazioni politiche irregolari. Watergate è un palazzo che si trova sulle sponde del Potomac a Washington D.C. ai tempi dello scandalo era di proprietà di Michele Sindona. Nel 1972 durante la campagna per la presidenza degli USA, il palazzo ospitava il quartier generale di Richard Nixon che si presentava con i repubblicani. Pare che in quella sede ci fosse una centrale d’ascolto dei concorrenti democratici. Due reporter del Washington Post Bob Woodward e Carl Bernstein condussero un’inchiesta giornalistica che portò alla luce le malefatte di Nixon, nel frattempo eletto presidente, e lo costrinsero alle dimissioni. Da allora, ogni vero o presunto scandalo politico è indicato con il suffisso “Gate”. Questo è uno dei tanti esempio di stereotipi linguistici il cui significato è ignorato dai più. Il linguaggio cinematografico ricorre spesso a semplificazioni in contrasto con la struttura linguistica. Anche la letteratura non è più “la ricerca della parola giusta” come sosteneva Roland Barthes. D’altra parte il meccanismo dei rimandi linguistici con ogni probabilità non verrebbe capito, non a caso i politici oggi parlano un linguaggio rozzo e approssimativo che ricorda un po’ il ciarlatano descritto da Thomas Mann nel racconto “Mario e il mago” . Il cavalier Cipolla descritto da Mann, è un intreccio tra caricatura politica e luoghi comuni, icastica definizione dei politici e di molta cultura contemporanea. Mentre il Sant’Uffizio denominato “politically correct”, instaurato dalle femministe americane giudica, con atteggiamento ancipite, la correttezza del linguaggio, mai come oggi letteratura, cinema, tv, usano espressioni scurrili e frequenti riferimenti agli organi genitali. Il know how linguistico delle censore è piuttosto limitato, ciò non toglie che in USA abbiano il potere di mandare sotto processo una persona per avere usato una parola da loro giudicata offensiva. More solito, la tendenza è subito tracimata in Italia, se è vero che una magistrata di Milano ha rinviato a giudizio un persona per aver definito clandestino un clandestino.
Realtà e immaginazione
Si potrebbe affermare, senza troppi giri di parole, che, mentre critici, filosofi, intellettuali di vario valore discutono sul significato dell’arte, una folta schiera di pragmatici opportunisti si arricchisce. Il cosiddetto: “sistema dell’arte” è un fantasma il cui lenzuolo è gonfiato e mosso dalla propaganda redazionale. L’equivoco del sistema dell’arte è perfettamente coerente con il sistema economico dominante che produce merce assolutamente inutile, quando non dannosa. Il Pil si regge sulla dinamica, come una bicicletta, se non si procede cade. Il sistema dell’arte gravita intorno a produttore di oggetti , creatori di performance, effetti speciali, atti provocazione . Tutto ciò ha come riferimento il mercato con i suoi luoghi deputati, Biennali, Quadriennali, Fiere, Gallerie, Musei. Si nutre di articoli di giornale, libri, conferenze. E’ chiaro che tutto questo circo Barnum delle illusioni, ha bisogno di ripartire i compiti. Filosofi, critici, curatori , galleristi sono impegnati nel conferire valore alla produzione usando spregiudicatamente la cultura come specchio per le allodole. Dal momento che tutte queste attività muovono interessi cospicui, ogni contestazione al sistema si scontra con una realtà fattuale capace di soffocare, ovvero ignorare, ogni tentativo critico. Prevale ciò che diceva un grafico diventato artista di successo. Infatti Andy Warhol sosteneva : “ogni artista è un uomo d’affari” . Queste è il requie dell’arte, il resto è commercio e malafede.
