Il fascino dello specchio.
Dal mito di Narciso lo specchiarsi è sempre stato motivo di confronto, attrazione, della umana vanità. Nel “ Diario del seduttore” Kierkegaard ha scritto: “ E’ appeso uno specchio alla parete opposta, ed ella non vi fa caso, ma vi fa caso lo specchio”. Michelangelo Pistoletto con la sua idea dell’azione interattiva tra l’opera e chi guarda, ha dato forma a una delle ossessioni della modernità. Il fascino dello specchio non è tanto il fatto di potersi riconoscere, questa anzi è una possibilità che a volte suscita angoscia, quanto piuttosto l’arguzia misteriosa e ironica del raddoppiamento. Ci rendiamo conto di essere legati a una persona quando riscontriamo in lei i nostri stessi difetti, le nostre stesse qualità. Un gioco senza fine di segni che ci consentono di identificarci, quindi capire noi stessi attraverso l’altra/tro. Bisogna diffidare dell’umiltà degli specchi. Umili servi delle apparenze, possono riflettere gli oggetti che stanno di fronte a loro con apparente neutralità. In realtà vi è un gioco di luce, l’eccesso di chiarezza che mette in risalto quello che sul nostro volto non vorremmo vedere. L’arma aguzza e ingannevole della verità fatta apparenza, uno stato di sospensione della pura immagine della fisicità. Raramente lo specchio riflette l’espressione degli occhi, non vi è possibilità di “spiritualità” nelle apparenze, simile a un gioco di dadi che rotolano a caso verso significati imprevisti. Per questo i pornografi amano gli specchi, sono riflessione della pura materia, più reale del reale. Non è pensabile un boudoir senza specchi. I piccoli volgari frammenti di bravura libertina vanno raddoppiati. Il gioco della seduzione ha bisogno di conferme. Ossessionati dalla disillusione Kleist, Holderlin, Novalis, Kafka, hanno scritto pagine memorabili sullo specchio. Il doppio del nulla. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, non è la loro unica funzione. Se cosi fosse vivremmo in una società di ciechi.
piergiorgio firinu
La supponenza critica.
Per Kant fanatico è colui che ha una fiducia sconsiderata per la ragione, tale propensione può tradursi nel rifiuto dei limiti della finitezza umana. Atteggiamento che si registra anche a proposito dell’intolleranza e della violenza che emergono dal dibattito critico contemporaneo sull’arte, in cui l’esame delle cause è oggetto di saggi supponenti e aggressivi. Il tema è stato affrontato con dovizia di dettagli da Michael Fried in “ Art Criticism, in the Sixties” pubblicato nel 1967. In oltre mezzo secolo nulla è cambiato, semplicemente si è capovolto quello che veniva considerato conformismo, prima che deflagrassero le così dette avanguardie, le quali hanno prodotto il risultato di capovolgere semplicemente i riferimenti socio-culturali creando una nuova forma di conformismo. Oggi conformismo significa accettare, in modo acritico, tutto ciò che, a torto o ragione, viene considerato provocatorio, e in controtendenza, in breve,“avanguardia”. Si dovrebbe tener conto del fatto che, come scrive Stanley Cavell, “qualsiasi prospettiva critica si basa sempre sul richiami ad affermazioni ovvie; qualsiasi “scoperta” critica si presenta sempre come scoperta dell’intera verità di un’opera, tutto questo spesso finisce per intrecciarsi con il problema dell’idiozia e dell’arroganza, sicuramente diffusa tra le masse….”. Questa è la ragione per cui risulta francamente deprimente leggere certe affermazioni di filosofi, purtroppo in cattedra. Il noto detto “ non c’è cosa tanto sciocca che non sia stata detta da un filosofo”, continua a trovare conferme. Sulla pagina culturale di un quotidiano, un filosofo, per “giustificare” l’azione di Andy Warhol”, consistita nell’esporre in gallerie d’arte logo di prodotti in vendita nei supermercati, fiocchi d’avena Kellog’s, pesche sciroppate Del Monte, zuppa di pomodoro Campbell’s, Ketchup Heinz, non trova di meglio che tirare in ballo “l’elemento ontologicamente costruttivo”, anche se non è chiaro cosa questo significhi e soprattutto quale attinenza abbia con il gesto di Warhol. La tesi dimostrerebbe che l’opera d’arte è essenzialmente “una cosa”, appare una tautologia abbastanza risibile. E’una “cosa” anche il contenuto dei barattoli di Piero Manzoni. Senza scomodare le categorie di Aristotele è chiaro che tutto ciò che è materiale è cosa. Ma il filosofo da rotocalco, non pago di simile profonda considerazione, ci spiega che i ready made trovano conferma e giustificazione nei musei archeologici dove sono esposti scheletri, lapidi, sarcofaghi, anfore. Sembra sfuggire, al dotto studioso, che una cosa sono le testimonianze storiche, altra cosa manufatti e prodotti escatologici e/o alimentare destinati ad altre sedi e altri usi. Non c’è dubbio che il tentativo di Duchamp di epater les bourgeois , ripetuto fino alla noia dai numerosi nipotini, si è dimostrato un colossale fallimento. Non solo perché è stato prontamente museificato, osannato dalla critica, quasi fosse in se un atto geniale, ma soprattutto perché ha contribuito a frenare lo stimolo alla ricerca di forme di espressività capaci di dare senso all’evoluzione della ricerca di rappresentazione della contemporaneità, ha fornito pretesto agli artisti “trovarobe” ai quali non è parso vero supplire alle loro carenze tecniche e concettuali facendo ricorso all’utilizzazione di tutto ciò che poteva avere una parvenza di trasformazione in opera d’arte, bastando la natura ontologica di “cosa”, tutto è utilizzabile, riciclabile, vendibile. Con il risultato che anche una mucca in formaldeide diventa vitello d’oro per l’artista, scorno per chi ancora si illude che l’arte sia altro.
piergiorgio firinu
Il gatto di Eliot.
T.S.Eliot afferma che ogni gatto ha tre nomi: il primo quello con cui viene abitualmente chiamato, il secondo , più particolare , quello con cui viene distinto dagli altri, il terzo quello che solo il gatto conosce. Tale è la distinzione articolata di significato e realtà. Nominare una cosa, non significa averne descritta l’essenza reale. Quando Searle sostiene che dobbiamo guardare le cose per come sono, fa una affermazione priva di senso, perché presume che l’aspetto delle cose basti a rendere possibile la loro comprensione. Un opera d’arte è soggetta a vari livelli di comprensione e diversi percorsi di lettura, per questo è reso necessario il processo ermeneutico. Il simbolo serve a contrassegnare l’indicibilità e intraducibilità dell’esperienza estetica. Ciò che vediamo e conosciamo tentiamo di descriverlo con la parola, è questo che conferisce dignità alla parola stessa, essa sola non rivela nulla ,ma conferma la rilevazione, a fissa in un significato che diventa fruibile, condivisibile. Dare un nome significa in qualche modo prendere possesso della cosa nominata. Gli schiavi romani non avevano un nome perché non gli era riconosciuta personalità giuridica. Solo quando si è separato il suono dal significato, si è costituita la sfera del senso linguistico in quanto tale. La scrittura come l’arte appartiene in origine alla sfera magica. Essa serve ad acquisire il potere che deriva dal nominare e definire una cosa, mentre l’illusionismo dell’arte si affida alla rappresentazione. Giambattista Vico considerato il fondatore della moderna filosofia del linguaggio, e quindi anche il fondatore di una filosofia della mitologia completamente nuova. La mitologia è il simbolo che diventa storia. Il mito affonda le sue radici nella oscurità dei tempi, quando la paura dominava l’umanità di cui è rimasta traccia in certi popoli primitivi dei quali si racconta che quando vedevano un arcobaleno tremavano e si nascondevano perché la ritenevano una rete tesa da un potente stregone per catturare le loro ombre. L’arte esprime anche una simbologia politica. Pare sia stato Panofsky il primo a rilevare la relazione tra lo stile Gotico e la riforma prendendo spunto dalla gerarchia del metodo scolastico, e quindi ambedue con l’ordine sociopolitico incarnato nell’Ile-de-France intorno alla monarchia capetingia. Nell’arte contemporanea l’oggettivazione formale,spesso scade nel triviale, è stato reso improponibile ogni riferimento simbolico come ogni richiamo al mito, in breve tutto ciò che conferiva significato all’arte.
piergiorgio firinu
L’intuizione di Platone.
Arte e filosofia, due visioni della realtà tra fantasia e ragione. L'Eredità lasciata dalla Grecia alla filosofia occidentale è la filosofia occidentale. E’ quanto scrive Bernard Williams nel Libro “Il senso del passato” . Nella scienza i greci hanno imboccato certe vie lungo le quali i Moderni hanno proseguito in progressi. Nelle arti i greci hanno lasciato opere meravigliose ma poca filosofia e ancor meno critica per la ragione che gli artisti greci erano considerati alla stregua di demiurghi, vale a dire artigiani. Il paradosso che ci sono opere meravigliose delle quali non conosciamo l’autore. Esattamente l’opposto di oggi in cui opere, diciamo poco significative vedono celebrarti i loro autori. La realizzazione di costruzioni architettoniche, opere all'interno delle quali in epoca successiva avrebbero guardato quanto più quanto meno come a modelli di perfezione. Nella filosofia i greci hanno aperto quasi tutti i grandi campi ,metafisica, logica, filosofia del linguaggio, teoria della conoscenza, etica, filosofia politica, in misura assai minore, abbiamo già detto, filosofia dell'arte. Non solo hanno inaugurato questi campi di ricerca, ma li hanno man mano definiti, molti di quelli che ancora oggi riconosciamo come problemi fondamentali di quei campi li dobbiamo a filosofi greci. Tra gli artefici di questi progressi due filosofi Platone e Aristotele. Da chiunque nel mondo occidentale conosca o studi filosofia, sono sempre stati considerati i più grandi per il genio filosofico e per ampiezza di concezione il loro influsso. Dante definì Aristotele: maestro di coloro che sanno. Platone esprime le sue perplessità sull'arte perché intuisce che, l’immaginifica creatività che, base dell'arte, si presta a depravazioni estetiche. Così è puntualmente è accaduto. Inoltre l'esaltazione antropologica che l’arte suggerisce finisce per tradursi in un ulteriore aspetto negativo. L’arte, avendo privilegiata la scelta di libertà, si è sottratta al determinismo che regola l’ambito fenomenologico. La distruzione delle regole a cui si richiama Kant. Agli occhi di Schopenhauer,e del primo Nietzsche,si attua la riduzione della morale a estetica. La pittura, come dice la parola stessa, è pur sempre un fare. Dunque, al di là delle teorie più o meno credibili, vale per il singolo artista l’affermazione di Goethe: “ Quello che so lo può sapere chiunque,ma il mio cuore è soltanto mio”. E’ questo che conferisce all’artista la capacità d’incidere sulla realtà, di creare o distruggere. Nietzsche accusava Euripide di aver distrutto la tragedia con la ragione. Euripide controbatte che per essere liberi andiamo contro natura e logica. Hegel, a questo proposito, ha accordata la benedizione dell'Alto del concetto quello storico, della religione,e artistico. Nella religione estetica, gli artisti che conoscono l'onore degli altari sfuggono il destino generale, sparire più o meno senza essere celebrati. Se non esistesse ancora in molti di essi la facoltà di partecipare positivamente alla trasfigurazione degli altri grandi, l’ottuso bom mot di Andy Warhol sui 15 minuti di gloria per tutti, descriverebbe effettivamente l'orizzonte ultimo di un'attività di civilizzazione nella quale più di qualsiasi moneta la fama viene svalutata dall'inflazione.
piergiorgio firinu
Identità è linguaggio.
L'ampliamento della nostra conoscenza può avvenire solo grazie al sapere pregresso, ovvero in base al pregiudizio che ci siamo creato. Gadamer sostiene che il processo di formazione mediante il quale una tradizione viene trasformata in processi individuali di apprendimento e assimilata tramite il linguaggio, egli attraverso un complesso procedimento di analisi storico –sociale, ha derivata la riabilitazione del pregiudizio. La conoscenza può elevarsi a riflessione e rendere trasparente la cornice normativa in cui si sviluppa. L’ impegno ermeneutico fa emergere allo stato di coscienza ciò che nella pratica del comprendere è già sempre storicamente pre- strutturato dalla tradizione, che non è un processo che noi dominiamo, ma il linguaggio tramandato in cui viviamo. Negli ultimi 80 anni, complice l'enorme sviluppo dei mezzi di comunicazione, si è provocata la deformazione del linguaggio. I social media hanno reso obsoleto il testo fondamentale di Marshall MacLuhan : “gli strumenti del comunicare” (1964). Anche nei processi di creazione artistica, si compie un’autentica integrazione, del potenziale di significato, vincolato simbolicamente è recuperato nell'atto creativo è reso forma. Questa trasposizione di contenuti semantici estende l'ambito della comunicazione e contribuisce al momento di emancipazione creativa. Le avanguardie hanno preteso di azzerare l’epistemologia dell’arte, cancellare un linguaggio strutturato e affidarsi all’agire estemporaneo, istintivo. Questa non può configurarsi come creazione, al più, è un’attività ludica. In questo processo disgregativo l’arte ha dissolto il proprio linguaggio. Secondo Wittgenstein : la perdita di un linguaggio significa la perdita di un mondo. Così, l’estraniazione semantica, finisce per ridurre il linguaggio dell’arte,in gergo, processo che, sul piano socio psicologico, si traduce in perdita d’identità. La critica procede in una narrazione eristica dell’arte nella presunzione di immaginare il senso delle opere che esamina, in realtà, spesso, è essa stessa a creare significati e motivazioni estranee alle intenzioni dell’artista che soggiace alla pluralità di suggestioni che il critico sembra suggerire. Gli artisti hanno fatto un balzo nel vuoto azzerando l’epistemologia dell’arte, a prescindere dalla esaltazione critica di cui hanno fruito, essi hanno gettato le basi del triste presente artistico che viviamo
piergiorgio firinu
Disincanto e razionalità.
Max Weber nei suoi testi di sociologia usa con frequenza l’espressione: razionalità. Egli ritiene che la razionalità consenta di raggiungere il disincanto dal mondo. Forse non c’è mai stato il disincanto dal mondo, se non per pochi anacoreti, quello che Weber definisce disincanto non è che una forma di cinismo o rassegnazione delle masse soggette alla suggestione dell’informazione e cultura al servizio delle èlite borghesi oggi dominanti, che hanno interesse a far apparire il mondo gradevole dispensatore di merci e piaceri. In ogni caso la razionalità è neutra, come la logica, non attribuisce valore. Un assassino che con perfetta razionalità compia un delitto, non ha per questo conferisce positività al suo gesto. E’ esattamente questo uno degli snodi che caratterizzano la civiltà contemporanea. Tecnologia e scienza sono frutto di razionalità neutra, indifferenti al valore morale. La versione filosofica di questo diffuso comportamento ha uno dei suoi riferimenti nel cosiddetto pensiero debole. L’arte non ha di per se un riferimento etico, questo non implica non possa avere, o dovrebbe avere, coscienza delle ricadute sociali che la sua suggestione crea e continuare a porsi la questione di qual è il significato e scopo dell’arte, problema mai risolto. Richiamarsi all’agnosticismo serve a paco e non costituisce risposta. Analogo discorso vale per il significato della scienza, che non è mai, o quasi mai, messo in discussione perché l’operato della scienza trova giustificazione nel risultato pratico-utilitaristico, anche se non sono poche le scoperte inutili, quando non nocive. Sicuramente la scienza costituisce una parte significativa della razionalizzazione intellettualistica dell’esperienza che accompagna il progressivo disincanto del mondo. Naufragate le illusioni che tendevano raggiungere il fine della felicità a cui si sono dedicate molte scuole filosofiche. La riflessione sulla felicità resta una componente di fondo della tradizione filosofica occidentale. Il paradosso, che mentre il problema della felicità nasce da una domanda socratica sulla virtù, nella pratica della società occidentale contemporanea si configura come l’opposto: la felicità è ricercata nel piacere, consumo, eccessi di ogni genere, tanto che la democrazia plutocratica americana ha incluso nella costituzione il diritto alla felicità La risposta alla ricerca della felicità, che un tempo era affrontata dalla letteratura e dall’arte, non può certo essere affrontata dalla razionalità, tanto meno alla scienza. Siamo burattini dominati dal caso e dalla necessità. Tolstoj, come altri grandi intellettuali, era molto critico nei confronti della scienza e pensava, come Socrate, che la felicità fosse possibile tramite percorsi virtuosi, in accordo con Kant ed Hegel riteneva che la felicità abbia un contenuto affermativo solo negli impulsi a cui è affidata la decisione e il sentimento.
piergiorgio firinu
Disincanto e razionalità.
Max Weber nei suoi testi di sociologia usa con frequenza l’espressione: razionalità. Egli ritiene che la razionalità consenta di raggiungere il disincanto dal mondo. Forse non c’è mai stato il disincanto dal mondo, se non per pochi anacoreti, quello che Weber definisce disincanto non è che una forma di cinismo o rassegnazione delle masse soggette alla suggestione dell’informazione e cultura al servizio delle èlite borghesi oggi dominanti, che hanno interesse a far apparire il mondo gradevole dispensatore di merci e piaceri.
In ogni caso la razionalità è neutra, come la logica, non attribuisce valore. Un assassino che con perfetta razionalità compia un delitto, non ha per questo conferisce positività al suo gesto.
E’ esattamente questo uno degli snodi che caratterizzano la civiltà contemporanea. Tecnologia e scienza sono frutto di razionalità neutra, indifferenti al valore morale.
La versione filosofica di questo diffuso comportamento ha uno dei suoi riferimenti nel cosiddetto pensiero debole.
L’arte non ha di per se un riferimento etico, questo non implica non possa avere, o dovrebbe avere, coscienza delle ricadute sociali che la sua suggestione crea e continuare a porsi la questione di qual è il significato e scopo dell’arte, problema mai risolto. Richiamarsi all’agnosticismo serve a paco e non costituisce risposta.
Analogo discorso vale per il significato della scienza, che non è mai, o quasi mai, messo in discussione perché l’operato della scienza trova giustificazione nel risultato pratico-utilitaristico, anche se non sono poche le scoperte inutili, quando non nocive.
Sicuramente la scienza costituisce una parte significativa della razionalizzazione intellettualistica dell’esperienza che accompagna il progressivo disincanto del mondo.
Naufragate le illusioni che tendevano raggiungere il fine della felicità a cui si sono dedicate molte scuole filosofiche.
La riflessione sulla felicità resta una componente di fondo della tradizione filosofica occidentale. Il paradosso, che mentre il problema della felicità nasce da una domanda socratica sulla virtù, nella pratica della società occidentale contemporanea si configura come l’opposto: la felicità è ricercata nel piacere, consumo, eccessi di ogni genere, tanto che la democrazia plutocratica americana ha incluso nella costituzione il diritto alla felicità
La risposta alla ricerca della felicità, che un tempo era affrontata dalla letteratura e dall’arte, non può certo essere affrontata dalla razionalità, tanto meno alla scienza. Siamo burattini dominati dal caso e dalla necessità. Tolstoj, come altri grandi intellettuali, era molto critico nei confronti della scienza e pensava, come Socrate, che la felicità fosse possibile tramite percorsi virtuosi, in accordo con Kant ed Hegel riteneva che la felicità abbia un contenuto affermativo solo negli impulsi a cui è affidata la decisione e il sentimento.
Libertà è volontà.
La nostra epoca sembra ossessionata dalla ricerca della libertà, mentre rifiuta le regole che la disciplinano. In “Disagio della civiltà”, Freud sottolinea più volte che la civiltà può esistere solo se accetta determinate limitazioni, scopo delle quali è preservare,attraverso il processo di sublimazione, energie da destinare alla scienza, alle arti e in ogni altra prestazione utile alla società. Contro questa repressione del desiderio Herbert Marcuse scrisse “Eros e Civiltà” , uno dei suoi libri più noti nel quale sviluppa con singolare vigore le premesse della filosofia sociale di Freud. Mentre per Freud libertà e civiltà sono incompatibili per Marcuse l’eros deve poter essere libero di manifestarsi sottraendosi alla repressione della civiltà. Inevitabilmente Marcuse divenne uno dei guru del ’68, da cui però finì per prendere le distanze. Molto più del ’68, il dilagare della ideologia femministoide ha creata una situazione di totale permissivismo sociale. Dal linguaggio all’abbigliamento la società di oggi ha superato tutte le ere precedenti, annullati tutti i limiti. Avendo abolita ogni regola, civiltà occidentale ha dato vita a una sorta di anarchia etica, situazione che si riverbera non solo nelle relazioni personali, ma nella violenza individuale e collettiva a conferma di quanto sosteneva Hobbes, nella nota preposizione: “Homo homini lupus”. La libertà, diceva Seneca, comincia dal controllo di noi stessi,della nostra vita nella quale dovremmo esercitarci alla positività. La volontà è una delle prerogative dell’intelligenza, essa può determinare il nostro destino. Secondo Nietzsche ed Schopenhauer tutti hanno la possibilità di intervenire con la propria volontà e modificare le situazioni. Esemplare il caso di Demostene che balbuziente dalla nascita riuscì a diventare l'oratore più celebre del suo tempo. L’organizzazione finalistica dei comportamenti umani viene proposta da Adler attraverso l’utilizzazione di una teoria filosofica presa a prestito da un saggio pubblicato nel 1911 dal filosofo tedesco Hans Vaihinger “La filosofia del come se” che riflette le influenze pragmatiche diffuse all’inizio del ‘900. La dimensione estetica paga la propria libertà con l’impossibilità di convalidare un principio di realtà. Come l’immaginazione che ne è la facoltà psichica costitutiva, il regno dell’estetica è essenzialmente non realistico. L’artista vive nella realtà fenomenica che in qualche misura condiziona il suo modo di elaborare il pensiero creativo. Paradossalmente, nel momento in cui le avanguardie si sottraggono alla astrazione estetica e si affidano alla elaborazione concettuale, nello stesso momento diventano soggetti alla realtà. L’intima connessione di bellezza, verità e arte, va in frantumi, subentra la ragione pratica. L’ansia di libertà sopra accennata,è stato forse il principale stimolo che ha mosso le avanguardie portandole agli eccessi raggiunti dagli epigoni di oggi, in una sorta di sabba della stupidità che si ostinano a definire creatività. Di fatto il procedere confuso della produzione d’arte, ha eliminato il piacere che proviene dalla percezione della forma di un oggetto, indipendentemente dalla materia di cui è composto e dal suo scopo. In questo modo ha capovolto il senso stesso dell’arte che diventa una sorta di strumento dell’ideologia, del satanismo, come il crocifisso immerso nell’urina, il femminismo con l’uso diretto e volgare della sessualità. La libertà ha fagocitato l’arte e contribuito alla debacle estetica del nostro tempo.
piergiorgio firinu
Creare l’Utopia.
Non è l’arte a creare l’utopia, ma la filosofia, soprattutto la filosofia politica. Sono stati molti i filosofi e intellettuali aver pagato un caro prezzo alle loro illusioni. Tommaso More, creatore del sostantivo “utopia”, è stato decapitato. Tommaso Campanella autore della “Città del Sole”, ha trascorso 27 anni in carcere. Condorcet, autore di “L’Esquisse”, si suicidò in carcere. Non risulta che un solo pittore sia stato punito per le proprie opere. E’ paradossale che nel ‘700 a cimentarsi nella ricerca di realtà impossibile siano stati molti sacerdoti, cioè esponenti, sia pure marginali, della Chiesa Cattolica Romana all’epoca dominante. Il parroco Jean Meslier ribadì il legame fra la costruzione concreta dell’utopica e la critica del sistema vigente, inquadrando tutto in una violenta denuncia della società fondata sulla proprietà individuale. Meslier attrasse l’attenzione di Voltaire che lo citò nei suoi scritti. Etienne Morelly Gabriel era un laico, nel suo libro “Code de la Nature” (1755) opera di valore anche letterario tanto che, per lungo tempo fu attribuita a Diderot. In questo caso la critica alla società parte dalla natura. Nietzsche è stato forse il filosofo che, a modo suo, fuggi maggiormente la realtà, fino all’esito finale quando a Torino dovette essere soccorso per una grave crisi. Il pensiero di Nietzsche è caratterizzato da una radicale messa in discussione della civiltà e della filosofia dell’Occidente , che si traduce in una distruzione programmatica delle certezze del passato. Nietzsche diceva di se stesso: “Io non solo un uomo , sono dinamite”. E ancora: “Io non sono abbastanza ottuso per il sistema”. Mentre Nietzsche visse sulla sua pelle il travaglio di una pensiero veramente creativo, gli artisti, specie pittori, non furono mai davvero capaci di trasformare in immagini la difficoltà, spesso la sofferenza, di esistere. Per questo nessun artista è arrivato a posizioni così estreme, al più, specie dal femminismo, unica trasgressione è stata la trasgressione sessuale, che poi, nella nostra era totalmente permissiva, trasgressione non è. Ed è esattamente questo il ristretto limite della cosiddetta arte di avanguardia che non ha mai proposto nulla che sapesse davvero coniugare forma e pensiero in un atto propositivo capace di dare forma al caos.
piergiorgio firinu.
Cresce l’ignoranza in epoca di diffusione dei media.
L’analisi heideggeriana della temporalità dell’esistenza umana ha mostrato in modo convincente che il comprendere non è uno dei possibili atteggiamenti del soggetto, ma il modo di essere dell’esistenza come tale. Questo spiega il persistere, anzi il crescere dell’ignoranza in epoca in cui vi è diffusione dei media e della editoria. Anche la qualità estetica di un opera d’arte si fonda sulla cultura e capacità tecniche dell’artista e ma trascende la dipendenza di condizioni storiche e culturali. L’atto della comprensione presume cultura e sensibilità, qualità che rendono possibile una vera esperienza dell’arte. Vi è una immaginaria linea di demarcazione tra il mondo nel quale l’artista ha realizzato l’opera e il mondo nel quale viene fruita. Nietzsche, capovolgendo la sentenza di Parmenide, poi ripresa di Hegel,”Ciò che è pesabile è reale e ciò che reale è pensabile”.Per Nietzsche : “ tutto ciò che pensabile è irreale”. Infrange il tradizionale principio di realtà. L’arte compie questo passo. Presumibilmente l’artista non pensa d’interpretare le varie teorie filosofiche della realtà. Immaginiamo un immagine sacra prodotta in epoca medioevale per comunicare la sintesi di una narrazione religiosa, quale la realtà dell’immagine,quella che vediamo fisicamente, ovvero la simbologia che si presume rappresenti? Oggi, in era assolutamente atea,esposta in un museo, quale significato assume? Anche il mito non è più parte del patrimonio culturale contemporaneo, ma ciò nonostante è sottoposto a dotte ermeneutiche, interpretazioni in chiave moderna. Come viene letta oggi un immagine sacra ? Alla tregua di una pittura astratta? Osservando cioè solo colore e forma, trascurando la narrazione religiosa e filosofica a cui l’opera rimanda ed aveva per così dire funzione didattica? Partire dalla denominazione,scienza dello spirito, per tentare di dare un'impronta spirituale alla impronta stilistica, è uno degli espedienti a cui facevano ricorso filosofi e artisti. Oggi la spirito non ha più diritto di cittadinanza nella società contemporanea, nella quale la sensibilità è quanto meno superficiale, epidermica, Potremmo fare un lunghissimo elenco di opere soprattutto di “arte” femminile la cui essenza va oltre la materialità per sconfinare nella più bieca volgarità formale. La critica, in difficoltà nel dare significato all’opera, spesso si limita ad ipotizzare le intenzioni dell'artista in una sorta di fantasiosa introspezione. D’altra parte che tipo di stimolo, sensazione, informazione, quale significato può avere la visione, del letto sfatto di Tracy Emin presentato come opera d’arte? Ci troviamo a fare i conti con artifizi del linguaggio,un’ipocrita discrasia semantica che la psicologia di massa, vulnerabile alla suggestione della comunicazione, priva di anticorpi culturali, assimila e fa propri. La comunicazione di massa utilizza anche una narrazione pseudo culturale e immagini artistiche ma solo in chiave pubblicitaria.
piergiorgio firinu
L’umana specie ha perso il controllo.
La metamorfosi dell’essere umano avviene in migliaia di anni per la formazione del tipo, e poi delle generazioni; sicchè un individuo percorre durante la sua vita quelle dei molti individui. Le norme dettate dalla coscienza morale venutasi a creare attraverso lì evoluzione di millenni, costituirono guida e fine. Abolito ogni riferimento etico si è piombati in un confuso solipsismo edonistico che ha travolto tutta la specie umana. Schopenhauer sottolinea come la natura non si curi dell’individuo, abbia riferimento solo la specie. Tuttavia quando la specie perde il controllo della propria identità arrivando a sovrapporre i generi, negando gli stessi valori che consentono la propria sopravvivenza, significa che il declino non riguarda più soltanto la “società”, cioè l’agglomerato umano che la civiltà ha formato,ma proprio la natura stessa della specie umana. Nietzsche personalizzava la filosofia, la usava per tenere a bada il problemi mentali che lo hanno assillato per tutta la sua esistenza. Tuttavia negli sprazzi di razionalità creativa, egli era ben conscio del germe che rodeva dalle fondamento l’intera civiltà rendendola incapace di dare un senso all’esistenza. Zarathustra è la favola dell’impossibile delirio di potenza che si arena nel vuoto mentale delle masse edoniche. La semiologia della modernità è una giungla di segni contradditori che prendono le distanza da cultura e significato, nella ricerca d’individualità. Un tentativo confuso di trarsi dal caos, destinato a finire nella rinuncia ed annullarsi nella identità collettiva a cui spingono media e potere. Difficile governare gli individui . E’ quindi necessario indurli ad essere massa, il globalismo non nasce per caso. Il progressivo deterioramento della specie umana, non è, di fatto, governato da nessuno, siamo cioè nel Caos organizzato. Scrive Pierre Klossowski, la classe dirigente è al servizio delle masse, come le masse sono al servizio del sistema. La realtà è priva di effettivo controllo. A livello globale chi trae beneficio? Quale tipo di beneficio? E’ sufficiente l’ebbrezza del potere che è per sua natura sempre provvisorio?
piergiorgio firinu
Il sogno barocco.
Già nella cultura antica il sogno suscitò l’interesse di molti filosofi. Aristotele dedicò ben tre trattati al sogno che considerava parte della nostra capacità percettiva. Egli sosteneva che le immagini che vediamo durante il sogno hanno cause esclusivamente fisiologiche. Anche Epicuro sviluppò disamine sul sogno attribuendo ad esso cause materialistiche e sensistiche. Leibniz contrastava l’idea barocca che la vita possa essere sogno, come argomentava Pedro Calderon de la Barca in : “La vita è sogno”. E’ del tutto contrario alla ragione l’ipotesi di un sogno lungo quanto la vita umana, tuttavia questa romantica prospettiva è stata usata da poeti e drammaturghi. Anche Shakespeare non l’ha disdegnata in molte sue opere. L’arte è per se stessa una particolare forma di sogno, essa è una sorta di metafora dell’oltre realtà. Nonostante la definizione di metafisica, dell’arte, è improbabile che De Chirico, seguace della filosofia di Nietzsche, aderisce alla metafisica così come la intendeva Platone, il quale descrive, certo il percorso dall’eros alla sapienza, ma assegna alle arti figurative un rango ontologicamente inferiore. Il surrealismo confonde il sogno con l’irrazionalità. A partire dal dadaismo, le avanguardie si sono affidate a intellettualismi che, al di là delle forme provocatorie, erano sostanzialmente aridi e privi di poesia. Mentre Salvador Dalì usava la pittura per esprimere fantasie contorte, Man Ray seguiva le teorie di Andrè Breton il cui pensiero, più che teoria dell’arte ,sconfinava nella psicanalisi e nella parodia della forma. Anche per l’artista, tra razionalità ed emozione, si dipana il percorso dell’esistenza, parola di cui, sosteneva Liebniz, non conosciamo il significato. Ribatteva Berkeley: “ Noi conosciamo molte cose, per le quali ci mancano le parole per esprimerle”. La filosofia Barocca dibattè sulla impossibilità di soddisfare la richiesta cartesiana di una prova dell’esistenza del mondo, tema intorno al quale Liebniz e Berkeley avevano opinioni diverse espresse in contrastanti teorie. Sulla scia dell’alone infinito di possibilità che assedia il nocciolo ristretto di realtà, l’arte tenta d’inventare vie di fuga. Ogni progresso è formato da elementi così piccoli, fatti di ore e di giorni, entro i quali le griglie concettuali diventano troppo grossolane , immagini, paragoni, metafore, appaiono inefficaci per confrontare i piani della realtà in cui siamo immersi.
piergiorgio firinu
La parola e l’immagine.
In che misura un’opera d’arte si radica nella memoria? Che tipo di riflessione sollecita in noi? Davvero opere di Hartung, Pollock,Manzoni,Burri hanno arricchita la nostra sensibilità e la nostra cultura? Quasi sempre l’opera d’arte è correlata alla parola che ne spiega il significato. Dunque la parola non è solo il segno del pensiero,se con ciò si intende un fenomeno che ne annuncia un altro, come il fumo annuncia il fuoco. Com’è noto Socrate diffidava della parola scritta. Egli affidava il suo insegnamento alla sua voce, al dialogo con uomini vicini, in grado di essere interrogati e di interrogare a loro volta, uomini con i quali esercitare l’arte della reciproca persuasione. . Evidentemente non sempre questo è possibile, specie oggi in un mondo sempre più affollato nel quale ogni giorno si pubblicano una quantità di libri e giornali. La parola e il pensiero, quando sono in relazione con l’opera d’arte, contribuiscono a chiarirne il significato, entrambe si avvalgono di un segno. Lo scritto, più dell’immagine, è polisemico. Il segno è espresso dalla parola, la parola si avvale di una gnosi che da senso alla narrazione. Non potremmo nemmeno ammettere, come si fa di solito, di considerare la parola come un semplice mezzo di fissazione, o involucro al vestito del pensiero. Perché mai sarebbe più facile ricordare parole e frasi, piuttosto che l’imput che abbiamo ricevuto direttamente dall’opera? Come ricordare i pensieri, se ogni volta le immagini verbali hanno bisogno di essere ricostruite? E perché mai il pensiero espresso verbalmente, cioè attraverso la parola, dovrebbe essere più efficace e comprensibile? Il senso delle parole è nella forza del pensiero di cui sono espressione, se le parole sono di per sé stesse comprensibili, è perché il parlare possiede un potere significante che può essere interpretato a vari livelli di gnosi. Attraverso il linguaggio costruiamo il nostro sapere. Come scrive Baldassarre Graciàn: “La ragione favorisce ciò che esiste”. L’apprendimento avviene tramite la parola scritta o pronunciata, la quale acquista significato, essa è lo strumento attraverso il quale si trasmette il sapere. Solo quando è riuscita l’azione della parola, pronunciata o scritta, si installa nella memoria, costituisce un nuovo campo, l’arricchimento di una nuova dimensione alla nostra esperienza. Più semplice e diretta l’esperienza della immagine pittorica che fa parte della storia dei mezzi estetici come stimoli formali di rinnovamento. Per questo, la pretesa delle avanguardie di rinunciare alla mimesi e allontanarsi dalla natura, è stata velleitaria, perché ha creato un vuoto che ha colpita l’immaginazione produttiva menomandola e, per così dire, riducendo l’apporto culturale, rinunciando a dare ciò che la natura non da. Quanto più l’arte è diventata “comprensibile” o ha fatto credere di esserlo, tanto meno poteva restar “comprensibile”, come la natura; la quale del resto aveva già cessato di essere comprensibile da quando risultò che il libro della natura è scritto in un linguaggio cifrato la cui comprensione richiede ben altro che l’ermeneutica.
piergiorgio firinu .
Percezione e consapevolezza.
Per quanto possa essere creativa l'immaginazione pensiamo sempre una realtà possibile, introiettata nella nostra memoria. Quindi possiamo esprimerci elaborando i nostri ricordi, consci e inconsci, ma restiamo prigionieri di quello che possiamo definire antropospazio.Ogni nostra intuizione e percezione è racchiusa nella camicia di Nesso della nostra realtà. Ci sono due modi di essere e due soltanto: l’essere in se, che è quello della oggettività dispiegata nello spazio, e l’essere per se che è quello della coscienza. La coscienza di me predispone alla comprensione di ciò che mi circonda. Da questo dualismo Merleau-Ponty tra la convinzione che la percezione naturale può essere interrotta dalla consapevolezza. Ciò significa, secondo il filosofo, che percezione e razionalità sono aspetti diversi dell’approccio al reale, la percezione vera sarà del tutto e semplicemente una vera percezione se l'immaginazione non sarà, che una forma diversa d’intelligenza, non turberà l’immersione nel momento,.la sensazione, in quanto pensata, indurrà alla presa di coscienza che in qualche modo distoglie dalla pura percezione. Questa considerazione del filoso francese ha un qualche collegamento con il filosofo danese Kirkegaard, il quale in Aut-Aut, confronto tra etica ed estetica,attuava la stessa formulazione avendo come riferimento l’annullamento nel godimento, che, sosteneva è tanto più totale quanto maggiormente la coscienza si annulla nell’attimo. Il piacere frutto della percezione fisica con cui la ragione raramente e solo parzialmente coesiste. Anche l’illusione è una sensazione nella quale è assente la razionalità, di qui la contrarietà di Platone a quella che egli definiva la doppia illusione dell’arte. Dunque la psicologia della forma ha basi opposte alla epistemologia della scienza. il processo creativo non può essere basato sulla sola immaginazione.. Tuttavia la peculiarità dell'illusione consiste proprio nel non darsi come illusione. Quando percepisco un oggetto reale, quasi istintivamente lo colloco in un contesto che gli conferisce un senso. Per non perdere di vista la realtà è necessario abbia conferma della percezione, abbia cioè una presa di coscienza. L’artista conserva lo stupore di fronte al mondo,questo stupore lo induce a tradurre la realtà attraverso la propria visione nel flusso del pensiero-immagine egli trova lo stimolo per dare forma a ciò che non esiste. Lo sguardo modifica la percezione.
piergiorgio firinu
La fisionomia delle cose.
La pittura è un tentativo di ottenere la fisionomia delle cose e dei volti attraverso la restituzione integrale della loro configurazione sensibile, è ciò che la natura fa senza sforzo in ogni momento. Ecco perché i paesaggi di Cézanne sono quelli di un mondo in cui non c'erano ancora uomini, egli sosteneva che il paesaggio dipinto deve emanare un profumo. Percepiamo con il corpo, i sensi, la parola invece nasce dal pensiero e non ha forma. Ogni percezione è la materia che prende forma, il reale si distingue dalle nostre finzioni perché in esso il senso investe e penetra profondamente la materia attuando l’affermazione di di Hegel secondo cui il reale è razionale. Quando l'artista sostituisce la parola alla forma, in pratica rinuncia all'arte plastica per richiamarsi al pensiero che è materia della filosofia. Ma la filosofia è l'elaborazione del pensiero per arrivare al concetto,cioè alla sintesi, le poche parole che costituiscono l'opera non sono sintesi di nulla perché non precedute dalla elaborazione teorica, assumono quindi più che altro le caratteristiche di slogan. Le opere di Isgrò,Ben Vautier,Chiari, per citare alcuni artisti che operano in questo modo, usano le parole come metafora, con richiami a significati che però non sono visibili nell’opera, dunque non hanno valenza estetica ma solo concettuale. Al contrario, la fenomenologia dell'Arte è il percorso attraverso il quale avviene l'elaborazione della forma. Plinio il vecchio narra che la pittura ha avuto inizio quando un pastore ricalcò la sua ombra e la colorò. L’arte non può essere solo immaginazione, ma è gnosi. Plutarco ha tramandato un frammento di Eraclito che potrebbe valere come motto dell’illuminismo: “Eraclito dice che unico e comune è il mondo per coloro che son desti, mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio e particolare”. Quali sono le regole e le leggi del mondo comune, del mondo della natura delle azioni umane così come si manifestano? Il mondo comune è quello della ragione, dunque della conoscenza. Kant cita il motto di Eraclito nei sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica del 1776, nella fase in cui si vede risvegliato, grazie allo scettico Hume, dal sonno dogmatico e dai sogni della metafisica. Deve il filoso rassegnarsi e dire alla fine con Voltaire: “Fateci attendere alla nostra sorte , lasciateci andare in giardino a lavorare”. Significa cioè ritornare al significato originario del sostantivo Arte che implica fare.
piergiorgio firinu
La pittura ricrea il fascino del deserto.
Nel 1830 Algeri era diventata francese. Due anni più tardi Delacroix era in Marocco al seguito di una legazione francese. Nei disegni che ritraevano le sconfinate sabbie gialle del deserto e gli arabi nei loro burns bianchi sventolanti mentre cavalcavano nel bruciante calore, l’artista fissò una vivace libertà ricca di colore, sacrificandola nel quadro: come illustratore della conquista coloniale favoriva inconsapevolmente la riduzione della libertà degli algerini. Infatti la libertà naturale per gli algerini non era se non impulso, passione, erotismo, gelosia, non privo di una certa dose di violenza e crudeltà. Per Delacroix, e per i suoi scialbi epigoni, tigri e stalloni arabi rappresentavano nulla più che soggetti, involucri della libertà, nella stessa misura in cui lo erano i cavalieri marocchini con i loro lunghi moschetti d’argento.Sotto la pienezza dei colori africani il pittore subì una sorta di richiamo all’antichità, ai mitici tempi omerici, le stesse antichità religiosamente custodite nelle sale dell’Accademia di Parigi. Un amico del comandante del porto di Algeri, che era riuscito ad esaudire il vivissimo desiderio di Delacroix di visitare un harem, racconta che alla vista delle floride ospiti ammantate di seta l’impulsivo artista non cessava di esclamare: “ C’est beau! C’est comme au temp d’Homere ! L’antichità che l’artista scorge in quel luogo, non è quella fredda, cristallizzata, classica, ma piuttosto quella concreta della vita orientale nel suo abituale scorrere. La stessa antichità africana che gli svelava i corpi possenti delle tigri e il focoso temperamento selvaggio dei cavalli arabi da combattimento, come racconterà il suo biografo Silvestre. Erotismo della natura primitiva, intensità degli impulsi, “férocité e verve” : ecco le categorie che affascinavano il pittore il quale scriveva in una lettera a un amico, nelle vie di Algeri puoi vedere sfrecciare l’incarnazione del sublime e la realtà tangibile di questa visione è in grado di ucciderti. Strettamente connessi l’un all’altro, il sentimento romantico per l’Africa e l’occupazione politica. Delacroix rimane comunque uno dei precursori di quella grande migrazione di pittori, scrittori, intellettuali che furono attratti del fascino dell’Africa. L’entusiasmo lastricò le città dell’Africa di cattive intenzioni. Non solo l’arte fu in molti casi una coloritura romantica al bieco colonialismo, ma rappresentava un paradosso: artisti e scrittori che dovrebbero essere orgoglioso supporto alla civiltà che avevano contribuito a creare, freno per gli eccessi dell’ansia di conquista e sottomissioni di popoli africani, e non solo. Invece fuggirono dall’Europa, spinti dalla confusa ricerca dell’esotico, del “primitivo”, senza rendersi conto che dietro al folklore vi era un modo diverso di concepire l’esistenza, una civiltà nata dall’antica saggezza. I popoli africani tentarono, per quanto fu loro possibile, di sottrarsi al destino di essere fagocitati dall’occidente.
piergiorgio firinu
La percezione sensibile.
Percezione e intuizione sono attitudini importanti per l’artista perché gli consentono di avere contatto con la realtà che elabora e forma. E’ però necessario che queste attitudini siano integrate da acquisizione epistemologiche che gli consentano la pratica realizzazione dell’opera. In questo ambito,la filosofia non offre soluzioni,da però un contributo alla riflessioni e consente, l’attribuzione di un razionale significato. Nel suo progredire la riflessione rimuove se stessa, nel rinnovarsi riscopre una soggettività vulnerabile destinata a modificarsi nel tempo con l’esperienza e il pensiero. L’arte, nella sua illusione ingenua di creare, supera l’evidenza apodittica di qua dell'essere del tempo ma questa ingenuità, o se si preferisce riflessione incompleta, si perde nella coscienza formale dell’oggetto che crea. La coscienza del proprio cominciamento appare autentica creazione,un mutamento di struttura della coscienza di cui le opere sono il frutto. Ciò significa che non è possibile assimilare le percezione alla sintesi. Il campo percettivo è riempito di riflessi, scricchiolii, fugaci in impressioni tattili che non sempre l’artista è in grado di connettere in modo preciso al contesto percepito, quindi si perdono immediatamente in confuse farneticazioni. L’artista sogna delle cose, immagina oggetti o persone la cui presenza non è necessariamente incompatibile con il contesto,anche se non si mescolano al mondo perché sono oltre il mondo, si muovono in un teatro dell'immaginario. La pereidolia rappresenta il sintomo, quasi istintivo,del bisogno di ricercare il senso in ogni forma visibile, anche se la percezione autentica si esplicita nel distinguere a poco a poco dai fantasmi della immaginazione, e, attraverso un travaglio critico, dare ad essi un significato che li giustifichi.. Se fosse fondata solo sulla coerenza intrinseca della rappresentazione la realtà della percezione dovrebbe essere sempre esistente, affidata a congetture improbabili. In ogni momento, si dovrebbe poter disfare di sintesi illusorie e realtà immaginate per integrarle al presente. I fenomeni della percezione non sempre si traducono nella evidenza formale. L’artista attua una sorta di selezione e annette i fenomeni più sorprendenti, mentre respinge altri aspetti della immaginazione, anche se più verosimili, anzi proprio perché più verosimili. La percezione non è che una possibilità di approccio al reale, non è nemmeno un atto, ma una presa di posizione dalla quale scaturisce l’intuizione, uno sfondo sul quale si attuano gli atti. Da questi presupposti prende forma la soggettività della creazione. Tema sul quale ritorneremo.
piergiorgio firinu
La dimensione ontologica dell’arte.
La dimensione ontologica dell’arte è stata definita in vari modi ed esaminata nell'ambito di una conoscenza storica ed epistemologica fino all’avvento delle cosiddette avanguardie che hanno non modificato, ma eliminato ogni approccio di carattere culturale in omaggio ad aspetti di estemporaneità sociale e di mercato.. La matrice primitiva della conoscenza in cui la realtà del mondo esterno è già stata qualificata da termini di un dominio secondo una legge che regola o forma in ordine di successione che ignora la natura della visione nell’ottica della conoscenza scientifica propriamente detta. Questo approccio intuitivo viene detta : creatività. L’artista costruisce e da la forma alla materia attraverso la sensibilità. Così facendo persegue inconsciamente un costante coefficiente di deformazione della realtà percepita soggettivamente senza preoccupazioni di un rispecchiamento che corrisponda alla natura delle cose. Attuando questa deformazione, imposta da questo specchio imperfetto,l’immaginazione umana segue uno schema di percezione in termini di pura apparenza, restando nell'ambito della soggettività. L’artista opera nello spazio e sulla materia utilizzando una epistemologia di tutt’altra natura di quella utilizzata dalla scienza. Non si pone infatti il problema dello spazio nella stessa ottica posta, a esempio, dal francescano Roberto Grossatesta il quale nel suo testo “ Metafisica della luce”.aveva teorizzato un concetto di spazio il cui dettaglio concettualizzato apriva ampi spiragli di conoscenza scientifica, immaginando una estensione fittizia, priva di materia, supponendo potesse essere una fonte di energia. Tale ipotesi era stata approfondita da Hobbes, mentre Giordano Bruno avanzava un diverso schema di spazio,vuoto e infinito. Non è questa le sede per approfondire tale materia. La citazione serve a chiarire che la filosofia orienta alla conoscenza delle cose le cui proprietà possono essere acquisite a partire dalla percezione sensoriale, sottoposte ad articolazione analitica. Ecco perché Gassendi e Marsenne ipotizzarono l’impossibilità dell’uomo di comprendere la causa prima delle cose. Essi sostennero che siamo in grado di conoscere la struttura dei fenomeni, ma quasi mai la ragione per cui avvengono. Sappiamo, a esempio, che solo il 5% della materia dell’universo ci è nota, il resto è costituito da buchi neri, ma non conosciamo la ragione del loro formarsi. L’arte non pone problemi di conoscenza, limita la propria sfera all’apparenza delle cose. Uno dei tanti truismi che costellano la storia dell’arte afferma: l’arte inizia dove la scienza si arresta. Questa affermazione conferma che l’arte rappresenta la più enfatica esaltazione antropocentrica, e porta a valorizzare oltre misura tutto quanto attiene agli esserti umani,secondo un propter quid la cui origine è la religione. Non c’è dubbio che l’apporto gnoseologico dell’arte è modesto. Delle due forme del sapere, intuitivo e analitico, l’arte segue il primo. Forse dovremmo dire seguiva, in quanto l’arte contemporanea ha percorsi affidati alla estemporaneità mondana, realizza opere nelle quali si i limita all'apparenza senza preoccupazioni di significato.
piergiorgio firinu
Le suggestioni di una società deviante.
Nicola Cusano nel 1463 scrisse De ludo Globi, un testo di carattere pedagogico educativo in cui vengono affrontati i temi del gioco e di ciò che costituisce una sorta di temperante evasione del pensiero. L’arte delle origini aveva anche questa funzione, nel senso di rappresentare la realtà nei suoi aspetti positivi e gioiosi, senza pretese universalistiche. Nella misura in cui si è preteso di attribuire all’arte significati escatologici, la natura essenziale dell’arte è mutata. . Il personaggio diventato noto quale simbolo di generosità verso gli artisti Gaio Cilnio Mecenate, fu soprattutto generoso verso il letterati come Orazio e Virginio, aveva meno interesse nei confronti di pittori e scultori, questo perché pittura e scultura erano considerate attività artigianali senza particolare valore culturale. La scrittura invece aveva capacità di creare personaggi e mondi nei quali il pensiero si perdeva in fantasie e si arricchiva di conoscenza. Quando Goethe, nel 1808 creò Faust, eroe borghese, narrò la favola dell’alleanza tra il dotto avido di piaceri e il demone disposto a concederglieli. Ebbe grande successo nella società dell’epoca, perché metteva in risalto la corruzione che allora era sicuramente inferiore a quella della società contemporanea. La massa di cariatidi che reggono Il Portico del capitalismo, convinti di fruire di piena libertà nel momento in cui, il sistema del consumo compulsivo, ha aggiunto nel registro dei diritti, la trasgressione. L’assioma di Nietzsche secondo cui le culture evolute si basano sulla schiavitù si esprime oggi attraverso una serie di condizionamenti imposti dalla civiltà che crea sempre nuovi bisogni e forme di dipendenza. Le suggestioni di una cultura deviante, si esprimono attraverso una simbologia che ha valore d’uso psichico, e crea la realtà alienata descritta da Bloch. L’Occidente, nella prospettiva di universi culturali diversi, di religioni e civiltà con diverse simbologie, è visto come l’impero della pornografia e parodia di un potere femminile che si limita ad annullare gradatamente le regole di civile convivenza che egli stesso si è date, a favore di un solipsismo che si traduce in darwinismo sociale. Quando una civiltà è immersa in stati crepuscolari per il dissolversi del futuro, le masse si abbandonano alla corrente in una condizione di trance della normalità. Anche gli artisti, la cui creatività s’inaridisce, si affidano alla reiterazione della provocazione, riducendo l’opera d’arte a frammento privo di significato.
piergiorgio firinu
Tecnologia, pensiero, creatività.
Richard Buckminster Fuller nel 1969 pubblicò il libro: “Operatting Manual for Spaceship Earth”, nel quale esprimeva all'idea che il pianeta terra non sarebbe molto più di una capsula all'interno della quale noi esseri umani dobbiamo sopravvivere. La teoria di Fuller sembra aver costituito una delle fonti d’ispirazione dell'artista danese Olafur Eliasson, l’artista degli oggetti, le cui numerose installazioni e montages offrono la più lucida interpretazione del concetto di rivolgimento ambientale che si possa riscontrare nella produzione di arte contemporanea. Soprattutto con la mostra “Surroundings surrounded”, realizzata in collaborazione con Peter Weibel nel 2001,.Eliasson si è candidato ad essere il primo artista di bordo di un isola assoluta in corso di costruzione. Nel titolo della mostra emerge in modo inequivocabile la svolta costruttivista; gli ambienti naturali mostrati dall’artista, interpretati grazie alla scienza e alla tecnica, non ci si trova di fronte a totalità eco-romantiche, ma a impianti di natura, spazi espositivi in laboratorio, vediamo imitazioni, pròtesi, esperimenti le cui presentazioni mettono sempre più luce allo stesso tempo la struttura naturale e l’effetto innaturale, in un all'ottica tecnico-scientifica. Eliasson realizza anche la cascata artificiale,nel frattempo divenuta famosa, per lo straordinario frastuono. Dal punto di vista artistico,scientifico e tecnico, viene sfruttato anche l'effetto cornice della situazione museale. Qui la natura si rapporta al museo come il mondo della vita lo fa con il vuoto. Resta la domanda di fondo: è arte tutto questo? O semplicemente la costruzione intelligente di effetti resi possibili dalla tecnologia, usata da un abile specialista in scenografia ed effetti speciali? Per i critici sembra attuarsi in modo parossistico la nota frase di Ludwig Wittgenstein: “va bene così”. Siamo oltre la profetica affermazione di Lissitzky secondo il quale il costruttivismo rappresentava il punto di passaggio dalla pittura alla architettura. Le costruzioni di Eliasson sono infatti costruzioni architettoniche in chiave tecnologica. Assistiamo all’attuazione di una sorta di nemesi relativa al tendenza avviata dalle avanguardie del secolo scorso dell’uso del ready-made e del tutto è arte. Forse i teorici di simile teorie non avevano immaginato, previsto, che sarebbe stata la tecnica a sostituire il ready-made, in un capovolgimento di senso che non modifica però la questione di fondo: se tutto è arte si può fare arte con tutto Questo conferma lo stato prefigurato da Elias Canetti di una “società in cui l’ogni uomo viene raffigurato che prega dinnanzi alla tecnica che lo condiziona.
piergiorgio firinu
Aria di Parigi.
La storia dell'arte non sempre narra i fatti che portarono alla realizzazione di un'opera,anche se in alcuni casi sono molto significativi. Marcel Duchamp trascorse le feste di Natale del 1919 dalla sua famiglia a Rouen. La sera del 27 dicembre contava di imbarcarsi a Le Havre a bordo del piroscafo La Touraine per raggiungere New York. Poco prima di partire si recò in una farmacia in rue Blomet dove convinse il farmacista a prendere un’ampolla di media circonferenza, ad aprirne il sigillo versare il liquido che conteneva, poi a chiudere questo recipiente bombato. Arrivato a New York Duchamp consegnò questa ampolla vuota che aveva portato con sé, alla coppia di collezionisti Walter e Louise Arensberg, come regalo del visitatore ai suoi ospiti, spiegando loro, che visto che i suoi fortunati amici possedevano già tutto, aveva voluto portar loro 50 centimetri cubi di Aria di Parigi. Così un volume d'aria delle coste francesi entrava nella lista dei primi ready-mades. Duchamp non si preoccupò minimamente del fatto che il suo oggetto di arte estemporanea costituisse di fatto una falsificazione, non era infatti riempito di aria di Parigi, ma con quella di una farmacia di Le Havre. Non solo, nell’atto di designazione celò l’origine reale, ma quando, nel 1949 per un incidente l’ampolla di Aria di Parigi della collezione Arensberg, andò distrutta, Duchamp incaricò un amico di tornare nella stessa farmacia di Le Havre ed acquistare una stessa ampolla con la quale ripetè l’operazione che aveva computo nel 1919. Dieci anni più tardi, nel 1959, nella hall di un hotel di New York, Duchamp spiegò al giornalista che lo intervistava: "l'arte un sogno che è diventato inutile” ; “Trascorro bene il mio tempo ma non saprei dirle cosa faccio… io sono un respiratore”. Commenti e considerazioni sarebbero inutili come l’arte del sogno a cui fa riferimento l’artista, ma ciascuno può trarre le proprie conclusioni.
piergiorgio firinu
Ermeneutica della forma.
Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e metodi formali di teoria dell’arte, è stato stravolto con l’elusione dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione che avviene ancora con criteri classici da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non sempre in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. A prescindere da capacità e intenzioni, i critici raramente sono in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico - sociologiche, politiche, filosofiche, e quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione della estemporaneità di molte opere. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma non è ravvisabile nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, spesso non in grado di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo nella totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Addurre la complessità dell’opera per giustificarne la difficoltà di fruizione, è un espediente non accettabile perché significherebbe sminuire autonomia ed efficacia del linguaggio dell’arte. L’opera deve esprimere la totalità di senso, anche se è stata raggiunta l’unità dopo aver accolto la contraddizione. In altre parole, non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia, non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad affidare la critica a procedimenti intuitivi, ma adeguarsi alla mutata situazione storica.
piergiorgio firinu
La filosofia dipinta.
La fondazione della filosofia si proponeva la depurazione dell’intelligenza , suo compito fornire la chiave con cui armonizzare l’approccio alla realtà. L’’Atlante Farnese è uno splendido esempio della possibilità del connubio della filosofia e dell’arte, entrambe le discipline impegnate nel dare significato al reale. L’opera ha ispirato una quantità di ipotesi ermeneutiche e considerazioni filosofiche. L’immagine del Titano gravato dal peso del globo di cui non sa nulla e che non può vedere. Era l’Epoca in cui gli artisti possedevano una base culturale e con essa potevano interpretare la storia. Attuavano la suggestiva tesi linguistico ontologica teorizzata da Heidegger, secondo la quale l’opera d’arte “erige un mondo”. Tralasciando confronti imbarazzanti, è difficile negare che l’arte moderna abbia rinunciato ad esprimere la conoscenza del mondo, per quanto possa essere percepito dall’artista. In passato sono state molte le opere pittoriche che hanno raffigurato filosofi. Esempi importanti : “La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio. “ I tre filosofi” di Giorgione, e altre. Quasi sempre la pittura si limita a rappresentare situazioni ed espressioni intorno alle quali si sono affollati tentativi ermeneutici. Franz Hals, volendo rappresentare l’epistemologia cartesiana, decide di non rappresentare il filosofo con un libro di filosofia, ma sullo sfondo oscuro di una biblioteca, quasi a indicare la difficoltà della conoscenza di accedere alla luce. Nel momento in cui l’arte si è per così dire accartocciata nell’autoreferenzialità, la filosofia non è più stata necessaria, è subentrata la sociologia fatta propria dalla critica d’arte in una narrazione tautologica con pretese olistiche. L’artista contemporaneo, immerso nella mondanità e nel consumo, non ha la capacità nè la volontà di sottrarsi a quello che Sartre definiva in un dramma: “L’infermo sono gli altri” , tema approfondito ancor meglio da Melville. Le tesi secondo cui l’arte è un percorso di liberazione, non più attuale. L’artista è “gli altri”, si limita a rappresentare ciò che gli altri vogliono, fanno, pensano, cronista passivo di una realtà che lo coinvolge al punto da privarlo della capacità di rappresentarla se non per insignificanti, ripetitivi dettagli.
piergiorgio firinu
La promanazione del sensibile.
L’arte vera è, per così dire, una sorta di promanazione del sensibile tesa a stimolare le potenzialità umane. In qualche caso può arrotondare gli spigoli del reale. La religione usò l’arte per una pedagogia religiosa. Nicolò Cusano utilizzò un brutto ritratto realizzato da Rogier van der Weyden: “Immagine del tiratore multi vedente”. Come metafora dello guardo di Dio nella vita di ciascuno di noi. Se ho gli occhi capaci di vedere, se percepisco il mondo, è perché concentro la visione sul particolare. Questo può avvenire soprattutto nell’opera d’arte. Imparare a vedere è esercizio utile, è attraverso la visione che arricchiamo conoscenza e sensibilità. Oggi siamo sommersi da immagini e comunicazione verbale, è pressoché compiuto lo Stato mondiale omogeneo come aveva teorizzato Marshall MacLuhan, con i suoi fantasmi pentecostali del villaggio elettronico globale. Diventa importante utilizzare un filtro per evitare che il pattume visivo intasi la nostra mente e crei una sorta di saturazione dell’inutile. Non solo nell’arte plastica, anche nella letteratura il gioco della conoscenza che induce alla visione può essere deviante. In questo caso agisce solo sull’immaginazione. Stalin diceva che gli scrittori sono ingegneri dell’anima. Senza indulgere a metafore esagerate, non c’è dubbio che la letteratura ebbe una parte importante nel marcare i passaggi di civiltà. Purtroppo da oltre 50 anni anche la letteratura ha subito la stessa sorte dell’arte plastica, tracimando nel volgare e nell’ intimistico, per non dire pornografico, questo è avvenuto anche per il massiccio afflusso femminile nel settore. Dostoevskij aveva concepito il personaggio dell’idiota come tentativo di rappresentare “l’essere umano perfettamente bello”, e il suo inevitabile naufragio sullo scoglio della bruttura umana. Nel suo testo polemico del 1888, “l’Anticristo”, Nietzsche ha tratto le conseguenze nel campo della psicologia della religione delineando la figura del decadente ante litteram. Rilke, nel 1937 scrisse un saggio sulla stupidità che non pare abbia contribuito a ridurre il problema. Non c’è dubbio che, se la grande letteratura aveva lasciato un segno nella cultura dell’Occidente, tale traccia è stata in gran parte cancellata dalla marea di approssimazioni volgari del nostro tempo. La sottile psicologia di Dostoevslij in “Delitto e Castigo”, la ricostruzione della memoria in “A la recherche du temps perdu” di Marcel Proust. “Ulisse di James Joyce. “L’uomo senza qualità di Robert Musil, opere purtroppo molto citate poco lette, e ancor meno comprese. Viviamo in un mondo in cui abbiamo bisogno della IA per dare ordine ai nostri pensieri, mentre proseguiamo il percorso che ci allontana sempre più da tutto ciò che è natura.
piergiorgio firinu
La sostituzione del reale.
Weber sembra essere stato tra coloro che hanno proceduto al congedo dalla società. Oggi l’abbandono avviene con l’immersione nello spazio tecnologico. L’arte accompagna questo distacco cancellando gradatamente l’umano dalle sue rappresentazioni. Mentre il papa urlante di Francis Bacon implica ancora un tentativo di esplorazione, gli autoritratti di Andy Warhol raggiungono lo stato dell’altruismo nella vendita di se stesso. Le due opere hanno ancora un posto,sia pure a margine , dell’arte espressiva, poiché sia la lacerazione che la pietrificazione del volto contengono ancora il principio dell’espressione. Un richiamo, forse inconscio, sicuramente disperato di resistenza al nichilismo che pervade la società fatta di volti inespressivi e anonimi, ma curatissimi, deformati dal successo, sorrisi statici, volti il cui riferimento non sono più altri esseri umani, bensì monitor, videocamere, mercati, giurie di valutazione. I nuovi procedimenti dell’estetica facciale nelle arti plastiche sono simili ai cartelloni pubblicitari, non parlano al singolo, hanno come riferimento la massa, richiamo a follower, un mondo surreale in cui la menzogna dell’immagine e della parola, sono abituale merce di lucroso scambio, la realtà è mercato, in un confuso scambio d’identità messe in vendita. C’è il rischio che tutto ciò apra la strada alla pazzia. Anche se, a questo sadismo spirituale, ben si adatta il montage Untitled #314C di Cindy Sherman dove il volto si dissolve in un paesaggio rugoso costituito da elementi della trama,malvagi e incontrollabili, con una bocca le cui labbra mostrano una apertura oscena. Non è rimasto nulla di ciò che Benjamin ha battezzato “sex appeal dell’inorganico”. La carne divenuta copia sintetica di se stessa. Sherman sembra accanirsi su quelli che sono gli attributi del potere sessuale femminile il sedere, i seni, la vulva, deforma, dilata, in un parto di adulto, esprime orrore della procreazione. Nel libro “Sotto Il segno di Saturno”, Susan Sontag cita Artaud secondo il quale , il pazzo ha una doppia identità, vittima e portatore di saggezza. Infatti la pazzia accompagna molti artisti e filosofi costretti a fare i conti con gnosi e sensibilità. Come nelle opere citate, la sfida al reale può diventare un fardello troppo pesante, com’è stato per Hòlderlin, Nerval, Nietzsche, van Gogh e altri creatori di mondi,approdati una farneticazione liberatoria.
piergiorgio firinu
L’arte impotente.
Può scaturire la creatività da una umana incompletezza? La nostalgia per un mondo aristotelico trovava il suo obiettivo nella parola Cosmo, degenerato nella globalizzazione sempre più avviata verso una ginecocrazia che domina masse infantili di paranoici tecnologici, persone che tendono a perdere la forza di mantenere il controllo del loro spazio psichico riducendosi a individui isolati. Ci troviamo di fronte al paradosso che il progredire della conoscenza ci mette di fronte alla nostra impotenza. Nell’infanzia della civiltà era possibile coltivare l’illusione che la scienza avrebbe migliorato gli esseri umani e reso possibile un futuro luminoso, anche selezionando i migliori, cosa oggi non più pensabile, in ragione di un ipocrita formalismo democratico. Secondo la tradizione Platone avrebbe affisso all’ingresso della Accademia un cartello nel quale si chiedeva di astenersi dall’entrare chiunque non fosse esperto di geometria. Tale disciplina è stata fatta propria dall’arte moderna, diventata gioco, tautologia, ed ha finito per ridimensionare l’illusione della spazialità e dell’arte. L’elegia dell’arte astratta fatta da Kandinsky e dal filosofo hegeliano Kòjève suo nipote, è stata presto sommersa da una folla di epigoni privi di estro. La filosofia scinde la società tra quelli che ricordano e quelli che non ricordano. La cultura è memoria e consapevolezza, con effetti non sempre positivi. Secondo Peter Sloterdijk, ricerca e presa di coscienza hanno trasformato l’essere umano in un idiota del Cosmo. Un idiota ansioso che faceva esclamare a Pascal: “ L’eterno silenzio degli spazi mi spaventa”. Friedrich Nietzsche, ideatore di verità con le quali è difficile vivere, ma che l’onestà intellettuale ha difficoltà a ignorare, ho sostenuto che gli interpreti moderni di questo mondo hanno stabilito che vivere significa pagare il prezzo devastante della inadeguatezza umana. E’ perciò un bene che l’esistenzialismo abbia rivelato ciò che è essenziale per tentare di rompere il sigillo che la banalità pone all’intelligenza creativa. Quello che i filosofi contemporanei hanno chiamato oblio dell’essere, appare più che altro ostinata ignoranza, incapacità di superare la barriera dell’apparente. L’arte non può nulla contro questa situazione. In ogni caso gli artisti, ormai massa, hanno rinunciato, non sono più in grado di dare forma al grido di disperazione che sale da masse spensieratamente ignare.
piergiorgio firinu
Il gesto creativo.
A tutti i livelli di civiltà, fin dai tempi più remoti, una delle preoccupazioni fondamentali dell’uomo è stata la ricerca delle proprie origini. Questa inclinazione a ritrovare il riflesso di se stessi nelle profondità del passato è stata solo in parte soddisfatta. Anche oggi, in gran numero di persone, non sapendo dove sono diretti, nutrono lo stesso desiderio dei loro antenati di sapere da dove provengono; bastano tuttavia brevi riferimenti al passato delle grandi scimmie perché in genere siano tranquillizzati. Questo bisogno di scendere alle radici è così forte che non può essere determinato solo dalla curiosità. La preistoria è considerata da molti studiosi quasi un fatto personale; essa è forse la disciplina che conta il maggior numero di dilettanti, quella che ognuno crede di poter praticare senza una conoscenza specifica, in questo simile all’arte, campo nel quale si è scritto il maggior numero di sciocchezze. E’ stato invece trascurato, specie negli ultimi cinquant’anni, un aspetto importante, l’orientamento degli artisti a presentare manufatti in cui è ridotto al minimo, quasi annullato, l’intervento manuale. E’ noto agli studiosi che il cervello dell’uomo ha potuto svilupparsi in modo tanto considerevole grazie alla conformazione della mano. Questo fatto è stato studiato da André Leroi-Gourhan che ha pubblicato nel 1964 “Le geste et la parole. Technique et Langage”. La mano degli esseri umani possiede duttilità e abilità che non è concessa a nessun altro animale. Il cervello dell’uomo concepisce un’idea che la mano traduce ed esprime creando un oggetto concreto e tangibile. L’oggetto realizzato stimola il cervello e il pensiero di chi osserva spingendolo al desiderio di comprensione. Il venir meno del rapporto creativo mano-cervello, si traduce in sorta di menomazione, la riduzione dell’arte a puro atto mentale. Una sorta di parodia della concettualità propria della filosofia. Non basta sostenere, come alcuni neo-conformisti, che l’opera d’arte è ormai disgiunta dal valore estetico, non si tratta infatti di valore estetico, anche se questo è un punto in cui prevale il procedimento apodìttico. Si tratta semplicemente del fatto che in tal modo l’arte è privata di uno dei suoi aspetti più caratterizzanti: l’intervento manuale. Anche nelle opere riprodotte procedimento seriale, all’origine vi è intervento manuale, la riproduzione è la ripetizione meccanica di un tracciato in precedenza realizzato dalla mano, a meno che si tratti di fotografie. Nei ready made, e nelle mastodontiche opere prodotte in stabilimenti industriali non vi è traccia d’interveto manuale, ed è scarsissima la traccia originale dell’idea dalla quale l’opera nasce. La ricerca del nostro passato sarebbe impresa impossibile se i nostri antenati avessero semplicemente utilizzato le forme rozze di uso quotidiano a livello artistico. Gli artisti dell’antica Grecia, com’è noto, erano considerati nulla più che artigiani, eppure hanno creato sculture di sublime livello, spesso in assoluto anonimato, le loro opere sono l’orgoglio della nostra civiltà e tutt’oggi le ammiriamo. Lo stesso sistema era in vigore nel Medio-Evo., nelle gilde costituite da artisti che hanno costruito, anche in quel caso per lo più in anonimato, i monumenti che costituiscono vanto della cultura dell’occidente. Vale la pena notare che, nella misura in cui l’artista ha assunto rilievo, la sua firma è diventata più importante dell’opera stessa, l’arte è andata declassandosi a merce ordinaria.
piergiorgio firinu
La filosofia del passato adattata al presente.
Le citazioni producono un effetto di straniamento, quasi una sorta di sottile frazionamento. E’ questa la ragione per cui Benjamin sosteneva che le citazioni sono come banditi da strada che sbucano e portavano via all’argomentante le sue buone ragioni. Ovviamente il paradosso di Benjamin non è sempre valido, se anche fosse vero, l’espropriazione avrebbe comunque un effetto positivo, nel senso che indurrebbe l’espropriato a rimodellare pensieri e argomentazioni. Tuttavia non c’è dubbio che spesso si vogliono sostenere le ragioni del presente citando filosofi del passato. Le teorie elaborate secoli prima possono forse conservare una loro validità se argomentano su questioni attinenti alla natura umana, che, purtroppo, non è molto cambiata, tanto meno migliorata nel corso del tempo. Altra cosa se l’argomento riguarda questioni attinenti a una società radicalmente mutata. Esempio emblematico,la tolleranza. All’epoca dell’assolutismo monarchico e religioso, aveva buone motivazioni. Oggi in cosa consiste la tolleranza? Tolleranza verso chi coscientemente viola leggi e norme sociali che hanno lo scopo di difendere i più deboli, tirata in ballo per giustificare abiezioni di ogni genere, incoraggiamento a comportamenti disdicevoli. L’apodittica affermazione: tutte le idee hanno diritto di essere espresse, va precisata. Espresse o applicate? Certe forme di tolleranza rivolte noi stessi, sono un colpo di maglio non alla verità, ma alla ragione. Si esclude a priori la necessità di sottoporre le idee al vaglio della razionalità. Deleterio rinunciare a priori al tentativo di arrivare attraverso la logica a raggiungere il punto più vicino alla verità, ciò è impossibile se si esclude a priori esista qualcosa che possa definirsi “verità”. Questo atteggiamento ispirato al cinismo,contrariamente a quanti sostengono, non a favore della convivenza, al contrario, è fonte di prevaricazioni e soprusi. La negazione logica, il ricorso al surreale può valere come espediente letterario, in opere di Jonesco e Beckett. La ragione è stata definita la più umana delle virtù, è senz’altro imperfetta, tuttavia, usata con umiltà, resta l’unico strumento che abbiamo per orientare la nostra esistenza. Diceva Diderot “ chiedere di rinunciare alla ragione è come chiedere a chi trovandosi di notte in una foresta con un torcia accesa, venisse invitato a gettarla via per il fatto che non consente di vedere tutto e di vedere lontano”. A proposito di tolleranza, diceva Chamfort: “dobbiamo essere giusti, prima che generosi”. Per Montagne:“ Noi siamo, non so come, doppi a noi stessi,cosicché non crediamo in ciò che crediamo, e non riusciamo a disfarci di ciò che condanniamo”. L’epistemologia, cioè l’insieme delle nostre conoscenze, a partire da Cartesio e Locke, è stato gradatamente disgiunto da riferimenti logici diventando sinonimo d’incertezza. L’informazione, l’abilità, l’apprendimento, finiscono per appiattirsi in una narrazione eristica a sfondo solipsistico ludico adottando acriticamente la tesi di Hume secondo il quale “ la ragione è serva delle passioni”. Dunque, conoscenza ed etica, ridotte a opinione, o peggio alla concretezza funzionale. In questo modo il materialismo ateo, che si finge compassionevole,porta al vicolo cieco del qualunquismo. Il percorso verso la conoscenza dovrebbe tener conto del detto kantiano secondo cui non si può mettere in dubbio ciò che non si conosce. Vi è un mondo dei clown, soprattutto di matrice americana, di cui fa parte la “politically correct”, che rende incerto chi giudica chi, questo ci porta alla “democrazia GALUP”, anche in Italia. Scriveva Kafka all’amico Brod: seguendo gli Usa, sembriamo essere diventati Hardy & Laurel, ma abbiamo cessato da un pezzo di ridere.
piergiorgio firinu
La concupiscenza dello sguardo.
Vediamo ciò che pensiamo attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale. Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista. L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura. Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico. Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delle immagini ci troviamo a dover affrontare le volgarità che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv . Tali martellanti visioni si riflettono nei gesti, linguaggio, comportamento quotidiano delle masse. I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno adattato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” per riempite la mente di illusioni che non sappiamo più creare. Queste emozioni indotte ci rendono gradatamente psicolabili. Siamo abituati a vedere ovunque persone di ogni età e condizione concentrate sul proprio telefono, compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.
piergiorgio firinu
Considerazione sull’Arte nr. 16
Per Democrito e manifesto per chiunque, ciò che l'uomo è lo è riguardo al suo aspetto,poiché non vi è alcun dubbio che egli ci sia noto e familiare in base al suo colore alla sua figura. Aristotele però obietta: “anche il cadavere di un uomo ha pur sempre lo stesso aspetto, la stessa figura non di meno non è un uomo”. L’arte celebra i morti, essa sembra avere sua principale funzione di interpretare l’umanità in svariati modi. Nietzsche in “ Crepuscolo degli idoli” scrive: “ Nel bello, l’umano pone se stesso come norma della perfezione e adora se stesso”.Attraverso il cervello l’essere umano prende contatto con la realtà e la modifica a proprio uso, così preso di se, da esaltarsi di più di fronte un paesaggio o un immagine dipinta che di fronte all’originale. L’opera d’arte dovrebbe nascere dal raccordo mano- mente, azione-pensiero. Anche se per Platone, l'artista, creando un opera realizza una doppia illusione. L'oggetto dell'Opera non è l'idea, ma la forma. Platone sostiene che è l’idea l'unica realtà, non la cosa. L’opera è imitazione della cosa, non la cosa stessa. La nostra civiltà, molto più delle civiltà che ci hanno preceduto, abbonda di cose, scarseggia di idee, ovvero secondo l’ottica di Platone vive lontana dalla realtà, nell’illusione delle cose. L'uomo è uomo in quanto ha la capacità e il potere di realizzare se stesso, di programmare e realizzare la propria vita. Privato di queste capacità e possibilità, l'uomo cambia natura diventa per così dire più animale, oggi è un animale tecnologico che trova appagamento sempre più lontano dalla natura, di conseguenza la sua visione del mondo e di se stesso muta radicalmente. La prima Estetica del brutto fu elaborata nel 1853 da Karl Rosenkrantz, il quale tracciò una analogia tra il brutto e l’amorale. Non c’è dubbio che la modernità conferma la tesi di Rosenkrantz. Oggi le immagini ci sovrastano. Un flusso continuo e caotico inonda l’etere, la carta stampata, ogni luogo pubblico e privato. La rinuncia ai valori, che erano prerogativa dell'uomo reale,è l’inevitabile conseguenza. Infatti l’etica è legata alla natura dell’uomo dalla quale l’umanità si è allontanata,creando condizioni di vita artificiali e artificiose. In tale contesto diventa opinabile anche il genere sessuale che in natura caratterizza ogni specie animale. L’uomo ha seguito un percorso di abbandono della natura. La filosofia naturale fiorì per un periodo breve. Socrate distolse lo studio dalla ricerca della natura e l’orientò al problema dell’etica. Fu quindi responsabile di trasformare la filosofia in un’ambiziosa ricerca di nuove opinioni che inevitabilmente finirono esprimersi avverse all’etica. La natura non fu più guida, la filosofia nemmeno. Nessuno è in grado di valutare le conseguenze della massiccia presenza della tecnologia nella nostra esistenza. La facilità con la quale si reperisce ogni informazione tramite i motori di ricerca finisce per scoraggiare l’uso della memoria. La realtà artificiale ha modificata anche quella che per Francesco Bacone era una qualità importantissima per l’uomo: l’immaginazione. Questo percorso è destinato a renderci sempre più dipendenti dalla tecnologia, e ridurrà la nostra autonomia. mentale. Per Paracelso l’arte è “l’uomo aggiunto alla natura”, venuta meno la natura è venuta meno l’arte, anche se ancora non ne siamo consapevoli. L’aver affermato l’eterogeneità fra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà e ha privato gli uomini della speranza di poter fruire di tutte le potenzialità che il rapporto arte e natura può comunicare.
piergiorgio firinu
Origine della cultura simbolica.
Scrive Hermann Hesse in biblioteca della letteratura Universale: “è un esigenza innata del nostro spirito di creare dei tipi e suddividere l'umanità secondo quello schema. dai caratteri” . Teofrasto suddivideva in quattro temperamenti i caratteri umani. La psicologia contemporanea conserva l’esigenza di ripartizione tipologica che è stata portata alle estreme conseguenze da Cesare Lombroso, il cultore di quella che è stata definita: “La scienza infelice”. Non risulta esistano testi specifici sulla psicologia dell’artista, il cui carattere è quasi sempre indagato attraverso parafrasi fantasiose e poco attendibili. Nel tentativo di mettere un freno alle proprie ansie, l’umanità ha dato vita alla cultura simbolica che si esprime soprattutto attraverso la religione e l’arte, in una molteplicità di narrazioni e segni spesso dai significati profondi e oscuri.. La cultura popolare era ricca di riti e tradizioni mescolate a superstizioni la cui origine si perde nei secoli. Anche l’arte aveva un ricco filone popolare, le famose Gilde medioevali, costruttori di cattedrali che ancora oggi sono orgoglio dell’umanità. E’ significativo che gli artisti che costruirono Cattedrali e castelli, capolavori dell’arte Romanica e Gotica, sono rimasti quasi tutti anonimi. Ammiriamo capolavori di cui molto spesso ignoriamo gli autori. Sarebbe utile una riflessione sullo stridente contrasto con la contemporaneità. Oggi si producono oggetti banali, del tutto insignificanti, i cui autori sono celebrati dai media, esaltati dalla critica. Ovviamente la costruzione di cattedrali non era arte popolare, anche se realizzata da semplici operai, che oggi definiamo artigiani. La vera e propria arte popolare aveva una ricca tradizione i cui protagonisti erano persone del popolo, dilettanti motivati ed entusiasti. Pensiamo ai cantastorie che giravano le fiere e spesso erano l’unica fonte d’informazione per i contadini che vivevano isolati ed ascoltavano i loro racconti cantati e illustrati con disegni. Narravano fatti di cronaca che avevano colpita l’immaginazione popolare. I pittori viandanti, alcuni dei quali di valore, dipingevano cappelle e piloni votivi ai bordi delle strade, chiesette tra i campi.. Fabbri e falegnami costruivano piccoli capolavori, molti dei quali oggi nei musei. Con l’avvento dell’industria tutto questo è finito, negli ultimi anni la tecnologia ha dato il colpo di grazia a quella che era la caratteristica essenziale dell’arte: la manualità. Oggi vengono esposti nani da giardino costruiti industrialmente, palloncini colorati, ed altre simili amenità che, stando ai critici, costituiscono il progresso dell’arte. La televisione generalista influenza le masse, l'arte, more solito, si adegua. Vi è stato un enorme afflusso femminile anche nel mondo dell'arte, critica, direzione di gallerie musei, biennali ed eventi vari sono in gran maggioranza affidati a donne, le quali hanno sollevato il problema dell’arte di genere. Di certo dall’arte di respiro universale all’arte di genere, il passo è lungo. Ridurre cultura e arte a questioni ideologiche e di genere, significa ridurre la libertà creativa confermando la profezia di Hegel secondo il quale l’arte non è materia compatibile con la società industriale. L’agonia dell’arte è durata oltre due secoli, quello che oggi è presentata come arte è una parodia triste, una sorta di lamento per immagini della pascaliana canna che non sa più pensare.
piergiorgio firinu
Linguaggio ed esperienza.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici. Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé. La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro. Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica. Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state, salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora. Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
piergiorgio firinu
Linguaggio ed esperienza.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici.
Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé.
La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro.
Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica.
Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state, salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora.
Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
Profezie inascoltate.
Ci sono libri che hanno grande successo, poi vengono dimenticati. Pare siano soprattutto libri che mettono in risalto la crisi della civiltà. Penso al libro di Freud: “Il disagio della civiltà”. A Rosenberg “Il tramonto dell'Occidente”, al più recente libro di Michel Onfray: “ Decadenza”. Potremmo continuare con l’elenco. Il libro di Benda “ Il tradimento dei chierici”, pubblicato a Parigi nel 1927, affrontò il tema dell'impegno sociale degli intellettuali, purtroppo trascurò un dettaglio molto importante, sono proprio gli intellettuali a contribuire al disagio sociale, creare quelle situazioni di degrado percepito e imitato dalla massa. Letto oggi il libro di Benda con riferimenti ad arte letteratura teatro che contiene,non solo è obsoleto, ma forse si rivolge a una platea sbagliata. Il paradosso è che i libri più recisamente cancellati dalla memoria collettiva, sono quelli, per così dire profetici, quelli le cui previsioni si sono avverate e sono riscontrabili nel degrado socio culturale della società contemporanea. E’ il caso di “Civiltà al bivio” di Radovan Richta. La critica d'arte in qualche modo si distingue per aver sempre dimostrato acquiescenza alla più retrive manifestazione delle cosiddette avanguardie, più che altro preoccupata di non creare turbativa al mercato. Oggi sui giornali e TV, nella descrizione di opere, ci tocca ascoltare ridicoli anacoluti nelle divagazioni di responsabili di gallerie, riviste d’arte,TV e quotidiani. Sembra che anche il settore delle arti sia diventato prerogativa femminile. Ciò spiega anche la tendenza di interpretare l'arte nell'ottica di genere ed attribuire prevalenza emotiva alla lettura delle opere d’arte. Quando Julian Benda si scaglia contro le crescenti barbarie delle società occidentali nel loro impoverimento culturale, nella subordinazione del pensiero agli interessi delle classi dominanti e afferma che il ruolo degli intellettuali è quello di custodi dei valori, e la loro attività non persegue fini pratici ma è unicamente rivolta verso il servizio della ragione, della verità, della Giustizia, scrive cose retoriche e false, ben lontane dalla realtà che conosciamo. Anche il pesante condizionamento e suggestione dei media sulle masse, è tema affrontato da molti studiosi tra i quali Jurgen Habermas, in un ottica diversa, da Noam Chomsky. Già Adorno aveva rilevato come la tv sia fonte di volgarità, la pubblicità oscena e martellante alimenta consumi e cattivo gusto che, inevitabilmente, si riverberano nei comportamenti collettivi.
piergiorgio firinu
Le possibilità dell’esperienza.
Una delle teorie degli epigoni di Kant poneva la questione se l’à priori trascendentale della conoscenza non si trovi, anziché, almeno in parte nel cervello, nell’intelletto, nel linguaggio umano effettivo. Il nucleo di questa tesi risale a Wilhem von Humboldt, di gran lunga il più fortunato tra i successori di Kant. Le condizioni di possibilità dell’esperienza sono anche le condizioni che rendono possibile gli oggetti dell’esperienza. Detta in altre parole: al di fuori del linguaggio non ci sono esperienza né oggetti empirici. Tuttavia sistemi simbolici più generali possono svolgere le veci del linguaggio. Nelle diverse etnie, gli antichi egizi, gli indiani Hopi, i giapponesi del XIX secolo, i rispettivi mondi empirici erano sistemi chiusi; ciò che non può entrare in essi non esiste, per loro non era un oggetto bensì un inconoscibile cosa in sé. La globalizzazione sembra porre in forse la pluralità di mondi che si sono andati formando dall’origine dell’uomo sulla terrà. La ricerca d’identità individuale tenta di resistere alla crescente omogeneizzazione planetaria ma spesso non lo fa in forme innovative, ma solo di rifiuto. Non si afferma una propria convinzione, si nega semplicemente quella dell’altro. Ernst Cassirer ha sviluppato il suoi studi sulla filosofia delle forme simboliche partendo dal principio che l’uomo non vive un universo soltanto fisico ma in un universo simbolico. Invece di avere a che fare con le cose, in un certo senso l’uomo è continuamente a colloquio con se stesso. Ha creato forme linguistiche, immagini artistiche, simboli mitici, riti e credenze religiose, la sua conoscenza è mediata da queste forme di comunicazione simbolica. Gli universi simbolici sono distinti gli uni dagl’altri; ciascuno è caratterizzato per se, non sempre è possibile la comunicazione, quanto più ancorato al trascendentale, ogni universo simbolico è sistema e paradigma chiuso. La natura e le sue leggi sono state , salvo alcune particolarità, esplorate dall’uomo che le ha decifrate. Come diceva Fontanelle: al tempo di Omero gli alberi non erano diversi da come sono ora. Lukàcs individua il compito dell’artista realista, in opposizione a quello di avanguardia in un duplice intervento. Innanzi tutto il riconoscimento della relazione tra realtà sociale e il momento della mimetizzazione artistica. Per Lukàcs la “mimetizzazione” non è altro che la creazione di un apparenza naturale. Va da se che, quanto più l’arte si allontana dalla mìmesi, tanto più si astrae, crea un proprio universo simbolico che, per complessità e frammentazione, rende difficile il processo di comunicazione attraverso il quale il linguaggio dell’arte era in parte riuscito a infrangere le barriere e comunicare anche con civiltà e sistemi culturali diversi. L’arte allontanandosi dalla natura rischia di ridursi a gergalità.
piergiorgio firinu
Il sesso, l’arte, la morte.
Afrodite nacque da un gesto violento, quando Urano, per vendicare la madre Terra castrò Crono e gettò i suoi testicoli in mare, dal sangue e la spuma bianca nacque la dea. Cupido,le cui frecce colpiscono il cuore, è il più antico degli dei e quindi di tutte le cose, ad eccezione di Caos. Artaud considera l’erotismo cosa minacciosa e demoniaca. In Art et la Mort descrive “questa preoccupazione del sesso che mi pietrifica e mi squarcia il sangue”. Il surrealismo aveva descritto con un certo ordine le repulsioni molto superficiali. Come disse Marcel Duchamp nel 1966, in contraddizione con Artaud: “ Il surrealismo rappresenta una politica spirituale della gioia. Anche Nietzsche aveva una visione negativa della sessualità. Egli scrisse ai suoi amici, subito prima del suo collasso mentale a Torino nel 1889, alcuni messaggi gnostici sulla trascendenza spirituale che l’arte consente mentre la sessualità aliena. E’ convinzione di molti che l’artista, per dar forma alle proprie intuizione, abbia bisogno di solitudine, non essere legato a nessun rapporto stabile. Benjamin aveva una pessima opinione del matrimonio. La esprime nel saggio su “Le affinità elettive” di Goethe. I suoi eroi sono Kirkegaard, Baudelaire, Proust, Kaffa, Kraus, artisti che non si sono mai sposati. Egli, in una lettera a Scholem, definì il suo matrimonio: un atto che mi fu fatale. L’arte è per Francesco Bacone, “ L’uomo aggiunto alla natura” , una simbiosi spirituale che trasforma la materia in pensiero creativo che può essere reso sterile dalla sessualità. L’aver affermato l’eterogeneità tra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà naturale, nella quale inevitabilmente le pulsioni del corpo finiscono per avere il soppravvento. La conferma viene dal massiccio afflusso femminile nella produzione artistica. Le femministe, in particolare americane, usano l’arte come una sorta di ariete per demolire la struttura spirituale del pensiero creativo, sostituendola alla esibizione delle forme più laide di esibizionismo fisico. Oggi si sa molto bene, alla luce della teoria freudiana, discernere dietro qualsiasi pratica sociale, etica, politica , la “sublimazione”, la razionalizzazione secondaria di processi pulsionali. E’ diventato un clichè culturale descrivere in termini di rimozione e di determinazione fantasmatica, non più influenzata dalla presenza del padre, ma dominata dalla madre, come è chiarito da Jean Baudrillard nel libro “ Lo scambio simbolico e la morte”. L’avvento massiccio della presenza femminile, nel mondo dell’arte, evidenzia la esautorazione del padre. Salvo errore, non esiste una sola opera d’arte realizzata da artista donna che abbia per oggetto il maschio. L’arte femminista si ferma alla provocazione. Per altro appare chiaro che, la dicotomica alla teorizzazione dell’autonomia sessuale femminile, accompagna un disagio psichico in non pochi casi con esiti fatali.
piergiorgio firinu
Il sesso, l’arte, la morte.
Afrodite nacque da un gesto violento, quando Urano, per vendicare la madre Terra castrò Crono e gettò i suoi testicoli in mare, dal sangue e la spuma bianca nacque la dea.
Cupido,le cui frecce colpiscono il cuore, è il più antico degli dei e quindi di tutte le cose, ad eccezione di Caos.
Artaud considera l’erotismo cosa minacciosa e demoniaca. In Art et la Mort descrive “questa preoccupazione del sesso che mi pietrifica e mi squarcia il sangue”.
Il surrealismo aveva descritto con un certo ordine le repulsioni molto superficiali. Come disse Marcel Duchamp nel 1966, in contraddizione con Artaud: “ Il surrealismo rappresenta una politica spirituale della gioia.
Anche Nietzsche aveva una visione negativa della sessualità. Egli scrisse ai suoi amici, subito prima del suo collasso mentale a Torino nel 1889, alcuni messaggi gnostici sulla trascendenza spirituale che l’arte consente mentre la sessualità aliena.
E’ convinzione di molti che l’artista, per dar forma alle proprie intuizione, abbia bisogno di solitudine, non essere legato a nessun rapporto stabile. Benjamin aveva una pessima opinione del matrimonio. La esprime nel saggio su “Le affinità elettive” di Goethe. I suoi eroi sono Kirkegaard, Baudelaire, Proust, Kaffa, Kraus, artisti che non si sono mai sposati. Egli, in una lettera a Scholem, definì il suo matrimonio: un atto che mi fu fatale.
L’arte è per Francesco Bacone, “ L’uomo aggiunto alla natura” , una simbiosi spirituale che trasforma la materia in pensiero creativo che può essere reso sterile dalla sessualità.
L’aver affermato l’eterogeneità tra natura e arte ha condotto la filosofia a concepire l’arte come una mera aggiunta alla realtà naturale, nella quale inevitabilmente le pulsioni del corpo finiscono per avere il soppravvento. La conferma viene dal massiccio afflusso femminile nella produzione artistica. Le femministe, in particolare americane, usano l’arte come una sorta di ariete per demolire la struttura spirituale del pensiero creativo, sostituendola alla esibizione delle forme più laide di esibizionismo fisico.
Oggi si sa molto bene, alla luce della teoria freudiana, discernere dietro qualsiasi pratica sociale, etica, politica , la “sublimazione”, la razionalizzazione secondaria di processi pulsionali. E’ diventato un clichè culturale descrivere in termini di rimozione e di determinazione fantasmatica, non più influenzata dalla presenza del padre, ma dominata dalla madre, come è chiarito da Jean Baudrillard nel libro “ Lo scambio simbolico e la morte”.
L’avvento massiccio della presenza femminile, nel mondo dell’arte, evidenzia la esautorazione del padre. Salvo errore, non esiste una sola opera d’arte realizzata da artista donna che abbia per oggetto il maschio. L’arte femminista si ferma alla provocazione. Per altro appare chiaro che, la dicotomica alla teorizzazione dell’autonomia sessuale femminile, accompagna un disagio psichico in non pochi casi con esiti fatali.
La forma cosciente.
Quanto della critica e filosofia dell’arte resterebbe se adottassimo con diligenza il rasoio di Occam? I complessi articolati teoremi di Hegel aiutano davvero a comprendere l’arte? Vi è un paradosso costante, da un lato si esalta l’arte come la migliore più incisiva forma di comunicazione umana, lo si fa all’interno di testi che si attardano in complesse ermeneutiche volte a dare significato, chiarire senso e ragione delle opere prese in esame. Un altro aspetto quanto meno discutibile è considerare l’opera frutto della intuizione dell’artista. Cosa significa intuizione? L’impulso che spinge l’artista a realizzare l’opera? Dunque l’opera nasce dall’incoscienza dell’artista, dietro alla quale si suppone vi sia una sedimentazione culturale a lungo meditata. Osservando la maggior parte delle opere prodotte nell’ultimo secolo, forse parlare di cultura è fuori luogo. Questo punto non è mai stato esaminato e chiarito a sufficienza. Quando Heidegger in “Origine dell’opera d’arte” tenta una sua versione del tema che corrisponde al titolo, finisce per parlare d’altro scandendo in tautologie. Come quando afferma: “L’artista è origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista”. In realtà l’artista non è un automa, isolato, facitore d’arte. L’artista è un corpo, con sensazioni, intelligenza, impulsi, un grumo di sensibilità ed esperienza. Ed esattamente questo il nocciolo della questione. La sensibilità ha una valenza positiva ed una negativa. Positiva perché consente all’artista di captare l’accadere nella fenomenologia sociale. Negativa perché lo rende vulnerabile alle influenze negative di una esperienza quando non è filtrata da cultura e volontà. Infatti la rappresentazione che l’artista offre è frutto di sapere e volontà, questo è sempre stato vero, lo è molto più oggi che l’artista si ritiene libero di usare strumenti ed affrontare temi che un tempo sarebbero stati improponibili. Il prezzo della libertà che l’artista si attribuisce, non può ridursi a gesti estemporanei, provocazioni che ormai sono prassi, ma richiede maggiore preparazione e consapevolezza che viene, o dovrebbe essere espressa nel contenuto dell’opera. Quando tutto si riduce ad estemporaneità e provocazione, diventa velleitarismo adatto a un mercato di squillionari amanti del ktsch
piergiorgio firinu
La forma cosciente.
Quanto della critica e filosofia dell’arte resterebbe se adottassimo con diligenza il rasoio di Occam? I complessi articolati teoremi di Hegel aiutano davvero a comprendere l’arte?
Vi è un paradosso costante, da un lato si esalta l’arte come la migliore più incisiva forma di comunicazione umana, lo si fa all’interno di testi che si attardano in complesse ermeneutiche volte a dare significato, chiarire senso e ragione delle opere prese in esame.
Un altro aspetto quanto meno discutibile è considerare l’opera frutto della intuizione dell’artista. Cosa significa intuizione? L’impulso che spinge l’artista a realizzare l’opera? Dunque l’opera nasce dall’incoscienza dell’artista, dietro alla quale si suppone vi sia una sedimentazione culturale a lungo meditata. Osservando la maggior parte delle opere prodotte nell’ultimo secolo, forse parlare di cultura è fuori luogo.
Questo punto non è mai stato esaminato e chiarito a sufficienza. Quando Heidegger in “Origine dell’opera d’arte” tenta una sua versione del tema che corrisponde al titolo, finisce per parlare d’altro scandendo in tautologie. Come quando afferma: “L’artista è origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista”. In realtà l’artista non è un automa, isolato, facitore d’arte. L’artista è un corpo, con sensazioni, intelligenza, impulsi, un grumo di sensibilità ed esperienza. Ed esattamente questo il nocciolo della questione. La sensibilità ha una valenza positiva ed una negativa. Positiva perché consente all’artista di captare l’accadere nella fenomenologia sociale. Negativa perché lo rende vulnerabile alle influenze negative di una esperienza quando non è filtrata da cultura e volontà. Infatti la rappresentazione che l’artista offre è frutto di sapere e volontà, questo è sempre stato vero, lo è molto più oggi che l’artista si ritiene libero di usare strumenti ed affrontare temi che un tempo sarebbero stati improponibili. Il prezzo della libertà che l’artista si attribuisce, non può ridursi a gesti estemporanei, provocazioni che ormai sono prassi, ma richiede maggiore preparazione e consapevolezza che viene, o dovrebbe essere espressa nel contenuto dell’opera.
Quando tutto si riduce ad estemporaneità e provocazione, diventa velleitarismo adatto a un mercato di squillionari amanti del ktsch
Sensibilità e significato.
È mia opinione che l'arte, per più ragioni, costituisca la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo. La critica e filosofica dell’arte non esercitano mai una vera critica, ma piuttosto una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista, oltre a ciò l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. In più occasioni mi sono soffermato su questo aspetto. Accanto a opere veramente significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l'arte possa avere significato culturale che resta con il passare dei secoli, è un azzardo. La Filosofia antica tratta con ampiezza del relativismo soggettivistico e fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte e la considerava frutto di doppia illusione. Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un'altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente. Dunque qual è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall'oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato. Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva che si affida all'organo del senso che produce la sensazione. Fruizione razionale tesa a identificare il significato nell’opera. Non esiste che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita. Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, e essere, Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte. Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, svolge la sua filosofia dell’arte che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta, e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte. Nell’ultimo secolo critica e filosofia dell'arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili nell'oggetto osservato. Questo è un aspetto sul quale non si riflette mai abbastanza. L'arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera d’arte, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore. Dare forma alla storia del pensiero attraverso l'immagine. è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.
piergiorgio firinu
Sensibilità e significato.
È mia opinione che l'arte, per più ragioni, costituisca la più acclarata dimostrazione di enfasi antropologica che pare essere cresciuta in modo inversamente proporzionale al valore delle opere prodotte nell’ultimo secolo.
La critica e filosofica dell’arte non esercitano mai una vera critica, ma piuttosto una sorta di celebrazione dell’opera e dell’astista, oltre a ciò l’ermeneutica è quasi sempre portata avanti in modo generico. In più occasioni mi sono soffermato su questo aspetto. Accanto a opere veramente significative, molte di più possono essere definite quanto meno deludenti. Supporre che tutta l'arte possa avere significato culturale che resta con il passare dei secoli, è un azzardo.
La Filosofia antica tratta con ampiezza del relativismo soggettivistico e fenomenico, che, sebbene anacronistico, è parte della tradizione antica pervasa da relativismo oggettivistico e realistico. Com’è noto Platone considerava negativamente l’arte e la considerava frutto di doppia illusione.
Socrate insegnava ai suoi allievi il metodo per inventare le idee, ma le idee, non avevano necessariamente un fine pratico. Una delle interpretazioni della teoria di Protagora che si fonda su un'altra tesi che gli viene attribuita; il divenire è universale e incessante nulla esiste o è una data cosa in maniera permanente.
Dunque qual è la permanenza del significato etimologico dell’arte? L’ermeneutica procede dall'oggetto, dalle qualità sensibili, ma spesso trascura il significato.
Teoricamente vi è la possibilità di una doppia fruizione, emotiva che si affida all'organo del senso che produce la sensazione. Fruizione razionale tesa a identificare il significato nell’opera.
Non esiste che il rapporto determinato dalla relazione oggetto-pensiero, oggetto-sensazione. Non sembra esserci altra tesi alla base dell’interpretazione che Platone attribuisce vagamente a Protagora, anche se non vi è certezza possa essergli storicamente attribuita.
Per Platone non esisterebbe un nesso analitico tra fenomeno, arte, e essere, Solo la produzione di un illusorio valore della rappresentazione formale, ciò che noi definiamo genericamente arte.
Il sofista Gorcia, trascinato da una incontenibile vena polemica, svolge la sua filosofia dell’arte che appare più che altro sotto forma di speculazione, per lui, maestro di retorica, l’intento è dare una prova del suo virtuosismo dialettico, ovvero la capacità di creare significato attraverso la parola. Potremmo definirlo un precursore della filosofia dell’arte. Il suo virtuosismo gli conferisce grande capacità di elaborazione, non sempre corretta, e coerente con la base di quanto effettivamente può essere l’essenza dell’opera d’arte.
Nell’ultimo secolo critica e filosofia dell'arte hanno creato situazioni e significati immaginifici, difficilmente ravvisabili nell'oggetto osservato. Questo è un aspetto sul quale non si riflette mai abbastanza.
L'arte è semplicemente un tentativo di dare forma al pensiero, come afferma Hegel, ma, a differenza del mobile pensiero, l’opera
d’arte, nella sua staticità, non sempre conserva significato e valore.
Dare forma alla storia del pensiero attraverso l'immagine. è prerogativa dei grandi artisti il cui segno resta una traccia del passato che la nostra sensibilità ancora recepisce.
Arte e verità.
Vi è un rapporto tra arte e verità? Nel caso, come si articola questo particolare rapporto? La filosofia contemporanea ha molto contribuito a confondere e ridimensionare il concetto di verità. A partire dal “Il pensiero debole” di Gianni Vattimo pubblicato nel 1988. Al pragmatismo deviante di matrice statunitense dei filosofi dell’arte che ricorrono a forzature ontologiche che sembrano cancellare millenni di filosofia riflettente. Nel 2005 due filosofi americani, Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono: “A cosa serve la verità?” In pratica misero in discussione lo stesso valore della verità. Gli artisti dal canto loro hanno, da almeno un secolo, iniziato un lungo percorso verso il nulla ontologico. Heidegger sostiene tre tesi che caratterizzano la concezione tradizionale dell’essenza della verità e l’opinione circa la sua prima definizione: 1) Il luogo della verità è l’enunciato (il giudizio). 2) L’essenza della verità sta nella concordanza del giudizio con l’oggetto. 3) Aristotele, il padre della logica, ha da un lato attribuito la verità al giudizio , come suo luogo d’origine, e dall’altro ha varato la definizione della verità come concordanza. Se la verità consiste nella adeguazione di una conoscenza al suo oggetto, tale oggetto deve per ciò stesso essere distinto dagli altri; una conoscenza è falsa se non si adegua all’oggetto a cui è riferita, benché contenga qualcosa che potrebbe a ragione valere per altri oggetti. Nella introduzione alla “Dialettica trascendentale”, Kant dice:” Verità e parvenza non sono nell’oggetto in quanto intuito, ma nel giudizio su di esso in quanto pensato” Cosa significa: concordanza? La concordanza di qualcosa con qualcosa ha carattere di relazione di qualcosa con qualcosa. Ogni concordanza quindi è anche la verità, è una relazione. Ma non ogni relazione è concordanza. Un’opera d’arte che riproduce un paesaggio o una persona, ha necessariamente relazione con il paesaggio o alla persona che, comunque immaginati, hanno tratti di riferimento certi. Viso, alberi, prati, case, che sono riprodotti ma non hanno contenuto di verità, sono prodotti dell’immaginazione. Picasso in una intervista del 1923 definì l’arte:” Una bella menzogna in grado di portarci alla verità”. Una opinione tra le molte facili definizioni che finiscono in stereotipi ripetuti all’infinito. A parte i truismi di Picasso, il sopravalutato divo dell’arte del secolo scorso, Horkheimer e Adorno in “Dialettica dell’illuminismo” affrontano con ben altri strumenti il problema dell’arte considerata nell’ottica del nostro tempo che arriva a considerare la verità una forma di superstizione, Concetto che gran parte del mondo dell’arte accetta, aprendo così la via alle brutture che sono seguite.
piergiorgio firinu
Le stagioni del nostro scontento.
Dove maggiori sono l’inquietudine e il dubbio nella nostra cultura e nella nostra società; e quando anche i programmi di una cultura e di una società nuove sembrano inadeguati; allora incontriamo le parole che indicano il nodo non sciolto, il viluppo inestricabile. Queste parole sono: diffidenza, anormalità, emarginazione, esclusione. L’enfatica invocazione all’uguaglianza degli uomini resta ipocrita e contraddittoria perché si fonda su una presunta regola e norma che ignora ordine e valori superiori all’esperienza sensibile che ha il corpo come riferimento primario, Ciò conduce all’ anarchia sociale nella quale l’etica è soppressa. Per Cudworth il sentimento etico è innato ,egli sostiene che agiamo in modo sbagliato quando non ascoltiamo la coscienza. L’esperienza ci dice che, purtroppo, la coscienza non è sempre attiva nel far sentire le proprie indicazioni. E’ lo scoglio che ogni illuminismo incontra sulla sua strada. Intorno a esso molto si è discusso e si continua a discutere, ma sempre, rifacendoci a principi di carattere generale, insomma cercando di dialetizzare, superare, dissolvere, i problemi che non sappiamo risolvere, includiamo nel discorso il tema “differenza” solo come pretesto di decettive manipolazione della realtà. Il pensiero critico di Adorno e Horheimer ha affrontato la questione della libertà sociale, tralasciando la libertà individuale. Lo snodo sta nella prassi che porta a disattendere, anzi a negare la validità delle regole, senza le quali non può esistere una società che possa dirsi civile e giusta. E’ difficile conciliare soggettività che la rimozione delle regole incrementa. Il mito della libertà si scontra con la realtà di esistenze difficili e una sempre più problematica realtà sociale. I giovani tentano di far sentire la loro voce ipotizzando una migliore e più libera società. La loro presa di posizione suscita molti interrogativi, anche perché contrasta con i loro comportamenti e la mancanza d’impegno. D’altra parte il livello dell’insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università è carente. Vi è un eccessivo lassismo pedagogico che finisce per penalizzare i migliori. Docenti impreparati, orientati e condizionati dal pensiero unico secondo cui l’etica è null’atro che retorica che appartiene al passato. Gli intellettuali si considerano progressisti mentre si richiamano a teorie sclerotizzate e non sempre comprese, ma soprattutto sono privi di dignità e valori. . . In molti sembrano avere rinunciato alla speranza di una società migliore, non basta contestare senza preoccuparsi di acquisire la conoscenza necessaria per incidere davvero sui processi sociali. Per questo il richiamo alla libertà ha spesso motivazioni sbagliate, ingannevoli specie nei confronti dei giovani. Nel campo dell’arte assistiamo al disastro provocato dalle avanguardie la cui “libertà creativa” si è rivelata un fallimento totale, e ha portato al dominio del mercato e il cattivo gusto.
piergiorgio firinu
Che cosa è oggi ciò che definiamo cultura?
I grandi artisti greci per lo più nutrivano la loro immaginazione con la narrazione dei miti dei grandi filosofi presocratici. Fu fonte di ispirazione la narrazione di Esiodo: “Opere e i giorni”, grande poeta e narratore appartenente alla antichissima produzione della scuola beotica.
Ferecide altro grande creatore di miti. Acusilao, le cui genealogie in prosa sembra però fossero soltanto una replica di Esiodo
Cercare dì interpretare gli antichi miti è un’impresa a cui si sono dedicati generazioni di studiosi,dando interpretazioni e versioni diverse, anche perché quell’antica cultura è giunta a noi solo attraverso frammenti. Ciò nonostante anche la cultura dei filosofi che sono succeduti ai presocratci, Platone e Aristotele in primis, si è nutrita della antica mitologia.
Il richiamo a questa antica cultura ha il senso di marcare la differenza tra ciò che nutriva l’ispirazione dei grandi artisti dell’antica Grecia e gli artisti contemporanei.
Ciò che oggi chiamiamo cultura costituisce invenzione, l’esercizio di un imperfetto uso della memoria. Il discorso sull’arte trascura l’importante riferimento all’origine che non consiste nella sofistica elaborazione di Heidegger contenuta in “L’origine dell’opera d’arte” ( 1950)
Andando con il pensiero all’infanzia della civiltà emerge chiaro l’abisso che ci separa dalla profonda cultura che ispirava gli artisti dell’antica Grecia che hanno creato opere d’arte immortali. Dovremmo renderci consapevoli che immaginazione e creatività non sono affatto soggette al progresso, al contrario, proprio l’ansia di progresso ha prodotto l’orrido vuoto del pensiero contemporaneo.
Dovremmo avere la consapevolezza che l’esistenza è il percorso dall’innocenza all’esperienza. In questo percorso si va incontro alla inevitabile contaminazione. La civiltà dei consumi è la conseguenza di questa contaminazione il cui prodotto è una finta libertà priva di significato.
Già Thomas Man aveva, in più libri, affrontato il tema dell’artista, privo di coscienza critica e per questo incapace di creare. Andiamo quindi incontro alla civiltà nella quale la realtà è sostituita da simulacri, tema affrontato da Jean Baudrillard.
Anche la filosofia e critica d’arte sono permeate dalla stessa superficialità,quella che Heidegger definitiva: la verità sottoposta alla soggettività del giudizio. In questo modo viene usurpata la dignità del problema dell’arte
Come possono il brutto e il disarmonico suscitare piacere.