Oligarchie mondane e mercantilistiche
Se è vero che la violenza è, in misura diversa, parte del DNA dell’’essere umano, è altrettanto vero che la violenza è alimentata da larghi strati della società e dalla cultura contemporanea, cinema, tv , cronaca. Vi sono molti aspetti della violenza. La violenza fisica è quella più visibile, per questo più esecrata. Peter Sloterdijk nel suo testo “L’imperativo estetico” rileva come ”Il più perfetto matriarcato del mondo, sono gli Stati matri-alimentari Uniti d’America”. In parallelo, in ragione della compulsione femminile al consumo, si attua quello che Ernest Gellner ha definito: “L’internazionale dei consumatori senza fede”. Tale fenomeno ha da tempo investito il mondo dell’arte, non a caso, vede sempre più la dominanza femminile. Bourdieu ha definito questo meccanismo nei termini di violenza simbolica. Violenza è anche l’imposizione di qualcosa di iniquo, come le leggi di genere che alterano ogni sana competizione meritocratica. L’accampare diritti di rivalsa, come fanno le femministe, è un espediente decettivo. Che dire della violenza estetica ? Comportamenti volgari, sguaiati, osceni in luoghi pubblici e nelle strade, rappresentati in modo insistente da tv e cinema. Quale difesa può attivare chi si sente profondamente offeso da tali esibizionismi? La violenza si manifesta in ambito socio-politico. Molte di queste iniquità sono elencate da Shakespeare nel monologo di Amleto. “… le offese e i torti che la virtù patisce conculcata dai tristi, della legge gli indugi..” . Lucrezio suggerisce presa di distanza, e isolamento in “La natura delle cose”. Purtroppo non sempre è possibile fuggire. Quando si vive in una società si è soggetti all’arroganza del potere, ai piccoli soprusi quotidiani di funzionari frustrati al servizio di oligarchie politiche ed economiche, che inquinano la società . Anche il mondo dell’arte è soggetto a questi virus. La Biennale dell’arte di Venezia è da anni dominata da un certo Paolo Baratta (nomine omine) sotto la cui guida le manifestazioni sono sempre più squallide e dominate da oligarchie mercantili/ mondane, con grande riguardo a donne e arte statunitense. La Biennale dell’arte del 2005, affidata a certa Maria de Corral, passò alla storia come la Biennale dei Tampax, per un’opera, un lampadario fatto di Tampax, realizzata della conterranea della curatrice, certa Joana Vasconcelos. Quest’anno, 2017, un'altra donna Christina Macel, è stata designata da Baratta a dirigere la Biennale. Costei non trova di meglio che organizzare cene per e con artisti, ovviamente a spese dei contribuenti italiani. Per finanziare i festini di pochi eletti, la Marcel non ha trovato di meglio che negare l’accredito, cioè l’ingresso gratuito alla Biennale, ai non iscritti all’ordine dei giornalisti. Significa escludere tutti coloro che, a vario titolo, curano siti e Portali web dedicati all’arte pur non essendo iscritti all’Ordine dei giornalisti, una delle tante caste nostrane. Voler burocratizzare l’arte è un atto di arroganza inaudita, affidata per lo più a oscuri funzionari che attuano le direttive dei vertici. Anche questa è una forma subdola di violenza contro la quale è impossibile opporsi. Il potere ha concesso la delega alla Macel, la quale detta le regole della Biennale che i contribuenti italiani pagano. Di questo è al corrente il sig. Franceschini ministro pro tempore della cultura? Certo non è una tragedia, il sopruso ha il valore del costo del biglietto, ma resta un sopruso, cioè un atto di violenza burocratica.
A cosa serve la Biennale di Venezia?
Se è vero che la violenza è, in misura diversa, parte del DNA dell’’essere umano, è altrettanto vero che la violenza è alimentata da larghi strati della società e dalla cultura contemporanea, cinema, tv , cronaca. Vi sono molti aspetti della violenza. La violenza fisica è quella più visibile, per questo più esecrata. Peter Sloterdijk nel suo testo “L’imperativo estetico” rileva come ”Il più perfetto matriarcato del mondo, sono gli Stati matri-alimentari Uniti d’America”. In parallelo, in ragione della compulsione femminile al consumo, si attua quello che Ernest Gellner ha definito: “L’internazionale dei consumatori senza fede”. Tale fenomeno ha da tempo investito il mondo dell’arte, non a caso, vede sempre più la dominanza femminile. Bourdieu ha definito questo meccanismo nei termini di violenza simbolica. Violenza è anche l’imposizione di qualcosa di iniquo, come le leggi di genere che alterano ogni sana competizione meritocratica. L’accampare diritti di rivalsa, come fanno le femministe, è un espediente decettivo. Che dire della violenza estetica ? Comportamenti volgari, sguaiati, osceni in luoghi pubblici e nelle strade, rappresentati in modo insistente da tv e cinema. Quale difesa può attivare chi si sente profondamente offeso da tali esibizionismi? La violenza si manifesta in ambito socio-politico. Molte di queste iniquità sono elencate da Shakespeare nel monologo di Amleto. “… le offese e i torti che la virtù patisce conculcata dai tristi, della legge gli indugi..” . Lucrezio suggerisce presa di distanza, e isolamento in “La natura delle cose”. Purtroppo non sempre è possibile fuggire. Quando si vive in una società si è soggetti all’arroganza del potere, ai piccoli soprusi quotidiani di funzionari frustrati al servizio di oligarchie politiche ed economiche, che inquinano la società . Anche il mondo dell’arte è soggetto a questi virus. La Biennale dell’arte di Venezia è da anni dominata da un certo Paolo Baratta (nomine omine) sotto la cui guida le manifestazioni sono sempre più squallide e dominate da oligarchie mercantili/ mondane, con grande riguardo a donne e arte statunitense. La Biennale dell’arte del 2005, affidata a certa Maria de Corral, passò alla storia come la Biennale dei Tampax, per un’opera, un lampadario fatto di Tampax, realizzata della conterranea della curatrice, certa Joana Vasconcelos. Quest’anno, 2017, un'altra donna Christina Macel, è stata designata da Baratta a dirigere la Biennale. Costei non trova di meglio che organizzare cene per e con artisti, ovviamente a spese dei contribuenti italiani. Per finanziare i festini di pochi eletti, la Marcel non ha trovato di meglio che negare l’accredito, cioè l’ingresso gratuito alla Biennale, ai non iscritti all’ordine dei giornalisti. Significa escludere tutti coloro che, a vario titolo, curano siti e Portali web dedicati all’arte pur non essendo iscritti all’Ordine dei giornalisti, una delle tante caste nostrane. Voler burocratizzare l’arte è un atto di arroganza inaudita, affidata per lo più a oscuri funzionari che attuano le direttive dei vertici. Anche questa è una forma subdola di violenza contro la quale è impossibile opporsi. Il potere ha concesso la delega alla Macel, la quale detta le regole della Biennale che i contribuenti italiani pagano. Di questo è al corrente il sig. Franceschini ministro pro tempore della cultura? Certo non è una tragedia, il sopruso ha il valore del costo del biglietto, ma resta un sopruso, cioè un atto di violenza burocratica.
Oligarchie mondane e mercantili
Se è vero che la violenza è, in misura diversa, parte del DNA dell’’essere umano, è altrettanto vero che la violenza è alimentata da larghi strati della società e dalla cultura contemporanea, cinema, tv , cronaca. Vi sono molti aspetti della violenza. La violenza fisica è quella più visibile, per questo più esecrata. Peter Sloterdijk nel suo testo “L’imperativo estetico” rileva come ”Il più perfetto matriarcato del mondo, sono gli Stati matri-alimentari Uniti d’America”. In parallelo, in ragione della compulsione femminile al consumo, si attua quello che Ernest Gellner ha definito: “L’internazionale dei consumatori senza fede”. Tale fenomeno ha da tempo investito il mondo dell’arte, non a caso, vede sempre più la dominanza femminile. Bourdieu ha definito questo meccanismo nei termini di violenza simbolica. Violenza è anche l’imposizione di qualcosa di iniquo, come le leggi di genere che alterano ogni sana competizione meritocratica. L’accampare diritti di rivalsa, come fanno le femministe, è un espediente decettivo. Che dire della violenza estetica ? Comportamenti volgari, sguaiati, osceni in luoghi pubblici e nelle