La prima opera d’arte astratta fu presentata da Wassilj Kandinskj nel 1910. Kandinsky era un giurista di grande cultura. Accompagnò la presentazione della sua opera con una esposizione tematica di profonda spiritualità. Suo nipote, il filosofo hegeliano Alexandre Kojève scrisse un libro nel quale dette una lettura delle opere di Kandinsky di notevole spessore filosofico. Da allora l’arte astratta ha dilagato, ma soprattutto, l’arte astratta, demolendo in qualche modo le teorizzazioni della critica d’arte sull’arte figurativa, ha aperto un varco che ha provocata la deflagrazione dei più deleteri fenomeni artistici. Come conseguenza la questione del valore dell’opera è andato sfumando nell’infittirsi di teorie ermeneutiche basate sull’assunto che il valore passi attraverso l’esperire soggettivo. A rendere più problematica la lettura dell’opera, in questi ultimi anni si è innescata la diatriba che verte sul quesito: l’opera d’arte è meglio recepita attraverso l’approccio emotivo o attraverso l’esame critico basato sulla ragione? Tramite questa domanda la psicologia è entrata a gamba tesa nel campo dell’interpretazione dell’arte, le categorie valoriali sono state radicalmente capovolte. Così l’edonismo ha finito per prendere il sopravvento anche nel campo dell’arte assumendo l’aspetto di uno scetticismo di maniera che non tiene in nessun conto la vera radice dello scetticismo logico-teoretico- conoscitivo,tema che risale ad Aristotele, il quale nella Etica Nicomachea criticava la visione edonistica dell’arte di Eudosso . A proposito dell’edonismo materialista significativa l’affermazione di Goethe su Shakespeare :” Nessuno ha disprezzato il costume materiale più di lui; egli conosce benissimo il costume interiore degli uomini”. Come possono il brutto e disarmonica suscitare piacere estetico? Nietzsche sosteneva che :“ Le cose più nobili ed elevate non agiscono affatto sulle masse”. Siccome però il consenso è il concime del potere, meglio assecondare le masse, anche in base al principio che divertire è più facile che educare.
piergiorgio firinu
Sensibilità e ragione.
I filosofi che si sono occupati di etica hanno fatto distinzione tra etica del sentimento ed etica della ragione. Il sentimento attiene alla sensibilità e privilegia impulsi individuali. Sofocle affrontò il tema in Antigone dove narrò del confronto tra Antigone, sorella di Edipo, che si battè strenuamente per ottenere che Creonte concedesse la sepoltura a suo fratello Polinice. L’etica del sentimento, vale a dire della preminenza dell’emotività, concerne anche l’arte, nell’approccio emotivo e nella lettura delle opere. Il tema è stato trattato di recente nel libro “ La tirannia delle emozioni” di Paolo D’Angelo. Per Shafterbury, teorico dell’etica del sentimento, la morale è un’estetica delle inclinazioni. Il gusto deve essere integrato dalla cultura. Quale cultura? Vale l’affermazione dello stesso filosofo: “ Il bello è indice di perfezione”. Cumberland, altro esponente dell’etica del sentimento, afferma che vi è coincidenza tra virtù e felicità. Questo, mi si passi la boutade, spiegherebbe perché c’è tanta infelicità nel mondo contemporaneo. E’ chiaro che l’etica del sentimento accantona la ragione come guida verso la comprensione delle norme che regolano i rapporti interpersonali e sociali a prescindere dalle ragioni eidetiche. L’uomo contemporaneo, non solo ha eliminato da lessico e prassi i sentimenti nobili come virtù, dovere, responsabilità, ma ritiene che la civiltà sia basata sui diritti individuali di qualsiasi genere. Va da se che i diritti, per concretizzarsi, comportano in primo luogo che non ledano il rispetto del prossimo e della società. Sappiamo che così non è. Da cosa è determinato il comportamento pratico delle masse? Di recente un gruppo di studenti ha manifestato in corteo contro il merito, per costoro era un loro diritto non essere giudicati in base al merito. L’uomo dovrebbe essere motivato verso qualcosa che lo renda capace di affrontare le difficoltà che la vita presenta. Invece prevale un sentimento edonistico. L’arte riflette questa tendenza. David Hume Fu forse il più grande degli spiriti critici della insorgente modernità. Nella sua opera, “Trattato sulla natura umana” , travalica lo psicologismo di Locke e affronta il tema del porsi praticamente della persona nella società, egli è consapevole che l’etica del sentimento si traduce spesso in solipsismo e nella pratica del peggior darwinismo sociale.
piergiorgio firinu
La dotta ignoranza della contemporaneità.
I filosofi da secoli tentano di affrontare il problema dell’essere umano, tra mille contraddizioni. Heidegger afferma: “Al di là dell’esame letterale di ciò che i filosofi hanno detto, in pochi sono riusciti a capire ciò che hanno voluto dire. Nel frattempo la civiltà prosegue il declino archiviando tutto ciò che limita o contrasta la piena libertà del corpo. Nel 1889 Enrico Bergson sostenne alla Sorbona l’esame per il dottorato, presentando come tesi “Il saggio sui dati immediati della coscienza”. Diventerà il suo libro di maggior successo. Egli scrive: “ Per lo più, viviamo esteriormente a noi stessi, scorgiamo del nostro io il fantasma …..viviamo per il mondo esterno anziché per noi, parliamo più di quanto pensiamo..” L’America, tra il pragmatismo dei suoi filosofi, inclusi gli anacoluti dei filosofi dell’arte, ha contribuito non poco ad avviare la deriva dell’Occidente. Nel libro “Dopo la fine dell’arte” pubblicato da Arthur C. Danto nel 1997,l’autore scriveva: “ ..La Metafisica era priva di senso perché era del tutto scollegata dall’esperienza, nonché dall’osservazione”. In questo modo viene liquidato il profondo pensiero dei filosofi che hanno tentato di definire la natura, l’essenza dell’uomo, i grandi pensatori dell’Occidente liquidati da presuntuoso parvenu. In realtà la Metafisica evidenzia i nostri limiti , tenta di dare risposte ad aspetti fondamentali della natura umana e dell’esistenza dell’uomo. La società occidentale ha archiviato gran parte dello studio della cultura umanistica, quasi a far tacere la coscienza critica che mette in crisi la realtà contemporanea. Kant ha preferito porre la libertà fuori dal tempo ed elevare una barriera insuperabile tra il mondo dei fenomeni e quello delle cose in se, perché, egli sostiene, la ragione non è, e non potrà mai diventare popolare La metafisica si pone il problema d’indagare le facoltà fondamentali dell’essere umano, quindi si traduce in antropologia al massimo livello. Nicola Cusano nel 1440 scrisse il libro “La dotta ignoranza” , segno che il problema della semplificazione truistica è antico. Ma la contemporaneità, anziché correre ai ripari, incrementa il qualunquismo socio-culturale Nel 2005 Pascal Engel e Richard Rorty pubblicarono “A cosa serve la verità”, compendio di cinismo ed approssimazione culturale che fa il verso a Pilato quando si chiese: “Cos’è la verità?”.
piergiorgio firinu
Immaginazione e conoscenza.
Da tempo è in atto un dibattito sulla fruizione emotiva dell’arte. Alcuni ritengono l’emotività un modo ottimale di affrontare la lettura dell’opera, altri propendono per l’approccio razionale. Entrambe le opinioni sono apofantiche perché trascurano di considerare le suggestioni a cui siamo soggetti, oltre alla qualità e la natura delle esperienze soggettive. Kant riduce espressamente lo scaturire della nostra esperienza a due fonti principali. Egli sostiene che innanzi tutto è da considerare la ricettività delle impressioni. Il secondo aspetto è quello che conosce in un oggetto le rappresentazioni, ovvero spontaneità dei concetti. La conoscenza umana forse è legata a meccanismi mentali ancora in parte sconosciuti. Si da per certo abbia origine dalla sensibilità e dall’intelletto. Mediante il primo gli oggetti ci vengono dati. Con il secondo vengono pensati. Senza dubbio gioca un ruolo la interiezione che però è poco di aiuto nella interpretazione del fenomeno arte. Quando Einstein afferma che l’immaginazione è più importante della conoscenza, dice cosa vera perché l’immaginazione è una forma di intelligenza creativa potenzialmente infinita, mentre la conoscenza è per definizione limitata oltreché non sempre corretta. L’immaginazione non è riducibile alla sola sensibilità e alla ragione, se l’immaginazione creativa nasce esclusivamente dall’esperienza, per così dire si materializza, e non è più pura immaginazione, è simile alla emersione dal fiume carsico creato dal nostro vissuto e dal nostro pensato che ad un tratto emerge con prorompente energia e consente di creare ciò che forse a lungo abbiamo pensato. Ecco perché il vissuto è importante. L’eristica usata da critici e filosofi dell’arte è un fattore di suggestione, non di conoscenza, con la scrittura sinottica dei cataloghi, si indirizza l’osservatore verso una interpretazione funzionale alla valorizzazione dell’opera il cui contenuto è spesso banausico. In “Nascita della tragedia” Nietzsche sottolinea l’enorme contrasto, per origine e per fini, tra l’arte dello sculture e del pittore, da lui considerata apollinea, e l’arte non figurativa della musica che considera dionisiaca. Oggi queste distinzioni non hanno forse molto senso, visto la commistione delle arti. La nostra epoca, che si crede superiore, usa l’idea di libertà, anche per l’arte, come un passepartout per ogni forma di devianza. Il risultato è che l’artista il quale produce forme vuote, è suo malgrado la cifra del tempo che viviamo. Nel 1958 Jean Paul Sartre pubblicò “La nausea” . Nel libro narra del vuoto incolmabile che si stava creando nella società occidentale, la rinuncia ai valori e frustrazione all’origine dello scivolamento di Antonio Roquentin, protagonista del romanzo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna, nel frattempo l’occidente non è certo migliorato.
piergiorgio firinu
Immaginazione e conoscenza.
Da tempo è in atto un dibattito sulla fruizione emotiva dell’arte. Alcuni ritengono l’emotività un modo ottimale di affrontare la lettura dell’opera, altri propendono per l’approccio razionale. Entrambe le opinioni sono apofantiche perché trascurano di considerare le suggestioni a cui siamo soggetti, oltre alla qualità e la natura delle esperienze soggettive. Kant riduce espressamente lo scaturire della nostra esperienza a due fonti principali. Egli sostiene che innanzi tutto è da considerare la ricettività delle impressioni. Il secondo aspetto è quello che conosce in un oggetto le rappresentazioni, ovvero spontaneità dei concetti. La conoscenza umana forse è legata a meccanismi mentali ancora in parte sconosciuti. Si da per certo abbia origine dalla sensibilità e dall’intelletto. Mediante il primo gli oggetti ci vengono dati. Con il secondo vengono pensati. Senza dubbio gioca un ruolo la interiezione che però è poco di aiuto nella interpretazione del fenomeno arte. Quando Einstein afferma che l’immaginazione è più importante della conoscenza, dice cosa vera perché l’immaginazione è una forma di intelligenza creativa potenzialmente infinita, mentre la conoscenza è per definizione limitata oltreché non sempre corretta. L’immaginazione non è riducibile alla sola sensibilità e alla ragione, se l’immaginazione creativa nasce esclusivamente dall’esperienza, per così dire si materializza, e non è più pura immaginazione, è simile alla emersione dal fiume carsico creato dal nostro vissuto e dal nostro pensato che ad un tratto emerge con prorompente energia e consente di creare ciò che forse a lungo abbiamo pensato. Ecco perché il vissuto è importante. L’eristica usata da critici e filosofi dell’arte è un fattore di suggestione, non di conoscenza, con la scrittura sinottica dei cataloghi, si indirizza l’osservatore verso una interpretazione funzionale alla valorizzazione dell’opera il cui contenuto è spesso banausico. In “Nascita della tragedia” Nietzsche sottolinea l’enorme contrasto, per origine e per fini, tra l’arte dello sculture e del pittore, da lui considerata apollinea, e l’arte non figurativa della musica che considera dionisiaca. Oggi queste distinzioni non hanno forse molto senso, visto la commistione delle arti. La nostra epoca, che si crede superiore, usa l’idea di libertà, anche per l’arte, come un passepartout per ogni forma di devianza. Il risultato è che l’artista il quale produce forme vuote, è suo malgrado la cifra del tempo che viviamo. Nel 1958 Jean Paul Sartre pubblicò “La nausea” . Nel libro narra del vuoto incolmabile che si stava creando nella società occidentale, la rinuncia ai valori e frustrazione all’origine dello scivolamento di Antonio Roquentin, protagonista del romanzo. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti della Senna, nel frattempo l’occidente non è certo migliorato.
piergiorgio firinu
La mente impermeabile al pensiero.
L’assuefazione alla realtà, la dominanza dell’animale che è in noi, rende la mente impermeabile al pensiero. Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale razionale, quindi nella misura in cui viene meno la ragione, l’animale prevale. Non è vero che la cultura renda migliori, fornisce solo la capacità di giustificare le proprie aberrazioni. Scriveva Chanfort: “ il teatro è la prova che gli esseri umani, anziché correggere i propri vizi, preferiscono celebrarli”. Proviamo immaginare cosa scriverebbe Chanfort oggi. Se queste affermazioni appaiono eccessive, pensiamo a quanto poco ha inciso la cultura nei secoli a partire dalla Grecia antica. Di fronte al crescente degrado della società, non si vedono tentativi di ristabilire un minimo di etica, anzi il degrado non è affatto percepito. Le domande essenziali dell’esistenza sono diventate argomento per umoristi. Nietzsche, nei cui testi si raccoglie la tradizione nella variante moderna, soprattutto positivistica, ha messo in opposizione l’apparenza con l’arte, entrambe modi di espressività dotate di modalità e realtà diverse, arrivando alla conclusione che l’apparenza cancella l’arte, riducendola rappresentazione priva di significato. La filosofia dell’arte rappresenta l’aspetto pleonastico dell’argomentare. Rendersi intellegibile è il suicidio della filosofia. Coloro che idolatrano i fatti, nel senso di opere “apparenti”, non si rendono conto che i loro idoli brillano solo di luce riflessa, se ne rendessero conto forse sarebbero sconcertati. L’ermeneutica culturale, cioè l’interpretazione dei fenomeni sociali, è al servizio dello status quo e del mercato, questo è uno degli aspetti peggiori di una società dell’apparenza. Come scrive Heidegger non si può spacciare per ragione l’argomentare solipsistico che giustifica la nostra crescente inadeguatezza. Il pensiero è lo strumento per formulare le domandare. Porre domande è un’operazione difficile, la motivazione del domandare è già una parziale risposta. Non a caso la filosofia di Parmenide, Eraclito, Platone consiste innanzi tutto nel domandare. Domandare è l’inizio non solo della filosofia ma della civiltà. Senonchè, siamo vincolati da troppo tempo e troppo saldamente alla contemplazione di noi stessi e al soddisfacimento dei bisogni del corpo. Anassimandro ha descritto in modo esemplare i limiti che la carne pone al pensiero. L’intera storia umana si basa sul confronto e soggiogamento della natura . Nel libro “ Contributi alla filosofia” , Heidegger cita spesso Holderlin, il poeta che, per lui, più di ogni altro ha intuito il futuro di ciò che sarebbe stato possibile se la viltà della carne non avesse preso il soppravvento. L’arte non è stata un argine, ma ha creato il solco entro il quale scendere al livello di ciò che la massa voleva.
piergiorgio firinu
L’arte è storia.
L’arte è storia. La globalizzazione cancella la storia dei popoli, quindi cancella la loro arte, il loro modo di pensare l’arte. Anche l’arte ha volte esprime il culto della personalità, quando si fa riferimento al “genio”, si continua a muovere sul tracciato del moderno pensiero dell’io privo di coscienza, inglobante la materialità, senza mettere in questione la metafisica del corpo, accantonando sensibilità “anima”, spirito. Il paradosso consiste nella celebrazione dell’artista, senza aver chiarito a cosa corrisponde la definizione del sostantivo arte, persistendo in un equivoco perenne. Sul tema esistono opinioni diverse. Dall’equivalenza di ogni opinione nasce la confusione dell’Occidente. L’arte è un enigma, la filosofia invece di accampare la pretesa di risolvere l’enigma, dovrebbe quanto meno vederlo, accertarne la complessità. Secondo Heidegger la filosofia non può mai dimostrare le tesi, soprattutto perché non vi sono tesi assolute, Nel momento in cui si affronta il tema dell’arte e degli artisti, la materia viene definita estetica. L’estetica considera l’opera d’arte come oggetto,considerando la percezione sensibile le modalità di approccio all’arte. in questo modo viene posta in secondo piano la gnosi ermeneutica. E’ stata questa la premessa per il sorgere delle avanguardie. Il mondo delle cose e il mondo dei significati, la corrispondenza del simbolo a cui l’arte tende, è il modo in cui la rappresentazione va oltre la forma, Si continua a considerare immortali le opera d’arte. e l’arte come valore eterno, affidandosi ad un uso generico del linguaggio,si evita di guardare in dettaglio, perché si teme che l’attenta osservazione induca e pensare e ci ponga di fronte alla nostra incapacità di dare un senso a ciò di cui stiamo parlando. In questo modo si finisce a indurre l’artista a non pensare a ciò che sta facendo. Così galleggiano tra fatuo e insignificante si avanza la pretesa di “ rompere gli schemi” “ superare i pregiudizi” . In realtà si cancella l’arte L’arte può anche essere vista come la realtà che la coscienza conferisce a se stessa. E’ qui che si radica il concetto di verità che l’arte dovrebbe esprimere. In assenza di coscienza ed etica la persona/artista naviga sulla superficie dell’esistenza e si disperde nella fenomenologia dell’accadere.
piergiorgio firinu
Dissolta la coscienza critica.
Dobbiamo rassegnarci ed accettare che il predominio del mercato imponga la propria idea di arte? Dobbiamo prendere atto che il mercato è supportato proprio da quei movimenti che si dicono libertari, rumorosi e prevaricanti agglomerati sociali che strumentalizzano il genere, le tendenze sessuali, l’ideologia. L’arte parla attraverso le proprie opere, se l’opera ricalca il pensiero unico si traduce in tautologia. Nell’opera d’arte è messa in opera la verità dell’Ente. L’arte è il mettere in mostra la verità. Questa la lettura dell’arte, forse troppo positiva, è di Heidegger. In realtà alla domanda : cos’è l’arte? non è stata data risposta. Questa mancanza costringe, chi scrive sull’arte, a girare in tondo, ribadire concetti dati per scontanti, che in realtà sono ripieghi lessicali. Intanto le opere se ne stanno collocate e appese nelle collezioni e nelle mostre, oggetti inseriti in nel meccanismo dell’industria dell’arte. Platone sosteneva che l’opera d’arte è una doppia imitazione. Copia l’idea e copia la realtà che l’idea esprime. Intenditori e critici s’impegnano per dare un significato a manufatti artistici con i loro approssimativi significati. Pistoletto, a esempio,ha presentato in varie sedi il simbolo dell’infinito, adottando l’espediente di cambiarne la denominazione. La critica ha rinunciato da tempo ai concetto di verità. Senza dubbio l’arte non costituisce più il modo supremo in cui la verità giunge ad esistere. E’ cessata la diade concettuale materia-forma. Un opera poggia anche sul plesso morfo- iletico che ricorre solo nei vecchi vocabolari, lo stanziarsi, il radicamento comunemente impiegato nello spazio mentale in cui l’artista dovrebbe muoversi ha perso la distinzione fra materia e sagoma, che costituiva lo schema concettuale per ogni teoria dell’arte, Il tentativo di fermare, porre in chiaro, il principio di coscienza creativa alla base di ogni estetica, è annegato nel mare del ludico contemporaneo, tanto che il filosofo americano Danto arriva a definire ciarpame, tesi, antitesi, sintesi indicate nella dialettica di Kant, che non sono altro che un richiamo a Platone, ripresi dall’idealismo tedesco a margine della critica dell’arte. Sono archiviati i contenuti di espressi da allegoria e simbolo, da sempre fondamentali per il linguaggio artistico. Siamo giunti al punto che la realtà di un opera d’arte, priva di metafora e di simbolismo, ha la stessa chiarezza, la stessa insignificanza, di un cartello stradale.
piergiorgio firinu
E’ possibile un arte concettuale?
Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all'esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter. Una diversità è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l'elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c'è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l'elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell'idealismo logico. Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter. Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica. Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale. Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico Leonardo Pisano detto il Fibonacci ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione. Dovremmo considerare il significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica, come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell'oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”. Una tale limitazione compare solo all'inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l'intero problema della logica si esaurisce nell'identità e nella diversità dell'essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell'uno e dell'altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità. Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica alla base della formulazione del concetto.
piergiorgio firinu
E’ possibile un arte concettuale?
Che un soggetto di un ordine tra elementi si possa ricondurre analiticamente all'esistenza di una relazione asimmetrica transitiva tra di essi e che si presuppone necessariamente una relazione di questa forma, è stato mostrato particolarmente dal Russell, esso prende il nome dalla terminologia del presupposto fondamentale di Richter.
Una diversità è data dalla caratteristica di ciò che costituisce l'elemento specifico della forma, il fenomeno primitivo logico. Conformemente a questi presupposti Richter giunge alla conclusione che nella sfera logica non c'è né ci può essere alcuna serie. Manca quindi l'elemento più importante è assolutamente indispensabile per la costruzione del numero. Non già questa la conseguenza, bensì la premessa che qui scaturisce viene contestata dalla critica gnoseologica dell'idealismo logico.
Il concetto della logica idealistica è completamente diverso, anche se molto si richiama Muller e allo stesso Richter.
Poteva certo sembrare che, da questo punto di vista, la polemica forse è stata ridotta a una semplice distinzione terminologica e fosse quindi sterile polemica.
Riguardo al suo valore oggettivo infatti chiunque è libero di pensare di usare il termine logico nel modo che ritiene, se ne giustifica l’ontologia. Per esempio, l’artista è libero di definire concettuale la propria approssimazione formale,ma trascurando di definire le motivazioni della scelta cade in un anacoluto formale.
Significativa è a questo riguardo l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico Leonardo Pisano detto il Fibonacci ( 1170 – 1242). L’opera riproduce una serie di numeri la cui valenza estetica è nulla il cui significato sotto il profilo artistico e una pura ipostatizzazione.
Dovremmo considerare il significato: “opera concettuale”. Osservando ciò che contiene la terminologia di Richter,Peirce, Boole, Frege, Peano,Schroder, la logica stessa della sua forma classica, come nella moderna elaborazione avuta ad opera degli autori indicati, non può più essere definita come teoria dell'oggetto,dal punto di vista storico, non è mai esistita una scienza della logica che si sia limitata a ciò che si chiama “oggetto puramente logico”.
Una tale limitazione compare solo all'inizio della logica in Parmenide, per il quale in realtà l'intero problema della logica si esaurisce nell'identità e nella diversità dell'essere e del non essere, ma già il sofista platonico va oltre questo fenomeno primitivo dell'uno e dell'altro, il concetto della comunanza delle idee si trova in una posizione centrale che per la prima volta rende possibile una scienza logica, questa comunanza che si fonda su un rapporto di dipendenza sistematica dei concetti e dei giudizi nel rapporto di premessa è conseguenza che tra loro sussiste. La successione logica che ne deriva può essere dedotta dalla semplice identità e diversità.
Dunque l’arte concettuale si traduce in ossimoro per la contraddizione che si realizza tra concretezza estetica che assume ogni realizzazione formale, e l’estraniazione logica alla base della formulazione del concetto.
La nascita della critica d'arte.
Nel 1568 l’aretino Giorgio Vasari pubblica “Le Vite”, il testo si ispira alla novellistica fiorentina, descrive il mondo artistico e letterario della sua epoca nel quale la cultura aveva richiami al mondo classico che da impronta al suo lavoro, non solo ricco di episodi storici con aneddoti sulla vita degli artisti, ma anche molto curata sotto il profilo letterario. Un parallelo tra cultura, storia e arte. Per avere un’idea della cura con cui fu redatto il testo, basti dire che il lavoro di revisione, oggi diremmo l’editing, durò ben 15 anni. E’ noto che il Vasari è considerato il precursore della critica d’arte, nelle Vite non si è occupato soltanto della descrizione delle opere degli artisti, ma, come si evince dal titolo, ha redatto una serie di brevi biografie di ogni singolo artista. Vasari era implicato in molti dei fenomeni che descrive ed era posseduto da un pessimismo implicito che emerge dalla narrazione della parabola da Cimabue a Buonarroti. Oggi quella che per comodità viene ancora definita critica d’arte non ha più le caratteristiche di approfondimento di opere e personaggi., nei migliori dei casi ha forte connotazione sociale come “ Storia sociale dell’arte” di Arnold Hauser. Più spesso si tratta di racconti parziali su determinati fenomeni. Ogni studioso tende a specializzarsi su una determina forma artistica, o corrente, proliferate con l’avvento delle avanguardie. Raramente il critico si sofferma sul background dell’artista e sul mondo nel quale vive e opera, quando lo fa, traccia per lo più un racconto privo di approfondimenti e ricco di elogi. Diciamo che la critica d’arte ha assunto il compito di promozione commerciale più che di narrazione vera dei fenomeni artistici. Forse uno degli ultimi critici d’arte, per cosi dire, per vocazione, fu Charles Baudelaire. Il poeta francese visse in un periodo di fulgore dell’arte francese, tra il 1821 e il 1867, egli apparteneva al movimento del simbolismo ed estetismo che esprimeva la decadenza nonostante la Belle Epoque. Baudelaire scrisse sul Salon des Refusés, insieme a Emile Zola. Se pensiamo al grande scalpore che suscitò l’opera di Edouard Manet, “ Le Déjeuner sur l’herbe”, solo perché appariva un nudo, e lo paragoniamo a cosa rappresentano gli artisti oggi, dopo appena 160 anni, davvero dovremmo interrogarci sulla natura di quello che viene definito progresso dell’arte. Gradatamente la funzione si approfondimento critico viene assunta dai filosofi. Da prima con citazioni en passant nei testi con i quali era contenuto un richiamo a forme estetiche, fino ad arrivare a produrre una ricca serie di pubblicazioni di filosofia dell’arte con l’ambizione più o meno esplicita di chiarire i fenomeni artistici e dare significato alle opere. Raramente le loro considerazioni trovano riscontro nella osservazione del comune osservatore. Non è questa la sede di approfondimenti circa gli esiti dell’entrata a gamba tesa della filosofia nel mondo dell’arte. Mi auguro che i brevi qui contenuti possano indurre ad approfondire il vasto tema della realtà artistica di ieri e di oggi.
piergiorgio firinu
Propedeutica dell'intuizione
L'arte consiste nel raccogliere l'infinito molteplice dei fenomeni reali ed esprimerli con pochi accorgimenti tecnici, ovvero secondo l’epistemologia propria dell’arte, in relativamente pochi tratti con cui ordiniamo un sistema tramite il quale abbiamo pienamente il potere e la capacità di rappresentazione di ciò che colpisce la nostra immaginazione. Passione e intuizione sono due aspetti dello stesso misterioso impulso che muove l’artista. L’ultima opera di Cartesio ha per titolo un ossimoro: “ Le passioni dell’Anima”. Per definizione l’anima non prova passioni,anche i grandi filosofi cadono in truismi verbali. Questo richiamo ci aiuta comunque a capire l’affermazione di Hegel secondo il quale: l’arte è il pensiero che prede forma. La domanda che sorge spontanea è: di cosa si nutre, come si forma il pensiero propedeutico alla creazione artistica? Secondo Kant la conoscenza avviene attraverso l'intuizione, la cosiddetta intuizione artistica sarebbe una sorta di anticipazione della conoscenza di ciò che non esiste, nella migliore delle ipotesi espressione parziale di un pensiero in divenire. Altro tema è capire di cosa si nutre il pensiero per produrre le intuizioni che si esprime nella forma. Questo il punto cruciale che spiega il decadimento dell'arte contemporanea in quanto priva di pensiero. Altra cosa è il significato contenuto nell’opera. Parafrasando l’affermazione di Hegel: non vi è nesso tra la forma dell’uva e il gusto del vino. Questo per dire che la forma non esprime necessariamente un significato, ma nell’opera d’arte, è già sempre legata all’unità di forma e significato. . Oggi l’arte ha rinunciato al bello, alla mimesi, ma sopratutto ha rinunciato all’uso simbolo della forma. In “Verità e Metodo, Gadamer sostiene che il simbolo è l’idea stessa che si da esistenza nel momento e rappresenta il non visibile.
piergiorgio firinu
Il senso e il nulla.
La parola per così dire ordinaria si riferisce a una realtà esistente, mentre musica, pittura, e poesia, sono elaborazione della parola, creano il loro proprio oggetto. Dietro al linguaggio creativo c’è un pensiero trascendente. Il fenomeno del linguaggio non chiarisce stesso se non nella forma, perché ciò che va oltre la parola, ciò che il linguaggio evoca non è l’oggetto, ma la possibilità, la creazione in potenza. La sequenza delle parole è il tracciato che delinea l’astratto disegno che la mente elabora. Il reticolo del linguaggio cattura le emozioni, esprime opinioni, da corpo alle nostre fantasie. Lo sforzo di chiarezza serve alla mente per illuminare se stessa. Pascal dice delle opinioni: nei tre casi è lo stesso prodigio di una chiarezza a prima vista che scompare non appena vogliamo ridurla a quelli che, secondo noi, sono gli elementi che la compongono. Per questo l’arte, che esprime l’inesprimibile, è cosi importante. La formula verbale, scritta sulla carta o affidata alla memoria, non servirebbe a nulla se non abbiamo acquisito la facoltà interiore d’interpretarla. Come scriveva Goethe “nulla è più difficile e doloroso di un pensiero nuovo”. In troppi rifuggono dal soffrire. Ciò che abbiamo vissuto è e rimane perpetuamente in noi, il vecchio attinge alla propria infanzia. Ogni presente che si produce penetra nel tempo come un cuneo e aspira alla eternità. L’eternità non è un altro ordine al di là del tempo, ma l’atmosfera del tempo. Per questo il linguaggio dell’arte segna un tracciato nella coscienza sensibile che non controlliamo ma viviamo attraverso le emozioni. La teoria matematica fonda una tradizione. La pittura di Van Gogh s’installa in me per sempre, vederla, assimilarla significa compiere un atto che resterà impresso nella mia esperienza e che emergerà ogni qual volta affiora il ricordo, anche impreciso, del segno che esprime una dimensione a cui, forse, molto dopo la realtà si adegua. Dice Proust, siamo appollaiati su una piramide di passato, e non lo vediamo solo perché siamo assillati dal pensiero oggettivo, dal presente. Il rapporto tra ragione e vissuto, fra eternità e tempo, così come tra riflessione e riflesso, fra pensiero e il linguaggio o tra pensiero e percezione, è quel rapporto indefinibile che la fenomenologia ha chiamato Fundierung: il termine fondante, l’irriflesso. Il tempi fatui che viviamo c’inducono a rifuggire da ogni pensiero fondante nel timore che la ricerca del senso ci costringa a constatare il non senso della nostra esistenza.
piergiorgio firinu
Difficile conciliare libertà e ragione.
Molti filosofi e intellettuali hanno affrontato il tema della libertà, Nel 1894 Rudolf Steiner pubblicò “ La filosofia della libertà”, che conteneva un argomentare profondo sull’impossibile. Hegel, in “ Fenomenologia dello Spirito” Scrisse un intero capitolo dal titolo: “L’opera peculiare della libertà assoluta è la morte e il Terrore”. Nella ricerca della libertà gli esseri umani trascurano l’essenza e si fermano all’essenziale. Dunque la domanda a cui dovremmo rispondere è cosa significa “libertà”? Qui viene fuori lo snodo centrale che caratterizza tutte le nostre azioni,affrontato da Spinoza ed Hegel che così si esprimono: noi non giudichiamo buono ciò che è buono per sostanza e forma, ma giudichiamo buono ciò che ci piace. Estremizzando il concetto l’incontro perfetto sarebbe tra un sadico e un masochista. Sigmund Freud esaminò il tema in “Il disagio della civiltà” dove mise in evidenza che la civiltà non conferisce più libertà, al contrario la limita in quando pone norme di convivenza che devono essere osservate perchè la civiltà possa dirsi tale. Il testo si dilunga nell’illustrare situazioni nelle quali la libertà è negativa. Se noi limitiamo l’osservazione al piccolo mondo dell’arte, abbiamo davanti gli effetti della “libertà creativa” , cioè l’abolizione di regole e la eliminazione della necessità di legare arte e pensiero, arte e cultura. Ci troviamo quindi di fronte alla contraddizione di forma e contenuto. La prima affidata alla arbitrarietà del gusto che si realizza nell’atto, la seconda giudicata non necessaria in quanto, si sostiene, la fruizione non è legata alla ragione ma all’emozione. Il titolo di una sua recente opera Paolo D’Angelo: “ La tirannia delle emozioni”. Ecco dunque, richiamandoci a quanto sopra scritto, l’ansia di libertà si arena di fronte a noi stessi, alla nostra incapacità di controllo e gestione anche della nostre pulsioni cognitive. Il faticoso lavoro di Hans Georg Gadamer “ Verità e metodo” 1045 pagine di tentativi ermeneutici su aspetti fondamentali della dignità socio culturale, perdono di significato nel momento in cui vengono rimossi i nessi che legano libertà, verità, volontà, ragione. Nella realtà accettiamo di vivere la nostra vita in una libertà che abbiamo scelta secondo principi a cui è estranea ogni ragionevolezza.
piergiorgio firinu
Il fallimento della Ragione.
Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall'idealismo al positivismo. La filosofia, in tutto il suo percorso storico, gli appare come una consapevole o inconsapevole teologia,cioè un’alienazione dell'essenza dell'uomo nella essenza di Dio e quindi una mistificazione dell'uomo. Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un immensa teologia. E’ teologia razionalizzata, cioè l’inveramento e il coronamento del pensiero teologico. Per Feuerbach invece la nuova filosofia è la risoluzione completa, assoluta, della teologia antropologica. Questo spunto verrà raccolto da Jacques Maritain nel suo capolavoro, “Umanesimo integrale”, pubblicato nel 1956, nel quale, anticipò Fukuyama che 56 anni dopo, nel 1992, pubblicherà il libro “Fine della storia”. Il pensiero di Hegel si sviluppò nell’esame dei nessi società e cultura, e lo indusse ad affermare che l’arte non aveva più ragion d’essere nella società moderna. Contrariamente alla previsione di Feuerbach secondo cui,l’uomo, liberato dal bisogno, si sarebbe dedicato alla cultura e all’arte. Profezia clamorosamente smentita dalla realtà. Si deve alla scuola di Francoforte l’approfondimento del tema cultura, politica, società. Horkheimer, in “La società in transizione”, pubblicato nel 1972, tenta una silloge dei problemi che allora si profilavano e che, non sono mai stati risolti, tanto che oggi ci ritroviamo a fare i conti di situazioni di maggior gravità. Come sosteneva Bertrand Russel. È molto più facile divertire che educare. Il fallimento del pensiero libertario nato con l’Illuminismo al quale Adorno e Horkheimer mossero una dura e motivata critica in “Dialettica dell’illuminismo”, si trascina nella civiltà contemporanea. La quale sembra aver abbandonato le ragioni vere che motivarono la nascita della civiltà occidentale. Nella società dell’apparenza, dello spettacolo, prevale tutto ciò che è ludico, e viene configurato nella vita sociale e nella comunicazione come il grembo in cui si feconda la libertà. Kierkegaard aveva messo in guardia dal pericolo di abbandonarsi alla deriva estetica, alla superficialità senza pensiero. Seguirà il pessimismo di Heidegger la cui filosofia tenta ancora domande destinate a restare senza risposta. In “Cosa significa pensare”. Heidegger tenta di metterci in guardia sull’essenza nascosta della tecnica moderna. Tema in parte ripreso in “L’origine dell’opera d’arte” , pubblicato nel 1950. L'uomo concreto si è liberato dal bisogno materiale, almeno in occidente, per scoprirsi più vuoto e vulnerabile di quanto non fosse mai stato, ma nello stesso tempo, prigioniero della propria dipendenza da consumi e piaceri. L’illusione di Feuerbach che un giorno la civiltà sara liberata dalla menzogna e nascerà un uomo libero capace di realizzarsi in armonia con se stesso, si è rivelata una cocente delusione. L'arte ha scelto la tecnica, il ludico, l’estemporaneità di un pensiero superficiale e intimistico, di matrice sopratutto femminile. La Biennale di Venezia del 2022 vede una massiccia presenza femminile, più della metà degli espositori è donna. Va da se che la scelta non è stata fatta, avendo come riferimento la qualità delle opere, ma la politica, il privilegio di genere, quasi che l’arte possa essere una forma di risarcimento psicologico delle carenze di natura, cultura, sensibilità.
piergiorgio firinu
L'osso di Hegel
È noto il detto: la matematica non è un'opinione. Ebbene, Hegel, nella fenomenologia dello spirito, afferma: la filosofia deve disprezzare la matematica. Ovviamente l'affermazione va meditata e collocata nel contesto logico che la motiva. Anche la logica è stata messa in discussione. Interessante il libro pubblicato da Nikolaj Aleksandrovic Vasil’ev “ Logica immaginaria” , nel quale sviluppa interessanti teorie sulle modalità dei giudizi logici. Non c’è dubbio che la logica, per così dire, riordina i pensieri, non li crea. Abitualmente la logica è associata all'idea di aridità di un pensiero razionale. Questo offre pretesto agli artisti per rifiutarla in quanto sarebbe contro la creatività. Non si insisterà mai abbastanza sul fatto che “realtà” e “verità” sono concetti creati dall’uomo, affidati a convenzioni. Possono quindi non solo essere sottoposti a critica, ma secondo l’evoluzione del pensiero e delle consuetudini, possono essere considerati concettualmente obsoleti. I filosofi spesso fanno ricorso a metafore incomprensibili. Hegel, in “Fenomenologia dello spirito” usa la metafora dell’osso per definire i limiti di un pensiero che si arena nella materia. Molto più rozzamente Danto definisce pattume la metafisica, anche se non rinuncia ai sofismi intorno a cui si radicano le argomentazione della sua filosofia. Resta vero che la coscienza critica è forse l'unica fonte di creatività, essa è alla radice della filosofia e di ogni impresa intellettuale che abbia un significato. Infatti il fallimento delle avanguardie è stato provocato da una finzione critica, che si è tradotta nella semplice sostituzione di procedure, e nella abolizione dei principi che ispiravano la epistemologia dell’arte, sostituendoli con un approccio parascientifico e adozione di procedimenti tecnologici. Questo ha comportato lo snaturamento della ontologia dell’arte. . La provocazione come metodo ha portato a confondere creatività con impulso. Parafrasando la nota affermazione di Einstein secondo il quale il risultato della scienza è frutto di 95% di lavoro 5% di genio. Trasferire il concetto nel campo dell’arte ci aiuta a chiarire la ragione per la quale molta arte contemporanea è ciarpame. Supporre che l’artista, o sedicente tale, abbia il dono della creatività che si manifesta per impulsi, significa inoltrarci in un deserto di senso nel quale, non è neppure chiaro chi possa essere considerato artista. I pregiudizi sulla creatività e talune forme d’arte sono ormai evidenti a tutti. Se si mantiene lo status quo è perché interessi concreti tengono in piedi la finzione che mette la sordina alla coscienza critica.
piergiorgio firinu
Sensibilità e ragione.
Vi è diversità tra i concetti dell'intelletto e i concetti della ragione. Nel primo caso la base è l'esperienza sensibile soggettiva che prescinde dalla conoscenza dell'oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell'oggetto. La ragione ci consente di dar forma al pensiero. Se riportiamo queste considerazioni alla prassi della critica e Filosofia dell'arte, ci rendiamo conto che il processo analitico dell'opera non è mai riferito all'oggetto in quanto oggetto, ma più generalmente al significato astratto dell'insieme che l’artista si propone di rappresentare. La produzione di una estetica attraverso la filosofia ha portato ad un eccesso di intellettualizzazione dell’arte allontanandola dalla natura e dal bello estetico. Incidono poi aspetti estranei all’opera, come le considerazioni personali sull’artista, riconoscimenti di critici e filosofi dell’arte, in breve una narrazione che si basa su aspetti che tendono a valorizzare l’artista in quanto curriculum professionale e solo di riflesso la sua opera. E’ un procedimento corretto? Mi sia consentito avere delle riserve sul metodo che, purtroppo, ha consentito creare una sorta di mitologia su artisti mediocri come Picasso del quale il filoso Alexandre Kojève scrisse: “Picasso riesce a fare un quadro solamente una volta circa su cento in cui mette dei colori su una tela. E’ ancora più imbarazzante il fatto che la stragrande maggioranza dei suoi ammiratori sono assolutamente incapace di distinguere – nella sua opera – i quadri dalle tele imbrattate”. (Quodlibet 2005, pag.31) L'Osservatore comune generalmente esprime un giudizio basato quasi esclusivamente sulla sensazione, in teoria soggettivo, spontaneo. In realtà non c’è dubbio che la suggestione della critica e dello stesso luogo in cui è esposta l’opera, hanno un ruolo determinante. In astratto l'apprezzamento sensibile dell'osservatore non necessità di un riscontro, la sensazione ha valore solo come tale, cioè nessun valore, questo a prescindere dalla sensazione che può essere quasi sempre appagante. D’altra parte non è certo che la lettura razionale dell'opera,che si scontra con la difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa, abbia la capacità di arrivare al nocciolo del problema di capire se c’è e qual’è il significato. Una conclusione potrebbe essere che quando la critica d'arte si limita ad illustrare dati oggettivi nell'opera potrebbe avere una qualche utilità per l'osservatore sul piano per così dire tecnico, lasciando spazio al godimento estetico che non necessità di una motivazione teorica. Quando invece la filosofia ha la pretesa di definire significati indimostrati e indimostrabili, allora non è più utile e si riduce a una narrazione supponente senza raggiungere un esito gnoseologico. Il piacere dell’’opera nasce dall’accordo tra immaginazione e intelletto. Non sono approdati a molto gli studi che hanno affrontato il tema di conoscenza e sensibilità attraverso i quali si forma il gusto. Pensiamo a “Critica del giudizio” di Kant. Resta inesplorato il campo della sensibilità che determina le nostre scelte, a volte accantonando la ragione.
piergiorgio firinu
Intenzione e risultato.
È ancora possibile tentare di affrontare il tema dell'arte fuori dal contesto di speculazioni mercantili? Hegel afferma che e la ragione è agire in conformità di un fine. Quale può essere il fine di un'opera d'arte, o supposta tale, dopo che in essa non è più contenuto il bello della forma né simbolo, nè narrazione. L'idea iniziale che ha indotto l'artista a realizzare l’opera, in quale misura può essere recepita dall'osservatore? La filosofia dell'arte sembra procedere per teorizzazioni che non esaminano l’opera in se stessa,nella sua peculiarità. Spesso si fa riferimento alle intenzioni dell'artista assumendo che l'intenzione sia stata realizzata. Nessun critico ha saputo conferire un significato e reale valore artistico al quadrato nero di Kazimir S.Malevic, allo scola bottiglie di Duchamp, ai barattoli di merda di Manzoni. Eppure queste opere sono entrate a far parte della storia dell’arte alla stessa stregua della opere di Velasquez, Caravaggio, de Chirico. Andiamo un attimo all’incipit del VIII capitolo dei Promessi sposi. “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra se don Abbondio. Il sofista greco Carneade, è così entrato nella storia della letteratura. Quanti carneadi hanno dedicato la loro vita a scrivere libri che ben pochi hanno letto, a realizzare opere che pochi hanno visto? La convinzione che la cultura e l’arte abbiano grande influenza sulla società nell’era di Internet, va rivista. A meno che per cultura s’intenda il trip del momento dei mezzi d’informazione che stranamente si avventano come mosche su personaggi ed eventi estemporanei. La produzione di libri e la pubblicità che li accompagna, non ha, come scopo primario, educare il pubblico. La critica e la filosofia dell’arte sembrano aver svolto un ruolo deviante rispetto al gusto e alla sensibilità collettiva. Non c’è dubbio che la cultura di massa va a traino dei fenomeni estemporanei e segue il gusto determinato da suggestioni che non hanno certo orientamenti culturali. Nel 1916 Vilfredo Pareto scrisse; “ Trattato di sociologia generale” nel quale esaminò il formarsi delle èlite. Oggi le élite sono costituite da soggetti che nel medioevo non sarebbero stati sepolti in terra consacrata. Inevitabilmente l’arte si adegua. Esempi significativi in tal senso sono i graffiti. Nati come espressione spontanea e gratuita di giovani marginali, sono diventati opere da museo acquistate a caro prezzo. In democrazia conta il consenso numerico, chi ha più voti ha il potere. La qualità non la minima importanza. Nicola Cusano definisce il sapere umano un sapere sempre confrontabile, mai reale. L’abbassamento del livello delle opere produce l’effetto domino amplificato dai mezzi di comunicazione di massa. Il sostantivo “cultura” è usato come etichetta per attività e manifestazioni sociali di ogni genere. La “cultura” del cibo, la “cultura” della pipa, la “cultura” della droga. E così di seguito. In compenso la cultura senza aggettivi sembra diventata residuale. La lettura, esercizio solitario, richiede tempo e riflessione, incompatibili con la contemporaneità. La letteratura di evasione ha maggiore successo perché può essere letta in metropolitana.
piergiorgio firinu
Impulso e conoscenza.
È noto il detto: la matematica non è un'opinione. Ebbene Hegel, nella fenomenologia dello spirito afferma: la filosofia deve disprezzare la matematica. Ovviamente l'affermazione va meditata e collocata nel contesto logico che la motiva. Anche la logica è stata messa in discussione. Interessante il libro pubblicato da Nikolaj Aleksandrovic Vasil’ev “ Logica immaginaria” , nel quale sviluppa interessanti teorie sulle modalità dei giudizi logici. Non c’è dubbio che la logica, per così dire, riordina i pensieri, non li crea. Abitualmente la logica è associata all'idea di aridità di un pensiero razionale. Questo offre pretesto gli artisti per rifiutarla in quanto sarebbe contro la creatività. Tutte queste considerazioni ci portano chiarire come “realtà” e “verità” siano concetti creati da noi, affidati spesso a convenzioni. Possono quindi non solo essere sottoposti a critica, ma secondo l’evoluzione del pensiero e delle consuetudini, possono essere considerati concettualmente obsoleti. La coscienza critica è forse l'unica fonte di creatività, essa è alla radice della filosofia e di ogni impresa intellettuale che abbia un significato. Infatti il fallimento delle avanguardie è stato provocato da una finzione critica, che si è tradotta nella semplice sostituzione di procedure, nella sostituzione della epistemologia dell’arte con un approccio parascientifico e l’adozione di procedimenti tecnologici. Questo ha comportato lo snaturamento della ontologia dell’arte. Il risultato, per chi lo vuole vedere, è sotto i nostri occhi. Con il rifiuto del bello, della mimesi di fatto rifiutata la creatività, essendo arduo considerare creatività la produzione seriale meccanizzata, la produzione di manufatti industriali, l’adozione della tecnologica per creare realtà virtuali. La provocazione come metodo ha portato a confondere creatività con impulso. Parafrasando la nota affermazione di Einstein secondo cui; il risultato della scienza è frutto di 95% di lavoro 5% di genio. Trasferire il concetto nel campo dell’arte serve a chiarire la ragione per la quale molta arte contemporanea è ciarpame. Supporre che l’artista, o sedicente tale, abbia il dono della creatività che si manifesta per impulsi, significa inoltrarci in un deserto di senso nel quale, non è neppure chiaro chi possa essere considerato artista. I pregiudizi sulla creatività e talune forme d’arte sono ormai evidenti a tutti. Se si mantiene lo status quo è perché interessi concreti tengono in piedi la finzione che mette la sordina alla coscienza critica.
piergiorgio firinu
Patrimonio culturale contemporaneo
Storia e mito non fanno più parte del patrimonio culturale contemporaneo. Chiediamoci quindi come viene letta l'immagine della pittura oggi? Forse solo rilevando colore e forma, indifferenti al significato, quand’anche ci fosse. La maggior parte degli artisti contemporanei non ha cultura classica e ha cancellata la traccia di una narrazione filosofica o mitologica. Quello che resta è la cultura del mainstream, un impronta tecnologica che fa il verso alla scienza. La spiritualità non fa più parte del bagaglio culturale, non solo dell’artista, ma di tutta la cultura contemporanea. Con quale sensibilità oggi osserviamo un'opera d'arte? Potremmo fare un lunghissimo elenco di opere, soprattutto di matrice femminile, la cui essenza va oltre alla materialità per sconfinare nel laido. L'ermeneutica delle intenzioni dell'artista è forse meno importante di quella dell’osservatore medio. L’artista opera attraverso la propria soggettività, l’osservatore invece calibra la propria comprensione dell’opera attraverso il sentire collettivo, si sente esentato dalla necessità di approfondire il significato di ciò che osserva. Chiediamoci quale riflessione, stimolo, sensazione può suggerire, poniamo, la visione del letto sfatto di Tracy Smith? Si deve fare i conti con un’ipocrita discrasia semantica che pervade la psicologia di massa, resa vulnerabile alla suggestione della comunicazione perché priva di anticorpi culturali. A sua volta, la funzione sociale della scienza, come ha dimostrato il Covid19, parla attraverso una polifonia che si traduce in entropia della comunicazione influendo pesantemente sulla massa. Temi sicuramente diversi che hanno in comune la suggestione prodotta da una comunicazione confusa, quando non sistematicamente decettiva. La narrazione culturale ed artistica è soggetta alle stesse fonti di comunicazione, tv e giornali, ed agisce anch’essa sulla psicologia della massa contribuendo al formarsi delle opinioni come ha ben chiarito Jùrgen Habermas nel libro “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali”. Se ci poniamo il problema che si è posto Max Weber del giudizio di valore, scopriamo che esso si basa sulle premesse del mercato incorrendo nell’arbitrarietà dei punti di vista. Runciman coglie assai bene il rapporto esistente tra il problema del giudizio di valore e il problema della scelta, ma deve arrendersi di fronte all’approccio a-culturale delle masse suggestionate, come abbiamo scritto, dalla imponente macchina della comunicazione che, in pratica, confluisce in operazioni di pubblicità e marketing. .
piergiorgio firinu
Fotografia: narrazione e menzogna
Oggi anche la fotografia è svilita dal consumo. Folle con il telefono ritraggono ogni cosa, soprattutto se stessi. La storia della fotografia è la narrazione di un possibile, di ciò che le immagini potrebbero narrare se guidate da una mentalità che non sia solo riproduttiva. In Europa la fotografia è stata in buona parte guidata dal concetti del pittoresco, per esempio il povero, lo straniero. il vecchio; dall'importante, per esempio il ricco il famoso e del bello. Le fotografie tendevano alla esaltazione o alla neutralità. Gli americani, meno convinti della permanenza di una qualsiasi organizzazione sociale, ed esperti della realtà e dell'inevitabilità del cambiamento, hanno fatto più spesso della fotografia partigiana. Hanno fatto fotografie non solo per mostrare ciò che bisognerebbe ammirare, ma per far conoscere ciò che occorrerebbe affrontare, deplorare, correggere. La fotografia americana comporta una connessione più sommaria e meno stabile con la storia; è un rapporto insieme più ottimistico è più predatorio, con la realtà geografica del sociale. L’aspetto ottimistico è esemplificato dal frequente uso che si fa della fotografia in America per destare le coscienze. All'inizio del secolo scorso Lewis Hine venne nominato fotografo ufficiale del National Child Labor Committee, le sue fotografie dei bambini che lavoravano nei cotonifici nei campi di barbabietole e nelle miniere di carbone influirono sulla decisione dei legislatori di proibire il lavoro infantile. Durante il New Deal, il progetto FSA di Stryker ,che era allievo di Hine, fece arrivare a Washington informazioni sugli operai stagionali e sul mezzadri,aiutando i burocrati a trovare il modo di aiutarli. Ma anche al massimo del suo moralismo,la fotografia documentaria era, in un certo senso autoritaria, perché la fotografia ferma l’attimo del quale non fornisce giustificazione. La fotografia è un media bizzarro. Scrive Roland Barthes in “La camera chiara” . Essa stabilisce una speciale corrente determina attrazione, ricorda avventure, porta alla memoria ricordi famigliari, amori dei quali il cuore non conserva traccia. Quando nel 1978 pubblicai “ La gabbia sui Pirenei” , teoria sull’uso dell’immagine fotografica nell’arte, molti espressero la loro perplessità. Oggi la fotografia e gli effetti speciali dominano incontrastati la produzione artistica. Come sempre accade, con il successo subentra una sorta di decadenza, si trascurano i dettagli, il senso del racconto. Come un brutto romanzo anche la narrazione per immagini diventa banale. La fotografia, come le parole, si presta all’inganno, ma è molto più efficace perché l’eloquenza della immagini è più incisiva, meno contestabile. Com’era inevitabile la fotografia è anche il media per eccellenza degli eccessi, Herman Nitsch la usa per le immagini kitsch, di vagine sanguinanti e quarti di bue appesi a ganci, Cindy Sherman mostra vagina dilatate. Il brutale e il fittizio s’incrociano in racconti confusi dove spesso emerge la parte oscura dell’artista che tenta di nascondersi dietro alla realtà.
piergiorgio firinu
I pregiudizi delle avanguardie.
L'arte non è solo qualcosa di passato, ma è capace di superare con la sua peculiare presenzialità di significato le distanze temporali. In questo senso è un esempio che appare sotto entrambi questi aspetti un caso di particolare e significativo nella comprensione di se. Infatti non è un semplice oggetto nella coscienza storica, e d'altra parte la sua comprensione implica sempre una mediazione storica che la definisce. Qual’è dunque nei confronti dell’arte il compito dell'ermeneutica? Possiamo citare Schleiermacher ed Hegel. Essi rappresentano due visioni diametralmente opposte nella risposta al problema ermeneutico. Due visioni che caratterizzano due possibilità e concetti di ricostruzione di integrazione. Schleiermacher si pone nei confronti della tradizione esaminando la perdita di distacco di una coscienza che muove le riflessioni ermeneutiche Il modo in cui essi definiscono il compito dell'ermeneutica è profondamente diverso Schleiermacher è teso a ricostruire nella comprensione della fisionomia originaria di un'opera d'arte e la letteratura che si sono tramandate dal passato e le successive elaborazioni le hanno strappate dal un mondo originario. Ciò vale per tutte le arti anche per le arti letterarie ma è particolarmente evidente nelle arti figurative. Scrive Schleirmacher: la situazione naturale originaria è già violata quando le opere d'arte diventano oggetti di scambio Infatti Ognuna di esse attinge una parte del suo significato alla sua destinazione originaria. L'opera d'arte strappata dal suo contesto,se tale contesto non è storicamente conservato, perde di significato ?L'arte è,nel senso vero e proprio, radicata nel terreno culturale e ambientale in cui è stata pensata e realizzata. Vive assorbendo l’humus dell'ambiente a cui appartiene e perde significato quando è tratta fuori da tale ambiente,diventa un oggetto di scambio diventa cioè qualcosa che ha solo più vaghi richiami con il passato. Ovviamente resta intatto il valore costituito dal riferimento storico che richiama. Hegel con sfumature diverse si richiama alla stessa concezione convenendo però che il significato dell’opera è legato all'ambiente originario a cui appartiene. Pertanto,per cogliere il suo significato,sarà necessaria una specie di ricostruzione che avviene attraverso l’ermeneutica. Sostengono un tesi diametralmente opposta Dilthey, e in parte Ranke e Droysen, i quali riconoscono nell'opera d'arte un significato atemporale, prodotto dell'esperienza estetica che appartiene al mondo Se riportiamo queste diverse concezioni alla contemporaneità, appare evidente che non è possibile applicare tali teorie alle opere d’arte contemporanea in quanto nascono senza storie e senza reali rapporti con la cultura estetica ma si muovono in un galleggiamento semantico di effimera consistenza. La pretesa di associare la realtà eidetica alla intuizione creativa naufraga nel non senso di una narrazione dicotomica rispetto all’oggetto artistico di riferimento. Tutte le avanguardie sono nate sul pregiudizio che ciò che l’arte era sempre stata fosse sbagliato. Il pregiudizio consiste nell’esprimere un giudizio privo di sufficiente conoscenza dell’oggetto o del tema che si giudica.
piergiorgio firinu
la natura dell'arte, l'arte della natura
La retorica affermazione “l’arte parte da dove la scienza si ferma” ritengo non corrisponda al vero. Gli artisti hanno cessato da tempo di rappresentare la bellezza della natura attuando la mimesi, la scienza ha fatto enormi passi verso la conoscenza, ma ha disseminato il percorso di disastri, oggi si cerca di correre ai ripari. Le regole metodiche delle scienze hanno prodotto una sorta di estraneità verso la natura e comunicato un senso di onnipotenza tecnologica. Dovremmo provare ad esaminare con attenzione in cosa consiste lo sviluppo tecnologico e cosa produce. Non è questa la sede per tale esame, ciò a cui possiamo accennare sono le ricadute di carattere socio-culturale e psicologico nel mondo dell’arte. E’ possibile aver creata una “interiorità tecnologica” ? Qualcosa deve essere successo, visto che gli artisti si arrendono alla tecnologia e buttano a mare secoli di epistemologia artistica. Se l’arte finisce per avere come riferimento concetti teleologici basati sulla produttività tecnica, la domanda che segue è: per produrre cosa? Verso quale escatologia? Risposta inevitabile: il mercato. Quando Husserl usa il concetto di Erlebnis, per lo più rozzamente tradotto con il termine:avventura, ritiene che il riferimento sia la coscienza, nella sua libera attività di immaginazione creativa. A costituire la coscienza sono anche il vissuto, ciò che abbiamo imparato e sperimentato nel corso del costante flusso della nostra esistenza. Coscienza significa consapevolezza delle nostre azioni delle quali dovremmo almeno tentate di avere il controllo, sul piano emotivo e pratico. Bergson nel 1899 pubblica “ I dati immediati della coscienza” , il libro contiene dure critiche alla psicologia del suo tempo. Egli prende in esame l’intima compenetrazione di tutti gli elementi della coscienza e si schiera contro la scienza oggettivante. La sua presa di posizione è destinata all’insuccesso. L’opera d’arte, in quanto costituisce un mondo a se, si stacca da tutti i nessi con la realtà oggettiva, è ispirata da ciò che rappresenta l’essenza specifica dell’avventura della mente creativa che sperimenta di volta in volta nelle forme di una sensibilità gnoseologica. La vera opera d’arte è un’avventura estetica che rinnova il confronto tra pensiero e forma, essa viene intesa come la pienezza della rappresentazione simbolica, metafora di una realtà immaginata che, anche se non realizzata, trasmette energia psichica e ci aiuta ad affrontare il presente. Arte come nutrimento della sensibilità e dell’intelletto. Ernst. R. Curtius, nel suo libro sull’estetica del Medio Evo rappresenta bene questa possibilità. Ripreso da Ronald G. Witt in “L’eccezione italiana”, seguendo i concetti di simbolo e allegoria. Georg Lukàcs attribuisce alla sfera estetica una struttura eraclitea, intendendo con ciò che l’unità del soggetto estetico non è un dato reale. Vista in quest’ottica l’arte astratta è una tautologia. Ogni rappresentazione è una rappresentazione per qualcuno. E’ necessario quindi che l’artista e l’osservatore condividano lo stesso codice, a prescindere dal livello culturale. Le immagini religiose con le quali la Chiesa Medioevale comunicava con i propri fedeli, la maggioranza dei quali erano analfabeti, erano condivise anche senza ermeneutiche iconologiche. Anche l’arte contemporanea ha un proprio codice di lettura calibrato,più o meno consciamente, su etica e cultura della società di oggi. La società infatti accetta, esalta e compra: orinatoi, rane crocifisse, barattoli di merda, fotografie pornografiche.
piergiorgio firinu
Il circolo ermeneutico.
L'immagine metaforica che rappresenta un punto centrale della metodologia gadameriana è quella del circolo ermeneutico. Tale immagine si è diffusa a partire da Schleiermacher, ma si è imposta soprattutto con Gadamer che l’ha sviluppata prendendo le mosse da alcuni elementi proposti da Heidegger e le ha dato una configurazione che si può ormai considerare sotto molti aspetti come definitiva. Per capire la singola parola di un testo occorre comprendere il contenuto in cui è collocata, il patrimonio linguistico dell'autore, il momento culturale dell'epoca cui l'autore appartiene; tale comprensione va fatta sia cercando di intendere il particolare in funzione dell'universale sia viceversa cercando di capire l'universale partendo dal particolare. Scrive Schleiermacher : il senso di ogni parola in un determinato passo deve essere determinato secondo la sua coesistenza con quelle che la circondano. Il patrimonio linguistico di un autore e la storia della sua epoca costituiscono come il tutto a partire dal quale il suo iscritti così come ogni singolo elemento devono essere compresi e, inversamente, questo tutto deve essere compreso a sua volta a partire dal singolare. Ovunque il sapere compiuto si trova in questo circo apparente, per il quale ogni particolare può essere compreso solo a partire dalle universale di cui è parte e viceversa. Questo movimento circolare ha come fine la comprensione del tutto,quindi si conclude con tale comprensione. Ora, è noto che trasformazione del linguaggio segue e accompagna il pensiero. Spesso la nostra visione del mondo non è determinata dalla conoscenza, ma dalla abitudine. La meticolosità di Gadamer nell’indagare gli sviluppi ermeneutici dell’arte, che con Heidegger diventerà ontologia, mal si conciliano con la prassi della critica e filosofia dell’arte contemporanea. Attribuire all’opera d’arte “esperienza di verità”, se mai è stato vero, oggi non è più così. L’affermazione di Vattimo :“La trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità” risulta piuttosto azzardata di fronte a una rana crocifissa e/o un lampadario costruito con tampax. L’ipotesi che la filosofia si abbandoni a esercizi linguistici capaci al più di creare una realtà mentale, sembra plausibile.
piergiorgio firinu
Il circolo ermeneutico.
L'immagine metaforica che rappresenta un punto centrale della metodologia gadameriana è quella del circolo ermeneutico. Tale immagine si è diffusa a partire da Schleiermacher, ma si è imposta soprattutto con Gadamer che l’ha sviluppata prendendo le mosse da alcuni elementi proposti da Heidegger e le ha dato una configurazione che si può ormai considerare sotto molti aspetti come definitiva. Per capire la singola parola di un testo occorre comprendere il contenuto in cui è collocata, il patrimonio linguistico dell'autore, il momento culturale dell'epoca cui l'autore appartiene; tale comprensione va fatta sia cercando di intendere il particolare in funzione dell'universale sia viceversa cercando di capire l'universale partendo dal particolare. Scrive Schleiermacher : il senso di ogni parola in un determinato passo deve essere determinato secondo la sua coesistenza con quelle che la circondano. Il patrimonio linguistico di un autore e la storia della sua epoca costituiscono come il tutto a partire dal quale il suo iscritti così come ogni singolo elemento devono essere compresi e, inversamente, questo tutto deve essere compreso a sua volta a partire dal singolare. Ovunque il sapere compiuto si trova in questo circo apparente, per il quale ogni particolare può essere compreso solo a partire dalle universale di cui è parte e viceversa. Questo movimento circolare ha come fine la comprensione del tutto,quindi si conclude con tale comprensione. Ora, è noto che trasformazione del linguaggio segue e accompagna il pensiero. Spesso la nostra visione del mondo non è determinata dalla conoscenza, ma dalla abitudine. La meticolosità di Gadamer nell’indagare gli sviluppi ermeneutici dell’arte, che con Heidegger diventerà ontologia, mal si conciliano con la prassi della critica e filosofia dell’arte contemporanea. Attribuire all’opera d’arte “esperienza di verità”, se mai è stato vero, oggi non è più così. L’affermazione di Vattimo :“La trasmutazione in forma è trasferimento del reale sul piano della verità” risulta piuttosto azzardata di fronte a una rana crocifissa e/o un lampadario costruito con tampax. L’ipotesi che la filosofia si abbandoni a esercizi linguistici capaci al più di creare una realtà mentale, sembra plausibile.
piergiorgio firinu
Ragione e sensivilità.
È necessaria una distinzione tra i concetti dell'intelletto e concetti della ragione. Nel primo caso la base dell'esperienza sensibile è soggettiva e prescinde dalla conoscenza dell'oggetto. Nel secondo caso si tratta di una elaborazione astratta della ragione che presuppone quantomeno un tentativo di conoscenza dell'oggetto. La ragione è la facoltà che ci consente di agire in vista di un fine. Se rapportiamo queste considerazioni alla prassi di critica e filosofia dell'arte, constatiamo che il processo analitico dell'opera, non solo non è mai riferito all'oggetto, pittura, scultura, disegno, ma solo un ipotetico significato che non chiarisce la finalità, vale a dire il senso, di ciò che è rappresentato. Se l’osservatore esprime un giudizio basato sulla sensazione, quindi soggettivo, non è ovviamente tenuto a fornire una motivazione della sensazione provata. Al contrario chi pratica critica e filosofia dovrebbe dare un riscontro logico convincente alle proprie teorie ermeneutiche. Mentre la sensazione è appagante in se, la lettura razionale dell'opera si scontra con le difficoltà di superare le contraddizioni che la ragione ha con sé stessa. In breve, mentre la critica d'arte quando si limita ad illustrare i dati oggettivi relativi all'opera potrebbe essere utile all'osservatore, la filosofia, nella sua pretesa di definizioni di significati indimostrati e indimostrabili,è si riduce a una narrazione quasi sempre senza esito logico. Le idee sul significato sono rappresentazioni riferite a un oggetto, ma non possono mai avere un contenuto di conoscenza dell’oggetto stesso. Esse sono frutto di una intuizione secondo un principio puramente soggettivo di immaginazione e intelletto. Allo stesso modo una idea estetica non può diventare conoscenza, perché essa è un’intuizione dell’immaginazione. Un’intuizione empirica può essere provata con un esempio che dia un risvolto logico alla intuizione. Ora, poiché riportare una rappresentazione della immaginazione è necessario far ricorso ai concetti, l’l’idea estetica si può definire una ipotiposi non esponibile. Il gusto estetico ha un fondamento soggettivo a priori. Di conseguenza la pretesa di valore universale è infondata. Dunque la narrazione filosofica dell’arte manca dei presupposti necessari a giustificare l’attribuzione di significato alle opere che prende in esame. David Hume nella sua discussione sulla regola del gusto (1752), osserva che, se è vero che la grandezza di un’opera dipende da un’opinione, è anche vero che alcune opinioni sono più fondate di altre. Fondate su cosa? Visto che l’arte non è soggetta a logica, ne esiste metodo certo per definire le opinioni sul gusto, problema di fronte al quale si sono arresi Kant, Hegel e tutti i filosofi che hanno affrontato il tema. I filosofi statunitensi hanno allargano il campo, fitta la confusione di Howard S. Becker che emerge da “I mondi dell’arte”, nel quale Becker teorizza, sulla scia di Cohen e Dickie, la commistione delle diverse espressioni artistiche, presumendo che tutte abbiano diritto ad essere considerate arte. Per sostenere tale tesi apodittica cita inevitabilmente Duchamp e tutti i suoi nipotini fino ad arrivare al Brillo di Warhol. Il problema è che Becker, come lui altri filosofi dell’arte, usa come megafono una cattedra universitaria. Ciò gli conferisce titolo per sostenere truismi e anacoluti. In questo modo, anziché istruire i giovani che seguono i suoi corsi, si limita a suggestionarli. I risultati sono visibili nella opere di gran parte degli artisti contemporanei.
piergiorgio firinu
La tecnologia è la negazione dell’arte.
Scrive Kant in “Critica del giudizio”. “La bellezza naturale è una cosa bella. La bellezza dell’arte è la rappresentazione di una cosa bella cosa”. Questa frase lascia capire le conseguenze di avere eliminato ogni residuo di naturalità, non solo nell’arte. Procediamo per stereotipi falsi. La tesi che il bello abbia ricadute morali è falsa. Forse in pochi ambienti la depravazione è più diffusa che nel mondo dell’arte. La libertà senza freno non produce altro che stravaganza, l’arte esige, oltre alla immaginazione, cultura e gusto. Altro pregiudizio è che l’amore dell’arte sia disinteressato. La storia ci dice che l’arte è sempre stata usata come esibizione di ricchezza e potere. Machiavelli nel libro “ Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio” racconta come fin dai tempi dei romani l’arte veniva esibita nelle case dei patrizi e suscitasse invidia e ammirazione. Sembra che anche gli artisti abbiano dimenticata la stessa etimologia della parola “arte” che significa fare. Elevando a status di arte il trovarobato del ready made, come Duchamp, non si fa arte. Si dovrebbe chiamare arte solo una produzione determinata dalla libera volontà della ragione. Vale per molti artisti ciò che Reinhard scrivera : “Camper descrive esattissimamente come dovrebbe essere fatta un’ottima scarpa; ma certamente egli non la sa fare”. Non vi è una scienza del bello, ma soltanto la critica di esso, non vi sono belle scienze, ma soltanto belle arti. Per questo l’arte tecnologica che adotta processi scientifici è la negazione dell’arte. Il talento dell’artista è un dono naturale che crea la regola dell’arte. Si può imparare la scienza di Galileo che è codificata. Non si può imparare a creare opere come Raffaello, poetare come Dante e Shakespeare. Supporre, come accade oggi, che basti frequentare l’Accademia per “diventare artisti” è la base del disastro che ha colpito il mondo dell’arte riducendola al livello in cui si trova, un incrocio di opportunismo e mondanità. Creatività e cultura sono cose estranee al mondo dell’arte contemporanea. Dunque la pauperizzazione culturale, l’inquinamento etico hanno avuto ricadute tali da ostruire il percorso di risalita alla luce della verità e bellezza. Sguazziamo felici in un mondo artificioso e arido con crescenti enfatizzazioni antropocentriche.
piergiorgio firinu
Bergson, l'intuizionismo
Gli artisti che si richiamano all’intuizione fanno propri, forse inconsciamente, i principi dell’irrazionalismo. Bergson fu tra i maggiori esponenti di questa teoria filosofica che creo i prodromi per la nascita delle avanguardie. La filosofia di Enrico Bergson è denominata “intuizionismo”, e si richiama all' evoluzione creatrice, allo slancio vitale, mette in primo piano un sapere basato su un'attività alogica ed extraintellettuale che si richiama ai romantici del primo Ottocento, in particolare Schelling . Il centro propulsore della filosofia di Bergson è costituito dalla teoria della durata, in quanto stato immediato della coscienza. L'introspezione psicologica è restituita al suo schietto significato filosofico e liberata dall’intellettualismo, considerato deformante, a favore di una visione metafisica della realtà universale. Va da se che tali teorie sono insufficienti e arbitrarie. La psicologia cosiddetta positiva, o scientifica, del tempo nel quale Bergson pubblicava i suoi libri, presumeva di ridurre l'io a una successione di stati psichici collegati tra loro secondo la legge di rapporti determinati. Ben altra invece ci appare la realtà nella nostra esistenza se la si osserva e si tenta di coglierla nella sua essenza più profonda, non solo nelle sue manifestazioni esteriori, che possono essere paragonabili a foglie morte galleggianti alla superficie di uno stagno. La vita interiore ci appare come una corrente incessante di natura puramente qualitativa in questo modo cambia anche il significato della psicologia per la conoscenza della storia, per Hegel e per qualsiasi esponente dell'illuminismo francese. Gli impulsi e le passioni degli uomini sono le cause immediate di ciò che accade, gli uomini sono indotti ad agire. Poche persone hanno un sufficiente livello di conoscenza, un 'idea generale dell’evenienza fenomenica che affrontano. Detto in altri termini, raramente è la logica a giustificare e motivare le nostre azioni quotidiane. La posizione di Kant è stata notoriamente combattuta dai più svariati indirizzi filosofici, in primis da Hegel. Schopenhauer giudica impossibile l'azione disinteressata e ritiene che la volontà abbia sempre un fine pratico. Il principale motivo che muove la volontà è l’interesse nelle sue varie articolazioni dalla sopravvivenza al piacere. In fondo tale ragionamento chiama in ballo l’incipit della “La Ricchezza delle nazioni” di Andam Smith. Nei fatti gli artisti non sono motivati da ragioni logiche, ma da interesse pratico e spesso anche da impulsi creativi. Gli impressionisti hanno creata un proprio stile di pittura per ragioni pratiche, anche se poi si affidavano alla spontaneità del segno e del colore. Vi è troppa enfasi e poche motivazioni serie nel definire talune opere rivoluzionarie. Cancellare, rifiutare l’estetica e il bello, per questione di principio, conduce ad esiti quasi mai riusciti, e in ogni caso dovrebbe essere verificato osservando le opere con maggior rigore di quanto accade abitualmente. Nel destino dei singoli individui la realtà matura a prescindere dalla consapevolezza soggettiva. Così un artista che nel corso della vita non senta il bisogno di modificare la propria tematica lascia perplessi. In ogni caso il valore dell’artista è in rapporto alla sua capacità di tradurre la realtà e dar forma il suo pensiero. Hegel afferma: “L’arte è il pensiero che prende forma”. Parafrasando Wittgenstei che si poneva una provocatoria domanda: “ Compito della filosofia è indicare alla mosca come uscire dalla trappola?” . Compito dell’artista è dipingere la mosca?
piergiorgio firinu
Barnett Newman: The sublime is now
Nel 1990 sulla rivista Tiger’s Eys, Barnet Newman pubblicò lo scritto “The sublime is now”. Una sorta di manifesto dell’arte astratta nel quale emergono aspetti della cultura statunitense che in Europa non credo siano mai stati sufficientemente analizzati e approfonditi. Quarant’anni prima, 1950/51, lo stesso artista presentò un’opera di pittura astratta alla quale diede il titolo “Vir Heroicus Sublimis”. L’opera fu accolta con entusiasmo dalla critica. Si trattava di un olio su tela di m. 2,42 X m.5,42, di colore uniforme, rosso/arancione attraversato da piccole fenditure di colore alle quali Newman, forse ironicamente, diede il nome di zip. Sia lo scritto The sublime is now che l’opera Vir Heroicus Sublimis tennero campo a lungo nella cultura visiva statunitense. Come sempre avviene furono elaborate diverse letture, nonostante la dichiarazione di Newman: l’opera non rappresenta nulla. Il suo “manifesto” conteneva un durissimo attacco alla cultura europea. “ …Noi ci siamo sbarazzati dal peso morto della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, o di qualunque altra cosa vogliono significare le invenzioni della pittura europea occidentale….”. Barnet Mewman aveva frequentata la facoltà di filosofia. Si servì della sua conoscenza per disseminare nel testo citazioni a partire da Longino, il primo filosofo che si occupò del sublime. Poi Platone, Aristotele, Kant, Hegel. In particolare dal suo scritto emerge la conoscenza del libro: “Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee si sublime e bello” pubblicato da Edmund Burke nel 1757. Il contenuto aggressivo del testo che Newman scrisse contro la cultura europea, si scontra con il paradosso che tutti i filosofi che egli cita appartengono alla cultura europea. A mio parere, lo scritto di Newman, con la roboante esaltazione della sua opera, ha motivazioni di carattere psicologico e forti venature nazionalistiche la cui interpretazione potrebbe essere tema psicanalisi. Dallo scritto infatti appare evidente un enorme complesso d’inferiorità nei confronti della cultura europea che afferma di voler rifiutare. Già in passato ho affrontato il tema di come sia stato possibile che, anche alla luce della enorme arroganza che contraddistingue Newman, come lui buona parte dei protagonisti del mondo dell’arte statunitense, gli intellettuali e artisti europei hanno supinamente accettata una egemonia non certo basata sulla superiorità culturale. Ho ripreso oggi questo tema alla luce dei recenti tentativi di revanche degli Stati Uniti, che, pare, nutrano la speranza di mantenere una egemonia. Temo che il tentativo sia destinato a fallire. I tempi sono mutati. La credibilità morale degli USA è crollata dopo la serie di guerre immotivate. Gli stessi intellettuali statunitensi hanno preso le distanze da un potere che inutilmente tenta di dare credibilità a se stesso. Da tempo i libri di Noam Chomsky raccontano di arroganze e misfatti del potere statunitense. Di recente John J. Mearsheimer ha pubblicato “La grande illusione”, nel quale descrive il fallimento degli ultimi presidenti USA nella loro pretesa di imporre la Weltanschauung americana con i carri armati.
piergiorgio firinu
Barnett Newman: eroica, sublime arroganza.
Nel 1990 sulla rivista Tiger’s Eys, Barnet Newman pubblicò lo scritto “The sublime is now”. Una sorta di manifesto dell’arte astratta nel quale emergono aspetti della cultura statunitense che in Europa non credo siano mai stati sufficientemente analizzati e approfonditi. Quarant’anni prima, 1950/51, lo stesso artista presentò un’opera di pittura astratta alla quale diede il titolo “Vir Heroicus Sublimis”. L’opera fu accolta con entusiasmo dalla critica. Si trattava di un olio su tela di m. 2,42 X m.5,42, di colore uniforme, rosso/arancione attraversato da piccole fenditure di colore alle quali Newman, forse ironicamente, diede il nome di zip. Sia lo scritto The sublime is now che l’opera Vir Heroicus Sublimis tennero campo a lungo nella cultura visiva statunitense. Come sempre avviene furono elaborate diverse letture, nonostante la dichiarazione di Newman: l’opera non rappresenta nulla. Il suo “manifesto” conteneva un durissimo attacco alla cultura europea. “ …Noi ci siamo sbarazzati dal peso morto della memoria, dell’associazione, della nostalgia, della leggenda, del mito, o di qualunque altra cosa vogliono significare le invenzioni della pittura europea occidentale….”. Barnet Mewman aveva frequentata la facoltà di filosofia. Si servì della sua conoscenza per disseminare nel testo citazioni a partire da Longino, il primo filosofo che si occupò del sublime. Poi Platone, Aristotele, Kant, Hegel. In particolare dal suo scritto emerge la conoscenza del libro: “Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee si sublime e bello” pubblicato da Edmund Burke nel 1757. Il contenuto aggressivo del testo che Newman scrisse contro la cultura europea, si scontra con il paradosso che tutti i filosofi che egli cita appartengono alla cultura europea. A mio parere, lo scritto di Newman, con la roboante esaltazione della sua opera, ha motivazioni di carattere psicologico e forti venature nazionalistiche la cui interpretazione potrebbe essere tema psicanalisi. Dallo scritto infatti appare evidente un enorme complesso d’inferiorità nei confronti della cultura europea che afferma di voler rifiutare. Già in passato ho affrontato il tema di come sia stato possibile che, anche alla luce della enorme arroganza che contraddistingue Newman, come lui buona parte dei protagonisti del mondo dell’arte statunitense, gli intellettuali e artisti europei hanno supinamente accettata una egemonia non certo basata sulla superiorità culturale. Ho ripreso oggi questo tema alla luce dei recenti tentativi di revanche degli Stati Uniti, che, pare, nutrano la speranza di mantenere una egemonia. Temo che il tentativo sia destinato a fallire. I tempi sono mutati. La credibilità morale degli USA è crollata dopo la serie di guerre immotivate. Gli stessi intellettuali statunitensi hanno preso le distanze da un potere che inutilmente tenta di dare credibilità a se stesso. Da tempo i libri di Noam Chomsky raccontano di arroganze e misfatti del potere statunitense. Di recente John J. Mearsheimer ha pubblicato “La grande illusione”, nel quale descrive il fallimento degli ultimi presidenti USA nella loro pretesa di imporre la Weltanschauung americana con i carri armati.
piergiorgio firinu
Velazquez: Las Meninas.
Brevi cenni sull’opera di Velazquez: Las Meninas. Capolavoro di realismo immaginifico. L’osservatore può cadere nella tentazione ermeneutica di ravvisare nell’opera una teoria filosofica. Se tutto ciò che il pittore dipinge rende visibile e riconoscibile una rappresentazione del riflesso della realtà, si dovrà concludere che l'opera espone una visione complessiva del mondo come pura apparenza? Volendo giocare con le teorie, si potrebbe sostenere che l’opera è una rappresentazione che esige Res cogitans del tutto separata dalla Rex estensa. L’opera di Velasquez mostra come sostanzialmente identici il vedere e l’esser visto, ci sarebbe dunque più di Spinozza che di Cartesio. Il mondo come idea, secondo Cartesio e Locke, come pura rappresentazione del senso in Schopenhauer? Un anticipazione della Condition humaine di René Magritte? Tutto è espressione dell’io dell’artista? Magritte descrive effettivamente la condizione umana secondo una precisa tradizione filosofica, per la quale non abbiamo accesso alle cose ma ci confrontiamo sempre soltanto con le nostre rappresentazioni delle cose, come se fossimo seduti in una stanza dietro una tela dipinta che fa da finestra. Velazquez, contrariamente a Magritte, non si occupa della presunta condizione umana,bensì dell’arte pittorica. Il dipinto rappresenta la realtà così com’è realmente, non è vero l'opposto, che la realtà sia mera rappresentazione o fenomeno. La filosofia dell'Io di Cartesio, nella quale tutto si riduce a fenomeno interno alla coscienza, non salva i fenomeni. Velazquez è realista, rappresenta le cose, per descrivere le sue opere le parole sono superflue, serve invece cultura e tanta attenzione. E’ un fatto che la pittura realistica di quel livello conduce a una soluzione sorprendentemente simile alla filosofia cartesiana dell'idea. Certo, mentre il realismo russo si avvicina vagamente alla sostanziale “verità” realistica, il realismo USA che deriva dalla Pop Art è pittura cartellonistica. Nel libro “Le parole le cose” di Michel Foucault, pubblicato nel 1966,il filosofo tenta l'interpretazione, o meglio dà una propria interpretazione della opera di Velazquez: “Las Meninas” All’inizio del libro descrive in modo dettagliato l’opera del pittore madrileno, ritorna con un richiamo a pagina 77. L’esposizione dettagliata del quadro, sotto il titolo “Damigelle d’onore”, esamina con puntigliosa precisione la posizione del re nell’opera, e parla di “ritorno al linguaggio”. Tema altamente speculativo, segue la non meno profonda analitica della “finitudine”. L’analisi si avvale della raffinata dialettica nella quale Foucault è maestro, ma sembra cadere vittima dei propri paradossi. Cosa significa, nella elaborazione ermeneutica l’affermazione “ritorno del linguaggio”? Quando mai il linguaggio andò perduto così da renderne possibile il ritorno? Il lettore, intimidito dalla colta dissertazione del maestro, forse rinuncia a chiedersi in quale epoca all'intera umanità si è creato un buco nero nella storia del linguaggio. Tutta la cultura sembra essere messa in forse dalla semplice affermazione di Foucault che pare aver scoperto la base della ragione dell’intero occidente. Entrano nel giudizio Platone, Aristotele, gli stoici così come i grammatici antichi che stabilirono le basi del nostro comunicare, gli eroi omerici, Kant. Tutti costoro, e molti altri si sono pronunciati sui temi che Foucault sembra scoprire oltre 2000 anni dopo.
piergiorgio firinu
L’eccesso di leggerezza porta all’evaporazione del pensiero.
Di cosa si nutre, di cosa potrebbe nutrirsi il pensiero creativo? Se anche un artista sceglie la solitudine, decide di vivere lontano dalla confusione urbana, resta comunque influenzato dalla realtà che filtra inevitabilmente nel suo quotidiano. La contemporaneità è caratterizzata dal disincanto che spesso tracima nel cinismo, le spinte ideologiche che muovevano gli artisti ancora 50 anni fa, si sono arenate nelle spire del ludico mondano, l’eccesso di leggerezza ha fatto evaporare il pensiero creativo ormai alieno ai fenomeni culturali perché assolto nella effimera prassi sociale. Hegel dichiara: “qualcosa è conosciuto come limite, come carenza, deficienza, solo quando quel limite e quella carenza sono state superate”. Per Bertolt Brecht: “ Un’opera che non esibisce la propria sovranità nei confronti della realtà, non è un opera d’arte”. E’ necessario il superamento, una fertile dinamica mentale che non si areni nella estemporaneità. Husserl ha affrontato il tema partendo dall’ontologia formale e la dialettica del superamento creativo. Il rifiuto della logica da parte degli artisti porta a procedere in modo oggettivistico ritenendo di essere possessori di verità. Ma, come affermava Nietzsche: “Una verità importante ha bisogno di critica, non di lode”. La critica d’arte enfatizza, non attua una reale ermeneutica dell’opera, attuando un procedere relativistico che Husserl ritiene insensato. Quello che costituisce valore e significato di un opera, non è quello che il singolo crede e pensa della sua creazione, bensì il rapporto tra la sua creazione e la realtà. Dice Epicuro: “…Come giudichiamo positiva la scienza medica, non a cagione della sua capacità stessa ma in ragione degli effetti sulla nostra salute. I fenomeni artistici, per loro natura, non sono soggetti alla codificazione e, come i fenomeni sociali, sono basati sulla apparenza, spesso estranei alla realtà storica in atto. Heidegger intende la storicità un modo dell'essere la cui filosofia deve riconoscere nell'uomo l'esistenza particolare, solo in questo modo originario anche l'arte può conferire senso alla narrazione storica. Nietzsche considera significativa l’arte quando è frutto di energia spirituale. In “ La nascita della tragedia”, a proposito dell’arte senza valore egli cita un proverbio indiano: “Rosicchiare un corno di vacca è inutile e accorcia la vita: ci si logora i denti e non se ne ricava alcun sugo”. Propedeutica all’arte statunitense è la filosofia di William James e John Dewey il cui pragmatismo è l’esatto opposto dell’immaginazione che ha caratterizzato l’arte a partire dai greci. Come viene trattata l’arte nella filosofia e nella critica d'arte USA costituisce la rinuncia anche al concetto di creatività, a cominciare da ciò che definisce l’epistemologia artistica. L’artista non eccederebbe in soggettivismo se solo riflettesse sul fatto che nessuno può vedere se stesso, addirittura l’umanità, come se fosse un soggetto libero da determinate condizioni psicologiche, storiche, esistenziali. Ernst Mach vede il problema dell’arte come un’azione che trasformala la realtà nel momento in cui la rappresenta.
piergiorgio firinu
La bellezza è compatibile con la società contemporanea?
La questione del bello in arte non è mai stata chiarita e forse non è possibile alcun chiarimento. La leggibilità del mondo, come recita il titolo di un libro di Hans Blumenberg, è particolarmente complessa perché attiene a scelte squisitamente soggettive. Nella critica del Giudizio Kant si dilunga in teorizzazioni che sicuramente hanno una loro validità, ma di certo non incidono sul complesso di scelte estetiche basate su prerogative personali. Hermann dà un’esatta introduzione all’analisi sociale del Kitsch: “ Poiché il Kitsch non potrebbe nascere né sussistere se non ci fosse l’uomo Kitsch che ama il Kitsch, che come produttore d’arte lo vuol produrre, e come consumatore è pronto a comprarlo”. Quando parliamo di Kitsch l’idea corre a qualcosa di particolarmente brutto, il Kitsch è espresso soprattutto dalle persone. Certi abbigliamenti, certo esibizionismo sociale, e anche piercing e tatuaggi, Secondo Nelson Goodmann: “Il problema del brutto si dissolve; perché il piacere e la gradevolezza non definiscono né misurano l’esperienza estetica”. La dinamica del gusto , è spesso imbarazzante ma diventa anch’essa comprensibile alla luce dei comportamenti di massa. Nel 2007 Umberto Eco pubblicò “Storia della bruttezza” , una silloge d’immagini, di opere d’arte che, a giudizio dell’autore, sono rappresentative della bruttezza. Le opere comprendono arte classica e arte contemporanea. Mentre i soggetti dell’arte classica sono comunque realizzati con sapienza pittorica, l’arte contemporanea è spesso costituita da happening e trovarobato di cattivo gusto che in qualche caso pretende di avere motivazioni ideologiche, in sostanza emerge il mito della libertà di scelta, pretesto che giustifica le scelte peggiori. Nel volume “La scuola di Francoforte” pubblicato da Rolf Wiggershaus nel 1992 (Ed.Bollati Boringhieri) L’autore narra la storia delle tesi sociali che Adorno, Horkheimer, Marcuse tentarono di elaborare. Purtroppo tali teorie furono affossate dal ’68, nonostante i sessantottini affermassero di richiamarsi ai pensatori francofortesi. Marcuse nel libro “La dimensione estetica”, prese le distanze dai movimento del ’68 e da certa arte femminista che proprio allora andava emergendo. A pagina 57 della edizione Oscar Mondadori pubblicato nel 1977, Marcuse scrive: “ Sebbene si sia cercato di sostenere che la pornografia e l’osceno rappresentano isole di comunicazione anticonformista, simili aree privilegiate tuttavia non esistono: da molto tempo l’osceno e la pornografia risultano infatti integrate e recano anch’esse in quanto merci il messaggio della realtà repressiva”. Ventidue anni prima, nel 1955, lo stesso autore pubblicò “Eros e Civiltà”. E’ sempre valido l’ammonimento di Kant: “Nessuno riuscirà mai a raddrizzare il legno storto dell’umanità”. Il bello dell’arte non è stato soppresso per o con motivazioni socio-culturali o ideologiche, semplicemente la bellezza non può far parte del bagaglio culturale di una società i cui intellettuali anziché essere orientati dal “bello interiore”, lo considerano un impaccio. La cultura contemporanea attua il tentativo di trascendere l’essere umano come essere naturale. L’esito finale sarà presumibilmente una creatura bionica, senza etica e sentimenti.
piergiorgio firinu
Farfalle e avvoltoi.
Non c’è dubbio che la morale fai da te ha il vantaggio della comodità. Risponde a pieno titolo al mito della libertà assoluta che ha radici antiche. Francois Rabelais indica la regola dei telemiti, scritte sul frontone dell’abbazia di Theleme: “ Fa’ quello che vuoi”. Thelème deriva dal greco “desiderio”. Se il mito della libertà non è mai stato facilmente realizzabile, tanto più difficile è oggi far coincidere libertà e complessità della vita moderna. Si è indotti a credere che la morale fai da te si applichi solo alla vita privata, ai gusti sessuali. In realtà non è così. Sollevare la questione se la morale abbia o meno radici religiose, addurre che, essendo nata dal pensiero umano, ha valore transitorio, è come parlare del sesso degli angeli, pleonasmi che preludono alla applicazione del detto dei telemiti. I fatti lo dimostrano. In politica, economia, nelle scuole di ogni ordine e grado, succedono cose impensabili fino a qualche decennio fa. E’ in corso una feroce polemica sui giornali che si occupano di finanza. E’ risultato chiaro che, alla base del disastro provocato dalla questione subprime, c’è stata totale assenza di moralità economica. Tempo f le Borse di tutto il mondo furono sconvolte da un improvvisa crisi economica e bancaria. Uno dei responsabili del disastro, il signor James Cayne, ovviamente statunitense, mentre fioccavano i suicidi lui si dedicava al gioco del golf, al bridge, alla marijuana, come lui, altri alti dirigenti responsabili del crollo che ha colpito molti risparmiatori. E’ di pochi giorni fa la notizia di un aereo in volo sul cielo di Washington con il primo e secondo pilota che non rispondevano alla torre di controllo semplicemente perché dormivano. Alcuni tra i più importanti Istituti finanziari americani hanno fuorviato il mercato per il proprio tornaconto. Gli USA,che fanno guerre per esportare la democrazia, poi si ritrovano ai vertici di importantissime istituzioni finanziarie personaggi privi di moralità che con il loro comportamento producono danni enormi ai risparmiatori, e in definitiva alle economie di tutto il mondo. Non è necessario aver letto i libri che teorizzano e giustificano la morale fai da te, basta il martellamento dei media, la pressione verso il pensiero unico, in questo modo si creano situazioni ambientali, abitudini e tolleranze che si generalizzano. Forse la teoria delle catastrofi, il famoso esempio della farfalla che provoca l’uragano, vale anche in ambito sociale. Forse il richiamo molto più realistico ed efficace non è alla farfalla, ma agli avvoltoi.
piergiorgio firinu
A priori epistemico.
Le parentele filosofiche si rivelano piuttosto insidiose per sostenere un certo livello di approfondimento traendolo dal brodo di coltura e ricostruzioni di varia natura e provenienza. Il rischio è di inscatolare ipotesi empiriche in arzigogolate parafrasi astratte, poggiando per così dire il cappello dove più fa comodo. Le teorie che vogliono costituire le basi ermeneutiche del processo creativo, risultano piuttosto instabili perché non si servono della conoscenza, ma della congettura, cercando di portare ai confini estremi le possibilità di teorie che, prive di fondatezza, restano nel campo delle supposizioni, fuori della portata di ogni verifica razionale. E’ quanto emerge dalla lettura dei libri di Danto, sui quali avremo modo di ritornare. Quello che viene proposto come il superamento della prassi, trascura di chiarire perché continuiamo ad usare lo stesso lessico, gli stessi riferimenti, le stesse forme di ragionamento, sia pure parzialmente capovolto, ma mai annullato. Detto in altri termini se riteniamo che l’epistemologia del fare artistico sia da annullare, dovremmo rinunciare per affrontare l’ermeneutica artistica a costruire strutture verbali che si avvalgono degli stessi riferimenti. Non si spiega altrimenti perché le teoria sembra aver come unico scopo sostituire un mito con un altro a scapito di razionalità ed empiria. L’esperienza di per sé non è in grado di fornire una giustificazione, di conseguenza, certe forme di ragionamento appaiono piuttosto conati conoscitivi il cui scopo è far spazio ad apodittiche realtà che non reggono ad analisi concettuali e sono prive di motivazioni razionali, anzi, spesso costituiscono vere e proprie favole con morale prestabilita. La percettività appartiene ad un altro ordine di fattori, materiali derivanti da singole esperienze. Il fatto che questi tentativi non abbiano alcuna giustificazione nella realtà ontologica delle opere, rende tutto il processo esclusivamente verbale e piuttosto confuso. Sarebbe necessario sviluppare considerazioni autenticamente epistemologiche su possibilità e limiti di una teoria rigorosamente verificabile, appaiono di difficile definizione certi procedimenti teorici ripetitivi e molto simili a truismi. Gran parte della filosofia dell’arte sembra non disporre delle risorse concettuali sufficienti per tentare di costruire una teoria che abbia un riscontro e un fondamento plausibili. La piattezza del tentativo di definizione porta inevitabilmente ad a priori che finiscono per essere accettati anche se non verificabili. Tanto che ormai non c’è più distinzione tra fumetti, street-art, realtà virtuale. Un pot-pourri culturalmente piuttosto insipido.
piergiorgio firinu
L’umorismo degli antichi filosofi cinici.
In “Ecce homo” Friedrich W. Nietzsche scrive:” Il cinismo è quanto di più alto può essere raggiunto sulla terra; per conquistarlo servono i pugni più forti e le dita più delicate”. Come sempre Nietzsche esprimeva ottimismo. Il cinismo oggi si fonde con l’intimismo ed ha carattere soprattutto femminilizzato, i contemporanei non possiedono la capacità di essere coerenti con le proprie scelte. Da Antistene a Diogene a Cratete, dal IV secolo a.c. al V secolo d.c. per un millennio c’è stata una filosofia cinica. Capi politici, gendarmi, delatori, per Diogene erano tutti meritevoli d’impiccagione. Una volta gli chiesero quali fossero secondo lui le bestie più feroci. Senza esitazione rispose: esattori delle tasse e sicofofanti. Platone considerava Diogene un Socrate diventato matto. La Fontaine ricorda che Diogene si considerava alla stregua del lupo che condanna il cane perché paga il cibo quotidiano al prezzo della libertà. E’ chiaro che, questi brevi cenni della filosofia cinica, nessun politico moderno può considerarsi un cinico. La cultura dell’occidente è stata inquinata, o filtrata, secondo i punti di vista, dalle infinite elaborazioni ideologiche il cui unico scopo è forse quello di creare uno spazio mentale nel quale collocare i pensieri che contraddicono la realtà. Non è un caso che se gli empiristi classici, Locke, Berkeley, Hume, si affannarono per dare un senso alle azioni di personaggi politici il cui livello di ignominia non è mai stato esecrato dalla cultura successiva, così che i massacri e la sottomissione di altri popoli finiscono per essere celebrati con decorazioni ed encomi e sono prodromi alla presa del potere prima della “aristocrazia” e poi della borghesia. L’ironia e l’umorismo degli antichi filosofi cinici ha perso gradatamente diritto di cittadinanza in un consorzio civile e nelle classi intellettuali che hanno da prima modificato gradatamente il significato del linguaggio, per poi lasciare libertà di dominio a elementi umani sempre più compromessi con la verità. Come scrive Oscar Wilde ne “La ballata del carcere di Reading; “E questo posso dire: che ogni legge creata dall’uomo per l’Uomo, dal tempo che il primo Uomo assassinò suo fratello ed ebbe inizio la pazzia del mondo, rende paglia il frumento e tiene in vita gli sterpi: allora si ingrandisce il male”. Schopenhauer, misogino convinto, seppe distinguere il “Mondo come realtà e rappresentazione”, sulla scia delle ombre nella caverna di Platone. Le parole sono come l’ombra di Alessandro Magno, tolgono luce, distolgono e confondono, per obliterare la naturale cattiveria del genere umano. L’uomo contemporaneo non conosce più la tristezza che presuppone il pensiero, ma solo la disperazione che il vuoto interiore produce.
piergiorgio firinu
Monadi inespressive.
Nel momento in cui l’artista abbandona la mimesi e si orienta alla rappresentazione di concetti, come scriveva Hegel , finisce per trattare il legno di ferro. Estremizzando la volontà di esercitare la propria libertà creativa senza possedere la capacità di controllo degli opposti, si arena nel nulla. Una cosa è l’elaborazione universale dell’arte, diverso realizzare una singola opera che esprima un concetto leggibile. Le determinazioni del concetto, l’universalità, la particolarità, sono certamente diverse, resta invariata la natura del segno e ciò che dovrebbe essere designato. Come sostiene Heidegger : “Si chiama concetto qualcosa che non è se non la determinazione della rappresentazione”. Quando Kazimir Malevic con il quadrato nero crea un’opera accolta con entusiasmo dalla critica, in realtà realizza un opera non opera. Senza espressione non c’è concetto ovvero significato. In pratica è stata l’anticipazione formale del nichilismo contemporaneo del quale Malevic non è certo l’unico esponente. Esiste una epistemologia basica possedendo la quale è possibile realizzare una pluralità espressiva. Ogni categoria, attività, professione include l’osservanza di canoni che costituiscono l’essenza stessa dell’operare in un determinano campo. Rifiutando in toto i canoni si rifiuta l’essenza stessa della materia alla quale i canoni si riferiscono. Detto in altre parole rifiutando canoni ed epistemologia dell’arte si attua un rifiuto dell’arte nella sua sostanziale realtà. E’ ciò che avvenuto con le cosiddette avanguardie. Accade allora che si creano tante monadi quanti sono gli artisti. Il nome di monadi, espressione già usata dai pitagorici, ripresa da Leibnitz che la pone a cardine della propria filosofia. Nella realtà contemporanea le monadi potrebbero costituire la cifra dell’egoismo elevato a sistema nel quale, sotto l’aspetto culturale, è inclusa l’arte nelle singole cellule che si contrappongono. L’anarchia creativa portata all’estremo, ignora il principio sintetizzato da Hegel nella preposizione : “ La verità è quando il sapere concorda con l’oggetto”. Il concetto, in quanto tale, non può essere fissato attraverso figure spaziali e segni. Ecco la ragione per cui la pretesa di usare l’arte, facendone una difettosa espressione filosofica, rende l’arte velleitaria e ne falsifica il ruolo.
piergiorgio firinu
Ermeneutica dell’immaginazione.
La causa e l’effetto. Il pittore che stende i colori sulla tela dando ad essi una certa forma compie un movimento. Questo moto non determina la forma, tanto meno il contenuto che è determinato dalla cultura e dal pensiero dell’artista. Quindi l’essenzialità dell’opera è influenzata da ragioni estrinseche al gesto. L’ipercinesia sociale è per lo più inutile spreco di energia. La storia dell’arte non è costituita da gesti, ma da pensieri che danno senso alla narrazione dell'arte ed all'operare dell'artista. Lo studioso che esamina un'opera la colloca in una determinato contesto. Questo non significa che il contesto conferisca necessariamente significato all'opera. Ogni opera può essere letta a più livelli,considerato che l’arte è politica e storia, utile riflettere sulla realtà e valori sociali dell’epoca in cui l’opera è stata realizzata. Se trasferiamo queste considerazioni all'arte moderna e contemporanea, constatiamo che la maggior parte delle opere non contengono alcun riferimento al momento storico in cui vengono realizzate. In quanto il valore intrinseco il tema è più complesso, perché rientra nel mai risolto interrogativo di cosa realmente esprime il sostantivo arte. I tentativi di trovare una corretta definizione, si sono arenati in una tautologia: è arte ciò che l'artista ritiene sia arte. Il potere demiurgico attribuito a un individuo non ha alcun fondamento reale. Pensiero,cultura, idee politiche dell'autore influiscono in varia misura a determinare l’azione dell’artista. La serie di relazioni che condizionano natura, contenuto e forma dell’opera sono risultato del background dell’artista. L’opera riflette pensieri, consci e inconsci. Il valore di un artista consiste nella capacità di sintetizzare ciò che è contenuto nel proprio intelletto. Detto in altri termini: non basta pensare l’opera, è necessario saperla realizzare in modo che possa essere percepita, letta, dal maggior numero di persone. Il più delle volte la critica si limita alla lettura formale dell’opera, la filosofia tenta di individuarne le ragioni che la ispirano. Questo in teoria. Nei fatti sappiamo che critica e filosofia svolgono lo stesso compito: dare un significato all’opera, spesso con eccesiva propensione ad enfatiche esegesi, più che altro utili a una ricaduta mercantile. La faticosa, spesso inutile, ermeneutica delle intenzioni dell’artista, a cui si dedicano sia la critica che la filosofia, è uno degli aspetti surreali del mondo dell’arte. Non solo perché dovrebbe essere evidente che la lettura tracima dall’oggetto al soggetto. Dalla studio della forma al tentativo di capire la psicologia che la ispira. Finisce per essere maggiore l’esercizio creativo impiegato nella decifrazione dell’oggetto, di quanta immaginazione l’artista abbia impiegato nel realizzarlo. Parafrasando Shakespeare potremmo dire: ci sono più cose nella mente dell’artista di quante l’opera ne esprima. Purtroppo neppure la TAC riesce a leggere i pensieri, è molto improbabile riescano a farlo i pur volenterosi critici e filosofi.
piergiorgio firinu
La filosofia dell’avvenire che non c’è.
I filosofi si sono affannati a descrivere il mondo, ma non hanno avuta la capacità di cambiarlo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. La corrente che orientò a sinistra la filosofia di Hegel si è trovata di fronte al fallimento decretato dalla storia. Ludwig Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall'idealismo al positivismo. Intanto sembra azzardato definire positivismo idee la cui incidenza sul reale è sbagliata ed errata nello stesso tempo. Nel suo libro “Principi della filosofia dell’avvenire” pubblicato nel 1844, egli sosteneva che, quando le masse fossero state liberate dalla miseria e dal bisogno, si sarebbero orientate verso la cultura e l’arte. Mai previsione fu più errata, come ciascuno può constatare ai giorni nostri. La filosofia in tutto il suo corso storico appare a Feuerbach come una consapevole o inconsapevole teologia, cioè un’alienazione dell'essenza dell'uomo nell'essenza di Dio, e quindi una mistificazione dell'uomo. Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un’immensa teologia, è teologia razionalizzata, cioè l’inversamente e il coronamento del pensiero teologico. Feuerbach invece tenta di creare una nuova filosofia, la trasformazione completa, assoluta, coerente, della teologia in antropologia. Per lui l'uomo non è quale si rivela nella comunicazione con Dio, ma quale viene configurato nella vita sociale e dalla comunicazione con gli altri. Il grembo in cui si feconda e il bisogno, è l'atto essenziale della sua umanità, l'amore dei suoi simili. Secondo Feuerbach, dove non vi è amore non vi è verità. Non essere nulla e non amare nulla sono tutt’uno. Come dal singolo di Kierkegaard, recisi i legami che lo uniscono a dio, nascerà l’esistenzialismo, l’essere per la morte di Heidegger. Così dall’uomo concreto di Feuerbach , quando l’essere sarà liberato dalla menzogna, nascerà una spinta verso una maggiore elevazione delle masse. Oggi la menzogna è l’asse portante dell’intera società, dalla politica alla comunicazione, dall’arte alla promozione del consumo, siamo sommersi da messaggi decettivi. Resta vera l’affermazione di Nelson Goodman: “ Mentre la scienza si giudica in base alla verità, l’arte si giudica in base alla soddisfazione”. L’esperienza estetica diventa una sorta di esercizio ginnico, dove sinfonie e arte rappresentano gli attrezzi che usiamo tanto per l’autopromozione sociale quanto per costruirci un’immagine di cultura spendibile sul mercato, campo nel quale il il falso e il truismo costituiscono risonante banalità sostituendo le ipotesi elementari ed esitanti la cui conferma si realizza nell’opera.
piergiorgio firinu
La filosofia dell’avvenire che non c’è.
I filosofi si sono affannati a descrivere il mondo, ma non hanno avuta la capacità di cambiarlo, o quanto meno contribuire a migliorarlo. La corrente che orientò a sinistra la filosofia di Hegel si è trovata di fronte al fallimento decretato dalla storia.
Ludwig Feuerbach rappresenta la dissoluzione della filosofia hegeliana è il termine di passaggio dall'idealismo al positivismo. Intanto sembra azzardato definire positivismo idee la cui incidenza sul reale è sbagliata ed errata nello stesso tempo. Nel suo libro “Principi della filosofia dell’avvenire” pubblicato nel 1844, egli sosteneva che, quando le masse fossero state liberate dalla miseria e dal bisogno, si sarebbero orientate verso la cultura e l’arte. Mai previsione fu più errata, come ciascuno può constatare ai giorni nostri.
La filosofia in tutto il suo corso storico appare a Feuerbach come una consapevole o inconsapevole teologia, cioè un’alienazione dell'essenza dell'uomo nell'essenza di Dio, e quindi una mistificazione dell'uomo. Anche la filosofia di Hegel, la più grandiosa e conseguente di tutte le filosofie tradizionali, è essa stessa un’immensa teologia, è teologia razionalizzata, cioè l’inversamente e il coronamento del pensiero teologico. Feuerbach invece tenta di creare una nuova filosofia, la trasformazione completa, assoluta, coerente, della teologia in antropologia. Per lui l'uomo non è quale si rivela nella comunicazione con Dio, ma quale viene configurato nella vita sociale e dalla comunicazione con gli altri.
Il grembo in cui si feconda e il bisogno, è l'atto essenziale della sua umanità, l'amore dei suoi simili. Secondo Feuerbach, dove non vi è amore non vi è verità. Non essere nulla e non amare nulla sono tutt’uno.
Come dal singolo di Kierkegaard, recisi i legami che lo uniscono a dio, nascerà l’esistenzialismo, l’essere per la morte di Heidegger. Così dall’uomo concreto di Feuerbach , quando l’essere sarà liberato dalla menzogna, nascerà una spinta verso una maggiore elevazione delle masse. Oggi la menzogna è l’asse portante dell’intera società, dalla politica alla comunicazione, dall’arte alla promozione del consumo, siamo sommersi da messaggi decettivi.
Resta vera l’affermazione di Nelson Goodman: “ Mentre la scienza si giudica in base alla verità, l’arte si giudica in base alla soddisfazione”. L’esperienza estetica diventa una sorta di esercizio ginnico, dove sinfonie e arte rappresentano gli attrezzi che usiamo tanto per l’autopromozione sociale quanto per costruirci un’immagine di cultura spendibile sul mercato, campo nel quale il il falso e il truismo costituiscono risonante banalità sostituendo le ipotesi elementari ed esitanti la cui conferma si realizza nell’opera.
L’inconoscibilità di ciò che è noto.
“La filosofia è puro stare a vedere” Hegel
Inconoscibilità di ciò che è noto Quanto conosciamo delle motivazioni in base alle quali conduciamo la nostra vita? Viviamo in una società conformista e reazionaria; cultura e informazione inventano una realtà declinata al femminile che non esiste. Non abbiamo il senso di ciò che effettivamente accade, condizionati da una comunicazione tanto assordante quando decettiva. Jὔrgen Habermas ha affrontato il tema in “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali”. Le discordanze fra positivisti e filosofi del linguaggio ordinario oscillano tra differenze ed enfasi su vari aspetti della comunicazione socio-culturale. I filosofi del linguaggio ordinario si sono dedicati soprattutto all’uso delle parole trascurando i sottointesi semantici che si evolvono spesso in modo distorto. Questo processo di riproduzione di senso non è mai neutro, esso subisce i condizionamenti della ripetitività di una comunicazione finalizzata al consenso. Noam Chomsky in “La fabbrica del consenso” affronta il tema in modo più specifico. Entrambi gli studiosi analizzano le cause, ma non propongono soluzioni, semplicemente perché le soluzioni implicano aspetti culturali e politici la cui modificazione, ove possibile, presuppongone la modifica di equilibri politici e culturali profondi, in breve concernono il modo in cui la società di evolve. Max Horkheim e Theodor W. Adorno in “Dialettica dell'illuminismo”, tentarono di risalire all’origine del sistema mondo com’è andato configurandosi in occidente. I due studiosi rilevano come: “ la vita pubblica ha raggiunto uno stadio dove il pensiero si trasforma inevitabilmente in merce”. La più evidente dimostrazione di questo assunto sono critica e filosofia dell’arte. Il sapere, che spesso è costituito da spurie teorie di fatto al servizio del mercato o, nella migliore delle ipotesi, della ideologia. La creatività finisce per essere consolidata in patrimonio, distribuito a fini di consumo. Uno dei bersagli di Horkheimer e Adorno è l’illuminismo giustiziato, sostengono, da Kant, Sade e Nietzsche. Il libro, “Dialettica dell’Illuminismo” è l’archetipo di tutte le critiche della razionalità scientifica totalitaria. Max Horkheimer e Theodor Adorno non sembrano provare alcun imbarazzo a citare quello che viene considerato il campione del pensiero reazionario e tradizionalista Joseph de Maistre . “Anche secondo Bacone – scrivono- deve sussistere tra i sommi principi e le preposizioni empiriche , una connessione logica evidentemente attraverso i vari gradi di universalità”. I due filosofi tedeschi e il conte savoiardo muovono da posizioni diverse, ma convergono nell’indicare la triade Bacone- Illuminismo- Scienza come le cause dello sfacelo della civiltà di fronte alla quale la filosofia è impotente. Hegel prende atto di questa impotenza quando, nella Fenomenologia dello spirito definisce la filosofia: “Puro stare a vedere”. La parziale resa della ragione ha creato le condizioni perché nella contemporaneità occidentale sopravvivano due religioni, il cristianesimo, per altro annacquato, e il capitalismo. Partecipando al suo ultimo consiglio dei ministri, De Maistre, che era cancelliere come Bacone, bocciò i progetti che gli erano stati presentati esclamando: “ Signori, la terra trema e voi volete costruire!”. Era quindi inevitabile che De Maistre venisse classificato come reazionario e posto ai margini. Poco importava che avesse visto giusto un secolo prima che avvenissero i disastri ai quali oggi assistiamo.
piergiorgio firinu
All'inizio furono profezie e sogni.
L’arte da tempo ha abbandonata la rappresentazione di soggetti religiosi, e tuttavia da sempre gli esseri umani si sono affidati alle profezie e ai sogni. La paura creò la superstizione e da essa ebbe origine la religione, anzi le religioni. Neppure sull’idea di dio la specie umana riuscì a trovare un accordo. Platone nel decimo libro delle leggi afferma che “l’universo è pieno di dei”. Ci siamo liberati degli dei, ora l’adorazione si riversa su personaggi di squallore infinito che i media trasformano in icone e le masse seguono con fanatico entusiasmo.