strade, rappresentati in modo insistente da tv e cinema. Quale difesa può attivare chi si sente profondamente offeso da tali esibizionismi? La violenza si manifesta in ambito socio-politico. Molte di queste iniquità sono elencate da Shakespeare nel monologo di Amleto. “… le offese e i torti che la virtù patisce conculcata dai tristi, della legge gli indugi..” . Lucrezio suggerisce presa di distanza, e isolamento in “La natura delle cose”. Purtroppo non sempre è possibile fuggire. Quando si vive in una società si è soggetti all’arroganza del potere, ai piccoli soprusi quotidiani di funzionari frustrati al servizio di oligarchie politiche ed economiche, che inquinano la società . Anche il mondo dell’arte è soggetto a questi virus. La Biennale dell’arte di Venezia è da anni dominata da un certo Paolo Baratta (nomine omine) sotto la cui guida le manifestazioni sono sempre più squallide e dominate da oligarchie mercantili/ mondane, con grande riguardo a donne e arte statunitense. La Biennale dell’arte del 2005, affidata a certa Maria de Corral, passò alla storia come la Biennale dei Tampax, per un’opera, un lampadario fatto di Tampax, realizzata della conterranea della curatrice, certa Joana Vasconcelos. Quest’anno, 2017, un'altra donna Christina Macel, è stata designata da Baratta a dirigere la Biennale. Costei non trova di meglio che organizzare cene per e con artisti, ovviamente a spese dei contribuenti italiani. Per finanziare i festini di pochi eletti, la Marcel non ha trovato di meglio che negare l’accredito, cioè l’ingresso gratuito alla Biennale, ai non iscritti all’ordine dei giornalisti. Significa escludere tutti coloro che, a vario titolo, curano siti e Portali web dedicati all’arte pur non essendo iscritti all’Ordine dei giornalisti, una delle tante caste nostrane. Voler burocratizzare l’arte è un atto di arroganza inaudita, affidata per lo più a oscuri funzionari che attuano le direttive dei vertici. Anche questa è una forma subdola di violenza contro la quale è impossibile opporsi. Il potere ha concesso la delega alla Macel, la quale detta le regole della Biennale che i contribuenti italiani pagano. Di questo è al corrente il sig. Franceschini ministro pro tempore della cultura? Certo non è una tragedia, il sopruso ha il valore del costo del biglietto, ma resta un sopruso, cioè un atto di violenza burocratica.
Neri,donne,omosessuali.
Nel libro, “La grande regressione” Eva Illouz scrive: “ ..a partire dagli anni ’80 del secolo scorso le élite culturali e progressiste, hanno concentrato la loro energia politica e intellettuale sulle minoranza sessuali..” . Di cosa parliamo quando parliamo di minoranza? Donne, neri, omosessuali, sono minoranze? In Africa vive il 28,9% della popolazione mondiale, in Asia il 60,7%, in Europa il 5,3%. Eppure quando parliamo di immigrazione consideriamo le “avanguardie” che arrivano in Europa “minoranze”, con una serie di motivazioni speciose e irrealistiche. Per ogni 100 donne ci sono 101,8 maschi. La differenza non è tale da giustificare la persistente propaganda di vittimizzazione femminile. Tra le 24 persone più ricche del mondo solo 2 sono donne. Perché? Forse sarebbe il caso, anziché continuare nella auto vittimizzazione da parte femminile, cercare di capire le cause delle differenze. Gli omosessuali sono minoranza o élite? Tra gli artisti, stilisti, personaggi del cinema, cantanti rock, politici, sono moltissimi coloro che ammettono la loro condizione omosessuale, molti altri non escono allo scoperto. Il mondo dell’arte newyorkese, ad esempio, è dominato da tempo dalle élite omosessuali che sono anche numerose nel mondo dello spettacolo. Dunque si può parlare di minoranze emarginate? Il mito, o complesso, delle minoranze di donne, neri, omosessuali nasce da un’abile gestione degli interessi di potere che trova largo margine nelle frolle classi intellettuali. Come scrive Alfred North: “serve una mente davvero insolita per procedere all’analisi dell’ovvio”. La filosofia pratica, corrente nata in California nel 2015, mette in dubbio le convinzioni radicate nella massa di intellettuali afflitti dal virus dell’ideologia. Sono in molti a credersi progressisti mentre in realtà sono reazionari perché ragionano non solo su vecchie tipologie del secolo scorso, ma ignorano i dati della realtà contemporanea. Soprattutto hanno una visione miope della realtà in divenire, nutriti da un occulto senso di superiorità. L’evoluzione socio- politica globale non fa sconti, se le classi intellettuali europee continueranno a credersi capaci di gestire una realtà che non conoscono e sfugge completamente al loro controllo, avranno un tragico risveglio.