Per dare corpo alla sua teoria di superuomo Nietzsche riesumò la figura di Zarathustra profeta iranico che a un certo punto della sua esistenza ricevette delle rivelazioni da dio Ahura Mazdä.
Artemidoro di Efeso scrisse Oneirocritica sull’arte divinatoria, punto di riferimento fino a Freud per l’interpretazione dei sogni. Mai come oggi, con la dominante ansia progressista, si parla tanto di futuro, si ha fede nella scienza e nella tecnologia che condiziona e domina le nostre vite. Il nostro immaginario ancestrale è andato attenuandosi, le figure di Cassandra e Tiresia sono state sostituite dai chiromanti che vendono illusioni a povere donne confuse.
Michelangelo ritrasse alcuni profeti nella cappella Sistina. Le profezie, anche quelle enigmatiche e ambigue, hanno sempre trovato spazio nella mente umana. Eraclito sosteneva “il Signore di cui l’oracolo di Delfi, non dice e non nasconde: significa”. Eschilo descrive Cassandra che vede gli assassini di Agamennone, e scopre per prima il cadavere di Ettore che giunge a Troia. Apollo desiderava Cassandra che si rifiuta,per questo il dio la condanna a non essere mai creduta.
Dante annuncia la sua visione del futuro dal Purgatorio e il celebre miniatore Oderisi da Gubbio mette in scena Cimabue e Giotto, entrambi innovatori e attenti alla narrazione religiosa dell’arte. Sulla scena mitologica si confrontano la dea del parto Lucina e quella della morte Nenia che trascina innanzi il tempo.
L’armonia delle due nature, l’essere umano e l’universo, si è frantumata nel ‘600 con l’esplosione del conflitto tra scienziati e umanisti. Frattura mai più composta. Anche Karl Jasper in “Origine e senso della storia” , propose la sua visione del futuro. Eric Arthur Blair, meglio noto come George Orwell, con il Grande Fratello credette di anticipare il futuro, non poteva immaginare che la modernità avrebbe ridotta la sua visione ad un squallido spettacolo televisivo nel quale, ancora una volta, l’uomo esibisce il peggio di se.
Profeti e indovini non hanno mai anticipato nulla, hanno solo alimento le illusioni di un’umanità sempre più corrotta e confusa. Quasi un secolo prima che Sartre facesse dire al personaggio di un dramma: “L’inferno sono gli altri”, Melville era andato più a fondo: “L’inferno è l’esterno”. A giudicare dalla drammatizzazione per il forzato impedimento agli assembramenti nelle città, sembra che nell’infermo i contemporanei si trovino a loro agio.
piergiorgio firinu
Linguaggio e pensiero.
Lenin sosteneva: la vita ci induce a rinunciare al raziocinio insegnandoci la dialettica. In cosa consiste il concetto di dialettica non è così chiaro. Spesso la dialettica è un modo per oscurare il significato del sostantivo verità, in questo modo la verità diventa opinione, argomento filosofico apodittico. Spinoza struttura la narrazione dell’Etica in questo modo; proposizione, dimostrazione, scolio, conclude con C.d.d. (come dovevasi dimostrare). Egli sviluppa tesi, antitesi, sintesi senza contradditorio. Non vi è una reale concreta dimostrazione, solo una costruzione teorica senza riscontro oggettivo. Si presta quindi ad essere contraddetta. Cosa che puntualmente avviene. La filosofia può anche essere vista come confronto tra sistemi, o divisa, come sosteneva Willard Van Orman Quine tra concettuale e dottrinale. Il linguaggio filosofico è inevitabilmente complesso, al limite della gergalità. Heidegger creò un proprio linguaggio. La lettura delle sue opere rende necessaria una sorta di traduzione simultanea. La filosofia, come l’arte, è spesso appannaggio di dilettanti, ovvero di individui sprovveduti. Contro di loro si scaglia Hegel sostenendo che, mentre un calzolaio per realizzare una scarpa deve imparare il mestiere, in molti presumono che la filosofia non richieda apprendimento e fatica. Hegel non chiarisce la ragione per la quale ciò è possibile. La scarpa è oggetto la cui verificabilità è agevole, la filosofia, è soprattutto un esercizio mentale, sicuramente utile per sviluppare le sinapsi, ma di difficile verifica a posteriori. Alcuni filosofi hanno l’ambizione di insegnare a pensare. Heidegger ha scritto “Cosa significa pensare”, mentre Diego Marconi assume che il pensare sia un mestiere e espone questa sua convinzione nel libro, “Il mestiere di pensare”. La filosofia dell’arte non solo pretende, per così dire, di sovrapporsi alle opere con un linguaggio additivo, ma, attraverso una più o meno dotta elaborazione linguistica, si propone di modificare la stessa ontologia dell’arte. Tra gli esponenti di questa corrente spiccano alcuni filosofi statunitensi, tra i quali Arthur C. Danto e George Dickie. Quest’ultimo autore è noto soprattutto per avere espresso la liberatoria e contraddittoria affermazione: tutto è arte. Così, i sopravvenuti filosofi del nuovo mondo, mandano al macero intere biblioteche e secoli di studi e approfondimenti, da Giorgio Vasari a Ernst H. Gombrich e moltissimi altri. Danto liquida la metafisica come “vacua e insensata” (pag. 134 “Dopo la fine dell’arte” Edizioni Bruno Mondadori). Wittgenstein sosteneva che i problemi filosofici sorgono quando il linguaggio fa vacanza. Ma l’analisi del linguaggio è di per sè una materia complessa tanto che, come detto sopra, in qualche caso i filosofi ritengono necessario creare linguaggi ad hoc con risultati che John L. Austin definiva aberranti.
piergiorgio firinu
Coscienza e libertà:
La filosofia si è spesso interessata alla questione della coscienza, ovviamente in forme estremamente complesse ed articolate che non hanno una ricaduta diretta nella sostanzialità interpretativa della normale quotidianità. In ogni ambito dell'attività umana la coscienza dovrebbe suggerirci comportamenti e decisioni giuste. Ciò che condiziona le nostre azioni è la realtà oggettiva/soggettiva nella quale si dipana la nostra esistenza. Presa di coscienza è sinonimo di consapevolezza. Tuttavia, nonostante le complesse interpretazioni dei filosofi, resta difficile stabilire in cosa consiste la coscienza, soprattutto comprendere la ragione delle notevoli differenze tra individui. Nel microcosmo dell’arte, il problema si pone in termini estetici – antropologici avendo presenti, per orientarci, richiami e riferimenti a Kant, Hegel, Schopenhauer, Nietzsche a cui potremmo aggiungere le riflessioni di M. Kähler, A. Ritsch. Infine la monografia di H.G. Stoker. Vasto ambito che andrebbe ulteriormente ampliato per mettere in luce le molteplicità di fenomeni di coscienza che caratterizzano criticamente i diversi modi possibili di considerare la fenomenologia dell’arte. L’ampia bibliografia, se pur incompleta, aiuta a inquadrare il tema. Per quanto concerne la storia del concetto di coscienza, la monografia di Stoker si differenza dall'interpretazione esistenziale già nell'impostazione, quindi nei risultati, nonostante parecchie concordanze, Stocker non valuta sufficientemente fin dall'inizio le condizioni ermeneutiche per una descrizione della coscienza sussistente oggettivamente ed effettivamente; con ciò va di pari passo all'annullamento dei confini fra fenomenologia e teologia con danno di ambedue Per quanto riguarda i fondamenti antropologici della ricerca mutuati dalla soggettività della scelta, la monografia di Stoker rappresenta un considerevole progresso rispetto alle interpretazioni precedenti, più per la trattazione complessiva dei fenomeni della coscienza e delle loro ramificazioni, che per l'analisi delle radici ontologiche del fenomeno. Se dalle narrazioni concettuali della filosofia, ritorniamo alla concretezza di ciò che l’artista intende comunicare, ci troviamo di fronte a narcisistiche velleità. Effettivamente la comunicazione extramondana trascura il bagaglio epistemologico che dovrebbe essere la base per realizzare la visione soggettiva che l’artista intende rappresentare. I barattoli di Manzoni, l'orinatoio di Duchamp, la rana crocifissa di Kippenberger, il crocifisso immerso nell’urina di Andres Serrano, sono tutte opere che sollevano perplessità, ci pongono di fronte alla domanda: quale tipo di coscienza muove queste azioni? Qual’è l’intento di quei sedicenti artisti? Lascio a chi legge l’onere della risposta. Certo è problematico il confronto tra il discorso aureo sulla questione di coscienza, che include, ovviamente aspetti etici, e fatti artistici che riflettono un vuoto interiore, uno squallore esistenziale che sgomenta. E tuttavia tutto viene accettato in nome della cosiddetta libertà di espressione. Mettere in vendita la coscienza soggettiva per un attimo di notorietà, vellicare gli aspetti peggiori della natura umana, sono forme di prostituzione socio-culturale che dovrebbero far riflettere. Se è vero che la coscienza e un’entità soggettiva, è altrettanto vero che l’opera d’arte dovrebbe trasmettere valori con valenze universali agendo all'interno di una realtà antropologica e civile. Le opere citate, a cui se ne potrebbero aggiungere molte altre, sono espressioni di una realtà depravata. Realizzare simili opere non significa compiere un atto di libertà, come da più parti si sostiene. La libertà non può essere solo espressione di sterile cinismo. Le opere che abbiamo elencato non hanno alcun valore sul piano dell'etimologia artistica, tanto meno nella simbologia libertaria.
piergiorgio firinu
Ludwig Wittgenstein : va bene così.
Con l'ultimo colpo di pennello il quadro è ultimato, oppure il pittore si ferma a ciò che Wittgenstein definisce: “ va bene così” Qual è il limite, la completezza della realtà ontologica dell'arte? Cosa è rimasto del rapporto tra arte e vita? La filosofia antica, in parte ripresa da Heidegger, esamina un percorso dell'esistenza che si conclude con la morte. Il destino dell'essere è un insieme di frammenti temporali che chiamiamo vita, ne accettiamo tutte le inevitabili incompletezze. Per l'estetica la completezza si realizza nella perfezione, mai raggiunta e non raggiungibile. La vita si prolunga nella memoria di chi resta e nella testimonianza della poesia. “Passi echeggiano nella memoria in quel corridoio che non percorremmo, verso quella porta che non aprimmo mai.” (T.S. Eliot Quattro quartetti) “Dove urlano le onde e il vento/ dove vola la procellaria e nuota il delfino”. La pretesa di definire la vita in quanto significato escatologico è destinata a fallire. Platone ci mette di fronte ai nostri limiti con la parabola della caverna. Talete anticipa con una metafora naturale la narrazione dell’eterno ritorno: “ Entriamo e non entriamo nello stesso fiume”. Il fluire inarrestabile del tempo. Platone rileva che l’arte crea una doppia illusione, forse necessaria, paradigma dell'esistenza essa stessa illusione. L’arte contemporanea rifiuta il bello, la storia, la mimesi, ma soprattutto rifiuta la poesia, sembra quasi che il bello, la poesia siano disturbanti quando entrano in esistenze vendute alla funzionalità senza scopo, che non sanno, non possono andare oltre il presente. La pedagogia ha rinunciato da tempo alla norma dei greci: Kalos kagathos”, Bello e buono. L’espressione Kalokagathia si riferisce alla perfezione fisica e morale della scultura greca del V secolo a.C. L’umanità non ha più visto la perfezione delle sculture di Mirone, Policleto, Fidia, Prassitele, Skopas, Lisippo. I frammenti delle opere di questi artisti sono custoditi nei musei a ricordo di un Arcadia che ai primordi della civiltà ci illuse sulla possibilità che davvero il bello potesse salvare il mondo. Forse l’umanità non vuole era salvata, non più di quanto una scrofa possa preferire il velluto al fango. Per quanto si possa far ricorso a teorie spurie non possiamo nasconderci che il mondo così com’è lo abbiamo costruito noi. La nostra storia, la nostra arte, il nostro sistema economico produttivo, i nostri abiti, le nostre abitudini, tutto è frutto della nostra attività, delle nostre scelte, delle nostre azioni. Possiamo esserne orgogliosi? Ai contemporanei l’ardua sentenza. Quello che è certo, non è stata la filosofia ad orientare le nostre scelte. L’auspicio di Kant: “ Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale dentro di noi”, non è mai stato un riferimento, una linea guida, il cielo lo abbiamo inquinato, la legge morale l’abbiamo cancellata.
piergiorgio firinu
Visione e pensiero.
È Vediamo ciò che pensiamo e attraverso ciò che conosciamo. Lo sguardo come interrogazione, come un passo verso la conoscenza. La costituzione fondamentale della visione si manifesta in una particolare tendenza al “vedere”. Di una persona particolarmente acuta si dice che “sa vedere le cose”. Definiamo la propensione a vedere con il termine: curiosità. E’ la curiosità il principale stimolo alla conoscenza. Noi interpretiamo il fenomeno della curiosità come un fondamento ontologico- esistenziale. Già nella antichità e nella filosofia greca fu studiata la base del piacere di vedere. Il libro che occupa il primo posto nella raccolta dei trattati aristotelici di ontologia inizia con il fermare l’attenzione sulla visione. Lo sguardo, il vedere, osservare, stimola la riflessione ed è alla origine della scienza come lo è dell’arte. Non è pensabile un pittore privo di vista. L’interpretazione greca della genesi esistenziale della scienza non è casuale. In essa si fa esplicito ciò che era già delineato nella filosofia di Parmenide. L’essere è ciò che si manifesta alla visione intuitiva pura. Hans Belting affronta il tema della storia visiva mettendo a confronto diversi aspetti della visione. Nel “I Canoni dello sguardo” (Bollati Boringhieri 2010) usa l’emblema della finestra per sottolineare come mentre nella civiltà occidentale la visione è fondata sul primato dell’occhio e sulla sovranità del soggetto osservatore, la civiltà araba privilegia la luce ed è fedele al grafismo non iconico. Agostino si interroga sulla concupiscenza dello sguardo, come il vedere influisca profondamente sui nostri pensieri. Oggi che viviamo nella civiltà delleimmagini ci troviamo ad dover affrontare la volgarità delle immagini che incessantemente vengono trasmesse da cinema e tv e si riflettono nei comportamenti quotidiani delle masse. I sistemi complessi che sovraintendono la produzione di immagini hanno fagocitato anche l’arte. Gli artisti hanno abbassato gli occhi sugli strumenti tecnici rinunciando alla visione immaginifica che guida la mano creatrice. Si è attuato una sorta di incapsulamento tecnologico che ci assorbe e ci distrae, soprattutto diventa un “bisogno” di evasioni, ci rende più psicolabili. Siamo abituati a vedere in ogni dove le persone concentrate sul proprio telefono compulsare sulla tastiera per trasmettere il nulla. La visione del mondo si è ridotta per molti allo spazio di cm7 X11 dello schermo del telefono.
piergiorgio firinu
La lezione di Diogene.
Una delle prerogative della saggezza è la capacità di proiettarsi verso il futuro, ovvero saper valutare le conseguenze della azioni. E’ questa la ragione per cui la saggezza è generalmente supportata dalla morale. A volte la moralità può assumere aspetti paradossali. Diogene è noto per gli atteggiamenti provocatori, ma nella realtà il suo stile di vita era improntato alla semplicità, egli rifiutava ricchezze e onori. Lo conferma l’aneddoto di quando Alessandro Magno si recò a fargli visita, fermato il cavallo davanti alla spelonca in cui abitava Diogene, disse al filosofo: Chiedimi qualsiasi cos desideri, esaurirò il tuo desidero. Diogene risposte. Spostati che mi togli il sole. Perché la morale può renderci felici è presto detto. Come Diogene ci aiuta capire attraverso le osservanze morali riusciamo a controllare le nostre pulsioni, desideri, ambizioni, aggressività. La nostra libertà è resa impossibile dai molti condizionamenti. Leibniz immaginava un mondo abitato solo da esseri ragionevoli i cui rapporti tra loro fosse ispirato da leggi morali. Lo definiva “Il Regno della Grazia”. E’ noto che l’immaginazione ottimistica di Leibniz cadde sotto gli strali di Voltaire, il quale essendo un uomo di mondo, sicuramente non aveva la moralità come stella guida, badava alle cose concrete, vedeva il mondo com’ è non come vorremmo che fosse. Il primo passo per liberarsi dalla morale è stato eliminare l’ingombrante figura di dio. Siccome la religione ha caratteri che l’assimilano alla superstizione, si è scelto, come si usa dire, di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Niente dio, niente morale. Quello che è rimasta in piedi è una sorta di parodia detta “morale laica” , che come l’araba fenice che vi sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa. E’ nota la frase che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov; Se dio è morto tutto è permesso. Ma la morte di dio è provocata non solo dalla cattiva coscienza, anche dalla rinuncia alla ragione. Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae propone un percorso tramite il quale la ragione porta a dio. Più succintamente Biagio Pascal si affida alla scommessa sul paradiso. Ovviamente tutte queste tappe della cultura filosofica sono sicuramente antitetiche alle società contemporanee che guarda caso, sono le più ricche, infelici e disordinate della storia umana.
piergiorgio firinu
Il difficile confronto con la realtà
Una delle prerogative della saggezza è la capacità di proiettarsi verso il futuro, ovvero saper valutare le conseguenze della azioni. E’ questa la ragione per cui la saggezza è generalmente supportata dalla morale. A volte la moralità può assumere aspetti paradossali. Diogene è noto per gli atteggiamenti provocatori, ma nella realtà il suo stile di vita era improntato alla semplicità, egli rifiutava ricchezze e onori. Lo conferma l’aneddoto di quando Alessandro Magno si recò a fargli visita, fermato il cavallo davanti alla spelonca in cui abitava Diogene, disse al filosofo: Chiedimi qualsiasi cos desideri, esaurirò il tuo desidero. Diogene risposte. Spostati che mi togli il sole. Perché la morale può renderci felici è presto detto. Come Diogene ci aiuta capire attraverso le osservanze morali riusciamo a controllare le nostre pulsioni, desideri, ambizioni, aggressività. La nostra libertà è resa impossibile dai molti condizionamenti. Leibniz immaginava un mondo abitato solo da esseri ragionevoli i cui rapporti tra loro fosse ispirato da leggi morali. Lo definiva “Il Regno della Grazia”. E’ noto che l’immaginazione ottimistica di Leibniz cadde sotto gli strali di Voltaire, il quale essendo un uomo di mondo, sicuramente non aveva la moralità come stella guida, badava alle cose concrete, vedeva il mondo com’ è non come vorremmo che fosse. Il primo passo per liberarsi dalla morale è stato eliminare l’ingombrante figura di dio. Siccome la religione ha caratteri che l’assimilano alla superstizione, si è scelto, come si usa dire, di buttar via il bambino con l’acqua sporca. Niente dio, niente morale. Quello che è rimasta in piedi è una sorta di parodia detta “morale laica” , che come l’araba fenice che vi sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa. E’ nota la frase che Dostoevskij fa dire a Ivan Karamazov; Se dio è morto tutto è permesso. Ma la morte di dio è provocata non solo dalla cattiva coscienza, anche dalla rinuncia alla ragione. Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae propone un percorso tramite il quale la ragione porta a dio. Più succintamente Biagio Pascal si affida alla scommessa sul paradiso. Ovviamente tutte queste tappe della cultura filosofica sono sicuramente antitetiche alle società contemporanee che guarda caso, sono le più ricche, infelici e disordinate della storia umana.
piergiorgio firinu
Il gusto e la forma.
Nell’arte si giudica dalla forma dell’oggetto attinente all’estetica, o al suo contenuto? Non c’è dubbio che rispondere a questa domanda vorrebbe dire chiarire il senso della filosofia dell’arte. Peccato che la risposta sia impossibile se non tramite apodismi. Infatti, mentre la quantità e anche la natura di un oggetto in quanto materia può essere accertata, altra cosa è stabilire la qualità con una approssimazione che possa essere generalizzata. La scelta diventa soggettiva e si affida al sostantivo maschile “gusto”, cioè qualcosa di estremamente opinabile. Spinoza chiarisce questa propensione nello scolio della preposizione 39 dell’ Etica: “..noi non desideriamo niente per il fatto che lo giudichiamo buono , ma viceversa diciamo buono ciò che desideriamo…” . Già l’estetica medioevale aveva tentato distinzioni in questo campo. Scoto Eriugena, anticipa la brama collezionistica quando descrive un elegante vaso d’oro, ornato di pietre preziose, guardato dal saggio e da un uomo vizioso. Il saggio ammira l’oggetto per la forma. L’altro guarda ed è preso da desiderio di possederlo. Questa contrapposizione ha una parte considerevole nell’estetica medievale. In Tommaso d’Acquino è già formulata nel senso che è un godimento dell’armonia delle forme, di piacere estetico. Ciò implica, come abbiamo detto, il gusto. Tema sul quale Galvano della Volpe formula una teoria che tracima nella socialità dell’arte. Operazione tutto sommato tautologica. Diciamo che la filosofia dell’arte, specie di matrice statunitense, ha contribuito non poco a far nascere il gusto Kitsh e il gusto Kamp. Quest’ultimo è soprattutto preferito dalle comunità omosessuali. Andy Warhol era una sorta di guru della numerosa comunità omosessuale newyorkese che gravitava intono alla Factory. Quello che Hermann Broch chiama uomo Kitsh si fonda sulla menzogna, come egli afferma, su una rappresentazione per lo più poco consapevole, falsa, illusoria del rapporto con la realtà sociale. Egli scrive: l’uomo contemporaneo ama il Kitsh perché è Kitsh. Peter Sloterdijk nel primo volume di Sfere (Editore Cortina 2014) pagine 496-97 scrive a proposito della musica Pop e la descrive psicoacustica, o come la definisce Tom-Götter divinità del suono, ritorno alle caverne. E’ possibile sentirla soprattutto nelle Love Parades e nei Gay Pride. Ecco dunque che l’incultura della contemporaneità ha la propria arte, la propria musica e la propria letteratura, il tutto proposto e riproposto dai media, in particolare tv e cinema.
piergiorgio firinu
I paradossi della società contemporanea.
La lettura dell’ultimo lavoro di Paul Virilio “L’incidente del futuro” suscita reazioni contrastanti. Un filosofo si occupa della deriva socio-culturale a cui siamo immersi da tempo, mette l’accento sugli apodismi alla base della incongruenza sociale. La tesi che sviluppa non è però coerente. Il progresso non elimina ciò che resta di umano in noi, com’egli sostiene. Se così fosse non ci troveremmo sommersi da crescente entropia sociale con la quale dobbiamo fare i conti. Il progresso è usato a pretesto e giustificazione di comportamenti ignobili e insensati, tipicamente umani. “Progresso” e “Libertà” sono i due miti del nostro tempo. Gli esempi citati da Virilio dimostrano che non sempre i due termini sono compatibili. Non perché il cattivo di turno, scienziato o politico, disponga di macchine infernali di coercizione. Il “Il Grande Fratello” è opera di mediocri personaggi della comunicazione e spettacolo. L’ansia di prostituirsi moralmente è così diffusa da non avere bisogno di essere incoraggiata. Le ventimila ragazze che si presentano per un posto da Velina, vedono se stesse come evolute, moderne, aperte a tutto ciò che è nuovo. Dunque alla locomotiva del progresso non serve il ricorso a violenza e/o sotterfugi per procurarsi il carburante. Una folla davanti alla caldaia ansiosa di buttarsi nelle fiamme della “libertà” e progresso”. Forse, avrebbero difficoltà e definire i due sostantivi, ma questo non fa differenza.
piergiorgio firinu
Realtà e percezione.
Vi sono realtà che percepiamo ma non vediamo. Il freddo, il caldo. L’ombra la vediamo ma è percepibile al tatto, non è nulla solo assenza di luce. Altre realtà sono un nostro difetto di visione. Immaginiamo un daltonico, un astigmatico, osservano un oggetto e lo vedono difettoso, un colore diverso, una immagine sfocata. Vediamo cioè un difetto nell’oggetto osservato mentre in realtà il difetto è di chi osserva. Questo tipo di difficoltà può essere individuato e risolto con l’ausilio di un supporto tecnico. Ma cosa accade quando un difetto di valutazione, di comprensione, sono dovute all’intelletto, quando cioè l’intelletto non riesce a comprendere uno scritto, un pensiero, una fenomeno? Intanto è estremamente difficile stabile con sufficiente approssimazione il reale livello di comprensione. Conoscere non equivale a capire. Questa spiega l’apparente paradosso di persone colte ma ottuse. Nella grande ricchezza della lingua, chi scrive si trova impegnato nella ricerca della parola giusta, che risponda esattamente al concetto che vuole esprimere. Secondo Roland Barthes la ricerca della parola giusta costituisce l’essenza della letteratura. Altri tempi. Platone si servi dell’espressione idea nel senso di qualcosa che non è ricavato dai sensi , ma sorpassa anche i concetti dell’intelletto. Le idee sono per lui gli archetipi delle cose stesse, non semplici chiavi per esperienze possibili. Per Aristotele nell’esperienza non s’incontra mai nulla che vi sia adeguato. Se noi partiamo da queste premesse per esaminare la narrazione condotta dalla filosofia dell’arte, ci rendiamo conto che, nella maggior parte dei testi, non si manifesta la capacità di penetrare il significato vero del fenomeno arte nella espressione materiale in cui si presenta. Se, ad esempio, com’è stato stabilito, il colore esprime pura emozione, il voler dare un significato razionale a un opera astratta, basata cioè esclusivamente sul colore, è operazione inattuabile se non facendo ricorso ad apodismi. A meno di supporre che il filoso più che un tentativo ermeneutico, si affidi a un esercizio di narrazione sofistica. Zenone d’Elea, sottile dialettico, fu molto biasimato da Platone come petulante sofista, perché egli per dar prova della sua abilità dialettica cercava di una stessa proposizione dimostrare, tramite speciosi argomenti, prima la sua fondatezza e poi la sua inconsistenza logica. Quando un filosofo scrive testi per tentare di argomentare in ordine ai fenomeni artistici, distinguendo qualità, significato e valore di singole opere, e poi approdare all’affermazione: tutto è arte. Va da se che, se tutto è arte sono pleonastiche le distinzioni di merito e di valore, tutto è affidato al gusto e alla scelta soggettiva, le teorie sull’arte si disperdono in immaginazione decettiva.
piergiorgio firinu
Arte, immagini affidate alla estemporaneità.
Qualunque sia il contenuto della nostra conoscenza, e in comunque modo si riferisca all’opera che stiamo osservando, il nostro giudizio è frutto di una sedimentazione di saperi ed esperienze. La preposizione: “a nessuna cosa conviene un predicato che la contraddica”, si chiama principio di non contraddizione; è un criterio generale che appartiene alla logica. L’equivoco nasce dalla modalità di narrazione con pretesa ermeneutica del tutto apodittica. Il giudizio critico viola il principio di non contraddizione ogni qual volta presume di identificare nell’opera significati che non sono riscontrabili. I giudizi sono spesso accolti per abitudine e si combinano con le inclinazioni. Da questo punto di vista appare molto più distruttiva la critica dello psicologo Daniel Wegner che argomenta: “ Le ragioni che adduciamo per giustificare le nostre scelte sono mere confabulazioni, congeniate a posteriori , e per ciò casualmente irrilevanti per la produzione dei nostri giudizi”. Dovrebbe valere l’affermazione di Kant secondo cui: “ La verità di un giudizio è l’accordo della conoscenza con il suo oggetto”. Ma come può valere la conoscenza di un opera che non ha un ontologia definita? Per esempio da dove si possono trarre gli argomenti per attribuire significato a un opera astratta che palesemente non rappresenta nulla, nel senso che è priva di fondamento logico ed ha solo un impatto emozionale indotto dalla disposizione del colore senza disegno? In questi casi entrano in gioco le diverse sensibilità. La storia dell’arte non è solo una teoria di artisti e opere, ma entra nel vivo della storia e della cultura dell’epoca in cui fu creata. Per questa ragione, in molti casi, razionalità e logica non sono necessarie, l’opera è la traccia di un evento, l’immagine di un personaggio, uno scorcio di natura. Nulla di tutto questo è ravvisabile nella maggior parte dell’arte dell’ultimo secolo. In misura ancor maggiore nella cosiddetta arte astratta. L’espediente della critica è spesso di attribuire all’artista un intento preciso, ricamando immaginifici dettagli sulla personalità del soggetto creatore. Come quando si attribuisce a Jackson Pollock la capacità di indirizzare il dripping alla realizzazione di una precisa forma. Trattasi, a mio avviso, di decettività fantasiosa, priva di riscontro oggettivo. In realtà l’esperienza artistica è possibile solo mediante una rappresentazione per realizzare la quale è necessaria la percezione filtrata da gnoseologia e sensibilità che diventano forma.
piergiorgio firinu
Unicorno. Mitologia dell’ impossibilità.
L'idealismo materiale, ossia l'idealismo che si riferisce alla materia del conoscere, si contrappone all’idealismo formale. L’idealismo problematico di Cartesio dichiara indubitabile solo un'affermazione empirica cioè: io sono. Quello dogmatico di Berkeley considera lo spazio con tutte le cose a cui esso aderisce quali condizioni inseparabili, come qualcosa in se stesso impossibile e dichiara perciò anche le cose nello spazio semplici immaginazione. Ora se noi consideriamo la rappresentazione, come concetto materializzato di una cosa rappresentata, dovremmo dedurne che un concetto resta vuoto se non confermato dall'esperienza. Nella logica immaginaria dell'arte tutto è diverso. Un artista può dipingere, dar forma a un unicorno. L’unicorno esiste,è davanti ai miei occhi, ma non nella realtà. L’arte quindi realizza un ossimoro, crea una realtà che non esiste. L'artista può scegliere tra collocare l'unicorno nello sfondo di una realtà conosciuta, oppure, coerentemente, creare una realtà immaginaria nella quale collocarlo. Altro ossimoro. Tuttavia, mentre l'unicorno è figura mitologica nota, la realtà immaginaria creata dall'artista nella quale colloca l’unicorno, è interamente frutto della sua fantasia creativa, quindi distinta dal reale. Quando affermo che l'arte contemporanea è frammentata, mi riferisco alla difficoltà dell’artista di creare una realtà nella quale collocare l’unicorno, dare quindi compiutezza e continuità la narrazione. Questo limite non impedisce di usare un’immagine mitologica, ma, come detto, rende problematico saper dare all’unicorno una giusta collocazione. Resta la realtà dell'unicorno, per restare alla metafora, esso è collocato però nella scenografia di una realtà nota. E’ quanto ha fatto il surrealismo: immaginare un significato senza la capacità di realizzarlo in una forma compiuta. Una narrazione interrotta che ha aperto la strada all’uso di concetti formali i quali, ancora più che nel surrealismo, restano sospesi nel nulla, privi di una definizione semantica. La rinuncia alla mimesi e alla narrazione storica, ha condotto l'arte al fallimento formale e contenutistico. Così come il delirio modifica tutto ciò che comunque fa parte della nostra esperienza pregressa, mentre oggetti e persone vengono semplicemente deformati, modificate. L'arte con la pretesa di affidarsi alla concettualità, rischia di realizzare qualcosa di simile. Creare una sospensione tra il possibile e immaginario, dare una forma del tutto insufficiente ad esplicare un contenuto autonomo che giustifichi se stesso in una definizione ontologica non spuria. Non c'è dubbio che le teorizzazioni ormai hanno poco a che vedere con l’attuale sistema dell’arte, vista la situazione di un mondo artistico che in pratica funziona esclusivamente in funzione del mercato. Tuttavia sarebbe utile che gli artisti prestassero maggiore attenzione alle motivazioni del loro operare. Forse sarebbero indotti a tentare di dare un'impronta, un significato, alle opere che producono in modo da evitare di galleggiare nel vuoto di velleitarismi, come purtroppo avviene con eccessiva frequenza.
piergiorgio firinu
Donne, arte, potere.
Con il libro “Il paradosso di Antigone” ho tentato di descrivere il fondamento decettivo delle teorie femministe che tendono a rappresentare la donna vittima di una cultura patriarcale. La storia dell’occidente, dove maggiori sono le recriminazioni femminili, dimostra che non c’è mai stata vera sottomissione della donna. Ovviamente ci sono, e ci sono state questione naturali e sociali che in qualche misura determinano i ruoli con vantaggi e svantaggi che vanno sicuramente valutati e in molti casi superati da entrambe le parti. Resta il fatto che le disuguaglianze non sono prevalentemente di genere, ma di classe sociale. Il problema è ben descritto da Karl Max nel Primo libro del Capitale. La storia registra il diffuso potere femminile, non solo nella versione descritta da J.J. Bachofen, ma nel tessuto vivo della società. Ci vorrebbero più libri anche solo per elencare donne regine, nobili, cortigiane che hanno avuto potere, in qualche caso assoluto. Elisabetta I, figlia di Enrico VIII, Caterina di Russia e molte altre. Da notare che nessuna delle donne che hanno avuto il potere ha inciso sulla posizione sociale delle donne. Rispondere a questa domanda ci aiuterebbe a capire molte cose, ma non è questa la sede. Quanto scritto appare evidente anche nel campo dell’arte. Nella impossibilità di ricostruire per intero gli eventi, ci limitiamo a brevi cenni prendendo in considerazione un periodo particolarmente interessante della storia di Francia, tra il 1643 – 1742. Era l’epoca in cui l’assolutismo regio sperperava enormi somme di denaro in feste e lussi di ogni genere, nell’acquisto di opere d’arte, creando grandi collezioni poi finite nei musei, in particolare al Louvre. Ebbene anche in quel periodo la corte era dominata dalle donne nobili e cortigiane. In particolare due donne si contendevano il predominio nel campo dell’arte. Yeanne f’Albert de Luynes, contessa di Verrua e Jeanne Antoinette, marchesa de Pompadour. La prima, dopo varie relazioni con uomini potenti realizzò una collezione di opere d’arte senza uguali, all’epoca si diceva fosse superiore anche a quella del reggente, il Duca di Orleans. Alla fine della sua vita la contessa Verrua creò una specie di casa di tolleranza di alto bordo che era chiamata Maison de volupté. La marchesa de Pompadour era la favorita di Luigi XV. Nei ventun anni durante i quali fu maîtresse en titre du Roi dei France, Luigi XV dissipò 72 000 000 di livres per lei. Era il personaggio più potente in Francia, faceva e disfaceva ministri, disponeva di uffici pubblici, di onori e privilegi. Anche Pompadour creò una immensa collezione d’arte che alla sua morte venne gestita da Colbert e Charkes Le Brun. Ovviamente questi sono solo due tra i moltissimi casi che la storia politica e la storia dell’arte registrano in ordine al potere femminile. La posizione sociale della donna non fu mai una conquista, un merito guadagnato in attività utile alla nazione. All’epoca i maschi si guadagnavano titoli nobiliari e privilegi sociali, sopratutto sui campi di battaglia per conquistare nuovi territori o per difendere la nazione. Ovviamente molti pagavano con la vita. Per le donne posizione sociale e privilegi erano sempre frutto di eredità, matrimoni o relazioni amorose.
piergiorgio firinu
Il rischioso passaggio dalla forma del concetto.
Paradossalmente il positivo della filosofia è costituito anche dal linguaggio quasi sempre tortuoso, spesso inutilmente complesso. Perchè dico positivo? Perché l’oscurità del linguaggio induce, a chi voglia capire, soffermarsi con attenzione, rileggere e riflettere.
Questo attiva l’intelletto e lo stimola. Di negativo resta che spesso la difficoltà di comprensione non è data dalla complessità dell’argomento trattato, quanto piuttosto dalla modalità del linguaggio e l’uso di espressioni inutilmente complesse.
Quanto sopra premesso spiega perchè, quando la filosofia entra a gamba tesa bel mondo dell’arte ed attua una propria ermeneutica, non si propone la comprensione dell’opera in esame, ma usa l’opera come pretesto per un esercizio filosofico linguistico parallelo. Ciò produce un effetto surreale di sdoppiamento semantico .
Posto che l’opera in esame, prima della realizzazione, sia stata pensata dall’artista, quale è il percorso mentale che consente al filosofo di interpretare le ragioni che hanno motivata l’opera? Il filosofo compie un processo a ritroso, si riappropria del percorso creativo dell’artista e attraverso questo immaginario processo pretende di attuare un’ermeneutica esaustiva.
D’altra parte, nel momento in cui l’artista abbandona la mimesi, rifiuta il bello e pretende di concretizzare nell’opera una operazione concettuale, cambia la natura stessa del suo agire e da artista diventa filosofo. Siccome presumibilmente la sua preparazione filosofica non è sufficiente a realizzare una vera sistematicità filosofica che egli pretende esprimere nell’opera, ecco dunque che si pone in sottordine a teorie più complesse e apre le porte alla filosofia che non si limita più all’ermeneutica dell’ opera, ma pretende di stabilirne la natura.
Di conseguenza la rappresentazione del reale, filtrato dalla sensibilità dell’artista, lascia il campo ad un creatore di concetti quale l’artista pretende di essere. A posteriori i concetti si sovrappongono alla forma che non più rappresentativa in se stessa .
Inoltre, collegare la rappresentazione di una certa idea ad un determinato oggetto, è processo empirico non necessariamente valido perché può essere inquinato da eccesso di soggettività. Si crea quindi un discrasia per cui la logica della rappresentazione non coincide più con l’immaginazione produttiva.
Piergiorgio Firinu. “I pugni in tasca” . Immagine tra passività e impotenza. Fotografia elaborata. 2020
L’intelligenza sensibile confluisce nella rappresentazione formale.
La logica estrae il contenuto della conoscenza e lo trasforma in concetti. Lo spazio e il tempo contengono molteplici intuizioni pure nelle quali è interpretato il mondo fenomenico, vale a dire il mondo delle nostre sensazioni,ma non i pensieri. Il pensiero rappresenta l’essenza della soggettività, richiamata dal noto detto di Cartesio: “Cogito ergo sum” . Fa parte delle facoltà del nostro intelletto selezionare e accogliere le rappresentazioni degli oggetti che possono quindi entrare ogni volta nel contesto della percezione. La sensibilità, la cultura, la capacità tecnica dell’artista consentono di far confluire nella forma le virtualità delle proprie intuizioni. Non basta la spontaneità del pensiero, nè solo la tecnica, per dar forma al molteplice fenomenologico. Il reale percepito, penetrato, raccolto unificato in una sintesi costituisce la materia gnoseologica che è la base che l’artista utilizza per la realizzazione dell’opera. Questo atto di sintesi è contenuto, trova compimento, nella forma della quale costituisce il valore. Winckelmann sosteneva che il pennello del pittore dovrebbe essere intinto nell' intelletto. Considerato che la pittura non è più la parte preponderante della produzione artistica, dovremmo pensare a un necessario adattamento concettuale che consenta di dare continuità all’epistemologia che nutre il pensiero creativo, attuare un connubio tra conoscenza, sensibilità, impressione. Hutcheson collega l’arte ad armonia e regolarità. Shaftesbury, sosteneva la tesi che “all beauty is truth”. Va da sè che le avanguardie hanno capovolto le tesi di questi studiosi accreditando il laido e disarmonico, Il processo è reso possibile dall’abbassamento del livello etico culturale, a cui si aggiunge l’impreparazione dell’artista. Quando le avanguardie con arroganza apodittica attuarono una radicale cesura con la millenaria cultura artistica, senza proporre alternative, limitandosi a dar vita a una serie di atti e opere di provocazione, con la messa in scena di pantomine derisorie, nella presunzione che, abolendo epistemologia, modificando l’ontologia dell’arte, ne derivasse una maggiore libertà creativa per gli artisti. Fu un errore fatale al quale forse non è più possibile porre rimedio. La libertà così ottenuta si è tradotta in anarchica ed ha contribuito all’abbassamento del livello di preparazione degli artisti. Dalle nuove correnti artistiche non è emerso un solo pensiero nuovo, qualcosa capace di nutrire l'intelligenza creativa. Gli artisti hanno abdicato alla loro autonomia lasciando alla critica e alla filosofia il compito di dare il significato alla loro opere. Non sono emersi artisti di sufficiente levatura da saper rappresentare in modo adeguato i multiformi fenomeni della contemporaneità. Nella migliore delle ipotesi l'arte contemporanea è costituita da frammenti, figure approssimative o cartellonistica, oppure, come già detto, provocazioni. Negli ultimi tempi hanno trovato ampio consenso i graffiti sui muri, la cosiddetta Street Art. Questo significa che gli artisti non sanno o non vogliono affrontare il difficile combattimento per immagini, non sanno andare oltre la pura rappresentazione, non sanno usare la metafora per rappresentare una realtà filtrata da sensibilità e sapere.
piergiorgio firinu
La storia dell’arte è lastricata di cattive intenzioni.
Parafrasando il detto: “le vie dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni”, potremmo dire capovolgendo il senso che la storia dell'arte è lastricata di cattive intenzioni. Infatti così come a Roma il maggior fulgore dell’arte avvenne nel periodo di grande corruzione del papato, anche in Francia con l' assolutismo regio, si ebbe il periodo di creazione delle istituzioni fondamentali in vigore ancora ai nostri giorni. Da Francesco I a Luigi XIV si ebbero le quattro fasi durante le quali si radicò il potere della monarchia. La prima, quella di Francesco I e Enrico II fu il periodo del plauso popolare per la monarchia, un periodo in cui si diedero al popolo francese i primi frutti del Rinascimento italiano. La seconda fase sotto il regno di Enrico IV portò uno sconvolgimento del paese in lotte religiose e civili. Solo grazie alla grande popolarità personale del re, che peraltro era causa del malcontento, si riuscì a tenere a bada l’ira del popolo e tranquillizzare i protestanti della Linguadoca per essere stati traditi con la sua conversione al cristianesimo e aver perso le loro tradizioni e le libertà. La terza e quarta fase riguardano il deliberato programma di assolutismo sviluppato da Richelieu durante la minore età di Luigi XIII. continuato da Mazzarino. Si raggiunse finalmente il culmine della Corte del Grand Monarque. Una stessa politica fu comune a tutte queste quattro fasi, quella di ottenere con la vendita delle cariche una nuova classe di nobili che in teoria avrebbero dovuto restare fedeli alla corona che li aveva creati, è questa l'origine del noblesse de la robe e del bourgeois gentilhomme. Al tempo di Luigi XIV questi erano diventati così potenti che a loro volta, malgrado il comico ritratto che ne fa Molière, costituivano una nuova e seria minaccia per l'autorità reale. L'importanza di questi parvenu per la storia dell'arte è incalcolabile poiché diedero vita al mecenatismo e al collezionismo del Seicento in Francia, che è soprattutto la storia della rivalità tra re, reso sempre più splendido dalle sue illimitate spese, ed i suoi ministri e i nuovi milionari che volevano umiliarlo ostentando le loro spese personali. Ci volle il Castello di Versailles, come ben comprese quel Colbert, per tenere al loro posto questi nuovi ricchi. La politica di Richelieu, assecondando gli artisti dell’epoca fornì la base legittima per un mecenatismo reale delle arti. Fu infatti in quel periodo, 1635 che fu fondata l’Accadèmie Francaise. Fu il primo passo nell’affermazione del dispotismo intellettuale del Grand Siècle. Colbert fondò l’Accadèmie des Beaux Arts nel 1648, diretta con fermo rigore da Charles Le Brun, un pittore di non grande valore che si riscattò grazie alla sua capacità politica e organizzativa, tanto che divenne l’interprete delle ambizioni politiche e intellettuali dei tre primi ministri del Grand Siècle, Richelieu, Mazzarino e Colbert. William Chambers scrisse:” Non Leonardo, né Michelangelo, né Raffaello, né Tiziano, ma a Le Brun si deve il perfezionamento della coscienza estetica dell’Europa occidentale.
piergiorgio firinu
L’arte della natura, la natura dell’arte.
L'artista deve produrre uno strumento di autoformazione che possa utilizzare per realizzare la propria opera. I generi e la specie dell'arte non si comportano diversamente dalle cose della natura anche se hanno come questa la loro imputabilità, costanza e forma specifica, la loro specifica determinazione alla quale non si può aggiungere né togliere nulla. Non è dunque l'esteta il legislatore dell'arte, allo stesso modo che il matematico e il fisico non sono i legislatori della natura, non comandano nè stabiliscono leggi, ma prendono atto soltanto di ciò che è, mentre cercano di scoprire nuove leggi che la natura non rivela facilmente. Nell’arte non esistono barriere, l’artista non si lega ne lo si obbliga ad attenersi soltanto a taluni aspetti della realtà. La libertà artistica come tutte le libertà nasce dal controllo e dall’uso della ragione intuitiva. I generi dell'arte non sono determinati da limiti, ogni oggetto può essere infatti rappresentato. Come diceva Aristotele l’arte rende bello anche il brutto estetico. Questo non riguarda i contenuti in quanto tali, ma il modo in cui sono rappresentati. E’ l’espressione che distingue la buona arte da imitatori e provocatori. L'artista può dar prova della sua facoltà individuale tra le diverse espressioni di un medesimo oggetto l'artista dovrebbe sempre dare la preferenza a esattezza e fedeltà, chiarezza e concisione, non potrà limitarsi a cercare le novità, la provocazione ad ogni costo per attirare l’attenzione della critica. Dovrà cercare soltanto quelle novità che misurano la giusta innovazione, la necessaria semplicità dell'espressione di un pensiero. Un pensiero nuovo non è affatto un pensiero che non sia mai stato pensato prima, altrettanto non è detto sia espressione intelligente. Vi è poi il rischio di eccesso di soggettivazione, ciò che appare valido soltanto al singolo individuo del suo particolare punto di vista. L'individuo, in quanto soggetto estetico, dovrebbe accantonare le sue peculiarità e le sue idiosincrasie per lasciare parlare soltanto la sua sensibilità come strumento di ermeneutica del reale. Il singolare spostamento dei motivi del pensiero che è frutto di sapere ed esperienza, proteggono l’artista dal pericolo di cadere nel vuoto formalismo e lo aiutano a trovare la semplicità, la schietta, la naturalezza dell’espressione. La consuetudine e la tradizione non sono di ostacolo alla creatività, se mai agiscono da filtro, da verifica a priori. I filosofi dell’arte hanno la pretesa di dettare l’agenda all’artista, la realtà contemporanea incomincia a venir meno alla riflessione critica e la sostituisce ad una finta credulità. Tutto ciò che la cultura intellettuale ed artistica contiene nella sua concretezza puramente empirica deve lasciare spazio alla libertà della quale l’artista ha bisogno, fermo restando che, se di questa libertà fa cattivo uso, ciò si rifletterà nella mediocrità delle sue opere. Purtroppo oggi l'arte rischia di essere considerata semplicemente come una forma di decorazione, una gadget tecnologico, o un argomento mondano.
piergiorgio firinu
L'arte in Europa ai tempi di Rubens
Proviamo per un momento a soffermarsi sulle condizioni sociali e storiche in cui vivevano negli artisti intorno al 1650, la scena in cui, per esempio, si mossero Rubens è presto il giovane Velazquez. la loro abilità e l’ambizione li indusse a muoversi con versatilità sulla scena politica dell'intera Europa. Era l'epoca della guerra dei 30 anni che stava per terminare così disastrosamente per l'Austria e la Germania nel 1648. Roma, uscita dal Rinascimento, era immersa in un’atmosfera di nepotismo e inquisizione, in pieno sviluppo dell’arte Barocca. La corona di Spagna era tenuta con magnificenza ma senza logica dai due Filippi Filippo III e Filippo IV che mentre, contribuivano senza limiti alle glorie del Prado, continuavano la rapida dissipazione delle loro eredità asburgica. Glli Stuart in Inghilterra stavano seminando i germi del regicidio e della guerra civile che avrebbe portato alla decapitazione di Carlo I Stuart. Nella Francia, pur esausta dalla lotta di religione, il potere del re si andava rafforzando per l'abilità e la disciplina dei due cardinali primi ministri e Mazzarino Richelieu. La Svezia sotto Gustavo Adolfo andava minacciando l'autorità Imperiale spingendo la sua influenza dalla Scandinavia fino ai più lontani confini. Maria Cristina di Svezia e lasciò sgombra la scena in vista di dar sfogo alla sua passione per l’arte e divenne la regina dei collezionisti e degli amatori d’arte della capitale pontificia. L'Olanda gustava i frutti dell'oligarchia mentre sotraeva pacificamente all'Inghilterra e alla Francia il commercio del Mondo Nuovo. Alle Fiandre toccava lo strano compito di tenere per il meglio e per il peggio la bilancia del potere nella prima metà del XVII secolo Questo era lo stato dell’arte nell’Europa nel quale il giovane Rubens divenne ambasciatore. I suoi impegni politici non gli impedirono di dedicarsi alla sua produzione artistica. Egli eseguì la sua prima missione di Spagna, poi tornò a Mantova dove per quattro anni servì duca Vincenzo Gonzaga dedicandosi allala pittura e ai suoi interessi umanistici, di studioso e di collezionista. Visitò Venezia, Roma, Genova, la corte del Granduca di Toscana ed acquistò una favolosa raccolta di pitture e statue che non pagò con denaro ma con lo scambio di proprie opere. Aveva già raggiunto una grande fama e quindi potè pattuire con grande margine di discrezionalità. Nel 1608 tornò ad Anversa per iniziare una dei più produttivi periodi della sua vita. Nel 1609 sposò Isabella Brandt e costruì un palazzo di stile italiano del quale è conservata una descrizione fatta circa 40 anni dopo la sua morte.quando il palazzo era passato alla famiglia Canon Max Rose ha pubblicato una descrizione dell'interno e dell'esterno del palazzo. Questa era la situazione culturale e sociale in cui vivevano gli artisti intorno al 1650 - 1700. Sarebbe improbo tentare un confronto con la contemporaneità.
piergiorgio firinu
Uno sguardo al passato per capire il presente.
Ho spesso sottolineato che l'arte è condizionata e condiziona la società nel suo insieme. Montesquieu nel suo libro più noto “Lo spirito delle leggi”, evidenzia come il modo di educare, il modo di amministrare, la giustizia, la forma del matrimonio e della famiglia, la compagine della politica interna ed esterna, tutto sia importante, e influisca, modifichi profondamente la stessa esistenza delle persone e incida sulla cultura e l’arte. E’ chiaro che l'arte subisce forti condizionamenti dalle situazioni. Dare uno sguardo al passato può aiutarci a capire il presente. Quando Guicciardini, visitando Anversa nel 1560, racconta che nella città ci sono 300 artisti 169 Fornai 78 macellai da un quadro importante della realtà socio-culturale. Tuttavia non si deve credere che i floridi borghesi delle Fiandre preferiscono soddisfare gli occhi più che lo stomaco. La popolarità dell'arte risaliva a vecchia data, gli artisti per due secoli e più avevano ricevuto sostegno economico dai Conti delle Fiandre e del Bramante, soprattutto dei Duchi di Borgogna. Nella corte di Filippo il Buono, colui che aveva fondato l'ordine del Toson d'oro nel 1429, la cavalleria era giunta alla sua ultima e splendida fioritura, e l’arte era più viva che mai. Nel secolo XV al principio del XVI la capitale era Bruges, nonostante Gand, la città dov’era nato Carlo V, e Ypres, fossero i centri più ricchi dell’industria fiamminga. Dopo la sconfitta e la morte di Carlo il Temerario nel 1477, Anversa si innalzò sopra le ceneri della cultura borgognona francese a una posizione di assoluta supremazia. Ciò che distingue Rinascimento dei Paesi Bassi da quello italiano è la diversità dal punto di vista verso il soggetto e dell'artista verso la società. Nel nord non c'era stata una tradizione monumentale classica. Un'arte come quella del Medioevo era il prodotto dell' entusiasmo religioso e di un gusto per il lusso: una vita cortigiana in cui gli estremi del misticismo e del rozzo materialismo si toccano. I fratelli Van Eyck si può dire avessero chiuso il periodo del medioevalismo nell'arte, anzichè aver aperto la porta del Rinascimento. In questo breve cenno al passato abbiamo la percezione, quasi respiriamo, l’atmosfera di una società orientata a uno sviluppo che tenga conto delle esigenze non solo materiali. C’è inoltre da rilevare come la cultura civile maturata in lungo lasso di tempo, abbia inciso profondamente nell'attività e nello sviluppo dell'arte dei secoli successivi. Se facciamo un raffronto con la società contemporanea, appare evidente il grande abisso, il vuoto, di una società pervasa da una cultura funzionale, basata esclusivamente su immanenza e apparenza. Per nascondere le molte defaillance la cultura si richiama al multietnico, al meticciato, dimenticando che ogni cultura ha radice nei luoghi e nelle circostanze in cui nasce. Gli escamotage della modernità sembrano la via più breve per cancellare quello che resta della cultura dell’occidente.
piergiorgio firinu
Roberto Grossatesta, metafisica della luce.
Dal 1235 alla morte, l'inglese Roberto Grossatesta (1168 - 1253) è stato, oltre che uomo di chiesa, teologo, filosofo e scienziato, colui che affrontò la teoria della luce e indagò un tema che sembra avere radici molto lontane, nelle religioni indoiraniche e nel mito del dio sole. Per il pensiero occidentale sono importanti, soprattutto i riferimenti alla tradizione biblica. La luce è stata il primo prodotto della creazione. Il pensiero platonico e neoplatonico greco nella luce simboleggia il movimento del soprasensibile nella sua diffusione ed espansione di grado in grado fino a disperdersi nel sensibile della materia fisica e metafisica, la sostanza della luce così eterea semplice, è qualcosa di intermedio tra l'intelligibilità del pensiero e la materialità del mondo corporeo terrestre. Grossatesta raccoglie da Sant'Agostino questo tema e lo elabora in connessione anche con la ripresa, già in atto nel secolo XII, delle dottrine più esplicitamente neoplatoniche dello pseudo-dionigi nell'ambito di una conoscenza sempre diffusa della filosofie e della scienze arabe, ebraiche e medievali. La metafisica neoplatonica della luce si apparenta a una cosmologia che già in Sant'Agostino aveva affrontato nei suoi studi sulla Genesi e delle scienze fisico-matematiche nell'ottica della geometria aritmetica. A tutto questo si riallaccia Grossatesta nella sua cosmologia che è originale per l'accostamento tra la genesi e la filosofia di Aristotele, anche se, a differenza dello stagirita, c’è l'impiego della matematica alla maniera platonica. Il pensiero di Grossatesta si esprime con vivacità e con ampiezza tematica che abbraccia tutto il pensiero che il vescovo scienziato ha della cosmologia, della geometria e dell’ottica. Egli indugia anche nella spiegazione fisica di fenomeni come l'iride, approfondisce gli studi della metafisica, si interessa di antropologia. E’ assorto nel tentativo di approfondire anche i grandi problemi inerenti alla forma, la potenza, l'atto visto nella sua casualità, tema di recente affronto da Bachelard. La ricerca della verità che può essere contenuta nella conoscenza l'epistemologia. Neppure il difficile e mai risolto tema del libero arbitrio è trascurato dal Grossatesta negli anni in cui ebbe la cattedra ad Oxford. Molto vicino all'ordine dei francescani , iniziava con lui nel Medioevo europeo una tradizione che pur possiamo chiamare inglese nell'accostamento che egli operava tra le tematiche scientifiche e quelle mistiche e spirituali. Temi che dopo di lui vennero affrontati da Duns Scoto e Ockham. Il tema della luce è argomento che, sia pure in un ottica diversa, coinvolge, o dovremmo dire coinvolgeva l’arte, prima che l’epistemologia dell’arte venisse abbandonata a favore della tecnica, produzione seriale e industriale. Ma questa è un'altra storia.
piergiorgio firinu
Mondo sensibile, mondo intellegibile.
Il sistema dell'arte contemporanea, avendo perso lo slancio che deriva dalla forza spirituale che alimenta l'immaginazione, agisce come uno specchio che riflette le immagini ma non le crea. E’ come una sorta di monade che nulla accoglie da fuori ma produce ed elabora tutti i suoi contenuti. Secondo la legge peculiare hortus clausus, un privilegio che l’artista, o presunto tale, si concede, ma nel farlo confonde accumulo con conoscenza, ludico con creativo. Una sorta di illusorio Panopticon dell'abbondanza. Per alimentare simile circo Barnum della banalità mondana, non serve la cultura basta il know-how tecnico e/o l’abilità cartellonistica, gli artisti come Olafur Eliasson creano effetti speciali, una sorta trompe l’oeil da videogiochi. Tutto ciò cancella lo spirito che nutre la vera creatività. Restano immagini dell' immanenza mondana, spesso riflesso di accattivanti perversioni formali, capaci di stimolare la pruderie di cui sono afflitti impotenti e frigide. Prevale il mundus sensibilis sul mundus intelligibili, due mondi nettamente separati da una cesura nella quale si annida il ludico. Si continua ad elogiare il frammentato e confuso sistema dell’arte, coltivando illusioni sulla durata del fenomeno dell’arte contemporanea. In realtà trattasi di qualcosa di simile alle bolle di sapone tenute sospese da una forza cenegetica di accaparramento speculativo. E’ quasi certo che tutto ciò si tradurrà in un colossale debacle dopo la quale, forse, l'arte riacquisterà il proprio significato, ma non prima di aver spazzato via la serie di ectipi che ingombrano musei gallerie. Una vera arte non si potrà mai fondare su aspetti puramente materiali, non si dà vita alla materia facendosi assorbire da essa. Abbiamo rinunciato alla definizione dell'arte, ci accontentiamo della descrizione. Scrive Diderot: “ Beato quel filosofo al quale natura diede doti come a Epicuro. Lucrezio, come Aristotele e Platone, dotati di una fantasia felice, una grande eloquenza e l’arte di presentare le proprie idee con immagini efficaci e sublimi”. Non è certo il caso della maggioranza dei filosofi dell’arte. Hegel affrontò il tema dell’arte dopo avere sostenuto che: “la filosofia è la realtà appesa al filo del pensiero”. Forse gli artisti oggi hanno perso quel filo e con esso la capacità di porre la realtà di fronte a se stessa, rendendola fruibile e comprensibile dando pregnanza alle immagini. Per Bachelard “l’arte semplifica il reale e complica la ragione”, è compito dell’artista usare la ragione e la sensibilità per creare il reale nel quale vorremmo vivere.
piergiorgio Firinu
Le lacrime di Klee
Il pensare si realizza per immagini. Le immagini contengono pensiero. Per questo le arti visive costituiscono il terreno naturale del pensiero visuale. Trattare l’arte come pensiero visuale può sembrare arbitrario. Certamente l’arte adempie ad altre funzioni. Abbandonati quasi del tutto i canoni di bellezza, armonia, ordine, l’arte continua a svolgere la funzione di rendere visibili cose sulle quali di solito non si sofferma l’attenzione. Se la creazione della bellezza creava problemi di selezione e di organizzazione, non meno difficile è rendere visibile l’invisibile tanto più oggi che gli strumenti del comunicare l’arte si sono andati moltiplicando. Bill Beckley un giorno mi disse: “l’artista è come un radar, capta segnali e li trasmette dopo averli resi intelligibili”. Penso avesse ragione. Ma le motivazioni dell’agire non sono altruistiche, spesso nascono da ragioni personali. Quando Paul Klee scrive nel suo diario: “ io creo pour ne pas pleurer”; questa è la prima e ultima ragione”, è evidente che i disegni e i quadri di Klee sono serviti a un artista tanto grande, un essere umano tanto intelligente come alternativa al pianto chiarendogli quali fossero le ragioni del pianto, come si potesse vivere quella situazione malgrado tutto. Dunque l’arte come forma di maieutica, alimenta la forza per affrontare la realtà. Forse è questa la ragione vera che spiega perché un artista lavora soprattutto per se stesso, anche se il risultato del suo lavoro è fruito da un gran numero di persone. Importante il modo com’è fruita l’opera d’arte. In questo senso, se si escludono eccessi e improvvisazioni, l’arte contemporanea ha il merito di avere ridimensionato l’aura dell’arte, conciliandola con la riflessione. Fruire in modo completo di un opera d’arte significa appropriarsene. L’oggetto arte, il cui possesso è conteso con somme ingenti di denaro, è cosa morta se non comunica. Se comunica, in un certo senso, il possesso è superfluo, se non per la vanità del possessore. Conserviamo nella mente le visioni di opere che amiamo, esse rischiarano momenti bui della vita. Come ci impossessiamo attraverso la lettura del contenuto di un libro, così può essere per l’opera d’arte. Questo è forse l’unico possesso possibile. Trasformare le opere in feticci significa volgarizzarle, far loro violenza, pietrificarle a valore venale. Nociva l’ammirazione disgiunta dalla comprensione. Sulla strada della conoscenza l’arte non è una realtà separata, ma essenziale nutrimento della nostra sensibilità. .
piergiorgio firinu
Accenni a studi sulla creatività
Forse non è il cervello il vero luogo della evoluzione umana, Gaston Bachelard si pone la domanda ma resta vago nella risposta. Il germoglio terminale dello slancio Vitale con le sue molteplici connessioni, non ha forse dell'organo delle innumerevoli possibilità quando adopera la suggestiva espressione di campi di forza creati nell'immaginazione dallo spostamento di due immagini diverse, non ci spinge forse, in un certo senso, a dinamizzare i rapporti delle idee e conferire all'idea forza un senso sempre più pregnante? Allora tutto è ormai definito, l'anima, corpo, persino il mondo nel quale cerchiamo di oggettivare la nostra esistenza. Le grandi nobili suggestioni che inducono a confrontarci con una realtà globale che l'artista ritornerebbe a trovare con gioia in una filosofia originale del creare al fine di comprendere l'evoluzione intellettuale e farla propria. Converrebbe prestare attenzione al pensiero, sempre alla ricerca di occasioni dialettiche, per uscire dai propri confini, rompere i propri quadri, insomma, il pensiero che tenta di oggettivarsi. Allora non è possibile concludere che un tale pensiero sia creatore? Che sia la spinta psicologica che guida? E’ un fatto che spesso le idee più ardite, feconde, sono dovute a artisti e scienziati giovanissime dei quali potremmo fare un lungo elenco a partire da Antoine-Laurent de Lavoisier, ghigliottinato durante la rivoluzione francese del 1789, per finire a Albert Einstein che scopri la relatività ristretta a 25 anni. L’elenco di artisti che dettero il meglio di se prima dei trent’anni sarebbe ancor più lungo A confronto della realtà contemporanea nella quale i giovani sembrano sempre alla ricerca di supporti e giustificazioni. L’idea che possa esistere una intuizione creativa trova conforto nella giovane età di artisti e scienziati che, per ragioni biografiche, non potevano avere ne molta esperienza e neppure ampia conoscenza. I filosofi si sono cimentati nel tentativo di indagare la creatività. Martin Heidegger in “L’origine dell’opera d’arte”(1950) , nel suo stile di scrittura piuttosto tortuoso, ha esaminato il rapporto dell’artista con l’opera e dell’opera con l’artista. Non pare abbia gettata luce utile per chiarire il problema. Risultato non migliore ha ottenuto Edward O. Wilson con “Le origini della creatività”(2017) che ha posto l’accento sull’uso delle metafore. In breve l’essere umano, i suoi pensieri, la creatività restano oscure ombre in fondo alla mente che cerca di conoscere la natura, ma ha difficoltà a capire se stessa.
piergiorgio firinu
Nulla è più complesso del semplice.
Vorrei accennare brevemente a un argomento che ho più volte trattato, parlo di tecnologia e arte. Non si può non ricordare che la nuova tendenza filosofica mette in discussione la razionalità di Cartesio proprio nel momento in cui la civiltà è avviata a una sempre maggiore tecnicalità e all’uso della intelligenza artificiale. Qualunque possa essere l’opinione in merito, non è possibile negare a questi nuovi approcci un carattere di aridità razionale. Condannato Cartesio, resta in atto la prassi che egli ispira. Vi è inoltre un altro paradosso; si celebra la natura e si condanna la dottrina che vede nella natura l’ispiratrice del più semplice spirito dell’arte e, sulla nuova rappresentazione, si innescano riferimenti semantici grazie ai quali il nuovo spirito dell'arte risulta sconvolto. Se tutto ciò che riguarda l'intuizione non può più essere, tout court, ascritta a un impulso primigenio, è pur vero che un impulso creativo ci deve pur essere. Anche perché se l’ispirazione non può più essere considerata “primitiva”, nel senso di spontanea, è chiaro che è resa possibile la codificazione dell’arte che in questo modo perde definitivamente la propria ontologia. Valutando il fondamento dualistico, tecnica- sapere, va tenuto conto della società nella quale gli artisti vivono, della cultura che essi assimilano insieme alla superficialità tecnicistica diffusa. Tutte le nozioni fondamentali possono in un certo modo essere sdoppiate, fino al realizzarsi di una saturazione informativa nella quale l’eventuale residualità complementare dell'intuizione è proceduta da una scelta che la snatura e gli conferisce una sorta di ambiguità epistemologica che si pone alla base della nuova realtà dell’arte nella quale anche la creatività è aridamente programmata. La descrizione artistica assume il carattere immediato dell'evidenza senza che sia negata nè turbata dalla conseguente banalità. Cartesio non credeva nell'esistenza di elementi assoluti, egli pensava che la capacità di razionalizzare la realtà fosse un aiuto per comprenderla. Elementi concepiti dall’idea e arricchiti dalla esperienza creativa, l’obiettivo dovrebbe essere raggiungere il più alto grado di chiarezza con l’uso di elementi semplici individuabili attraverso l’osservazione. Come espresso molto bene da Depréel, “la verità dimostrata”, egli scrive, “non si sostiene costantemente sulla propria evidenza, bensì sulla dimostrazione”. Vien fatto di domandarsi se, alla luce della psicologia della nuova arte, è ancora lecito richiamarsi alla spirito, ovvero se l’arte oggi non sia puramente e semplicemente metodologia . Così “l’adattamento creativo”, sarebbe quasi esclusivamente un adattamento alla normalità produttiva, con buona pace della pretesa intuizione. Gli oggetti condizionano l’idea, non l’idea gli oggetti, essi sono resi estranei all'idea chiara e distinta, la relazione tra gesto e oggetto affidata ad un automatismo produttivo. Nulla è più cartesiano che la lenta modificazione spirituale imposta dalle successive approssimazioni dell'esperienza. La genuina semplicità preserva dal cadere nel banale come invece appare oggi la povera concezione dell’arte che si rifugia nella tecnologia per l’incapacità di rappresentare la realtà in tutta la sua complessità
piergiorgio firinu
La permanenza dell'Essere.
La contemporaneità È ossessionata dal nuovo, dal cambiamento, abbiamo dimenticato quanto la cultura greca ci ha trasmesso. Ciò che veramente è non può mutare, sostenevano i greci. L'esistenza del cambiamento prova quindi una mancanza di “vero essere” ciò che i greci talvolta chiamavano per mettere in rilievo le deficienze sostanziali: “non essere”. I vari gradi di apprensione intellettuale corrispondono con le loro forme logiche ai gradi di conoscenza, l'ordinamento gerarchico dei soggetti nella loro gradazione qualitative di essere. Il linguaggio idiomatico inglese usa spesso la parola “whole”, intero, e “perfet”, perfetto. Intero e perfetto come sinonimi, in contrapposizione a rotto, parziale, imperfetto e superfluo. Si avverte che l'intuizione che si c'era in tale identificazione è relativa distinzioni che ebbe un valore determinante per la cosmologia e per la teoria dell'essere dei Greci. La cultura greca nei suoi atteggiamenti peculiari aveva carattere specificatamente estetico, le opere d'arte sono totalità qualitative. i loro pezzi staccati assumono puro carattere fisico. L'urna greca, come la statua. il tempio greci erano opere d'arte complete che noi consideriamo finite nella misura, limite. Sono fissati rapporti e proporzioni che sono il contrassegno di tutto ciò che veramente è. Tali oggetti o soggetti sono sostanze fornite di disegno e forma in senso oggettivo il mutamento la suscettibilità di variazioni non sono viceversa misurabili e ci sono segni della presenza dell'indefinito. Il finito il definito, il completo, sono tali grazie ha limiti e misure fissate, il mutamento come tale sfugge alla espressione intellettuale dei filosofi greci. Esso può essere conosciuto solo nella misura in cui può essere compreso instabile confine che semina il suo inizio e la sua fine o conclusione oggettiva Cioè nella misura in cui il mutamento tende a muoversi verso un limite finale immutabile, il mutamento è conosciuto, in altre parole, soltanto in quanto compreso in limiti stabili dal punto di vista della conoscenza delle forme logiche. E’ cosa sensibile, particolare, parziale, mentre il tutto misurato definito da limiti e irrazionale. Il sillogismo è la forma di inclusione completa è di due tipi uno sia è incluso sia ciò che lo limita e include è permanente nell'altro ciò che posto all'interno dei limiti dati per se stessi, un processo di mutazione ovvero fisico, non razionale.
piergiorgio firinu
Codice della creatività.
I due momenti dell'arte, nel suo farsi e nel linguaggio che la esprime, non sempre coincidono. Renato Boccali da anni svolge attente ricerche sulla estetica delle immagini in Gaston Bachelard. Nel 2012 ha pubblicato “L’éthique et la main”. Libro estremamente interessante che affronta il rapporto tra etica ed arte. Il tema della manualità è stato affrontato in modo scientifico più ampio da Leroi-Gourhan in “Il gesto e la parola” , due volumi pubblicati da Einaudi nel 1964. Il libro traccia un percorso storico e scientifico sulla manualità, la mano, guidata dall'intelletto e dal sapere, protagonista dello sviluppo della civiltà. Essa forma, costruisce, crea. Il gesto creativo è sintesi di manualità e pensiero. Prevale la tendenza a utilizzare la tecnica in sostituzione della mano, nel lavoro e nell'arte. La manualità è stata per millenni base della creazione artistica, è apertamente rifiutata dagli artisti contemporanei che si servono di tecniche industriali. In particolare gli artisti statunitensi fanno da tempo largo uso della riproducibilità e produzione industriale. D’altra parte realizzare parallelepipedi di ferro di grandi dimensioni non c’è altro modo se non i sistemi dell’industria. Carl Andre, Claes Oldemburg, Walter De Maria, Richard Serra sono alcuni degli artisti che usano tali sistemi di produzione. Altri artisti si affidano alle nuove tecnologie, creano ambienti con effetti speciali simili a quelli che vediamo nei film. L’artista surrealista svedese Erik Johansson presentò una mostra nella quale realizzò una sorta di sole artificiale, dimostrando abilità tecnica notevole. Bill Viola rielabora la proiezione di capolavori del passato e crea immagini che proietta con effetti suggestivi. Con l'avvento della intelligenza artificiale anche il cervello umano è costretto a cimentarsi con nuove sfide. Lo racconta Marcus Du Sautoy nel libro: “Codice della creatività”. Tutti questi rivolgimenti hanno una ricaduta nella realtà antropologica perché modificano l’approccio culturale delle masse e incidono sull’ Etica per una pluralità di ragioni. Compito dell’artista non è mostrare il reale, ma dimostrarlo. La produzione manuale, in generale lenta, permette che azione e riflessione vadano di pari passo. La riflessione comporta un più diretto coinvolgimento emotivo nella creazione, gli intervalli del pensiero scanditi dal gesto implicano emozioni che la fredda tecnologia non favorisce. La conseguenza dell’uso della tecnologia è il prendere forma di una epistemologia antitetica al tradizionale processo creativo dell’arte. Si attiva un meccanismo mentale che a lungo andare produce una lenta graduale disumanizzazione e determina una sorta di neutralizzazione emotiva. Questo processo è visibile nell'arte plastica, ma molto di più nel cinema. Nella produzione cinematografica un posto di primo piano è occupato dalla di realtà virtuale, personaggi virtuali creati in laboratorio sono i protagonisti dei film. C’è da osservare che tale processo ha avuto inizio con i fumetti che hanno abituato i ragazzi ad appassionarsi a personaggi immaginari creati dalla matita del fumettista e diventati veri e propri eroi nell'immaginario collettivo, non solo degli adolescenti. Anche Edward O. Wilson affronta il tema della creazione artistica con il libro: “Le origini della creatività”, pubblicato nel 2017. Egli parte dai primordi quando i nostri antenati con grande abilità costruivano flauti utilizzando le ossa di uccelli. Con Homo habilis, 2,3 milioni di anni fa, ebbe inizio la brusca svolta della nostra specie. Ma questa è tutta un'altra storia.
piergiorgio firinu
Dietro l’immagine filosofia e mito.
Cassirer sosteneva che l'uomo è un animale simbolico. La simbologia si inquadra in una certa disciplina sociale nella quale appare a volte il riferimento a una relazione ambigua con il naturalismo che includerebbe anche i comportamenti degli animali. In realtà naturalismo e simbolismo sono antitetici, ed è improprio usare l’espressione “simbolismo animale”. Altra caratteristica degli esseri umani, messa in luce da Aristotele, è la propensione alla socialità. Grazie a questa tendenza è stato possibile lo sviluppo della civiltà. Tutto ciò che è cultura deve essere visto in termini di relazioni a partire dal linguaggio. L’arte è forse la forma più evoluta di relazione, specie quando è espressa attraverso la comunicazione iconica che esprime i temi umanistici descritti da Erwin Panofsky nei sui studi di iconologia attraverso i quali riusciamo a capire l’oggetto nel quale è compresa la realtà culturale contenuta nella significazione del termine “iconologia”. Altra funzione e significato è espresso nella “iconografia”. Nella prima abbiamo una ricca messe di significati storico-culturali, nella seconda la semplice descrizione dei segni. Il suffismo “grafia” deriva dal verbo greco graphein, scrivere, sta a significare un modo di procedere puramente descrittivo, spesso addirittura statistico. L’iconografia è perciò una descrizione e classificazione delle immagini, come l’etnografia è una descrizione e classificazione delle razze umane; è cioè uno studio limitato, per così dire, ancillare, nel senso che certi determinati temi trovano formulazione visiva attraverso forme al servizio di un superiore significato. Alla luce di quanto esposto appare chiaro che tante celebrate opere di arte contemporanea rientrano a pieno titolo nella iconografia come pura narrazione segnica di ordinaria estemporaneità. Pensiamo, esempio, alla Pop Art. L'arte è una attività e socialmente condizionata, è influenzata e influisce sulla cultura sociale. La povertà dell’arte contemporanea deriva anche dalla assenza di simbologia, che, come abbiamo scritto, è il tema della iconologia. La connessione dell’arte con i simboli implica la trasmissione di cultura ben oltre l’estemporaneità della forma. La funzione del simbolo e le relazioni dei simboli tra loro sono propri del linguaggio dell’arte rinascimentale e costituiscono i termini della funzione che la simbolizzazione artistica espleta. Non è un caso che la pittura rinascimentale si richiamasse, e fosse ispirata, dalla mitologia e dalla filosofia. Pico della Mirandola e Benivieni erano ispiratori di molte opere, così come Ficino e Plotino. Il regno della natura non ancora contaminato dall’industria e dal consumo era oggetto di studi che hanno segnato la nascita della civiltà occidentale. Il movimento neoplatonico a Firenze, più in generale nell’Italia settentrionale, era l’humus che stimolava e nutriva l’arte nel suo momento di maggiore fulgore. Quando Luca Cranach rappresenta un Cupido che si benda, è ispirato dagli insegnamenti platonici, in quel semplice gesto, l’artista esprime l’essenza dell’amore platonico che non è attratto dal corpo. Cupido ci dice che è possibile amare un’idea. Va da se che siamo lontani anni luce dalla contemporaneità così immersa nella materia che ha espulso dal linguaggio e dall’arte tutto ciò che ha costituito stimolo alla crescita umana prima del tracollo nella modernità.
piergiorgio firinu
Dietro l’immagine filosofia e mito.
Cassirer sosteneva che l'uomo è un animale simbolico. La simbologia si inquadra in una certa disciplina sociale nella quale appare a volte il riferimento a una relazione ambigua con il naturalismo che includerebbe anche i comportamenti degli animali. In realtà naturalismo e simbolismo sono antitetici, ed è improprio usare l’espressione “simbolismo animale”. Altra caratteristica degli esseri umani, messa in luce da Aristotele, è la propensione alla socialità. Grazie a questa tendenza è stato possibile lo sviluppo della civiltà. Tutto ciò che è cultura deve essere visto in termini di relazioni a partire dal linguaggio. L’arte è forse la forma più evoluta di relazione, specie quando è espressa attraverso la comunicazione iconica che esprime i temi umanistici descritti da Erwin Panofsky nei sui studi di iconologia attraverso i quali riusciamo a capire l’oggetto nel quale è compresa la realtà culturale contenuta nella significazione del termine “iconologia”. Altra funzione e significato è espresso nella “iconografia”. Nella prima abbiamo una ricca messe di significati storico-culturali, nella seconda la semplice descrizione dei segni. Il suffismo “grafia” deriva dal verbo greco graphein, scrivere, sta a significare un modo di procedere puramente descrittivo, spesso addirittura statistico. L’iconografia è perciò una descrizione e classificazione delle immagini, come l’etnografia è una descrizione e classificazione delle razze umane; è cioè uno studio limitato, per così dire, ancillare, nel senso che certi determinati temi trovano formulazione visiva attraverso forme al servizio di un superiore significato. Alla luce di quanto esposto appare chiaro che tante celebrate opere di arte contemporanea rientrano a pieno titolo nella iconografia come pura narrazione segnica di ordinaria estemporaneità. Pensiamo, esempio, alla Pop Art. L'arte è una attività e socialmente condizionata, è influenzata e influisce sulla cultura sociale. La povertà dell’arte contemporanea deriva anche dalla assenza di simbologia, che, come abbiamo scritto, è il tema della iconologia. La connessione dell’arte con i simboli implica la trasmissione di cultura ben oltre l’estemporaneità della forma. La funzione del simbolo e le relazioni dei simboli tra loro sono propri del linguaggio dell’arte rinascimentale e costituiscono i termini della funzione che la simbolizzazione artistica espleta. Non è un caso che la pittura rinascimentale si richiamasse, e fosse ispirata, dalla mitologia e dalla filosofia. Pico della Mirandola e Benivieni erano ispiratori di molte opere, così come Ficino e Plotino. Il regno della natura non ancora contaminato dall’industria e dal consumo era oggetto di studi che hanno segnato la nascita della civiltà occidentale. Il movimento neoplatonico a Firenze, più in generale nell’Italia settentrionale, era l’humus che stimolava e nutriva l’arte nel suo momento di maggiore fulgore. Quando Luca Cranach rappresenta un Cupido che si benda, è ispirato dagli insegnamenti platonici, in quel semplice gesto, l’artista esprime l’essenza dell’amore platonico che non è attratto dal corpo. Cupido ci dice che è possibile amare un’idea. Va da se che siamo lontani anni luce dalla contemporaneità così immersa nella materia che ha espulso dal linguaggio e dall’arte tutto ciò che ha costituito stimolo alla crescita umana prima del tracollo nella modernità.
Lo spirito dell’arte.
Quanto può far pensare la difficoltà che lo spirito dell'arte resti sostanzialmente identico attraverso le più profonde rettifiche è dato dal fatto che nel pensiero dell'arte non si considera nel giusto valore la funzione sociale. E’ stato ripetuto infinite volte che l'arte è un linguaggio, un mezzo di espressione che ci siamo abituati a considerare come utensile a disposizione di una ragione paziente. In realtà non ne siamo padroni,nel senso,che la comprensione è resa complessa dalle infinite ermeneutiche più o meno motivate. Le idee che l’arte tenta di trasmettere articolando la forma del reale o creando immaginarie realtà, è preceduta, si suppone, dall’articolazione del pensiero soggetto alla segmentazione, non sempre consapevole di stesso. All’origine il segno poteva avere un significato che rifletteva la magia spirituale dell'atto evocativo. E’ questo il fascino delle le prime immagini grafite sui muri delle caverne, la loro forza suggestiva nel costituirsi in narrazione tra reale e immaginario. Oggi il significato dell’arte non ha nulla di magico, ma è affidato a teorie ermeneutiche inutilmente complesse, spesso prive di costrutto logico formale. Per esempio, ammettendo che l'idea di astrazione sia un'idea semplice,chiara, si può dire che le espressioni artistiche non fanno che richiamarsi a particolari colori senza forma e senza significato. Tutto è giustificato con l’apodittica tesi che l'intuizione primaria dell'artista giustifica gesto e forma. Le nuove teorie non tengono in nessun conto lo spirito dell'arte e si allontanano da ogni residua ingenuità. L’insieme della produzione artistica è diventata, in un certo senso, più omogenea, interamente presente nel conformismo della prevalenza, senza impegno reale nella ricerca di originalità formale. L’espressione formale non è comprensibile in se stessa, ma piuttosto in quanto aderente al conformismo diffuso. E’ assente lo sforzo che costituisce la ricerca dell'espressione, la sola che permette la realizzazione di un fenomeno artistico compiuto. Non si può trasmettere alcuna conoscenza senza la padronanza e originalità dello strumento della comunicazione. Se volessimo situarci sistematicamente dal punto di vista psicologico,non potrebbe sfuggirci la reazione dello strumento dell'arte il cui artefice ignora la stessa funzione della propria azione. Appare chiaro allora che l'uomo artista sostituisce l'uomo faber senza che la sua azione abbia nessuna tensione e sappia utilizzare in modo adeguato lo strumento tensoriale. Egli è un mirabile operatore di generalità acquisite nel maneggiare nuove possibilità tecniche. Manca il pensiero frutto di esperienze compiute nella fatica del confronto, rifiutando la scorciatoia di una simbologia artificiosamente costruita in adeguamento al mainstream corrente. La nuova arte relativistica si esprime in un unico simbolo il cui significato designa mille caratteri di una realtà banalizzata da superficialità e ripetizione, nascosta al pensiero legato a un programma di esperienze da realizzare cercando i simboli che uniscono il possibile. Per creare potremmo forse sbloccare le immagini di Mallarmè la loro lunghezza d'ispirazione, l'accento Vergine si pensa come qualcosa che avrebbe potuto essere, senza mai trascurare idealmente nessuna delle possibilità che volano intorno alla figura artistica e appartengono all'originale anche contro la verosimiglianza.
piergiorgio firinu
Lo spirito dell'Arte.
Quanto può far pensare la difficoltà che lo spirito dell'arte resti sostanzialmente identico attraverso le più profonde rettifiche è dato dal fatto che nel pensiero dell'arte non si considera nel giusto valore la funzione sociale. E’ stato ripetuto infinite volte che l'arte è un linguaggio, un mezzo di espressione che ci siamo abituati a considerare come utensile a disposizione di una ragione paziente. In realtà non ne siamo padroni,nel senso,che la comprensione è resa complessa dalle infinite ermeneutiche più o meno motivate. Le idee che l’arte tenta di trasmettere articolando la forma del reale o creando immaginarie realtà, è preceduta, si suppone, dall’articolazione del pensiero soggetto alla segmentazione, non sempre consapevole di stesso. All’origine il segno poteva avere un significato che rifletteva la magia spirituale dell'atto evocativo. E’ questo il fascino delle le prime immagini grafite sui muri delle caverne, la loro forza suggestiva nel costituirsi in narrazione tra reale e immaginario. Oggi il significato dell’arte non ha nulla di magico, ma è affidato a teorie ermeneutiche inutilmente complesse, spesso prive di costrutto logico formale. Per esempio, ammettendo che l'idea di astrazione sia un'idea semplice,chiara, si può dire che le espressioni artistiche non fanno che richiamarsi a particolari colori senza forma e senza significato. Tutto è giustificato con l’apodittica tesi che l'intuizione primaria dell'artista giustifica gesto e forma. Le nuove teorie non tengono in nessun conto lo spirito dell'arte e si allontanano da ogni residua ingenuità. L’insieme della produzione artistica è diventata, in un certo senso, più omogenea, interamente presente nel conformismo della prevalenza, senza impegno reale nella ricerca di originalità formale. L’espressione formale non è comprensibile in se stessa, ma piuttosto in quanto aderente al conformismo diffuso. E’ assente lo sforzo che costituisce la ricerca dell'espressione, la sola che permette la realizzazione di un fenomeno artistico compiuto. Non si può trasmettere alcuna conoscenza senza la padronanza e originalità dello strumento della comunicazione. Se volessimo situarci sistematicamente dal punto di vista psicologico,non potrebbe sfuggirci la reazione dello strumento dell'arte il cui artefice ignora la stessa funzione della propria azione. Appare chiaro allora che l'uomo artista sostituisce l'uomo faber senza che la sua azione abbia nessuna tensione e sappia utilizzare in modo adeguato lo strumento tensoriale. Egli è un mirabile operatore di generalità acquisite nel maneggiare nuove possibilità tecniche. Manca il pensiero frutto di esperienze compiute nella fatica del confronto, rifiutando la scorciatoia di una simbologia artificiosamente costruita in adeguamento al mainstream corrente. La nuova arte relativistica si esprime in un unico simbolo il cui significato designa mille caratteri di una realtà banalizzata da superficialità e ripetizione, nascosta al pensiero legato a un programma di esperienze da realizzare cercando i simboli che uniscono il possibile. Per creare potremmo forse sbloccare le immagini di Mallarmè la loro lunghezza d'ispirazione, l'accento Vergine si pensa come qualcosa che avrebbe potuto essere, senza mai trascurare idealmente nessuna delle possibilità che volano intorno alla figura artistica e appartengono all'originale anche contro la verosimiglianza.
piergiorgio firinu
La luce, tra scienza e arte.
Dobbiamo ammettere che il senso comune spesso è fallace. Lo dimostra, tra l’altro,l’esame della riflessione luminosa. L'idea della riflessione così chiara nella impressione apparente, risulta poi complessa se entriamo nello specifico ed esaminiamo la sostanza dell'irradiamento luminoso. E’ facile cogliere in questo esempio l'inefficacia epistemologia delle idee semplici del tipo cartesiano, quando queste idee siano attinte da una intuizione immediata nella quale sono prevalenti gli insegnamenti dell'esperienza relativi alla geometria elementare. L’esperimento comune dello specchio, a cui si riferisce Bachelard nel libro “Il nuovo spirito scientifico” è a prima vista così semplice chiaro distinto,così geometrico da potersi situare alla base della condotta artistica, dello stile medesimo che caratterizza la mentalità dell’artista e, forse, in misura minore, anche della persona comune. E’ stata mostrata la grande superiorità del bambino il quale non ha esperienza alcuna, eppure comprende quasi sempre il significato dell'azione che compie, mentre il cane, intanto non accumula sapere e certo non sa servirsi dell’esperienza. Lo schema di pensiero artistico è tanto primitivo da sembrare difficilmente analizzabile dal punto di vista psicologico. Così gli esordienti si stupiscono spesso per l'insistenza del docente che suggerisce di accompagnare l’atto con attenta riflessione. Oggi la pittura è parte residuale dell’arte, forse per questo quasi sempre l’artista trascura o ignora che la luce è corpo e sostanza della pittura. E’ curioso come ben prima dell’arte la scienza abbia affrontato il problema dell'azzurro del cielo, del firmamento, dei reali ostacoli posti alla necessità di capire come si forma. C'è chi ha sostenuto che l'aria in strati sottili non è azzurra mentre in strati più profondi diventa azzurra Questa è una delle tante intuizioni smentite dalla scienza. L'azzurro è anche interpretato matematicamente ed è stato, abbiamo detto,tema del pensiero scientifico del quale non è possibile esagerare l'importanza. D’altra parte nell’arte non sembra che la realtà sia molto presente nella sua forma fenomenica, questo non significa ritrarre manici di scopa o omini tristi in una stanza di albergo. La realtà non è così determinante per il nuovo spirito dell'arte che si dissolve in frammenti tecnici. Alcuni secoli fa il cielo stellato che ci sovrasta era oggetto di attrazione e fascino. Oggi esaminiamo il fenomeno luminoso, il cielo e altre realtà senza avere la capacità di opporci al piatto schematismo che induce al conformismo. Non siamo in grado di tentare, attraverso il pensiero razionale e creativo, di affrontare i concetti che sono sintesi delle esperienze e rettificano le osservazioni superficiali. La somma di esperienza, ragione e creatività sono gli ingredienti indispensabili per realizzare un’opera d’arte che abbia forma e significato. L’epistemologia dell’arte, se compresa, aiuta a meglio educare la psicologia del linguaggio artistico collocando l’azione nella giusta dimensione spazio-tempo. Quale poeta ci darà la metafora di questo nuovo linguaggio dell’arte? In che modo arriveremo a rappresentarci l'associazione del temporale con il senso culturale e storico? Quale visione Suprema dell'Armonia ci permetterà di conciliare la ripetizione nel tempo della simmetria dello spazio del quale l’opera occupa un frammento, ma il cui significato si espande nello spazio mentale di chi osserva? Sono aspetti estremamente interessanti. Quando l'artista si propone di rappresentare qualcosa di universale, dovrebbe forse meglio meditare.
piergiorgio firinu
Natura dell'artista, natura dell'arte.
Ipotizzare che il pensiero geometrico sia l'essenza stessa della ragione umana, come sostiene Bachelard, è una forzatura che non tiene conto che la ragione agisce in molti campi, si attua in molti modi a prescindere dal pensiero geometrico. Limitando il discorso al campo dell’arte plastica appare chiaro che gli artisti contemporanei anziché approfondire la parte scientifica dell’arte affrontata da maestri come Piero Della Francesca, Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, hanno, per così dire, capovolto il tavolo e cancellato secoli di storia dell’arte. Non hanno certo approfondito le teorie di Euclide, tanto meno la rielaborazione in chiave eretica della geometria fatta da Lobatchewsky. Eppure la geometria ha un ruolo importante nella disciplina artistica. L’artista si orienta in quanto condizionato da fattori diversi mai stati analizzati profondamente, come spesso accade, seppelliti sotto cumuli di speciose elaborazioni teoriche. Ci si potrebbe chiedere: tutti possono fare gli artisti? Ma tutti sono artisti? Qui entriamo nell'antro oscuro delle forzature culturali suggerite o imposte anche dalla ideologia; in primis dal dall’idea di uguaglianza contro il quale si scaglia Nietzsche, il supporto ipocrita di una società di disuguali,non scalfito da Max Stirner con il suo voluminoso libro “ L’unico e la sua proprietà”. Neppure la sociologia dell'arte ha affrontato il tema. Arnold Hauser nei due volumi “Storia sociale dell’arte” pubblicati da Einaudi nel 1956 tratta la collocazione dell’arte nella società ma non approfondisce l’ontologia dell’artista, la sua attenzione si concentra solo sul tema dell'arte nella società. L'individuo artista è condizionato dalla società in cui nasce, dalla cultura che lo forma. L'esame di questi aspetti può aiutare a capire la genesi culturale dell'arte statunitense. Gli studiosi danno grande importanza al contesto relativo dell'arte africana, asiatica, cinese,per l’arte degli stati uniti si presume sia una branca della cultura europea. Cos’ non è, le differenze tra le due realtà culturali sono molte. La giovane nazione americana, non avendo un background storico artistico paragonabile a quello dell'Europa, ha dovuto inventarsi riferimenti e schemi culturali propri. Questo ci riporta quanto abbiamo scritto sopra, cioè alla indeterminata natura dell'artista e quindi dell'arte. Su questo snodo ha fatto perno una certa cultura per sviluppare teorie ancipiti. Filosofi e critici dell'arte statunitensi hanno creato veri e propri anacoluti concettuali poi supportati dalla potenza politica, economica e dal patriottismo americano. La città di New York, la più europea delle città americane, ha costituito il crogiuolo nel quale è avvenuta la commistione tra le avanguardie europee e la cultura americana. Non dobbiamo dimenticare che Duchamp e molti altri artisti europei, russi e di altre realtà culturali hanno trovato entusiastica accoglienza in America. Aline B. Saarinen nel libro “I grandi collezionisti americani” affronta il tema. Come sostiene György Lukàcs: “l’arte non basta a se stessa”, ignorando questa indicazione è soprattutto la cultura americana ha incrementato il kitsch nell’arte, ormai accettato ed esaltato perché, come scrive Hartmann “ l’uomo contemporanea ama il kitsch, compra il kitsch, perché è kitsch”.Questo è quindi l’inevitabile approdo della nostra civiltà con cultura artistica approssimativa a cui fa riscontro un consumo compulsivo.
piergiorgio firinu
Siamo animali intelligenti?
La filosofia di Schopenhauer è davvero ricca di contraddizioni per esporre le quali dovrei scrivere un trattato. Mi limiterò a brevi considerazioni concentrandomi sul nucleo centrale del pensiero del filosofo. Schopenhauer nel suo libro più importante, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, considera la volontà l’essenza stessa della natura umana, animale, vegetale. In pratica assegna alla volontà la funzione che circa un secolo dopo Henri Bergson assegna a èlan vital, l’impulso creativo che muove l’evoluzione. Schopenhauer arriva a sostenere che la volontà è eterna. Siccome la volontà guidata dalla ragione è prerogativa umana, mentre la volontà intesa come della natura alla base dello sviluppo ed evoluzione naturale è legata a fattori climatici, ne deriva che, assumendo che, per ragioni ambientali, come è successo su Marte, la vita si estingua, si estinguerebbe anche la vita umana,quindi la volontà cesserebbe di esistere, ergo non è eterna. Ma non è la sola argomentazione apodittica di Schopenhauer. La scienza che affronta il tema dell’evoluzione dell’universo ci dice che i pianeti sono soggetti a radicali cambiamenti dovuti alle graduali evoluzioni del sistema planetario. Ci dice anche che noi conosciamo solo il 5% dell’Universo, tutto il resto è materia oscura. Di fronte a questa evidenza scientifica l’antropocentrismo di Schopenhauer sfiora il ridicolo, a maggior ragione la sua tesi secondo cui la volontà è eterna, a parte la difficoltà di definire il concetto di eternità. Va pur detto che, nella nostra ansia antropocentrica siamo arrivati a creare un dio al quale abbiamo dato le nostre sembianze. Questo sembra indicare che l’intelligente pazzia dell’uomo non ha limiti. Bisogna riconoscere che è molto più umilmente intelligente la poesia. Shakespeare mette in bocca ad Amleto la famosa frase: “ Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”. Schopenhauer avrà letto Amleto? L’arte, specie l’arte plastica, vista in un’ottica planetaria è ben poca cosa, anche in questo caso si spreca l’enfasi di autoesaltazione. Si costruisce un altare di parole in cima al quale poniamo tutto ciò che è umano. Arriviamo a considerare arte anche il nostro sterco, nobilitato con artifizi retorici. In realtà il nostro agire è spesso un fischiare nel buio per tenere a bada la paura di vederci per quello che realmente siamo: animali intelligenti ma dissoluti.
piergiorgio firinu
Siamo animali intelligenti?
La filosofia di Schopenhauer è davvero ricca di contraddizioni per esporre le quali dovrei scrivere un trattato. Mi limiterò a brevi considerazioni concentrandomi sul nucleo centrale del pensiero del filosofo. Schopenhauer nel suo libro più importante, “Il mondo come volontà e rappresentazione”, considera la volontà l’essenza stessa della natura umana, animale, vegetale. In pratica assegna alla volontà la funzione che circa un secolo dopo Henri Bergson assegna a èlan vital, l’impulso creativo che muove l’evoluzione. Schopenhauer arriva a sostenere che la volontà è eterna. Siccome la volontà guidata dalla ragione è prerogativa umana, mentre la volontà intesa come della natura alla base dello sviluppo ed evoluzione naturale è legata a fattori climatici, ne deriva che, assumendo che, per ragioni ambientali, come è successo su Marte, la vita si estingua, si estinguerebbe anche la vita umana,quindi la volontà cesserebbe di esistere, ergo non è eterna. Ma non è la sola argomentazione apodittica di Schopenhauer. La scienza che affronta il tema dell’evoluzione dell’universo ci dice che i pianeti sono soggetti a radicali cambiamenti dovuti alle graduali evoluzioni del sistema planetario. Ci dice anche che noi conosciamo solo il 5% dell’Universo, tutto il resto è materia oscura. Di fronte a questa evidenza scientifica l’antropocentrismo di Schopenhauer sfiora il ridicolo, a maggior ragione la sua tesi secondo cui la volontà è eterna, a parte la difficoltà di definire il concetto di eternità. Va pur detto che, nella nostra ansia antropocentrica siamo arrivati a creare un dio al quale abbiamo dato le nostre sembianze. Questo sembra indicare che l’intelligente pazzia dell’uomo non ha limiti. Bisogna riconoscere che è molto più umilmente intelligente la poesia. Shakespeare mette in bocca ad Amleto la famosa frase: “ Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio,di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”. Schopenhauer avrà letto Amleto? L’arte, specie l’arte plastica, vista in un’ottica planetaria è ben poca cosa, anche in questo caso si spreca l’enfasi di autoesaltazione. Si costruisce un altare di parole in cima al quale poniamo tutto ciò che è umano. Arriviamo a considerare arte anche il nostro sterco, nobilitato con artifizi retorici. In realtà il nostro agire è spesso un fischiare nel buio per tenere a bada la paura di vederci per quello che realmente siamo: animali intelligenti ma dissoluti.
Manualità e pensiero
I due momenti dell'arte, nel suo farsi e nel linguaggio che la esprime, non sempre coincidono. Renato Boccali da anni svolge attente ricerche sulla estetica delle immagini in Gaston Bachelard. Nel 2012 ha pubblicato “L’éthique et la main”. Libro estremamente interessante che affronta il rapporto tra etica ed arte. Il tema della manualità è stato affrontato in modo scientifico più ampio da Leroi-Gourhan in “Il gesto e la parola” , due volumi pubblicati da Einaudi nel 1964. Il libro traccia un percorso storico e scientifico sulla manualità, la mano protagonista dello sviluppo della civiltà, guidata dall'intelletto e dal sapere, forma, costruisce, crea, il gesto creativo è la sintesi di manualità e pensiero. Oggi la tecnica tende a sostituire la mano nel lavoro e nell'arte. La manualità è stata per millenni base della creazione artistica, oggi è apertamente rifiutata dagli artisti che si servono di tecniche industriali, in particolare gli artisti statunitensi fanno da tempo largo uso della riproducibilità e produzione industriale. D’altra parte realizzare per parallelepipedi di ferro di grandi dimensioni non c’è altro modo se non i sistemi dell’industria. Carl Andre, Claes Oldemburg, Walter De Maria, Richard Serra sono alcuni degli artisti che usano tali sistemi di produzione. Altri artisti si affidano alle nuove tecnologie, creano ambienti con effetti speciali simili a quelli che vediamo nei film. L’artista surrealista svedese Erik Johansson presentò una mostra nella quale realizzò una sorta di sole artificiale, dimostrando abilità tecnica notevole. Bill Viola rielabora la proiezione di capolavori del passato e crea immagini che proietta con effetti suggestivi. Con l'avvento della intelligenza artificiale anche il cervello umano è costretto a cimentarsi con nuove sfide. Lo racconta Marcus Du Sautoy nel libro: “Codice della creatività”. Tutti questi rivolgimenti hanno una ricaduta nella realtà antropologica perché modificano l’approccio culturale delle masse e incidono sull’ Etica per una pluralità di ragioni. Compito dell’artista non è mostrare il reale, ma dimostrarlo. La produzione manuale, in generale lenta, permette che azione e riflessione vadano di pari passo. La riflessione comporta un più diretto coinvolgimento emotivo nella creazione, gli intervalli del pensiero scanditi dal gesto implicano emozioni che la fredda tecnologia non favorisce. La conseguenza dell’uso della tecnologia è il prendere forma di una epistemologia antitetica al tradizionale processo creativo dell’arte. Si attiva un meccanismo mentale che a lungo andare produce una lenta graduale disumanizzazione e determina una sorta di neutralizzazione emotiva. Questo processo è visibile nell'arte plastica, ma molto di più nel cinema. Nella produzione cinematografica un posto di primo piano è occupato dalla realtà virtuale, personaggi virtuali creati in laboratorio sono i protagonisti dei film. C’è da osservare che tale processo ha avuto inizio con i fumetti che hanno abituato i ragazzi ad appassionarsi a personaggi immaginari creati dalla matita del fumettista e diventati veri e propri eroi nell'immaginario collettivo, non solo degli adolescenti. Anche Edward O. Wilson affronta il tema della creazione artistica con il libro: “Le origini della creatività”, pubblicato nel 2017. Egli parte dai primordi quando i nostri antenati con grande abilità costruivano flauti utilizzando le ossa di uccelli. Con Homo habilis, 2,3 milioni di anni fa, ebbe inizio la brusca svolta della nostra specie. Ma questa è tutta un'altra storia.
piergiorgio firinu
La difficoltà delle scelte, tra ragione ed emozione.
Nell’ansia antropologica che ci spinge continuamente a celebrare noi stessi, nonostante gli immani disastri che la nostra specie ha provocato nel pianeta, non riusciamo a cogliere la natura dei cambiamenti ai quali siamo soggetti. La scuola di massa ha, per certi versi, aggravato la situazione,diffondendo una pseudo cultura in base alla quale tutti hanno diritto di esprimere le proprie opinioni anche se non motivate o frutto di spurie teorie fondate per lo più su un esasperato solipsismo che può contare su giustificazioni teoriche basate sul principio di libertà. Letteratura, arte, politica, sono il portato di questa approssimazione culturale inquinata dalla globalizzazione e da una velleitaria pretesa di uguaglianza che si traduce in un progressivo livellamento verso il basso di ogni attività umana. La I.A. ha aggravato la situazione demandando ad automatismi tecnico matematici molte attività e decisioni. Il sistema finanziario, dal quale dipende il benessere di milioni di persone, è in larga misura affidato a logaritmi. L’arte ha rinunciato da tempo alla manualità che dovrebbe essere una caratteristica della produzione artistica. Al progresso della tecnica si associa una certa idea sociale della libertà e dei diritti individuali. La femminilizzazione della società ha una parte non secondaria nello stato della società attuale. Tutto si basa su stereotipi culturali diffusi. Masse etero dirette inconsapevoli delle loro azioni costituiscono la realtà sociale di oggi. Come è stato scritto, se una pietra che cade per il principio di gravità pensasse riterrebbe di cadere per propria volontà. Nessuno meglio di Shakespeare con la forza della poesia ha affrontato il problema costituito dalla difficoltà di prendere decisioni. Scrive Schopenhauer: “Per una mente debole il pensiero è altrettanto faticoso quanto lo è per un braccio debole sollevare un peso”. Vi è una forza della natura che prescinde dal pensiero e condiziona l’agire umano; Platone e Aristotele hanno affrontato sotto il profilo filosofico la capacità umana di autodeterminarsi. La questione del libero arbitrio ha occupato le acute menti dei filosofi senza approdare a nulla. Goethe, in “Le affinità elettive” tratta il tema della attrazione che condiziona la volontà. Egli si serve della metafora degli elementi chimici, processo naturale, e mette a confronto con quanto avviene tra esseri umani. Anche per individui intellettualmente dotati è difficile sottrarsi al dominio delle passioni. Hume sosteneva che la ragione è al servizio delle passioni. In realtà la ragione, essendo un fragile processo del pensiero, soccombe sotto la pressione degli istinti animali primari. Questo avviene per l’aggressività, che nei casi estremi porta alle guerre, avviene nella sessualità, ed anche è stimolo all’egoismo.
piergiorgio firinu
La filosofia della felicità
La “felicità” è uno dei temi affrontati dalla filosofia, uno dei tanti che non ha trovato una definizione, un senso, che possa essere condiviso. L’arte evidenzia la difficoltà di esprimere un’ idea di felicità perché la raffigurazione è necessariamente legata al corpo umano con i suoi limiti. L’impossibilità di definire ed esprimere la felicità consiste nella frammentarietà temporale. Il “ carpe diem” di Orazio. Per Schopenhauer la felicità è negativa. E’ l’idea già espressa da Erodoto: “ Non c’è mai stato al mondo uomo che non si sia augurato di non vedere l’indomani”. Vale anche per i grandi intellettuali l’affermazione: “Quot capita, tot sententiae” . C’è chi, come Locke , lega la felicità al rispetto delle regole morali all’interno del circolo delle relazioni.L’amante che tradisce svilisce se stessa e offende l’amato. La più semplice definizione della felicità è “non aver bisogno di nulla se non di se stessi”. Il problema è che per raggiungere questo stadio di autonomia sarebbe necessario possedere una notevole quantità di stoicismo o di cinismo. Diogene arringava la folla gridando “Ehi, uomini!”, e , all’accorrere di molti, li respinge sprezzante “Uomini chiamai, non canaglie” . Epitteto considerava Diogene, insieme a Socrate, il suo modello di riferimento. Epicuro insegnava che il piacere è ridotto a ben piccola cosa, ma di questa piccola cosa finiamo per essere schiavi. Per crearsi un alibi gli umani hanno inventato la parole “amore” che, quando si riferisce al rapporto tra i sessi, è un altro modo di definire l’attrazione sessuale. E’ di pochi l’incapacità di resistere alle pulsioni del corpo. In non poche donne vi è un aumento in misura morbosa dell’istinto sessuale che si configura come “ninfomania”. Gassendi sostiene a chiare lettere che l’amore è connesso strutturalmente al piacere. E’ infatti le teorie di Platone sull’amore, il cosiddetto “amore platonico” , non hanno trovato e non trovano molto seguito. Non diversa sorte ebbero le teorie di Plotino secondo cui : “ Lo stato felice consiste esclusivamente nella capacità contemplativa”. Non è chiaro come e perché i filosofi costruiscono teorie che sembrano dimenticare che l’uomo è un animale generalmente incapace di tenere a bada i propri impulsi, se si escludono rarissime eccezioni di persone che hanno raggiunto il dominio di se stessi. Senza indulgere al pessimismo di Schopenhauer , non c’è dubbio che la felicità è per tutti gli umani molto più rara di quanto lo siano i momenti di sconforto e di dolore. Alla radice c’è sicuramente l’incapacità di auto dominio, di indirizzare le proprie energie mentali verso obiettivi capaci di dare senso alla propria vita. Se è vero che l’arte non riesce a raffigurare la felicità, è altrettanto vero che le biografie degli artisti sono le narrazioni di incontinenza e squilibrio tali da spiegare perché la felicità non è compagna dell’arte.
piergiorgio firinu
Dialettica Negativa.
Bialobrzeski sostiene che la scienza contemporanea si differenzia nettamente dalle dialettiche filosofiche perché non è una costruzione a priori e traduce il discorso seguito dalla conoscenza della natura. La dialettica filosofica, quella di Hegel, per esempio, procede per opposizione fra la tesi e l’antitesi e dalla loro fusione in una nozione superiore della sintesi. In fisica, le nozioni sono unite non contraddittorie e sono complementari . In breve, la conoscenza scientifica procede per accumulo, senza cesure. Esattamente l’opposto di quanto è avvenuto nel campo dell’arte a partire dalle avanguardie di fine ‘800 che hanno accampato la apodittica pretesa di negare validità al pregresso. La cosiddetta filosofia dell’arte, soprattutto di matrice statunitense, elabora una serie di teorie valutative il cui apporto gnoseologico è di fatto nullo. La radice di una deviazione dialettica va forse cercata in Bachelard quando tenta di valorizzare la negazione attraverso un razionalismo dialettico con pretese di complementarietà. I filosofi dell’arte mettono insieme teorie spurie spigolando qua e là nel vasto campo della filosofia negativa. Anche Leon Rosenfeld uno dei divulgatori della cosiddetta interpretazione di Copenaghen , sostiene che si è avvezzi a considerare le contraddizioni logiche come cosa da evitare a favore di un sistema coerente. Egli respinge l’assunto, più precisamente sostiene la generalizzazione attraverso la negazione. Canguilhem tenta di introdurre la libertà di variazione piuttosto che la volontà di negazione. Ma ormai il processo di sovvertimento logico è avviato e in questo pescheranno a piene mani i cosiddetti filosofi dell’arte. Anche per Geymonat e Redondi l’esito filosofico avanzato del pensiero bachelardiano è espresso da quella dialettica negativa che conduce a rifiutare precedenti forme di conoscenza. Il guaio è fatto, anche perché a differenza del campo scientifico nel quale vi è comunque una verifica esperienziale, l’arte non ha vincoli epistemologici nè verifica codificata dell’esito ontologico. Il risultato è la creazione di un esercito di epopte che con il coraggio dell’ignoranza assaltano la cittadella dell’arte e, parafrasando Tacito, distruggono ogni cosa, creano un deserto di pensieri e la chiamano libera creatività.
piergiorgio firinu
L’oro di re Mida e la verità di Sileno.
In “Nascita della tragedia” Nietzsche scrive: “Io sono convinto dell’arte come compito più alto della vera metafisica di questa vita” . In realtà egli si riferiva a un’arte che ha cessato di esistere con l’avvento delle avanguardie. Fu un atto di estrema ignoranza e insieme di presunzione pretendere di cancellare l’epistemologia dell’arte. Pierre Hadot sottolinea come l’abbandono della trascendenza a favore della totale immanenza abbia amputato la parte creativa degli esseri umani. Il modello etico dei contemporanei si riduce a una estetica dell’esistenza, una forma di dandismo di massa incolto e tutto sommato triste. Gli antichi consideravano apollinea l’arte della scultura e più ingenerale figurativa, dionisiaca l’arte musicale. Appare ovvio che quando l’arte si affida ai ready made, per ciò stesso rinuncia a creare a favore del recuperare attraverso la parola i resti della produzione di massa. Schopenhauer indica come segno distintivo dell’artista l’attitudine di rendere naturale il sogno traducendolo in forma. Apollo, come dio di tutte la capacità figurative, e insieme divinanti, corrisponde alla sua radice etimologica che significa “ splendente”, la divinità della luce, domina anche la bella parvenza del mondo greco e forse fornisce l’estro a Zeusi, Parrassio e gli altri geni che hanno lasciato la loro impronta in una civiltà che è stata lievito dell’occidente prima dell’avvento dei Lumi. Forse l’Arcadia, vissuta o immaginata, è stata solo uno sprazzo di luce subito spento dalla nostra ingordigia di esistere. Un’antica leggenda narra che re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dionisio. Quando lo raggiunse il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Dopo un lungo silenzio Sileno sbottò in un sorriso beffardo e disse: Siete una stirpe miserabile ed effimera, figli del caso e della pena, meglio per voi sarebbe stato non essere mai nati. Oggi Apollo, Dionisio, Sileno, tutta la schiera di dei inventati per consolarci nel buio esistenziale al quale non sappiamo attribuire un senso, sono stati cancellati, così il pensiero creativo e la sapienza della filosofia umanistica che ha tentato inutilmente di raddrizzare il legno storto
dell’umanità.
piergiorgio firinu
L'impossibilità di guardare il cielo.