La fievole voce
Scriveva Roland Barthes: ci sono sempre più scriventi e meno scrittori. Questo vale anche per la filosofia e la critica d’arte. Come il resto dell’evoluzione umana, anche nell’arte la ricerca della corretta espressione, non è una linea retta, ma un accumularsi di compromessi. Il bastone storto dell’umanità di kantiana memoria, non si è affatto raddrizzato, nonostante le biblioteche si siano arricchite di testi di filosofia e sociologia. Si è accettata l’idea che le storture sono inevitabili, se non addirittura positive come sintomo di “libertà individuale”. Nel cosiddetto sistema dell’arte, ci troviamo di fronte a distorsioni che, a un attento esame, dimostrano la totale entropia culturale. Ne sono un esempio, le mostre a tema che dilagano nel panorama espositivo accampando pretese di affrontare temi “sociali”. In realtà le mostre a tema sviliscono l’arte per una quantità di ragioni. Intanto sono la negazione dell’essenza stessa dell’arte che è costituita dall’uso della metafora e non può essere usata come manifesto socio politico. La stessa opera di Pelizza da Volpedo, “Il Quarto Stato”, non è che una gigantesca locandina politica alla quale il tempo ha conferito il valore di icona. Si aggiunga che spesso i veri protagonisti delle esposizioni a tema, non sono gli artisti, ma critici e curatori. Le opere sono messe in sequenza per illustrare il tema prestabilito, singolarmente perdono significato, sono parte di un puzzle. Ogni opera d’arte ha una propria storia ed un proprio significato, corrisponde al percorso creativo dell’autore che l’ha realizzata. L’avvento della Pop-Art , con le opere seriali che inneggiano al consumo, ha messo in forse importanza e significato delle singole opere, pur facendo levitare il valore venale con i metodi promozionali a cui i mercanti hanno fatto ricorso. Scriveva Thomas Mann, l’autore del Doktor Faust: “il demonio non permette nessuna neutralità e piega alla concretezza della volgarità venale, anche le migliori intenzioni di anime deboli”. La modernità ha trasformato il bello artistico in un male artistico, strumento di propaganda ed espressione della trivialità che è componente dell’esistenza umana pronta a far ricorso ad ogni pretesto per sfrenarsi e rimuovere i canoni della estetica razionale. Già Baudelaire, vittima dell’impotenza della volontà, ma lucido intellettualmente, lamentava la “prostituzione dell’anima”. L’eccitato brusio della folla cancella la fievole voce della coscienza inquieta.
Difficile resistere
Quali possono essere le motivazioni che ci spingono a svolgere un’attività? Fuori dalla retorica, principalmente il lucro, ma la varietà delle attività, oltre al lucro, hanno ragioni diverse, ambizione, passione e chissà cos’altro. Chi scrive partecipa al Portale Italiano dell’Arte, nelle sue varie denominazioni dal 1994. 23 anni di lavoro senza aver mai aver percepito un euro. Cosa questa che difficilmente interessa chi legge, pochi o tanti che siano. Perché dico questo dunque? Semplicemente per chiarire che può esserci anche un’unica motivazione: la passione. Oggi però la mia passione è usurata dalla crescente vacuità di ciò che osservo; cultura, arte, società Mi capita di sentirmi un ottuso don Chisciotte che, invece della lancia usa la tastiera del PC e la cinepresa. E’ sempre più evidente che l’insieme dei “saperi” si arena in un solipsismo cinico alimentato dal mito della libertà individuale , una sorta di virus mentale che ha origine nell’ignoranza e radici nella irresponsabilità collettiva e individuale. La cultura, intesa come capacità di intervento e modificazione della realtà, ha perso slancio e significato, ha cessato di renderci umani, il cogito lascia spazio al ludico. Subissati da libri inutili, opere d’arte che fanno il verso a se stesse. Sfogli le pagine di un inserto culturale,leggi titoli di questo genere: “ Psico-filosofia della sedia” , “uno strumento per essere”. Una mostra del solito Damien Hirst inaugurata con gran clamore a Venezia è una via di mezzo tra Disneyland e finta archeologia. Quale può essere la reazione di fronte a tutto questo e altro ancora peggiore? Chiudere gli occhi? Scrivere un testo di contestazione con la certezza che non modificherà di una virgola lo stato delle cose? Prima di ritirarsi nel suo castello a Ferney, vicino a Ginevra, Voltaire scrisse:” dopo aver tentato inutilmente di indurre gli uomini alla ragione, preferisco vivere sereno lontano da loro”. Albert Schweitzer trascorse gli ultimi anni della sua vita nel lebbrosario di Lambaréné in Gabon ,Africa, senza più proferire parola nè scrivere. Dunque il disgusto della società è sentimento antico. Anche il più ostinato ottimismo s’infrange di fronte al trionfo costante della stupidità che ha dalla sua il tempo e i numeri. Come diceva Longanesi “uno stupido è stupido 24 ore al giorno”. L’intelligenza ha cedimenti più o meno frequenti. Questo spiega perché il mondo è pieno di idioti di successo.
la cultura italiana
Abitualmente, quando si parla della cultura italiana, ci si riferisce all’arte pittorica. In realtà fin dal VIII secolo d.c. in Italia vi era una radicata cultura non solo ecclesiastica. Mentre gli Ungari erano per lo più predoni che devastavano l’Italia del nord, la cultura italiana è stata lievito a quella che poi diventerà l’Europa moderna. La conquista carolingia si estese soprattutto nel nord Italia e si guardò bene dall’intaccare le sedi in cui la cultura si formava, monasteri e le cosiddette scuole Cattedrali. Il gruppo di poeti di Pavia, il cui ultimo esponente, Paolino, muore nel 817, furono il brodo di cultura in cui si sviluppò una cultura “libresca” alla base anche dello sviluppo civile. Il vescovo di Vercelli Attone, contemporaneo di Raterio, ci fornisce alcune indicazioni sulla gamma dei programmi educativi delle sua diocesi. Vi era anche una grande cura della scrittura calligrafica di cui abbiamo traccia grazie alla documentazione della scrittura di laici e chierici. Viene spontaneo il confronto tra la rozza modernità esaltata dagli aedi del progressismo. Il 6 luglio del 1943 il Daily Sketch di Londra pubblicava una lettera di un certo E.G. Bisseker . Questo signore auspicava la distruzione di Roma, sostenendo che le vestigia dell’antica civiltà romana erano opprimenti e d’intralcio al progresso. Oggi che il Governo italiano annovera tra i suoi ministri una certa Valeria Fedeli , la quale ha esibito un laurea falsa, ciò nonostante è rimasta a capo del ministero dell’Università, sembra essere sulla stessa linea dell’anonimo londinese. E’ incomprensibile l’accanimento con il quale viene deviato l’insegnamento scolastico in funzione di una modernità depravata e superficiale. Se la grande cultura italiana è affidata a personaggi come la Fedeli, c’è da temere che, nonostante gli spot dei politici a favore della cultura, l’Italia sia destinata ad un inarrestabile degrado. L’episodio relativo alla lettera di un anonimo inglese non è un caso eccentrico. Nel 1943 gli inglesi non ebbero remore a distruggere con i bombardamenti aerei l’abbazia di Montecassino costruita prima nell’VIII secolo d.c. in cui l’abate Bertario curava la scuola di grammatica latina e greca. Per assicurare la traccia della storia e legalizzare i rapporti privati tra persone, Carlo Magno istituì la professione notarile a Mantova fin dal 781 d.c. In questo breve scritto non è certo possibile anche solo elencare l’evoluzione culturale della quale l’Italia ebbe una parte preponderante. Carlo Magno, Ottone I, Ottone II, al loro rientro in Germania dall’Italia, portarono con sè intellettuali i quali crearono scuole nel territorio tedesco e costituirono le basi per lo sviluppo della cultura. Quegli intellettuali italiani furono i prodromi alla nascita delle Università tedesche. L’Italia di oggi, la cui politica è affidata a personaggi scialbi e ignoranti, è al traino dei paesi anglosassoni, quasi non esistano in Italia energie intellettuali in grado di affrontare i problemi della modernità. Questo avviene mentre giovani laureati italiani approdano nelle università statunitensi e inglesi nelle quali riversano la loro intelligenza e il loro sapere.