La saggezza è la condizione per perseguire la virtù. Questo spiega perché la virtù non ha più diritto di cittadinanza nella società contemporanea della quale l’inganno è la cifra. Significativo ciò che scrive Rabelais in proposito, soprattutto in riferimento agli inganni dei legulei. L’argomento è ripreso da Dickens. L’accostamento tra sapere e virtù è ampiamente trattato nell’’antica cultura Vedica e nella filosofia pitagorica. Entrambe le scuole sostenevano quanto può essere pericoloso il sapere quando è posseduto da persone malvagie e corrotte. Forse per questo Antistene prendeva a bastonate chi si proponeva come suo discepolo. Posato il bastone di Antistene la filosofia cinica, o meglio il cinismo tout court con venature di nichilismo, è dilagato nella società materialistica e edonistica di oggi. Massimo esempio, l’uso decettivo della parola si realizza nella filosofia dell’arte nella quale si elaborano tesi spurie che sono semplicemente propedeutiche al mercato, e hanno contributo alla morte dell’arte che da più di un secolo non è in buona salute. Di certo il materialismo edonistico è la base stessa di una società basata sul consumo e la stimolazione del desiderio del consumo nel sistema sociale malato nel quale viviamo. Noi non possediamo desideri, sono i desideri a possedere noi. E’ curiosa l’etimologia di desiderare, significa scendere da una stella, de sidere. Peccato che la produzione che alimenta e soddisfa il consumo abbia oscurato e inquinato il cielo. Ma forse siamo sempre più simili al maiale che è stato associato ai filosofi epicurei , i famosi porci di Epicuro, perché la conformazione anatomica non consente loro di alzare la testa al cielo, del quale c’è da presumere non abbiamo molto interesse, così come per le masse vagolanti della in-civiltà contemporanea.
piergiorgio firinu
Comunicazione e visione.
L’ultima provocazione nell’iter della deriva dell’arte contemporanea, sembra essere una banana fermato sul muro con uno scotch. Ciò che deprime non è il gesto di un poveretto in cerca di visibilità, ma lo spazio che viene dato dai media, addirittura con un servizio Tv su questo atto. Questo si inquadra nella più generale modalità di comunicazione che privilegia volgarità e cattivo gusto. Forse dovremmo chiederci: cosa sappiamo di come viene visto, in particolare dai bambini, un programma tv, un film, una rivista illustrata? Porsi questa domanda è d’importanza cruciale per tentare di capire i risvolti culturali e psicologici prodotti dalla comunicazione. Purtroppo chi organizza il palinsesto tv si preoccupa quasi elusivamente dell’ audience, chi produce film ha come unico fine il guadagno.. Diamo per scontato che tutti, bambini inclusi, sappiano trarre il giusto significato dalle immagini. Per esempio film che presentano fatti di guerra con scene cruente, scene di sesso. E’ diffusa l’apodittica convinzione che ogni esser umano abbia imparato fin dalla nascita a guardare il mondo in un ottica razionale, si suppone quindi che non abbia difficoltà a decodificare le immagini traendo da esse gli aspetti istruttivi positivi. A parte la difficoltà anche per una persona esperta a trovare aspetti positivi dalle immagini di assoluto squallore che cinema tv trasmettono in continuazione, la lettura delle immagini ha carattere estremamente soggettivo. Anche attraverso le immagini si produce omologazione, si stimola lo spirito gregario che è parte di ciascuno di noi, in breve, si incoraggiano gli aspetti peggiori al solo fine di lucro. Tutto questo è noto da tempo, eppure la situazione sembra peggiorare ogni giorno. Attualmente, gli spettacoli più disgustosi della tv americana, sono anche quelli di maggiore successo. Segno evidente degli effetti negativi che i media in generale e la tv particolare hanno sugli ascoltatori. E a proposito dell’uso della comunicazione, è significativo che in un periodo di femminismo trionfante, a Torino le rivendicazioni delle donne vengono collocate in luogo malfamato e di spaccio, i Murazzi del Po. Cosa significa questo? Che le donne che si rivolgono agli spacciatori africani per acquistare le dose vogliono essere rispettate e fare sesso solo se lo vogliono? Considerato l’importanza della donna nella società tutto questo appare di uno squallore e di una tristezza assoluti e certo non induce a essere ottimisti per il futuro.
piergiorgio firinu
La farmacia di Platone.
Il contrasto Platone/Aristotele viene utilizzato da certo modernismo preso dal prurito delle estreme differenze e pulsioni, pronto a distribuire i segni meno/più all’arte, filosofia , politica. Un atteggiamento di contrasto, come quello delle avanguardie, può diventare rituale svuotandosi di forza propulsiva, andando incontro alla perdita di significato. L’opposizione Platone/Aristotele non costituisce un’eccezione; ricorda quei rituali che adottano sistemi antitetici su un medesimo aspetto. Ai giorni nostri lo scatenarsi dionisiaco non è che maniera; le più audaci provocazioni, i più “spaventosi” scandali non hanno più il potere di stupire. Al pari della tragedia, il testo filosofico funziona come giustificazione a posteriori, i mali spiegati, mai risolti. Tentavi di espulsione, perpetuamente ripresi che non giungono mai a conclusione. E’ quello che a mio parere dimostra in modo abbagliante il saggio di Jacques Derida “La pharmacie de Platon”. La dimostrazione è imperniata sull’uso rivelatore della parola pharmakon. Il pharmakon platonico funziona esattamente come il pharmakos umano con analoghi risultati, è il perno di voltafaccia decisivi per la divisione tra cattiva sofistica e buona filosofia. Oggi, in qualsiasi situazione che scivoli verso la tragedia, ci solo anti-eroi. La funzione dell’eroe, prigioniera di stilemi militari, di coraggio, è falsata, rende quasi accettabile l’affermazione di Beltolt Brecht “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” , ma allo stesso modo non ha bisogno di artisti, di filosofi, di tutte quelle figure che rimuovono con il loro esempio le incrostazioni delle umane debolezze e per ciò stesso costituiscono una differenza che i tempi non tollerano. A meno che gli artisti non si adattino, i filosofi offrono pretesti per giustificare le aberrazioni della modernità. Il reale è da descrivere, non da costruire o costituire. Ma il segno dell’arte oggi non esprime che se stesso, cerca nella confusione di una cultura estemporanea e superficiale di adeguarsi, l’artista, preso da se stesso, non dilata l’immaginazione partendo dal reale, ma tenta pateticamente di adattare il reale alla propria immaginazione, cerca tutto ciò che giustifica modi di essere senza scopo. Questo vale soprattutto quando finge di andare contro mentre in realtà stuzzica la pruderie del pubblico. Non basta avere “esperienza di se stessi”, di questa coscienza che noi siamo: su tale esperienza si misurano i significati di confronto espressi dal linguaggio dell’arte, è questa esperienza elaborata e partecipata che fa si che il linguaggio voglia dire qualcosa non solo per noi. Le essenze di Husser riconducono a se tutti i rapporti dell’esperienza, come la rete porta i pesci dal fondo del mare. Io mi protendo verso un mondo e percepisco un mondo, a patto che non mi perda nell’esperienza di me. Se non so distinguere i miei sogni dalla mie percezioni, il fenomeno mondo mi sfugge. Poiché siamo nel mondo siamo condannati al senso, nulla possiamo fare o dire che non assuma un nome. L’arte è la realizzazione della verità, o almeno il tentativo collegare esperienza e possibilità.
piergiorgio firinu
Simboli del pensiero nella forma.
“Gettare con”, “mettere insieme”, “far coincidere” Simbolo è infatti originariamente il mezzo di riconoscimento consentito dalla due metà di una moneta o di una medaglia spezzata L'analogia dovrebbe mettere in guardia i compilatori di lessici filosofici. Si hanno due metà di una cosa di cui l'una sta per l'altra, aliquid stat pro aliquo, come avviene in tutte le definizioni classiche del segno e tuttavia le due metà della moneta realizzano la pienezza della loro funzione solo quando si ricongiungono. Costruire un'unità, questa sarebbe l'interpretazione simbolica, l'etimologia di simbolo. Qualcuno distingue tra simboli intellettuali e simboli emotivi. Marilyn Monroe simbolo del sesso e della bellezza. In questo caso il simbolo è per così dire posticcio, scade nell’opinione. Suzanne Langer in “Feeling and Form” critica vari usi confusi del termine simbolo e si richiama alla necessità filosofica di definirlo meglio. Lo stesso interdetto definizionale si ritrova in “Anatomy of Critism” di Northrop Frye. Argomento affrontato anche da Delacroix che cita l’esempio della volpe come simbolo di astuzia. Mary Douglas dedica un intero volume ai natural symbols ed esordisce affermando che la natura deve essere espressa in simboli. Un altro classico dell’antropologia simbolica “From Ritual to Romance” di Jessie L. Weston, che ha fornito spunto per l’utilizzo di simboli al poeta Thomas Eliot. La Weston sostiene che i simboli funzionano in un sistema di relazioni reciproche. Raymond Firth denuncia le equivocità dell’uso che viene fatto da molta letteratura e dalla stampa quotidiana. Anche Lévi-Strauss afferma che ogni cultura può essere considerata un insieme di sistemi simbolici. Chi più di altri ha elaborato il tema è stato Ernest Cassirer nel libro “Filosofia delle forme simboliche” nel quale afferma: “Il simbolo non è un rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il suo organo necessario ed essenziale”. Julia Kristeva ha affrontato il tema evidenziando le differenze terminologiche e sostenuto che il simbolo è un insieme di processi primari , scariche energetiche e pulsioni. Per la Kristeva il simbolico non è quello che molti assegnano alla simbologia dell’arte. Vale qui rilevare che, come sostiene Husserl, anche attività che hanno carattere tecnicistico, l’arte è pur sempre una attività che si realizza attraverso una componente tecnica, tuttavia persiste la tentazione del ricorso alla teoresi, non sempre in coerenza con la forma. Il simbolo mette in gioco qualcosa che non è stato ancora codificato e spesso provoca effetti che l’autore non aveva previsto.
piergiorgio firinu
Creatività e consapevolezza.
Quale rapporto esiste, se esiste, tra creatività e consapevolezza? Per consapevolezza non s’intende una sorta di responsabilità etica, ma più semplicemente l’automotivazione che giustifica l’agire dell’artista. John Searle ha proposto un esperimento mentale chiamato “La stanza cinese” . Immaginiamo una persona chiusa in una stanza con un manuale di istruzioni che indica una risposta appropriata per ogni scritta in caratteri cinesi che venga messa davanti. Disponendo di un manuale sufficientemente ampio la persona nella stanza potrebbe sostenere una discussione in lingua cinese senza comprendere una sola parola della lingua mandarina. Questo esperimento, studiato per dimostrare i limiti della I.A. in realtà pone in discussione anche l’intelligenza naturale e tutte quelle prerogative che solitamente vengono associate alla creatività. In altre parole un artista può agire senza conoscere realmente il tema che tratta. Un esempio potrebbe essere l’opera sui numeri di Fibonacci realizzata da Mario Merz. Come è noto i numeri di Fibonacci , (Leonardo Pisano detto il Fibonacci -1170 – 1242) definita anche successione aurea, consiste in una sequenza di numeri ottenuta sommando insieme i due numeri precedenti. Senza inoltrarci nei dettagli, quello che vorremmo rilevare è un possibile nesso tra una teoria matematica e un’opera d’arte. Quale era il livello di conoscenza matematica dell’artista? La difficoltà di definire cos’è la creatività rende difficile stabilire cos’è l’arte. Il problema non si risolve certo con le dozzinali argomentazioni di certi filosofi statunitensi. Se l’arte è un linguaggio, cioè una condensazione di significati, dovremmo presumere che debba avere una propria autonomia. Per Frank Kafka “ il linguaggio non è che una mediocre traduzione” , il problema resta il contenuto della traduzione a meno che tutto si riduca ai giochi linguistici di cui parlava Wittgenstein. La natura dell’arte, nella sua forma migliore dovrebbe permettere di integrare sensazioni e informazioni in una esperienza unificata. La stanza cinese di Searle, immaginata come critica alla I.A. in realtà ci mette di fronte a verità scomode che ridimensionano il mito dell’artista come ispirato demiurgo.
piergiorgio firinu
La bellezza come premio.
L’arte dovrebbe essere ispirata dalla curiosità del mondo di cui facciamo parte, assumere l’impegno di portare un contributo positivo. Il premio per questo impegno non dovrebbe essere il denaro, il potere, ma la bellezza. Nella città di Dio, Agostino si richiama alla Mente suprema, o Logos, noi abbiamo imparato a dare spiegazioni sull’ordine della natura, e abbiamo costruito con raffinati strumenti matematici teorie che spiegano ciò che ..”muove il sole e le altre stelle…” . Purtroppo conosciamo solo il 5% della materia della quale è fatto l’Universo. C’è in questo una palese contraddizione. La scoperta della meccanica quantistica ha modificato riferimenti matematici considerati validi per secoli. Possiamo escludere che possa emergere una realtà che la scienza non ha ancora scoperto? Per quanto concerne il piccolo mondo dell’arte ci troviamo di fronte al paradosso accettato senza riserve, ciò che dovrebbe essere se non bello, quanto meno significativo e profondo , non può essere generato da ciò che è brutto, insignificante, superficiale. La Rivoluzione industriale ha visto il trionfo della materia sul pensiero, l’epistemologia culturalmente in armonia con “On the Origin of Species” (1859), fu il primo passo per eliminare la mente come principio esplicativo. Oggi si evidenziano i frutti di un sistema produttivo sbagliato che ha dato origine a un sistema sociale iniquo. A questo ha contribuito la caratteristica degli umani la cui forza sta nell’adattamento, la cui vulnerabilità sta nell’adattamento. Se riuscissimo a osservare con distacco la società contemporanea, volgarità, eccessi, sprechi, ignoranza, forse potremmo avere un impulso di rifiuto. Purtroppo, complice cultura e comunicazione, noi siamo chiusi all’interno di una metaforica bolla di inconsapevolezza, non abbiamo la minima reazione, trasciniamo la nostra infelicità come inevitabile. L’arte è stata inglobata totalmente nel meccanismo di consumo ludico che costituisce finalità a se stesso. Per gli artisti l’unica forma di contestazione efficace sarebbe il silenzio e la rinuncia a produrre opere. L’artista ha lo scopo conscio di poter vendere la sua opera, ma nella realizzazione egli dovrebbe avere sufficiente energia mentale per sottrarsi alla contingenza sociale. Questo,temo, avviene sempre più raramente, le lusinghe della mondanità e del denaro condizionano pesantemente l’artista la cui capacità creativa, se e quando è posseduta, non lo rende più forte.
piergiorgio firinu
L'originalità è un valore?
Nel 2006 il finanziere messicano, David Martinez, pagò in una asta 140 milioni di dollari per il dipinto di Jackson Pollock denominato No.5,1948. Chi conosce le modalità di realizzazione delle opere di Pollock non può non rimanere incredulo di fronte a simili eccessive valutazioni. Ovviamente dietro a tale risultato c’è la serie di considerazioni critiche e filosofiche delle opere dell’artista statunitense. Uno studioso della Università dell’Oregon, Richard Taylor, ha rivelato che i dipinti realizzati da Pollock con la tecnica del dripping hanno un procedimento caotico dovuto a vari fattori tra i quali il fatto che quando l’artista realizzava le sue opere era spesso in stato di euforie alcolica e pertanto il cinetismo era piuttosto instabile. Ciò che distingue il processo produttivo degli artisti, da Goya a Pollock, è il modo in cui il colore viene applicato sulla tela. Questo comporta il verificarsi di strani paradossi tra i quali spicca un aspetto paradossale, gli studiosi che utilizzano l’I.A. e tramite algoritmi riescono a realizzare copie di dipinti di grandi maestri, per esempio opere di Antoon van Dyck, si trovano in difficoltà nel riprodurre le opere di Pollock. La ragione dovrebbe essere cercata nel fatto che le opere di Pollock, simili a frattali, non rispondono a un preciso metodo nella applicazione del colore, come abbiamo sopra precisato, ciò non toglie che sia forte l’impatto visivo di quasi tutte le opere dell’artista statunitense . Di fronte a tale problema le risposte posso essere diverse. Attribuire alla originalità irriproducibile delle opere, oltre alla impossibilità di usare la I.A. per riprodurle, apparentemente gioca a favore dell’opera. Meno ottimisticamente si potrebbe supporre che la cautela degli studiosi nel trarre conclusioni è suggerita da ragioni diverse, meno scientifiche. Accettando l’ipotesi della originalità dell’opera, si dovrebbe stabile se l’originalità e sufficiente a giustificare il valore artistico di un opera, tanto più se l’originalità emerge solo dalla disposizione del colore, fattore non rilevabile a occhio nudo. Oggi per valutare un opera d’arte pare si debba far ricorso a strumenti di alta tecnologia, mentre è ridimensionata la funzione della critica. Se dovessimo considerare un valore in se l’originalità, dovremmo convenire che il contenuto dei barattoli di Piero Manzoni è sicuramente originalissimo, essendo impossibile da imitare anche con la più sofisticata tecnologia, la composizione chimica del contenuto risulterebbe non riproducibile.
piergiorgio firinu
Passione.
Il tema di Piramo e Tisbe, ripreso da Shakespeare in “Giulietta e Romeo”, è stato variamente interpretato nella pittura post-rinascimentale. E’ nota la storia della sventurata copia babilonese che Ovidio narra nella Metamorfosi (IV,55-166). I genitori dei due giovani impedirono le nozze ed essi si accordarono per incontrasi segretamente una notte fuori dalle mura della città, presso un albero di gelso vicino a una fonte. Tisbe arrivò per prima sul luogo dell’incontro. Mentre era in attesa, una leonessa venne a bere alla fonte, aveva appena divorato una preda ed aveva la bocca insanguinata. La fanciulla fuggì impaurita e nella fretta perse il velo che il felino lacerò. Quando Piramo sopraggiunse, trovò il drappo lacerato e insanguinato. Pensò che Tisbe fosse stata uccisa e sentendosi responsabile della morte dell’amata trasse la spada e si trafisse; il suo sangue colorò per sempre di rosso le bacche del gelso. Quando Tisbe torno sui suoi passi, vide l’amato morente, si gettò sulla spada. L’episodio è rappresentato dal Tintoretto (Modena, Galleria Estense). Da Nicolsa Poussin (Francoforte, Stadelsches Kunstinstitut). Nella filosofia stoica Piramo e Tisbe erano considerati degli stolti, esempio di cedimento alla passione con conseguenti azioni sconsiderate.
piergiorgio firinu
Sbagliate le previsioni di MacLuhan.
Fino verso la fine del secolo scorso vi era una sorta di cesura tra la cosiddetta società tardo capitalista e la sinistra. Oggi la sinistra trova appoggio nei media, finanza, economia. I ceti popolari sono condannati subdolamente al silenzio. Gli intellettuali sono fin troppo allineati alle oligarchie finanziarie, anche perché i loro padroni sono capitalisti, in genere del tipo più aggressivo. Questa situazione è particolarmente evidente in Italia. Questa nuova forma di silenzio “urlante” non riguarda solo le parole, ma anche le immagini. Tempo fa Susan Sontang contraddì le previsioni di McLuhan sulla devalutazione e credibilità delle immagini. Questa devalutazione procede in parallelo al depauperamento linguistico e artistico. Facciamo cattivo uso della nostra libertà nell’uso di immagini e parole. Adorno scrisse sul regresso dell’ascolto e del feticismo della musica che appare una sorta di leitmotiv del degrado. Il fenomeno del progressivo involgarimento nella produzione di immagini, non sembra attrarre l’attenzione del mondo della cultura. Il feticismo delle immagini ha portato ad un regresso dell’immagine, cioè ad una involuzione della nostra capacità di comprenderne il vero contenuto. Bourdieu ha descritto con molta sagacia il modo in cui la società istituzionalizza specifici valori culturali che ritiene utili al pensiero tendente alla egemonia. Si crea uno specifico arbitrario che verrà diffuso dai media e dalla industria culturale, il tutto convogliato nel pensiero unico. La tattica del controllo sociale non è più necessario venga occultata, “l’inculcamento arbitrario l’arbitrario dell’inculcamento”, precisa Bourdieu avviene alla luce del sole. Ci troviamo di fronte a un paradosso; quanto maggiore è la violenza e la volgarità del linguaggio verbale e visivo, tanto maggiore sembra essere la facilità con la quale la massa metabolizza il tutto, lo incorpora con rapidità nel proprio lessico. In questo modo i messaggi più pericolosi appaiano inoffensivi. Già Voltaire aveva intuito a suo tempo quello che oggi è divenuto tipico. Egli si chiedeva: “Qual è l’autore più pericoloso?” Quello che è letto dagli oziosi di corte e dalle dame.” Oggi alla Corte è subentrata la borghesia. Al vertice della società non ci sono più dame di corte ma attrici pornografiche, cantanti rock, campioni sportivi, tutti soggetti che in genere non dedicano molto tempo alla lettura e tuttavia subiscono la suggestione del mainstream che essi stessi contribuiscono a creare. Allarma, o dovrebbe allarmare, il pensiero che questa società è frutto di molte rivoluzioni e duemila anni di filosofia. Avremo sbagliato qualcosa, oppure va bene così?
piergiorgio firinu
La zappa di Wilde.
Quando si interpreta un’opera d’arte si dovrebbe ricorrere ad argomenti concreti, non a prove e dimostrazioni teoriche; la relazione empirica con l’opera suggerisce collegamenti fra ciò che è rappresentato nell’opera e l’intenzione dichiarata dell’artista e verificare se il risultato sia coerente con le dichiarazioni d’intenti. Il linguaggio dell’arte dovrebbe rifuggire dal realismo banale, ma esprimere l’idea mediante metafora. La celebre affermazione di Oscar Wilde “Chi chiama zappa una zappa dovrebbe essere costretto a usarla” non sembra più avere diritto di cittadinanza nel campo dell’arte, che usa ed abusa dell’objet trouvè, utilizza spezzoni di film, ready made, e quant’altro. Su Ilsole24ore un critico ha definito la biennale 2005,”biennale del tampas”. Espressione forse non elegante ma efficace. Poussin sosteneva “Chi conosce la stupidità e l’incostanza degl’uomini non si meraviglia di quello che fanno”. Per giustificare certe opere non basta certo servirsi di qualche cliché della critica ideologica in chiave femminista. Nelle poche migliaia di anni da che ha avuto inizio la civiltà umana i progressi della scienza e della tecnica sono stati enormi, mentre la natura umana è rimasta pressoché immutata. Ogni volta si inventano teorie che provocano e giustificano nuovi conflitti e divisioni, fino ad arrivare nell’arco degli ultimi 150 anni a fomentare la guerra tra i sessi. Sembra che la cultura non sia mai servita ad evitare conflitti, ma piuttosto a giustificarli.
piergiorgio firinu
Nietzsche: il corpo.
Parte importante nell’opera di Nietzsche, il corpo, la cui capillare ragione costituisce sia il principio metodico che l’ideale che regola il suo pensiero. Nel 1885 il filosofo scriveva: “ E’ essenziale muovere dal corpo, e utilizzarlo come filo conduttore. Esso è il fenomeno molto più ricco che consente una osservazione più precisa. Il credere nel corpo è fondamento meglio nel credere nello spirito”. La credenza nel corpo sembra essere per Nietzsche un riferimento costante. Egli era convinto che la filosofia fino ad allora era stata una interpretazione menzognere del corpo. In realtà il corpo, proprio per la sua concretezza fisica, non richiede di essere “interpretato”, ma impone le proprie regole alle quali neppure Nietzsche è sfuggito, finendo per disperdere il suo genio nella pazzia. Non c’è dubbio che il corpo è la base che permette tutto il resto. Come i colori e la tela sono strumenti indispensabili per l’opera pittorica. A nessuno verrebbe in mente di considerare più importanti gli strumenti del risultato. Oggi si cerca tutto ciò che può essere supporto alle nostre inclinazioni. Il corpo è visibile, dà e riceve piacere, ha richiami prepotenti. Altra cosa il pensiero. Flebile refolo, incerta guida verso ideali sempre più sfocati. Scienza che coltiva l’ottimismo della specie. Arte che ha perso il supporto della realtà.
Fantasie soffocate dal tempo ingrato che viviamo.
piergiorgio firinu
Arte retorica.
Ci sono casi in cui frasi paradossali, si tramutano in profezie. Il duca di Bedford sosteneva: “ il successo è volgare”. Nella società contemporanea la dimensione umana può essere interpretata alla luce del dualismo cartesiano. Res extensa, rex cogitans dove rex extensa è la materialità corporale costantemente esibita in arte come in ogni altra occasione. Res cogitans è sostituita in parte dalla I.A. e ridotta nella pratica di uno spregiudicato darwinismo sociale in ogni settore, in primis in politica, ma anche in arte e in tutti i casi dove la posta in gioco è il successo. Abbandonato il suggerimento “Quod tibi non vis fieri” , l’aggressività femminile e maschile ha raggiunto livelli di guardia. La retorica delle buone intenzioni è limitata dalle scarse capacità e priva di volizione. All’origine della retorica era la dialettica giudiziaria. Per Corace e Tisia, i primi retori siciliani, la retorica era l’insieme delle tecniche di elocuzione forense. In politica la retorica è soprattutto un atto di seduzione verbale. Su questo concordano Perelman e Olbrechts Tyteca che mettono l’accento su argomenti logici, cioè argomenti che possono raggiungere un alto grado di consistenza inferenziale e referenziale, senza l’appoggio di vere e proprie dimostrazioni formali. Quest’ultimo aspetto e appannaggio soprattutto della filosofia dell’arte. L’arte di oggi è essenzialmente retorica in quanto, avendo rinunciato alla epistemologia, usa l’ontologia come conclusione di apodismi formali. Detto in altre parole, gli artisti moderni fanno uso abbondante di ready made, di cui anche la fotografia è parte, costruiscono a posteriori le motivazioni. Fin dai tempi antichi sono stati molti i filosofi che hanno scritto libri contro la retorica. Ne citiamo due i cui scritti furono molto noti. Sesto Empirico e Filodemo di Gandara. In “Contro i retori” , Sesto Empirico avanza una delle più violente critiche di tutti i tempi contro la retorica. La sua argomentazione è molto più vicina al Platone del Gorgia che a quello di Fedro. Vi è in nuce la consapevolezza che la retorica, e l’eloquenza che ne deriva, sono molto spesso versus veritate. Anche l’arte si affida al processo di trasferenza analogica che nella retorica, da Aristotele in poi, si chiama metafora. Vi è il famoso brano del Leviathan, in cui Hobbes disapprova l’uso della metafora definendole “ignes fatui”. In effetti questa affermazione trova riscontro nell’utilizzo nell’objet trouvè, simili a piccoli fuochi incerti sotto il soffiare del vento sembrano sempre prossimi a scomparire. L’arte contemporanea, che alcuni arrivano a definire di consumo, appare soggetta alla stessa precarietà formale e linguistica.
piergiorgio firinu
Dalla Bottega all’Accademia.
Fino al Rinascimento la pratica artistica avveniva nelle botteghe degli artisti, a partire dal XVIII secolo, con la nascita delle Accademie, la formazione degli artisti viene in qualche modo istituzionalizzata. Vale la pena notare che, nonostante i proclami delle avanguardie, le accademie non sono state abolite ma, per così dire, occupate. L’istituzionalizzazione dell’arte è di fatto propedeutica al mercato e contemporaneamente alla nascita della critica d’arte. Con l’avvento delle avanguardie, la prima delle quali è stata quella dei refusès del Salon che esposero nei locali del fotografo Nadar il 16 aprile 1874. Inizia da allora la fase discendente. Dall’accademismo della Bellezza secondo il quale l'arte avrebbe dovrebbe essere solo una testimonianza di armonia di gusto e di raffinatezza, si passa alla accademismo dell'irrazionale secondo cui l'arte deve essere la testimonianza di una decadenza irreversibile dello spirito umano. C’è da dire che in verità il problema dell’arte interessa una ristretta cerchia di persone. Quindi l'involuzione dell'arte si riduce a una farsa la cui sceneggiatura è scritta da una oligarchia. Farsa o dramma che sia non coinvolge dunque più di tanto l'uomo della strada il quale si occupa d'altro, assorto dalle sue necessità, non ha tempo per le trasformazioni estetiche ed emotive esibite dagli artisti. L’uomo qualunque non si perde in riflessioni ma trova soddisfazione, reale o fittizia, tra le infinite e diverse modalità della comunicazione di massa, riviste, settimanali illustrati, fumetti comici, romanzi polizieschi ed erotici, cronistorie di principesse insoddisfatte, di uomini politici declinanti, di spie imprudenti. Tutte storie rese ancor più popolari da radio, televisione, e soprattutto il cinema con un esauribile repertorio di eroi e di eroine del sesso, del potere, del sadismo. Manifesti insegne luminose automobili e cucine da sogno, iI design diventa quella che è stata definita “arte applicata” a forma d’arte che affianca l’industria e ne e valorizza i prodotti. Tutto ciò presenta aspetti deplorevoli quando, come nell’arte, il logo diventa lo strumento per imporre costi elevati. Operazione assorbita più o meno inconsapevolmente dalle masse aflitte da pulsioni consumistiche etero dirette. Sono state fatte molte ricerche sui questi temi sopra accennati e sulla psicologia delle masse, P.F. Lazarsfeld, R.K Merton, critici della cultura come T.W. Adorno. Studiosi hanno condotto un'analisi approfondite e minuziosa, hanno saputo mettere in evidenza che la comunicazione di massa è sempre un meccanismo di controllo sociale che si avvale di archetipi ed emblemi pseudo comunicativi , imbevuta di animismo e di feticismo che quasi sempre serve interessi completamente estranee alla comunicazione. Ad esempio: serve distribuire prestigio ed a legittimare status sociale di individui e di gruppi. Il mondo dell’arte, esaurite le velleitarie pretese di rinnovamento radicale, si è adagiato nel più trito conformismo ripetitivo, affidando l’apparenza di rinnovamento alle provocazioni di varia natura e alla foggia dell’abbigliamento degli artisti oltre ad abbandonarsi totalmente alla parodia del genio e sregolatezza consumata nei salotti della ricca e corrotta borghesia compradora.
piergiorgio firinu
La forma di narciso
Gli altisonanti proclami delle avanguardie arrivano ad eccessi francamente inconcepibili. Tomas Maldonado, eclettico artista e studioso argentino, esponente della cosiddetta “arte concreta” , movimento che vide la partecipazione di vari artisti di successo, scrive: “ Si conclude in tal modo la preistoria dello spirito umano”. Il riferimento è alla nuova arte concreta. Francamente appare affermazione esagerata. A parte gli eccessi frequenti i nella storia delle avanguardie, i fondamenti dell'arte contemporanea non vengono quasi mai chiariti nella loro sostanziale logicità, con tutte le riserve che derivano dall’accostamento di logica e arte. Il concetto spaziale di Lucio Fontana è stato a lungo avversato da artisti e da critici, non in quanto privo di rilevanza estetica o espressività formale, piuttosto perché il riferimento allo spazio era visto sotto diversa configurazione. Infatti la spazialità era oggetto dall’arte cinetica come dell’arte astratta geometrica, e anche dalla mobilità delle opere di Calder. Quindi molte obiezioni avevano un qualche fondamento. Dato per scontato che tagli su tela e/o su altri materiali possano costituire una forma d’arte, la spazialità di Fontana appare statica, di fatto non vi è alcuna spazialità, semplicemente un’apertura costituita da una fenditura che non contiene prospettive spaziali. La definizione di “Concetto Spaziale” è quindi solo una arbitraria questione nominalistica. Lo spazio è tema squisitamente architettonico. Nel dualismo tra funzionalità ed estetica, è prevalsa spesso una terza alternativa, il narcisismo creativo fine a se stesso. Wright costruisce la sua famosissima casa su un dirupo in una situazione particolare che, per ovvie ragioni, non può costituire un modello ripetibile, in quanto difficilmente sono reperibili condizioni adatte a ripetere una costruzione analoga. Situazione opposta per l’architettura di Le Corbusier , l’architetto che ha creato la famigerata “unità abitativa”, dando di fatto origine a un modello di edilizia popolare che ha dilagato nelle periferie di tutto il mondo. Lo sviluppo dell’architettura, in parallelo con l’arte d’avanguardia ha finito per essere referente di stessa, realizzando opere che non si proponevano funzionalità, o più semplicemente l’interesse del committente a vivere in case confortevoli e sicure. Dando sfogo al proprio narcisismo con aspetti che possono rappresentare uno stile asettico con una volumetria e una forma decorativa spesso superflua. E’ stato sostenuto, in riferimento ai musei dell’arte, che il contenitore è spesso più significativo del contenuto. Dall’estetica dell’essenzialità propugnata da Walter Gropius, Hannes Mayer, Moholy Nagy, in breve da tutto il gruppo di artisti e studiosi della Bauhaus che svilupparono il tema di un razionalismo moderno e funzionale, all’estetica della sovrabbondanza messa in atto dalle archistar contemporanee.
piergiorgio firinu
Il nome e la cosa.
Hilary Putnam nel suo scritto “Mente, linguaggio, realtà” mette in forse il detto latino “Nomina sunt conseguenza rerum”. Per confermare la sua affermazione fa alcuni esempi: un pittore riferendosi alla tonalità di una certa macchia può dire “io la chiamerò giallo di cadmio”. Sostiene Putnam cambiando il nome non cambia il colore. Ad un primo approccio il ragionamento è ineccepibile, c’è però un dettaglio. Tutti i nomi sono legati a una convenzione che, radicandosi, si dimentica mentre resta il riferimento nominalistico anche quando questo è interpretato in modo estensivo. Il sostantivo arte, ad esempio, significa fare, ma nella comune interpretazione quando diciamo arte ci riferiamo a manufatti, scritti, testi musicali. Supponendo di sostituire arte con la parola pinekarede dovrebbe trascorrere molto tempo e molto lavoro per far accettare la nuova definizione. Questo significa che il nome e la cosa che indica hanno un rapporto che non è determinato dalla necessità, ma da una altrettanto impegnativa convenzione. E’ a questo snodo che si profila il problema creato dalla radicale modifica epistemologica dell’arte attuata dalla cosiddette avanguardie. In quel caso non è stato modificato il nome ma l’oggetto che il nome indica. Le narrazioni della critica e filosofia dell’arte non affrontano, a mio avviso, questo problema con strumenti adeguati, ma fanno ricorso ad apodismi che confluiscono in tautologie. Arthur C. Danto e George Dickie non hanno affatto affrontato il problema, lo hanno dato per scontato cesellando pseudo teorie che non tengono conto nè della storia dell’arte, tanto meno dello sviluppo epistemologico che l’accompagna. I due autori statunitensi hanno messo in atto quella che a tutti gli effetti è una provocazione prodroma alla valorizzazione dell’arte statunitense liberandola dal confronto con l’arte europea. Questo ha avuto una serie di conseguenze negative. Innanzi tutto l’enfatica esaltazione di certi artisti americani, quel che è peggio, ha offerto pretesto a uno stuolo di sedicenti artisti per realizzare “prodotti” che a quel punto, alla luce delle manipolazioni dei due filosofi, potevano essere indicati con il sostantivo arte.
piergiorgio firinu
Qual è lo scopo del gioco?
Le tecniche usate dai filosofi sono di solito esattamente le stesse a secondo della specializzazione. Nella filosofia della scienza Mill è molto spesso associato a Hume, mentre Reichenbach riflette il pessimismo viennese. Lo scopo di questi filosofi era quanto meno improntato a chiarire relazioni e identificare prove di processi la cui sostanza era documentata e non mutava in base alla ermeneutica dei singoli o delle scuole di pensiero. La filosofia della scienza di Toulmin è stata improntata al tentativo di chiarire il rapporto tra la scienza e la filosofia di Wittgenstein. Dunque l’impegno intellettuale con precisi e in gran parte verificabili obiettivi. Ma qual è l’obiettivo dei filosofi dell’arte? Prima ancora quale rapporto è possibile stabilire tra una forma espressiva non codificabile e una filosofia che, necessariamente, deve richiamarsi a codificazioni linguistiche, a una epistemologia che si avvalga di un metodo analitico. Quine si poneva il problema di come sostenere la genuina distinzione tra analitico e sintetico. Intendendo per analitico l’approfondimento del significato e per sintetico il dato di fatto. I filosofi hanno tutto il diritto di avere intuizioni e a credere qualcosa per fede, il problema è dare sostanzialità alle argomentazioni che pretendono di perseguire un significato. Il filosofo dovrebbe dare risposte, sia pure interlocutorie, chiedersi, come fa Putnam: “Qual è lo scopo del gioco?”. Uno dei pretesti che la filosofia dell’arte utilizza è il concetto di stipulazione, una nozione assolutamente arbitraria che spesso rasenta l’assurdo. Chi usa un linguaggio, sia pure in modo non convenzionale, non può sottrarsi più di tanto alle regole, pena il rischio di cadere dalla preposizione alla farneticazione. Quando Paul K. Feyerabend con il libro: “ Contro il metodo” , attaccò frontalmente determinate codificazioni della ricerca scientifica, documentò il suo punto di vista con riferimenti chiari, dove per chiari si intende verificabili. Nulla di tutto ciò avviene nella filosofia dell’arte e in talune pubblicazioni di estetica. La conclusione che se ne ricava è che, in realtà, la filosofia dell’arte vuole essere autoreferenziale attraverso l’attribuzione di autoreferenzialità all’arte, usando tautologie che sono altrettanti anacoluti concettuali: del genere: è arte ciò che viene considerata arte. Affermazione che, prima ancora che sull’arte nella sua articolazione epistemologica, pensiero-azione- forma, mette una pietra tombale sulla filosofia dell’arte che ammette implicitamente di essere pleonastica.
piergiorgio firinu
Dal consumo dell’arte all’arte del consumo.
Paolo Passerin cita una frase di Richard Lewontin: “La sociologia americana è da buttare”.E’significativo che la cultura statunitense,così conflittuale, tesa al materialismo e alla funzionalità, non abbia sociologi capaci, o intenzionati, a interpretarla. Eppure Fernand Braudel sosteneva che la sociologia ha tempi brevi. Ma brevi non significa superficiali. Quanto poi alla storia sociale dell’arte, essa viene evocata mettendo in gioco un confronto che è sociale, culturale, storico. Temi e argomenti che non si improvvisano e non si inventano come avviene invece nella filosofia dell’arte di matrice statunitense che crea immaginari accostamenti vorrei dire per necessità. Quando si studiano i fenomeni artistici, solitamente in Europa, li si colloca in un contesto storico attuando un confronto oggettivo tra un prima e un dopo. Il retroterra culturale americano è troppo recente e quindi necessariamente povero. Fintanto che l’arte statunitense ha mantenuta la cultura della vecchia Europa non ha prodotto artisti particolarmente significativi, se si esclude John Singer Sargent e pochi altri. E’ questa la ragione vera per cui negli USA è stato dato ampio spazio alla cosiddette avanguardie. Era l’unico modo per oscurare, se non azzerare, valori che vedrebbero gli USA debitori nei confronti del vecchio continente. Ecco dunque che la potenza economica- finanziaria funziona come trampolino di lancio di un’arte che non trovava, e non trova, nella cultura la propria ragione di essere, ma veniva, viene, supportata dal mercato, i cosiddetti squilionari, con poca cultura e tanto denaro. La visione dell’arte in chiave sociologica ha come unico referente il consumo presentato come rappresentazione del presente, in realtà non è altro che una parodia in chiave pubblicitaria della civiltà che più di ogni altra ha posto il consumo come mitologia del progresso e quindi degno di essere rappresentato dagli artisti. E’ stato inevitabile il passaggio dall’arte del consumo al consumo dell’arte.
piergiorgio firinu
Qualità versus innovazione.
In “Old Possum Book of Pratical Catts”, T. S. Eliot afferma che ogni gatto ha tre nomi: il primo quello con cui viene comunemente chiamato. Il secondo più particolare, quello con cui viene distinto dagli altri. Il terzo quello che solo lui conosce. Tale distinzione può essere applicata alle opere d’arte che possono essere lette a più livelli. Ciò che è nella mente dell’artista,quello che l’artista riesce realmente a realizzare e la lettura che un osservatore, magari sprovveduto, dà dell’opera. E’ mia convinzione che il terzo livello sia il più importante perché è quello che dimostra che l’opera è comprensibile e quindi fruibile. Vi è una tesi che non è praticata perché non praticabile; la volontà dell’artista di creare opere effimere, destinate a durare pochissimo tempo. Nella realtà l’artista non è mai totalmente consapevole del proprio operare. Vale ciò che scriveva Malraux:” Il caso distrugge, il tempo trasforma, ma siamo noi a scegliere”. Pare l’estensione di una affermazione di Karl Marx: “ Gli uomini fanno la storia, ma non sanno perché la fanno”. Secondo il modello della storia dell’arte, ampiamente adottato, prevale il carattere produttivistico, cioè l’impulso costante all’innovazione, senza troppa preoccupazione per qualità e significato. Elio Vittorini parlò di “Rozzi innovatori”. M.J. Friedländer giudicava ingannevole il concetto di qualità, utile più che altro a dare una impronta eloquente al discorso. Bernard Berenson sosteneva che “Il senso della qualità deve esistere in principio come un dono di dio”. I Ruskin in “The Laws of Fèsole” si affidava addirittura a un principio giansenista affermando: “Non potrai mai arrivare alla perfezione se non per un dono di nascita”. Adottando questo principio dovrebbero essere chiuse la accademie. Il che, francamente, mi trova totalmente d’accordo.
piergiorgio firinu
I campi del sapere e l’arte.
Quando oltre un secolo fa, Charles Sanders Peirce affermò che il significato di una “concezione intellettuale” è identico alla somma delle sue conseguenze, di fatto utilizzò il rasoio di Occam e tagliò il cordone ombelicale che lega buona parte delle argomentazioni sull’arte al significato. Il pragmatismo di scuola statunitense, che ebbe John Dewey tra i suo maggiori esponenti, fu applicato in modo del tutto improprio nella presunzione che il problema del significato possa risolvere o dissolvere i problemi tradizionali della filosofia. Una cosa concepibile può essere rappresentata da un concetto, ma occorre che il concetto sia concepibile e non si dissolva in anacoluti tautologici. Un pittore, riferendosi a una macchia gialla può dire: la chiamo cadmio. Ma questo non attribuisce alla macchia alcun significato, resta una questione nominalistica. Hylary Putnam, in un suo scritto “Linguaggio e realtà” nega, pur senza farne cenno, la validità del detto latino “ nomina sunt conseguentia rerum “ . Di fatto crea un vuoto nel significato dei nomi e lo fa in modo approssimativo sostenendo che il nome di una bambina “Mary Jane” non è in alcun modo legato alla bambina, cambiando il nome la bambina resta identica a se stessa. Difficile contestare l’assunto, ma è lecito contestare la scelta dell’esempio. Una quantità di nomi, inclusi i nomi di persone, hanno un significato preciso, in qualche caso vengono posti per ragioni precise. Questo avviene soprattutto nella scienza, ma anche in una quantità di altri campi del sapere. Piuttosto si deve rilevare che vi è spesso un abuso nominalistico, specie nel campo dell’arte dove spesso i titoli delle opere non hanno alcun riscontro nel significato. Non si tratta di un uso metaforico del linguaggio, piuttosto di un intento decettivo senza implicazioni metaforiche. Tutto ciò non avviene solo in riferimento ai titoli delle opere ma al contenuto rappresentato nel quale è difficile ravvisare un significato. Critica e filosofia dell’arte galleggiano nel vuoto del non senso, procedono per successive manipolazioni del linguaggio non prive di forzature. Se dovessimo davvero applicare il principio suggerito da Pierce, dovremmo portare al macero un gran numero di libri che trattano di critica e filosofia dell’arte e insieme ai libri le opere a cui fanno riferimento. A rendere non attuabile questa utile operazione di pulizia, è il mercato. Gli squilionari non sono forse in grado di capire, ma sono interessati ad acquistare opere intorno alle quali critica e filosofia dell’arte hanno costruito una cornice di significati immaginari.
piergiorgio firinu
Ermeneutica dell’immagine.
Il sostantivo “ignoranza” nella sua eccezione più semplice significa ignorare. Una delle modalità in cui si manifesta è il linguaggio. Anche se è possibile articolare in modo appropriato uno scritto o un discorso basato su riferimenti inesatti o falsi. Non sempre falsità e inesattezze sono casuali, pensiamo alle arringhe degli avvocati o i discorsi dei politici, spesso sono un espediente linguistico volto a ottenere un risultato. Tuttavia, ha a prescindere da particolari situazioni, è un fatto che la maggior parte delle persone, spesso dotate di una infarinatura culturale, usano termini di cui non conoscono il significato. Com’è noto le discipline che studiano le parole, sono l’etimologia, ovvero la derivazione di una determinata parola, la semantica, cioè il significato. Ovviamente il lessico ordinario usa le parole attribuendo loro il significato corrente. Se dico “nostalgia” pochissimi ne conoscono l’etimologia, tuttavia hanno chiaro il significato. Per chi voglia approfondire la conoscenza etimologica delle parole esistono dizionari. Diverso il discorso sul “linguaggio” dell’arte il cui significato è difficilmente indagabile specie da quando gli artisti hanno abbandonato le mimesi. Considerato che ogni opera d’arte, a prescindere dal suo valore, è un unicum, ogni ermeneutica rischia di essere arbitraria, perché soggettiva. Esistono innumerevoli libri di critica e filosofia dell’arte, quasi tutti utilizzano gli stessi schemi, usano gli stessi riferimenti elaborandoli in forme diverse. Il conformismo, come l’ignoranza, sono abilmente mascherati ma costantemente presenti nella critica e filosofia dell’arte, discipline che non hanno trovato una risposta convincete alla domanda “ cos’è l’arte? Per superare l’impasse la critica di matrice USA ha fatto ricorso a una tautologia; è arte ciò che viene considerata arte. Alla banalità di questa affermazione si aggiunge il radicato luogo comune che attribuisce agli artisti facoltà anticipatrici, oltre a non ben definiti doni di intuizione e creazione. Ci troviamo quindi di fronte a un susseguirsi di approssimazioni prive di fondamento logico e concettuale. La leggenda vuole che a inventare la pittura sia stata la figlia di un vasaio di Corinto, che avrebbe casualmente tracciato sul muro il contorno dell’ombra proiettata dal suo giovane amante. Dobbiamo quindi constatare che anche l’arte pittorica, stando alla leggenda, è nata dal caso. La produzione degli artisti è rimasta fedele al significato del sostantivo arte, che com’è noto significa fare,fino all’età moderna. Max Weber, in “Storia Economica e Sociale dell’Antichità”, documenta che gli artisti della antica Grecia, del calibro di Zeusi, Parrassio, gli architetti che costruirono il Partenone Callicrate e Iclino, Alessandro di Antiochia che scolpì Afrodite, nota come “La venere di Milo”. Tutti questi geni erano semplicemente considerati demiurghi, nell’eccezione di artigiani. Ancora nel medioevo i componenti le Gilde che costruirono i più importanti edifici e cattedrali che costellano l’Europa, erano anonimi artigiani. Non si può fare a meno di rilevare che, nella misura in cui l’artista acquista importanza, la qualità delle opere peggiora. In questo senso, la dichiarazione di morte dell’arte di Hegel si inquadra nel più generale decadimento della cultura dell’Occidente iniziato con la prese di potere della Borghesia. Il colpo di grazia definitivo all’arte lo hanno dato le cosiddette avanguardie storiche e l’influenza degli Stati Uniti. L’arte è diventata un banale prodotto di consumo.
piergiorgio firinu
Arte e verità.
Il contrasto Platone/Aristotele viene utilizzato da certo modernismo preso dal prurito delle estreme differenze ed espulsioni, pronto a distribuire i segni meno/più all’arte, filosofia , politica. Un atteggiamento di contrasto, come quello delle avanguardie, può diventare rituale svuotandosi non solo di forza propulsiva, andando incontro alla perdita di significato. L’opposizione Platone/Aristotele non costituisce un’eccezione; ricorda quei rituali che adottano sistemi antitetici su un medesimo aspetto. Ai giorni nostri lo scatenarsi dionisiaco non è che maniera; le più audaci provocazioni, i più “spaventosi” scandali non hanno più il potere di stupire. Al pari della tragedia, il testo filosofico funziona come giustificazione a posteriori, mali spiegati, mai risolti. Tentativi di espulsione, perpetuamente ripresi che non giungono mai a conclusione. E’ quello che a mio parere dimostra in modo abbagliante il saggio di Jacques Derida “La pharmacie de Platon”. La dimostrazione è imperniata sull’uso rivelatore della parola pharmakon. Il pharmakon platonico funziona esattamente come il pharmakos umano con analoghi risultati, è il perno di voltafaccia decisivi per la divisione tra cattiva sofistica e buona filosofia. Oggi, in qualsiasi situazione che scivoli verso la tragedia, ci solo anti-eroi. La funzione dell’eroe, prigioniera di stilemi militari, di coraggio, è falsata, rende quasi accettabile l’affermazione di Beltolt Brecht “beato il popolo che non ha bisogno di eroi” , ma allo stesso modo non ha bisogno di artisti, di filosofi, di tutte quelle figure che rimuovono con il loro esempio le incrostazioni delle umane debolezze e per ciò stesso costituiscono un esempio di differenza che i tempi non tollerano. A meno che gli artisti non si adattino, i filosofi offrono pretesti per giustificare le aberrazioni della modernità. Il reale è da descrivere, non da costruire o costituire. Ma il segno dell’arte oggi non esprime che se stesso, cerca nella confusione di una cultura estemporanea e superficiale di adeguarsi, l’artista, preso da se stesso, non dilata l’immaginazione partendo dal reale, ma tenta pateticamente di adattare il reale alla propria immaginazione, cerca tutto ciò che giustifica modi di essere senza scopo. Questo vale soprattutto quando finge di andare contro mentre in realtà stuzzica la pruderie del pubblico. Non basta avere “esperienza di se stessi”, di questa coscienza che noi siamo: su tale esperienza si misurano i significati di confronto espressi dal linguaggio dell’arte, è questa esperienza elaborata e partecipata che fa si che il linguaggio voglia dire qualcosa non solo per noi. Le essenze di Husser riconducono a se tutti i rapporti viventi dell’esperienza, come la rete porta i pesci dal fondo del mare. Io mi protendo verso un mondo e percepisco un mondo, a patto che non mi perda nell’esperienza di me. Se non so distinguere i miei sogni dalla mie percezioni, il fenomeno mondo mi sfugge. Poiché siamo nel mondo siamo condannati al senso, nulla possiamo fare o dire che non assuma un nome. La vera arte è sempre un tentativo di cercare un frammento di verità, o almeno di collegare esperienza e possibilità.
piergiorgio firinu
Le aporie della storia dell’arte.
La conoscenza non consiste in una serie di teorie che convergono verso una visione ideale, tanto meno un approccio graduale a una possibile verità. In un oceano di alternative lo studioso cerca una possibilità plausibile in una articolaziona di ermeneutiche guidate dal pensiero critico. Maggiore è la consapevolezza critica più realizzabile una ermeneutica che abbia un reale valore conoscitivo. Sarebbe assurdo cercare un metodo onnicomprensivo per illustrare in modo adeguato la storia dell’arte. Il rapporto tra produzione artista e società è stato indagato da Gyôrgy Lukàcs, Arnold Hauser, Ernst H. Gombrich e molti altri. Tutto questo non ha cambiato minimamente il percorso dell’arte che ha proseguito sulla strada del feticismo speculativo del mercato approdando ai nani da giardino di Jeff Koons al quale un settimanale italiano, con pretese culturali, ha dedicato un articolo dal titolo “Jeff Koons, re dell’arte”. Ci troviamo di fronte alla apoteosi del kitsch la cui deriva era stata denunciata da Lukàcs all’inizio del secolo scorso.
piergiorgio firinu
Roberto Grossatesta: Metafisica della luce.
Vescovo di Lincon dal 1235 alla morte, l’inglese Roberto Grossatesta (1168 – 1253) , fu ecclesiastico, filosofo, scienziato. Egli si dedicò allo studio della teoria della luce le cui radici risalgono alle religioni indo-iraniche e all’antico mito del dio Sole. Per il pensiero occidentale la teoria della luce si riallaccia da un lato alla tradizione biblica, la luce è il primo prodotto della creazione, dall’altro il pensiero platonico e neoplatonico greco, che nella luce simboleggia il movimento del soprasensibile nella sua diffusione ed espansione, di grado in grado, fino a disperdersi nel sensibile della materia. Fisica e metafisica. La corporeità della luce, così eterea e semplice, sembra rappresentare l’intermedio fra l’intelligibilità del pensiero e la materialità del mondo corporeo. Il tema della luce, già trattato da Sant’Agostino, viene ripreso da Grossatesta che lo elabora in connessione anche alla ripresa, già nel XII secolo, delle dottrine più esplicitamente neoplatoniche dello Pseudo Dionigi e nell’ambito della conoscenza sempre più diffusa della filosofia e della scienza arabe ed ebraiche medioevali. La metafisica neoplatonica della luce si apparenta a una cosmologia, come già in Sant’Agostino e nella sua esegesi della Genesi, e alle scienze fisico matematiche dell’ottica, della geometria, dell’aritmetica. Il risultato è la cosmologia del Grossatesta, originale accostamento fra la Genesi e il De caelo di Aristotele, ma anche, a differenza dello Stagirita, per l’impiego della matematica, alla maniera platonica. Il pensiero di Grossatesta è espresso con vivacità in una ampiezza tematica che abbraccia le conoscenze scientifiche di allora, la metafisica, l’antropologia, nei loro grandi problemi riguardanti la forma, la potenza e l’atto, la casualità, l’epistemologia, il libero arbitrio. Discipline e sviluppi che solo secoli dopo furono sviluppate e codificate a partire da Ruggero Bacone, Duns Scoto, Occam. Ignoto ai più, Grossatesta fu figura importante, e un precursore in molti campi.
piergiorgio firinu
Forma e idea.
Con l’avvento delle avanguardie si è data sempre più importanza ai concetti, alle idee, trascurando il significato che effettivamente trasmette la forma. E’ dubbio si possano esprimere concetti e idee a prescindere da ciò che l’opera raffigura. E’ vero che, se gli artisti sono produttori diretti dell’opera nella sua materialità, i critici e gli storici dell’arte sono i più importanti produttori di senso. Ma la produzione di senso è collegata all’ermeneutica dell’opera, non può essere una creazione parallela di fantasia. L’ontologia dell’opera contiene in sè il significato che il critico non crea ma evidenzia. Possiamo prendere a riferimento gli empiristi inglesi per i quali le idee sono immagini, ovvero le immagini sono idee. Ma il creatore di immagine è colui che dà forma all’idea, compito del critico è di esplicitare l’idea contenuta nella forma, non crearla. Le macchie di colore in uno spazio visivo non sono di per se una narrazione, anche se il senso può essere ridotto all’emozione del colore. In questo caso però si apre la strada al disordine ermeneutico, anche perché il significato delle opere è attribuito a posteriori. Se la psicologia della Gestalt è nel giusto, l’errore sta nella libertà di interpretazione delle macchie di colore. Il significato non lo attribuisce l’artista, ma il critico e l’osservatore. Berkeley sosteneva che la realtà fosse interamente “mentale”. Se Berkeley aveva ragione, la produzione dell’arte, nella propria materialità, sarebbe superflua, basterebbe la narrazione dell’opera lasciando che ognuno la completi in base alle propria cultura e capacità creativa.
piergiorgio firinu
Violenza antropomorfica.
Sofocle ha creato un Edipo fortemente caratterizzato, “eroe” dal carattere tutto suo. Se ci si pone la domanda in cosa consista questo carattere, tradizionalmente la risposta è che Edipo è generoso ma impulsivo. L’incesto di Edipo, è solo un aspetto, se pure il più noto, della figura dell’eroe eponimo. In realtà l’aspetto caratteriale che distingue il mitico re di Tebe, è l’ira. Egli iniziò la sua tragica ricerca di verità confrontandosi con la Sfinge, mostro con capo e busto femminei, corpo di leone, coda di serpente, ali di aquila. Chi non sapeva rispondere all’enigma “Qual è l’animale che all’aurora cammina con quattro zampe, al meriggio con due, alla sera con tre?” Chi non sapeva risolverlo veniva strangolato. Dopo avere liberato i tebani dal mostra Edipo fu considerato un eroe. Ma il minimo insuccesso, contrarietà, provocazione facevano perdere al monarca il suo sangue freddo e scatenavano la sua ira. Sotto questo aspetto il personaggio creato da Sofocle, rappresenta il filo sottile che segue la storia umana della quale la mitologia greca anticipa gli stereotipi. Tiresia è accecato per l’Ira della dea provocata dall’invidia. Ermione scatena la sua ira contro Andromaca. L’ira non risparmia i fratelli. Caino assassina Abele. Eterocle e Polinice si odiano. Romolo uccide Remo. Tra Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senza Terra vi è un odio profondo. Tutti i protagonisti occupano le stesse posizioni di fronte all’oggetto della propria ira, ciascuno crede di padroneggiare la violenza ma è la violenza che padroneggia tutti i protagonisti, inserendoli in un gioco al quale credono sempre di poter sfuggire. Le Fonti dicono che fu Aristippo il primo ad usare l’espressione anthropismos, umanità, il termine era declinato in senso positivo, poi l’”evoluzione” umana si è sviluppata tra abissi di ignobiltà, a poco è servito che gli umani abbiano inventato l”eroismo” da usare come schermo, un velo rosato, dietro al quale nascondere e giustificare azioni indegne, atti atroci, compiuti in nome di una causa “superiore”. I vincitori scrivono la storia, esaltando ciò che dovrebbe essere motivo di vergogna. Che cosa induce gli uomini a uccidere i loro simili, non con gesto immorale e inconsulto del barbaro semianimale che segue i suoi istinti senza conoscere altro, ma sotto la spinta cosciente, dopo secoli di cultura dell’umanesimo, lo stesso uomo che crea forme culturali e cerca di rendersi conto della natura ultima del mondo e di trasmetterne la conoscenza alle generazioni future.Il pensiero mitico è radicato in ciò che è accaduto una prima volta. Se l’assassinio di massa, comunque giustificato, ha un posto così grande nello sviluppo delle “civiltà”, se è così radicata la sindrome di Caino, quale futuro avrà la nostra specie.
piergiorgio firinu
Scelte nocive.
La convinzione diffusa che l’essere umano sia un animale intelligente , secondo J.R. Searle, “estremamente intelligente” non è tanto errata quanto imprecisa. Il problema consiste nel fatto che mancano i termini di paragone. Forse sarebbe più corretto affermare che , in base alle nostre attuali conoscenze, sul pianeta terra l’essere umano è probabilmente l’animale più intelligente. Questo nonostante la storia, la cronaca, e la situazione di degrado in cui abbiamo ridotto il pianeta terra sul quale siamo costretti a vivere, argomenti non certo in favore della nostra intelligenza. L’adeguatezza dell’intelligenza dovrebbe avere come riferimento risultati di lungo periodo. La più alta espressione dell’intelligenza non è solo quella di decifrare la realtà e risolvere i problemi, ma anche prevedere le conseguenze dei nostri atti. Se, per contrastare il freddo accendo un fuoco e brucio la casa. Il costo per raggiungere l’obiettivo è tale che il mio gesto non può credo essere considerato intelligente. Non credo possa essere messo in dubbio che l’intero sistema di sviluppo, il nostro stile di vita ci stà portando dritti alla catastrofe. Le nostre città sono invase, assediate, dalle automobili, ciò nonostante, basta che le case automobilistiche riducano la produzione di un X%, subito si crea allarme. Questo significa che siamo costretti a produrre ciò che ci nuoce. Quando si parla d’intelligenza il riferimento corre subito ai geni, cioè alle rare eccezioni. Nella norma ci sono milioni di persone che, dispetto dell’evidenza sulla nocività delle loro scelte, continuavano a fumare, consumare superalcolici, drogarsi, mantenere stili di vita che mettono in forse la loro salute e la loro stessa sopravvivenza. Vengono continuamente esalati i progressi della scienza e della tecnica, la maggior durata della vita, cose che riguardano una minoranza di abitanti del pianeta, mentre sono milioni le vittime della fame e delle malattie. Tutto questo penso dovrebbe indurre una maggiore umiltà, primo passo per vedere nelle giuste proporzioni problemi e limiti della nostra intelligenza.
piergiorgio firinu
La geometria in un gesto.
Secondo un pregiudizio diffuso, quanto non sia nettamente delineato, completo, dettagliato è considerato impreciso. In pittura, un ritratto nettamente delineato di Holbein o di Durer non è più preciso, quanto alla sua forma percettiva, del tessuto di pennellate mediante il quale Frans Hals o Oscar Kokoschka definirono l’espressione umana. In matematica, una definizione topologica o un disegno identificano una relazione spaziale come contenuta o sovrapposta con la massima precisione, sebbene lascino le forme concrete indeterminate. In logica nessuno afferma che la generalità di un concetto determini vaghezza. In quanto esso è privo di dettagli particolareggiati; al contrario, il concentrarsi di pochi elementi essenziali è riconosciuto come mezzo per rendere il concetto preciso. Dovremmo dunque supporre la stessa cosa possa verificarsi nell’immagine mentale. Nell’arte la riduzione della figura umana alla semplice geometria di un gesto o di una posizione espressiva può rendere più netto il significato che l’artista intende attribuire all’opera. Titchener realizzò degli esperimenti con i suoi studenti tentando di indurli a esprimere con gesti le immagini mentali che in quel momento si andavano formando. Un cenno del capo, il corrugarsi della fronte. Senza dubbio una immagine abbozzata, dipinta sulla tela può apparire imprecisa e confusa. Ma tale può figurare anche l’opera dipinta nel modo più preciso e dettagliato. Dipende dal fatto che la struttura dell’immagine sia più o meno organizzata. I quadri compositi della salute, della malattia, della criminalità o della famiglia, che Francis Galton otteneva sovrapponendo ritratti fotografici di più individui, risultavano indistinti e poco illuminati perché privi di forma, e non perché confusi. L’esito di un opera riflette la consapevolezza dell’artista nel realizzarla avendo in mente l’idea. La casualità del progetto si traduce in un risultato confuso e poco significativo.
piergiorgio firinu
L’arte delle origini.
L'essere umano assunse l’aspetto fisico che pressappoco ha oggi più o meno 100.000 anni fa. Era l'unico animale non dotato di mezzi di difesa, artigli, fauci in grado di aggredire. Non aveva agilità sufficiente per sottrarsi i predatori. Unica sua qualità era l’intelligenza superiore a quella degli altri animali. I paleontologi hanno in gran parte documentato la nostra evoluzioni nel corso del tempo. Dalla costruzione di strumenti di difesa ricavati da pietre, alla conoscenza graduale di erbe e frutti con i quali nutrirsi, fino alla organizzazione della caccia in gruppi. Nel corso di mille secoli la nostra evoluzione è avvenuta in parallelo alla crescita della conoscenza. E’ significativo che fin dal paleolitico l’essere umano abbiamo sentito il bisogno di rappresentare in qualche modo ciò che costituiva la sua vita, dare forma estetica alla propria esperienza. In Europa sono molte le tracce lasciate dall’arte dei nostri lontani antenati. In Italia La grotta del genovese nell’isola di Levanzo in Sicilia. Le grotte dell’Arco Bellegra in Lazio. In Francia le grotte di Lussac-les-Châteaux, le grotte di Font de Gaume, le grotte di Chauvet presso Pont d’Arc, Le grotte di Lascaux. In Spagna le grotte di Altamira. Il Pianeta era ricco di fauna e flora che l'uomo imparò a conoscere e utilizzare per nutrirsi, per curarsi. I suoi interessi primari erano simili a tutti gli animali: nutrirsi, riprodursi, costruire un rifugio, una tana. A distanza di 100000 anni cosa è cambiato? Le nostre attività basilari restano le stesse; nutrirci, accoppiarci ,avere una casa. Ovviamente l'evoluzione ha modificato radicalmente le modalità con le quali soddisfiamo le nostre esigenze e anche il modo di giustificare le nostre scelte. Di fatto tutto è sempre condizionato dall’interesse personale e in secondo luogo dall’interesse della specie. In 100.000 anni di evoluzione quanto è cambiato intimamente l’essere umano? Siamo certi che sia migliorato? L’uomo della pietra si accoppiava indiscriminatamente senza guardare troppo per il sottile, preferendo se possibile, il genere femminile. In questo senso oggi siamo in una fase di regressione avendo eliminato, almeno sul piano normativo, le differenze di genere. In mille secoli abbiamo sviluppato il pensiero, scritto milioni di libri, creato religioni, ma abbiamo anche perfezionato il nostro modo di mentire, strumenti di soprafazione. Abbiamo imparato a sfruttare il nostro corpo e quello dei nostri simili, a fare mercimonio della sessualità. E’ mutato il concetto di arte, anche se fino a poco più di un secolo fa, arte significava mimesi, disegno pittura che produceva una narrazione simbolica. Oggi anche l’arte è un prodotto di consumo privo di spiritualità, non ha più nulla di simbolico. Abbiamo distrutto buona parte della fauna e della flora, non ci limitiamo a divorare gli altri animali, ma li sfruttiamo in tutti modi possibili, spesso con crudeltà inutili. In breve dobbiamo ammettere che, a parte gli enormi progressi della scienza e della tecnica, intimamente non solo non siamo migliorati, ma, per certi versi, siamo peggiorati. Le perversioni e la corruzione diffusa nella società contemporanea non esisteva, forse non era neppure possibile, in altre epoche nella quali certo l’uomo compiva azioni di estrema crudeltà, ma senza malizia, come un animale, spesso per paura o perché costretto.
piergiorgio firinu
Società e nazione.
Ben prima di Karl Popper Louis Dumont in “Homo hierarchicus” aveva teorizzato la società aperta senza tener conto che ciò comporta abolizione di filtri con inevitabile accumulo di scorie. Fuor di metafora vediamo cosa accade nella cultura e nell’arte. Per Cochin la borghesia intellettuale è avviata al pauperismo e insieme alla decadenza dei valori, gli stessi valori nati dalla rivoluzione francese dell’89.Durkheim aveva tentato di ristabilire un primato sociale, anche se contestava Taine e la sua interpretazione della Rivoluzione francese dell’89 in chiave psicologica. Un apparente contraddizione che si risolve tenendo a mente le diverse visioni dei due intellettuali. Si tratta di non dare troppa importanza alle intenzioni, ma valutare nel suo attuarsi la prassi sociale. Il problema di fondo è costituito dalla domanda più che mai attuale: Cos’è una nazione? In parallelo nasce la domanda: cos’è la società? Augustin Cochin affronta il tema che, mutatis muitandis, è sempre attuale. Il globalismo, raffazzonato e adattato alle esigenze dei grandi gruppi di potere ha coinvolto in modo pesante la cultura e l’arte. La weltanschauung delle agglomerate della finanzia internazionale non sono certo intralciate da principi etici, i deus ex macchina dei destini del mondo, non hanno certo l’avvallo democratico. I pasdaran del progresso fingono esista una logica in questo circo Barnum che è diventato il mondo occidentale. Anche il know how degli artisti è essenzialmente tecnico, adattato alle richieste del mercato. E’ abolita la società del pensiero. Ciascuno non può, forse non sa, dare una forma autonoma alla propria esistenza. Potrebbe essere di aiuto lo studio di Darwin sulle formiche per aiutare a capire l’influenza che l’ambiente esercita sulla evoluzione fisica. Questo vale a maggior ragione nella società umana nella quale le forme di condizionamento sono ben più efficaci e diffuse. Da dove trae un artista la propria ispirazione? Quale tipo di orientamento potrà trarre dalla società nella quale vive? E’ interessante la distinzione che fa Cochin tra nazione e società. Coloro che si scagliano contro il sovranismo spesso sovrappongono società a nazione, la cultura caratterizzata dalla storia. La confusione, probabilmente usata ad arte, tra nazione e società, lo scopo è tentare di negare che la cultura è tanto più universale quanto più sono profonde le sue radici nel luogo in cui nasce. Il Rinascimento conferma questo assunto perché si sviluppa all’interno delle particolari condizioni della società dell’Italia di quel tempo. Così la rivoluzione industriale non poteva che nascere in Inghilterra e la Rivoluzione francese del ’89 non poteva che avvenire in Francia. Oggi il globalismo vuol cancellare le differenze, annullare la storia, creare le premesse per trasformare le masse di tutti i continenti in semplici consumatori. La politica, per quel poco potere che gli resta, non sa o non vuole opporsi. Tutto questo avrà conseguenze che già si profilano in modo chiaro sol che le si voglia vede.
piergiorgio firinu
Ricaduta sociale dell’ignoranza.
In questi giorni dovrebbe svolgersi a Verona un raduno sulle famiglie e naturalmente l’evento ha scatenato una serie di opposizioni da parte della sinistra la quale sostiene a spada tratta l'associazione Lgbt. E’ legittimo che ognuno abbia le proprie opinioni, sarebbe però utile saperle motivare in termini non apodittici. Viviamo in un'epoca nella quale c'è un’ansia di frettolosa innovazione, atteggiamento che spesso si traduce in approssimazione culturale Una parlamentare della sinistra non ha trovato di meglio che definire il raduno delle famiglie: “ ritorno al medioevo”. Costei è in buona compagnia visto che Micromega, rivista di sinistra con pretese culturali, è sulla stessa linea. Si pone una domanda: costoro sanno cosa è stato il Medioevo? Fare ricorso a luoghi comuni è chiara manifestazione di ignoranza. Il medioevo non è stato un periodo di oscurantismo, come hanno voluto farci credere molti storici, al contrario è stato il periodo, durato oltre 1000 anni, durante il quale sono state gettate le basi della nostra civiltà. Jacques Le Goff, storico francese, sostiene che il Medioevo è durato fino all’avvento della rivoluzione industriale. Ronald G. Witt ha pubblicato un testo “L'eccezione italiana. L’intellettuale laico nel Medioevo e l’origine del Rinascimento. (800-1300)”. Il libro espone una ricca documentazione a conferma che il Medioevo è stato estremamente produttivo sul piano culturale e artistico. Cimabue, Giotto e moltissimi altri artisti hanno gettato le basi di un 'arte propedeutica al fulgore nel Rinascimento. E’ nel Medioevo che l'arte ha superato la piatta figurazione, tipica della modalità ottomana, ed ha iniziato ad assumere una dimensione prospettica che ha trovato sviluppo nelle opere di Piero della Francesca. Non solo nel campo dell’arte il Medioevo è stato un periodo produttivo. Il codice di Giustiniano sorto prima come diritto canonico, poi sviluppato come codice civile. Le società anonime sono nate dal seme gettato nel Medioevo. Per dirimere una questione nata con il testamento di San Francesco nel quale veniva stabilita una regola che impediva ai frati francescani di possedere beni. Fu quindi inventato un escamotage per fare in modo che la proprietà fosse a disposizione di tutti ma non appartenesse a nessuna persona fisica. Principio delle società anomime. Sono moltissime le tematiche affrontate e risolte nel Medioevo. Anche la persecuzione delle streghe, erroneamente attribuita all’età medioevale, in realtà avvenne in pieno Rinascimento con il domenicano spagnolo Torquemada. Le maestose Cattedrali Gotiche la cui imponente bellezza è tutt’ora vanto della nostra civiltà furono costruite dalle Gilde medioevali. Ecco dunque che i pregiudizi culturali, frutto di ignoranza, rischiano di confondere la realtà di quello che è stato un periodo di grande fermento intellettuale, che creò le basi dello sviluppo dell’Europa e dell’intero Occidente.
piergiorgio firinu
Verità del corpo.
E’ frequente per gli artisti il ricorso a citazioni filosofiche, non per chiarire le loro realizzazioni, ma per giustificarle. In “Essere, storia e linguaggio” , Gianni Vattimo scrive, citando Heidegger, “L’opera d’arte non è il prodotto del conflitto, ma è il conflitto stesso in atto, (Bestreitung), uno dei modi fondamentali in cui il conflitto si attua. In questo senso è accadere della verità nella sua natura più profonda”. Dopo aver letto parole così significative e profonde, andiamo a vedere le opere di Jeff Koons nelle quali è ritratta Ilona Staller in atteggiamenti di dozzinale erotismo. Dovrebbe essere difficile tenere insieme due realtà così antitetiche, ma la cosiddetta critica d’arte ci riesce. L.S. Vygotskij in “Psicologia dell’arte” afferma che: “ L’arte è un singolarissimo, prevalentemente emozionale, processo dialettico di approccio alla costruzione della vita”. Nel caso di Koons verrebbe da dire: vita erotica. E’ uscito in questi giorni un libro che forse aiuta a far chiarezza. Paul Bloom “Contro l’empatia. Una difesa della razionalità”. L’arte come la politica usa parole il cui suono può apparire convincente ma il cui significato è difficilmente reperibile, proprio perché vi un uso emozionale della parola, attraverso essa non cerchiamo di stabilire un significato, ma di crearlo. Gli artisti da tempo hanno rinunciato alla narrazione e alla rappresentazione di quel frammento di realtà che dovrebbero essere in grado di percepire. Sul côtè femminile dell’arte vi è un persistente uso del corpo, ma in forma prevalentemente ripetitiva, forse nella speranza di cogliere approfondire l’affermazione di Spinoza: “ Ciò di cui il Corpo è capace, nessuno mai lo ha ancora stabilito”. Se dobbiamo considerare vera questa affermazione i veri grandi artisti sono gli sciamani, i santoni indiani, i fachiri, coloro che davvero riescono a mettere la resistenza del corpo a dura prova, al loro confronto, le timide esibizioni di masochismo di Marina Abramovic sono ben poca cosa.
piergiorgio firinu
Il tempo nel mito e nell’arte.
La pittura rappresenta spesso il tempo nell’immagine di un vecchio con la folta barba bianca con in una mano la falce nell’altra la clessidra. Altra rappresentazione è il serpente che si morde la coda. Le origini di queste rappresentazioni sono piuttosto curiose: in principio la rappresentazione del tempo non possedeva nessuno di questi attributi; furono i greci a dare al tempo il nome di un loro antico dio agricolo, Crono, il quale impugnava la falce che passò nella rappresentazione del tempo. I romani identificarono il tempo con Saturno che usava la gruccia, quindi anche questo oggetto passò nella metaforica rappresentazione del tempo. Il serpente che si mangia la coda, antico simbolo egiziano dell’eternità. I pittori rinascimentali rappresentarono il tempo in maniera molto realistica mentre compie azioni di carattere allegorico con riferimento ai miti greci. Crono, figlio di Gaia, la madre terra, e Urano, il cielo. A Urano era stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe detronizzato, per timore che la profezia si avverasse il dio precipitava agli inferi tutti i figli appena avuti da Gaia. Per questo Gaia indusse suo figlio Crono ad evirare il padre, dal cui sangue caduto in mare nacque Afrodite. Il regno di Crono rappresentava per i greci l’età dell’oro. Siccome Crono divorava i propri figli, Zeus ingoiò Crono. Zeus, il dio che promosse lo sviluppo della ragione e delle Arti. Dal suo capo nacque Atena. Egli creò lo Stato e inculcò la morale e l’autocoscienza negli umani. Lo Stato, creato è mantenuto in vita dalla ragione e dalla morale, era qualcosa che avrebbe potuto persistere e durare nel tempo. La forza propulsiva della ragione sembrava portare il tempo a una comunità morale e razionale. Tuttavia la stessa forza che aveva creato il principio del pensiero, della ragione e della coscienza fu alla fine usurata e distrutta dal Tempo che pose fine alla bella opera d'arte che era stata creata da Zeus il quale, per un certo periodo aveva fermato la forza divoratrice del tempo, dando vita all’Arcadia. Il principio della ragione, che era stata opera del pensiero si dissolse e il pensiero fu nuovamente trascinato nel vortice del tempo allontanando la logica che portava alla conoscenza. L’Arcadia ebbe fine. Il fascino e la complessità del mito colpi la fantasia dei greci, narratori e artisti rappresentarono il mito di Arcadia. L’età dell’oro, la breve stagione che l’umanità non avrebbe mai più conosciuta. Molti pittori hanno rappresentato il tempo. Il Guercino dipinse “Et in Arcadia ego”. Antonio de Pereda, Annibale Carracci crearono opere sul mito del tempo. Francisco Goya rappresentò Crono mentre divora i propri figli. Anche artisti moderni hanno affrontato il tema, De Chirico e Salvador Dalì. L’arte e filosofia sfiorano appena il mistero del tempo, la nostra esistenza ci mette di fronte alla realtà. Non siamo padroni della nostra vita perché non è in nostro potere controllare il tempo.
piergiorgio firinu
Il fallimento del pensiero filosofico.
La città Stato greca poteva essere democratica perché formata da cittadini della polis che condividevano le stesse credenze. Qualsiasi riconoscimento della Libertà individuale comporta la messa in crisi della democrazia, cioè della libertà oggettiva che costituisce il principio comune a cui è sacrificata una parte della libertà individuale. Come scrisse Freud in “Il disagio della civiltà” l’aggregato umano che chiamiamo civiltà pone delle regole per poter sussistere, quindi rende meno libero il singolo individuo .Socrate educando i giovani a dare spazio alla propria individualità minava le basi della democrazia. Kierkegaard esprime la negazione della filosofia come espressione di un razionalismo finalistico. Come sempre la realtà si è rivelata più forte delle teorie dei filosofi . Socrate fu condotto a morte dai suoi stessi pensieri. Hegel in chiusura della filosofia del diritto ammette rassegnato la propria sconfitta. Il razionalismo moderno ebbe la tendenza a considerare la natura come modello sia della vita individuale che della vita sociale. La filosofia meccanicistica di Descartes, il pensiero politico materialista di Hobbes, l’etica matematica di Spinoza e la monadologia di Leibniz. Questi filosofi consideravano il mondo soggetto alle leggi della natura nel momento stesso in cui, con la Rivoluzione industriale, aveva inizio la distruzione dell’ecosistema. Il pensiero di Hegel si frantumò in correnti. La destra, i cui esponenti Michelet, Gὄschel, Jonhann Eduard, Erdmann, Gabler e Rosenkranz ,rimarcò le tendenze conservatrici di Hegel. La corrente di sinistra, David Friedrich Strauss, Edgard e Bruno Bauer, Feuerback e Ciszkowski affrontò gli aspetti sociali che ispirarono anche l’economicismo di Marx. Oggi si tenta di rivalutare Marx. L’impressione è che il suo pensiero sia travisato. Il filosofo di Treviri, sia pure con riferimenti diversi, condivideva con Kierkegaard, la posizione contro la filosofia che considerava un coacervo di astrazioni incapaci di affrontare i problemi reali, condensata nella famosa frase:” Finora i filosofi hanno descritto il mondo, è ora di cambiarlo”. La verità cercata nella filosofia è continuamente smentita dalla realtà. Ragione e natura hanno finito per diventare un alibi per trasformare il mondo in un immenso mercato nel quale anche l’essere umano è un prodotto di scambio. Non sono però state eliminate le profonde disuguaglianze. Il concetto di libertà, che si riferiva al pensiero interiore, è stato cancellato a favore del predominio materiale. Anche la creatività dell’artista, che non sappiamo da cosa scaturisce, è stata fagocitata dalla tecnologia e dal mercato. I fattori culturali e spirituali, sono stati posti in secondo piano, anzi quasi del tutto archiviati. La creatività dell’artista è condizionata da fattori sociali. Karl Marx, Feurback e altri filosofi erano convinti che, liberato dal bisogno materiale l’uomo si sarebbe dedicato alla cultura e all’arte, si è rivelata un’illusione. La filosofia non è mai stata in grado di condizionare l’orientamento delle masse, oggi ha rinunciato al tentativo, disperdendosi in rivoli la cui consistenza culturale è piuttosto effimera, non certo in grado di orientare “le èlite”, tanto meno le masse. Oggi come ieri, viviamo in una civiltà amorale nella quale domina uno spietato darwinismo sociale. Dobbiamo dunque prendere atto che il pensiero filosofico che ipotizzava l’evoluzione positiva dell'uomo, si è arreso alla realtà. La nota affermazione di Hobbes: “omnia contra omnes” è quanto mai attuale. Dobbiamo prendere atto che la civiltà contemporanea conferma il fallimento della filosofia.
piergiorgio firinu
La virtù della coerenza.
Quando si parla di coerenza si tira in ballo il diritto di cambiare idea. Affermazione legittima ma incompleta. Sarebbe utile capire le ragioni profonde per le quali si cambia opinione, o comunque si modifica il proprio atteggiamento. Hegel ammirava Napoleone. Si era espresso a favore della rivoluzione francese del 1789. Divenuto una sorta di depota della filosofia tedesca, odiato profondamente da Schopenhauer, virò di 360 gradi e divenne l’ideologo dello Stato prussiano, non esattamente uno Stato liberale. Qualcosa di simile accadde con Hobbes che all’inizio si caratterizzò come filosofo della borghesia, in quella veste appoggiò Carlo I Stuart. Passò a sostenere la politica dei puritani di Cromwell e finì per appoggiare la restaurazione degli Stuart. Vi è da considerare l’aspetto umano. Il grande filosofo Aristotele subì dal suo discepolo Alessandro Magno un scherzo crudele quando lo fece incontrare con la bella prostituta Fillide la quale convinse il filosofo a farsi cavalcare. Quando Alessandro e suoi amici entrarono nella stanza videro il filosofo a carponi con la prostituta sulla schiena. Situazione che collide con la grande intelligenza di Aristotele pur senza inficiarne la filosofia. Diciamo dunque che la coerenza è virtù rara che include una serie di fattori, la volontà innanzi tutto, il rispetto di sè, l’etica. La storia dell’arte, per venire all’argomento che ci è più prossimo, conta una quantità di artisti che all’inizio ebbero atteggiamenti rivoluzionari, a partire dai Romantici, ma ottenuto il successo e inebriati dalla mondanità divennero semplici borghesi. La volontà è il supporto sul quale l’intelligenza realizza le proprie opere. Ma la volontà è come il coraggio del quale il manzoniano Don Abbondio diceva: se non ce l’hai non te lo puoi dare. Tuttavia, per venire ai tempi nostri, vi è un aspetto molto più inquietante dell’assenza di volontà, l’incoraggiamento ad ogni forma di devianza in nome della libertà. Non è più rispetto della coerenza, siamo oltre, un atteggiamento reazionario che viene spacciato per progressista. Se dobbiamo rispettare il principio di coerenza non possiamo fare a meno di rilevare che il mito della libertà come è oggi diffuso, si traduce in atteggiamento coerente, in quanto ci riporta alla nostra natura animale, ci libera cioè dalle norme che hanno consentito la nascita della civiltà. Linguaggio, sessualità, comportamenti devianti ci avvicinano al regno animale privo di regole. Freud, in “Il disagio della civiltà” sosteneva che non è affatto vero che la civiltà ci rende più liberi, è vero il contrario, regole e norme vincolano e limitano la nostra libertà. Di conseguenza, abolendo le norme si è più liberi ma meno civili. Ovviamente le orde umane che seguono ogni tipo di evento supportato dai mezzi di comunicazione non si pongono il problema, di certo la coerenza non è in cima alle loro priorità.
piergiorgio firinu
La ricerca di coerenza della ragione,
Quando si parla di coerenza si tira in ballo il diritto di cambiare idea. Affermazione legittima ma incompleta. Sarebbe utile capire le ragioni profonde per le quali si cambia opinione, o comunque si modifica il proprio atteggiamento. Hegel ammirava Napoleone. Si era espresso a favore della rivoluzione francese del 1789. Divenuto una sorta di depota della filosofia tedesca, odiato profondamente da Schopenhauer, virò di 360 gradi e divenne l’ideologo dello Stato prussiano, non esattamente uno Stato liberale. Qualcosa di simile accadde con Hobbes che all’inizio si caratterizzò come filosofo della borghesia, in quella veste appoggiò Carlo I Stuart. Passò a sostenere la politica dei puritani di Cromwell e finì per appoggiare la restaurazione degli Stuart. Vi è da considerare l’aspetto umano. Il grande filosofo Aristotele subì dal suo discepolo Alessandro Magno un scherzo crudele quando lo fece incontrare con la bella prostituta Fillide la quale convinse il filosofo a farsi cavalcare. Quando Alessandro e suoi amici entrarono nella stanza videro il filosofo a carponi con la prostituta sulla schiena. Situazione che collide con la grande intelligenza di Aristotele pur senza inficiarne la filosofia. Diciamo dunque che la coerenza è virtù rara che include una serie di fattori, la volontà innanzi tutto, il rispetto di sè, l’etica. La storia dell’arte, per venire all’argomento che ci è più prossimo, conta una quantità di artisti che all’inizio ebbero atteggiamenti rivoluzionari, a partire dai Romantici, ma ottenuto il successo e inebriati dalla mondanità divennero semplici borghesi. La volontà è il supporto sul quale l’intelligenza realizza le proprie opere. Ma la volontà è come il coraggio del quale il manzoniano Don Abbondio diceva: se non ce l’hai non te lo puoi dare. Tuttavia, per venire ai tempi nostri, vi è un aspetto molto più inquietante dell’assenza di volontà, l’incoraggiamento ad ogni forma di devianza in nome della libertà. Non è più rispetto della coerenza, siamo oltre, un atteggiamento reazionario che viene spacciato per progressista. Se dobbiamo rispettare il principio di coerenza non possiamo fare a meno di rilevare che il mito della libertà come è oggi diffuso, si traduce in atteggiamento coerente, in quanto ci riporta alla nostra natura animale, ci libera cioè dalle norme che hanno consentito la nascita della civiltà. Linguaggio, sessualità, comportamenti devianti ci avvicinano al regno animale privo di regole. Freud, in “Il disagio della civiltà” sosteneva che non è affatto vero che la civiltà ci rende più liberi, è vero il contrario, regole e norme vincolano e limitano la nostra libertà. Di conseguenza, abolendo le norme si è più liberi ma meno civili. Ovviamente le orde umane che seguono ogni tipo di evento supportato dai mezzi di comunicazione non si pongono il problema, di certo la coerenza non è in cima alle loro priorità.
piergiorgio firinu
immagine interpretata.
Secondo Platone l’atto è preceduto dall’idea, cioè dal progetto. A partire dal Romanticismo,ha preso piede la bizzarra teoria secondo la quale un individuo, apoditticamente definito “artista”, ha una speciale prerogativa, ovvero una particolarità detta “ispirazione” . In base a questa facoltà si presume l’artista possa produrre opere, non solo sottraendosi ai condizionamenti, come è giusto, ma prescindendo da ogni cultura e conoscenza, possa quindi dare all’arte una propria definizione e forma. In questo modo si creano le premesse per stravolgere le modalità di produzione dell’arte affidata a fantasie senza fondamento. A questo punto gruppi che furono indicati come “avanguardie”, con l’appoggio di critici e filosofi dell’arte, decisero di abolire mimesi, estetica, bellezza. Tutto questo è stato reso possibile da più fattori. Innanzitutto la caduta in verticale del livello culturale generale a cui si affianca la crescita esponenziale del mercato del quale i dominus sono commercianti privi di cultura che hanno come controparte borghesi di pari livello culturale, amanti del kitsch. Tutto questo ha concorso a creare uno stravolgimento della produzione artistica nella quale ha parte preponderante l’invadenza e l’incultura degli Stati Uniti d’America. In Europa gli esponenti del mondo dell’arte hanno avuto una posizione ancipite, un occhio alle ideologie, l’altro al mercato. Sostanzialmente si è preteso di attuare una variazione del tema senza conoscere in modo approfondito il tema. La semplice differenza tra l’immagine reale dell’oggetto e quella teorizzata su fondamenti di negazione privi di riscontri. E’ questa la linea seguita dalla critica e filosofia dell’arte negli ultimi cento anni. In realtà solo l’immagine reale dell’oggetto esprime determinate proprietà. Da un punto di vista psicologico la logica formale può essere deviata dall’impressione senza preoccupazione di rispetto della legge di non contraddizione, ma in questo modo il procedere sillogistico crea una serie di incompatibilità tra predicati e forma. Vi può essere la convinzione di asserire qualcosa con pretesa di verità evitando, nel caso dell’arte, la verifica logica assumendo che l’arte deve essere sottratta a giudizi di merito e di valore. Questa teorizzazione non ha riscontro in nessun altro campo, e con questo espediente si sottrae all’analisi logica e fattuale. Questo stereotipo è stata accettato ed è entrato nell’uso comune.
piergiorgio firinu
Il fallimento della ragione.
Hegel conclude la sua filosofia delle Scienze filosofiche con un paragrafo della metafisica di Aristotele in cui l'autentico essere è inteso come ragione. Non si tratta di un semplice esempio, la filosofia di Hegel è in gran parte una reinterpretazione dell'ontologia di Aristotele liberata da quelle che Hegel considerava le distorsioni della metafisica, intesa nel suo aspetto inattuale, in breve il tentativo di far diventare il mondo ragione realizzata. Non c'è dubbio che questo intento di Hegel si sia tradotto in un fallimento. La differenza tra l'essere, inteso come essere determinato e l'essere come essere in quanto tale è il problema che riguarda tutta la storia della filosofia occidentale da quando si è posta la domanda: che cos'è l'essere? Il quesito che animò la filosofia greca da Parmenide ad Aristotele. Ogni essere intorno a noi è un essere determinato, una pietra, uno strumento, una casa, un animale, un episodio e così via. Tuttavia noi usiamo un predicato. Ognuno di questi esseri diciamo che sono così e così, cioè noi attribuiamo ad essi l'altra forma dell'essere, quella forma dell'essere non consiste in particolari cose esistenti nel mondo ma è comune a tutti i particolari esseri a cui essa può essere attribuita. Ciò significa che ci deve essere un essere come tale diverso da ogni essere determinato particolare tuttavia attribuibile a qualsiasi essere così che esso può venire definito come il vero e unico essere presente in ogni forma particolare degli esseri determinati, l'essere come tale è ciò che tutti gli esseri particolari hanno in comune e ne costituisce il substrato. Era quindi relativamente facile considerare questo essere del tutto come l'essenza di ogni essere e come sostanza divina, come massima realtà e fonderlo così lontano da ogni teologia e ogni tradizione. Nella logica di Hegel il problema è se mai considerare che, avendo annullato ogni forma di religiosità e spiritualità, l'essere finisce per concretizzarsi in un materialismo funzionale, cioè relativo alle azioni del singolo essere, non in quanto essere ma in quanto operante all'interno di una società condizionante che limita l'espansione individuale e spirituale comprimendola nella dimensione della possibilità di realizzarsi all’interno di una dimensione materiale. Non è un caso che Karl Marx sia tra i più convinti seguaci della corrente razionalistica di sinistra hegeliana. Il marxismo rappresenta il più chiaro e lampante fallimento della filosofia di Hegel. I riflessi culturali di un razionalismo programmatico si riflettono in tutta la cultura e nell’arte subordinando e giustificando tutto alla riuscita di un determinato preciso progetto. La società contemporanea, nonostante le argomentazioni speciose della filosofia, segue più o meno consapevolmente la traccia hegeliana che consiste, come abbiamo detto, nella riduzione dell' essere alla pura razionalità. Questo è quanto emerge da un'attenta lettura della filosofia contemporanea. Sul piano formativo, in senso più propriamente sociale, tale filosofia, pensiamo a Marcuse,
Derrida, Rorty, ecc. non approda ad alcuna conclusione convincente. L'essere umano e non è più soggetto del discorso filosofico, ma semplicemente incluso in generiche teorizzazioni che non gli forniscono gli strumenti per la comprensione, tanto meno la capacità di affrontare le situazioni esistenziale che ogni singolo individuo si trova a dover concretamente affrontare.
piergiorgio firinu
Verità e interpretazione.
Quando parliamo di verità ci riferiamo soprattutto al senso di realtà. Verità infatti significa riferimento all’essere reale delle cose. Dunque, un discorso privo di verità è privo di senso perché si riferisce a qualcosa che non esiste. Ovviamente ci sono creazioni artistiche, il teatro ad esempio, nelle quali per convenzione la menzogna è strumento di rappresentazione. In tutti gli altri casi non vero significa semplicemente inesistente. Ovviamente i sofisti inconsapevoli obiettano che, siccome non si può dividere il mondo in bianco e nero, è necessario accettare anche le sfumature di grigio. Questa metafora del colore, spesso adottata, si smentisce da sè, infatti non esclude che tutte le sfumature di grigio esistenti siano cosa diversa dal bianco. Questo significa che esistono gradi diversi dell’essere, ovvero diversi gradi di negazione. Esempio paradigmatico è costituito da critica e filosofia dell’arte che presumono di modificare l’ontologia dell’oggetto attraverso un ermeneutica che si richiama a fattori culturali, sociali, psicologici, emotivi. Questi procedimenti sono soggetti a palese aporia, dando per scontato che la sovrastruttura verbale abbia il potere di modificare l’ente a cui è riferita. Il tentativo di attribuzione di senso versus la realtà della forma è alla base dell’inganno che costituisce giustificazione di buona parte dell’arte contemporanea.
piergiorgio firinu
Dominio del sensibile
Diceva Rimbaud:” noi non siamo al mondo”. Siamo chiusi nei nostri interessi particolari nei ristretti orizzonti della quotidianità. Le città moderne riducono ulteriormente lo spazio della nostra visione limitata a tutto ciò che è artificiale e costituisce la nostra vita. Il mondo vero è quello che riusciamo a ricreare dentro di noi, il resto è consumo e necessità. In un profondo pensiero, Biagio Pascal diceva “sotto un certo rapporto, io comprendo il mondo, sotto un altro rapporto esso mi comprende”. Ma oggi ha ancora fondamento questo pensiero? Scrive Maurice Merleau-Ponty in “Fenomenlogia della percezione” “Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti dispiegati nello spazio, e l’essere per sé che è quello della coscienza”. Il tempo non agisce sulle cose, le lascia a se stesse, prede della propria essenza. Ciò che chiamiamo “soggettività” è qualcosa di molto ambiguo, perché presuppone la nostra chiarezza del pensiero, cosa che implica il dominio della nostra mente. In realtà i nostri pensieri sono fuori dal nostro controllo, non controlliamo, se non in minima parte le nostre stesse sensazioni e decisioni. Noi siamo il prodotto di una cultura, per quanto modesta essa sia, di esperienze che restano dentro di noi, delle irrefrenabili tendenze del nostro corpo. A ciò, oggi, si aggiungono i potenti e pervasivi mezzi di comunicazione di massa che ci condizionano. Dunque i nostri atti e le nostre scelte sono fuori dal nostro controllo mentale che spesso viene addirittura giudicato negativamente. La questione del libero arbitrio è stata affrontata dalla filosofia scolastica senza giungere a conclusioni convincenti. Gli scienziati dibattono sullo stesso concetto di “coscienza” come di qualcosa che è legato alla percezione e alla consapevolezza. Forse non corrisponde al vero la visione dell’essere umano come individuo libero, sol che lo voglia. Credo che il mito della libertà abbia prodotto guasti sociali enormi. Intanto quando si parla di libertà, soprattutto il femminismo, ci si riferisce sempre e soltanto al corpo. Le insulse espressioni “Devi volerti bene” non sono che una forma idiota di solipsismo che si traduce in negatività. Volersi bene non implica che possesso o soddisfazione, entrambi sempre incompleti e provvisori. E’ piuttosto la capacità di auto dominio che ci consente di attuare scelte libere e consapevoli, viatico a una possibile libertà. Difficilmente riusciamo a dominare i nostri pensieri ma, attivando una volontà consapevole, potremmo forse controllare meglio il nostro corpo dando ad esso la libertà di scegliere la misura in cui vivere. La nostra stessa percezione si acuisce, come quando nel silenzio irrompe un suono. Come la rumorosità diffusa, anche la diffusa suggestione, a sesso, a consumo, sensazioni forti ed estranianti, attutiscono la nostra sensibilità e ci rendono più rozzi e insensibili.
piergiorgio firinu
In forma di parole.
Come per l’arte plastica anche la letteratura si presta a interpretazioni plurime. Il “Trattato sull’origine dei romanzi” , scritto da Pierre-Daniel Huet nel 1670, affronta tema storico e filosofico insieme alla funzione e qualità della narrazione. “La Biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges pubblicato nel 1941, traccia un quadro surreale del mondo dei libri. Quando leggiamo un romanzo il nostro apprezzamento si basa sul contenuto o sulla qualità della scrittura? Per Roland Barthes la letteratura non è che la ricerca della parola giusta. Questa sintesi riduttiva sottovaluta l’aspetto “storico” di ogni romanzo che abbia lasciato il segno. “Papà Goriot”, la “Commedia umana” , entrambi di Honoré de Balzac. “I miserabili” di Victor Hugo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil. “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Sono alcuni romanzi che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della letteratura. Rappresentano ciuoè i temi di un epoca, filtrati dalla sensibilità dell’autore. Gregor Samsa resta nell’immaginario di chiunque abbia letto “La metamorfosi”. Come “Madame Bovary” di Gustave Flaubert è rimasta, fino a non molti anni fa, lo stereotipo della adultera. Oggi con il rilassamento dei costumi e la totale perdita di valore tutto si perde nel porto delle nebbie di una uniformità francamente squallida. Se la letteratura si riduce al piacere, o divertimento di leggere senza problemi di forma e contenuto, così come avviene nell’arte plastica, si apre la strada a libri come “Cinquanta sfumature di grigio”, non a caso scritto da una donna Erika Leonardi. Purtroppo non sembra che la letteratura incida molto sul linguaggio e sul costume quotidiano. Si dice che in Italia si leggano pochi libri e giornali, un dato negativo, anche se in paesi in cui si legge di più il livello medio del linguaggio quotidiano non è certo più elevato. La ragione è semplice: abitudini e linguaggio sono influenzati molto di più da cinema e tv di quanto lo siano dalle letteratura che pure è sempre più orientata a stimolare le pruderie piuttosto che alla elaborazione di un pensiero creativo e trasfigurante. Vi è inoltre da prendere atto che nella letteratura come nell’arte plastica è sempre maggiore la presenza femminile che impone i temi tipici del mondo delle donne: intimismo e sesso. Considerato che i giornali lungi dal contrastare le tendenze peggiori le assecondano, quando non le esaltano attraverso articoli e recensioni, il quadro complessivo non è confortante, abbiamo la conferma che la cultura contemporanea non solo non è antidoto al degrado, ma forse lo alimenta.
piergiorgio firinu
In forma di parole.
Come per l’arte plastica anche la letteratura si presta a interpretazioni plurime. Il “Trattato sull’origine dei romanzi” , scritto da Pierre-Daniel Huet nel 1670, affronta tema storico e filosofico insieme alla funzione e qualità della narrazione. “La Biblioteca di Babele” di Jorge Luis Borges pubblicato nel 1941, traccia un quadro surreale del mondo dei libri. Quando leggiamo un romanzo il nostro apprezzamento si basa sul contenuto o sulla qualità della scrittura? Per Roland Barthes la letteratura non è che la ricerca della parola giusta. Questa sintesi riduttiva sottovaluta l’aspetto “storico” di ogni romanzo che abbia lasciato il segno. “Papà Goriot”, la “Commedia umana” , entrambi di Honoré de Balzac. “I miserabili” di Victor Hugo. “L’uomo senza qualità” di Robert Musil. “I Buddenbrook” di Thomas Mann. Sono alcuni romanzi che rappresentano altrettante pietre miliari nella storia della letteratura. Rappresentano ciuoè i temi di un epoca, filtrati dalla sensibilità dell’autore. Gregor Samsa resta nell’immaginario di chiunque abbia letto “La metamorfosi”. Come “Madame Bovary” di Gustave Flaubert è rimasta, fino a non molti anni fa, lo stereotipo della adultera. Oggi con il rilassamento dei costumi e la totale perdita di valore tutto si perde nel porto delle nebbie di una uniformità francamente squallida. Se la letteratura si riduce al piacere, o divertimento di leggere senza problemi di forma e contenuto, così come avviene nell’arte plastica, si apre la strada a libri come “Cinquanta sfumature di grigio”, non a caso scritto da una donna Erika Leonardi. Purtroppo non sembra che la letteratura incida molto sul linguaggio e sul costume quotidiano. Si dice che in Italia si leggano pochi libri e giornali, un dato negativo, anche se in paesi in cui si legge di più il livello medio del linguaggio quotidiano non è certo più elevato. La ragione è semplice: abitudini e linguaggio sono influenzati molto di più da cinema e tv di quanto lo siano dalle letteratura che pure è sempre più orientata a stimolare le pruderie piuttosto che alla elaborazione di un pensiero creativo e trasfigurante. Vi è inoltre da prendere atto che nella letteratura come nell’arte plastica è sempre maggiore la presenza femminile che impone i temi tipici del mondo delle donne: intimismo e sesso. Considerato che i giornali lungi dal contrastare le tendenze peggiori le assecondano, quando non le esaltano attraverso articoli e recensioni, il quadro complessivo non è confortante, abbiamo la conferma che la cultura contemporanea non solo non è antidoto al degrado, ma se forse lo alimenta.
La libertà come mito e inganno.
Secondo Aristotele è corretto chiamare la filosofia “scienza della verità”. Egli attua la distinzione tra filosofia teoretica il cui fine è verità, e la filosofia pratica volta a indirizzare le azioni. Molta filosofia moderna è impegnata a demolire lo stesso concetto di verità, a partire dal pensiero debole, fino a “A cosa serve la verità?” di Pascal Engel e Richard Rorty (2005). Per superare la difficoltà di trovare argomentazioni convincenti sul piano filosofico la scelta è stata tagliare il nodo, negare l’esistenza stessa della verità. Il pensiero debole è andato oltre, ha negato ogni fondamento alle ragione etica che è alla base della verità. L’insipienza della cultura contemporanea, ben salda nella propria dotta ignoranza, si comporta come i pipistrelli i quali vedono meglio nel buio e ogni barlume di luce li disturba. Molti di questi soloni, cantori della libertà, pensano e agiscono pro domo Cicero, usano cioè la filosofia per giustificare le proprie perversione diventano tanto meno esecrabili quando si cancellano ragioni etiche e veritative. I filosofi dovrebbero stabilire cosa costituisce un valore di riferimento sul quale si impernia l’intera struttura di relazioni umane, tanto più utile oggi che l’umanità è avviata a raggiungere i 10 miliardi di persone nell’arco di pochi anni. Il principio elementare di distinzione tra vero e falso inquinato da teorie ancipiti la cui giustificazione sarebbe sottrarsi ai dogmi, mentre in realtà lo scopo è sottrarsi al “dogma” della ragione logica. In questo modo tutte la vacche sono bige, ci si trova liberi nella vasta prateria della libertà. In base a questo arruffato noema si attua un processo di ectesi nel quale la ragione non ha più voce. La libertà è un falso mito e le illusioni che lo nutrono collidono con natura e storia. Gioca a favore dei creatori di questi pleonasmi concettuali, il fatto che la storia ha tempi lunghi, anche se già ora si profilano le prime conseguenze del malinteso mito di libertà, nei tempi lunghi la società umana sarà sempre meno gestibile. Dopo il progressivo abbandono di ogni riferimento alla natura, seguirà una progressiva disumanizzazione sotto specie scientifica come ipotizzato da Susan Greenfield in “Gente di domani” (2003). “Domani, poi domani e domani,/così il tempo striscia via, a piccoli passi, da un giorno all’altro/ fino all’ultima sillaba del ricordo del tempo/ e tutti i nostri ieri hanno rischiarato gli sciocchi/ la vita verso la polvere della morte…” (Monologo di Macbeth di William Shakespeare).
piergiorgio firinu
Ermeneutica della forma
Il rapporto che intercorre tra l’opera di avanguardia e i metodi formali di teoria dell’arte è stato stravolto con l’elusiòne dei tradizionali procedimenti tecnici e uso dei materiali. Ciò tuttavia non ha modificato l’approccio ermenèutico della critica d’arte, provocando una dicotomia tra oggetto e interpretazione con criteri classici, così come viene praticata tuttora da buona parte della critica. Prassi e teoria dell’avanguardia hanno avuto, tra l’altro, l’effetto di diluire l’essenza significante in discipline diverse. Reinhard Brandt nel suo libro “Filosofia nella pittura”, ha analizzato opere di artisti classici con riferimenti filosofici. Appare evidente che le opere dei maestri del passato potevano essere apprezzate, indipendentemente dalla capacità d’interpretazione iconologia. L’arte d’avanguardia, avendo eliminato l’estetico, ha ridotto la forma a citazione concettuale, con la conseguenza che, l’osservatore non in grado di percepire il significato sottointeso, perde ogni possibilità di comprensione e godimento. Senza dubbio, non è ancora emersa con sufficiente chiarezza l’inutilità della critica d’arte oggi. Essa ha un approccio classico a opere che sono la negazione di ogni espressione d’arte, intesa in senso tradizionale. La critica non è in grado di svolgere efficacemente la propria funzione interpretativa, in quanto la lettura dell’opera richiede il ricorso a varie discipline, psico - sociologiche, politiche, filosofiche, quant’altro serve a collocare l’opera nel contesto nel quale è possibile decifrarne il senso. L’analisi dell’opera non può essere attuata scientificamente, come ipotizza, tra gli altri, Peter Burger nel suo saggio “Teoria dell’avanguardia”, anche in ragione anche della voluta casualità di molte opere che si attuano tramite a un gesto gratuito, e/o si affidano a espressioni d’ironia estemporanea. Le forzature ermeneutiche della critica, finiscono per costituire anello di congiunzione con l’arte-arte, in questo modo accreditano una supposta concettualità, che forse era nelle intenzioni dell’artista, ma di cui non c’è traccia nell’opera. A ciò contribuisce il modesto bagaglio culturale degl’artisti, incapaci di adeguare l’apparato concettuale alla sintesi della forma. C’è il rischio concreto di nobilitare la pura dissacrazione a concetto. Condizione necessaria per una possibile sintesi tra procedimenti formali ed ermeneutici è rendersi conto che nell’opera avanguardistica l’emancipazione del singolo elemento non raggiunge mai il distacco completo dalla totalità dell’opera. Anche dove la negazione della sintesi diventa principio strutturale, deve comunque rimanere la possibilità di pensare a una unità, sia pure precaria. Per quanto riguarda la ricezione, ciò significa che anche l’opera di avanguardia deve essere compresa in modo ermeneutico, vale a dire come totalità di senso, quel che cambia è solo il fatto che l’unità ha accolto in sé la contraddizione. Non è più l’armonia delle singole parti a costituire l’unità dell’opera, bensì il rapporto contraddittorio di elementi eterogenei. Per questo, dopo i movimenti di avanguardia non si può pensare né di sostituire semplicemente l’ermeneutica con procedimenti formalistici, né di continuare ad adoperarla come procedimento intuitivo di comprensione; essa dovrebbe adeguarsi alla mutata situazione storica.
piergiorgio firinu
Artisti e no.
All’inizio della Metafisica, Aristotele sottolinea due proprietà: “Vedere” ed “ Esperienza”. Nella convulsa contemporaneità ci si deve porre il problema : Cosa vedere? Cosa costituisce esperienza? Se questi due azioni sono alla base dell’arte, diventa determinante natura e qualità di ciò vediamo e sperimentiamo. Contrariamente al passato, oggi siamo assillati da una vastissima pluralità di condizionamenti dovuti a fatti, oggetti, persone. La nostra esperienza plurale presume una capacità di decifrazione maggiore di quella necessaria in passato. Ciò vale in ogni ambito culturale e sociale. Quando si afferma che “è arte ciò che l’artista considera arte”, non solo si cade in una palese tautologia, ma si trascura di precisare ciò che fa di un individuo un artista. Da cose deriverebbe una maggiore capacità di visione del supposto artista? Chi ha titoli e capacità di stabilire la differenza tra un comune individuo e un “artista”? E ancora, quale tipo di esperienza avrà maturato chi si propone come creatore d’arte? E’ sufficiente ridurre tutto a un percorso scolastico? Se così fosse dovremmo esimerci dall’attribuire all’artista quella che viene definita “intuizione creativa”.In altre parole appare chiaro che l’aurea che circonda l’artista e il suo operato è pura invenzione retorica, priva di fondamento. Dunque, liberato il campo da speciose teorie ermeneutiche, dovremmo essere in grado di osservare le opere nella loro realtà. La civiltà greca, che pure contava artisti del livello di Zeusi, Fidia, Parrassio, considerava gli artisti demiurghi, cioè artigiani. Come scrive Max Weber in “Storia economica e sociale dell’antichità”. Perché dunque è così difficile smitizzare l’artista? Semplicemente perché la miticizzazione è funzionale al mercato dell’arte. Infatti la critica e la filosofia dell’arte sono i megafoni del mercato, sono nati contemporaneamente alla creazione del mercato realizzato dalla borghesia. Attraverso la mitizzazione dell’artista si creano condizioni favorevoli, una sorta di trappola per speculatori, i noti squilionari, sui quali i mercanti d’arte hanno creato le loro fortune.
piergiorgio firinu
Critica e immaginazione.
La critica artistica è concepita come una ricerca dei nessi, forme strutture, come una summa, un sistema, una griglia o un codice di differenze precise e sottili il più possibile, di “sfumature” sempre più delicate. Sebbene non abbia a che vedere con le idee generali, segue la ricerca di differenze, citazioni. Se è vero che l’ispirazione è squisitamente individuale, la cultura che la ispira appartiene al patrimonio collettivo. L’artista, attraverso il linguaggio dell’arte, attraverso e grazie all’ispirazione/intuizione dovrebbe essere in grado di comunicare il significato del frammento di realtà che esplora. Accade invece che critica e artista procedano su percorsi paralleli, indugiando specialmente tra interpretazioni psicologiche e contestualizzazioni estemporanee. Tenuto conto che il maggior sforzo compiuto dagli artisti nell’ultimo secolo è la presa di distanza dalle forme classiche, sembra improbabile trovare un aggancio con la storia dell’arte, se non facendo ampio ricorso alla letteratura, una sorta di copia e incolla che serve forse al tentativo di dare giustificazione ad opere francamente insignificanti, nel senso letterale del termine, ma certo non aiuta ad accrescere la conoscenza della discussa fenomenologia dell’arte contemporanea. Tanto più quando celebrati filosofi dell’arte come A. Danto, il quale si ritiene titolato per definire la Metafisica di Aristotele ciarpame. Dubito che Danto abbia letto i 14 libri che costituiscono il corpo della Metafisica di Aristotele. Se lo avesse fatto avrebbe scoperto che il primo libro è l’archè della storia della filosofia, nell’insieme dei libri è contenuto in nuce il successivo sviluppo del sapere dell’Occidente. E’ preoccupante che a simile personaggio l’Università di Torino abbia conferito la laurea honoris causa, ennesima dimostrazione della prevalenza del potere di suggestione degli USA sulla cultura europea e in particolare italiana.
piergiorgio firinu
La dispersione del sapere.
Quando nel 1918 venne pubblicato: “Il tramonto dell'Occidente” di Oswald Spengler, poteva sembrare una profezia azzardata. In realtà abbiamo assistito, e assistiamo, a una serie di fatti che confermano pienamente quella che era l'idea di Spengler. L'occidente sembra incapace di riprendere un percorso sano di una civiltà che, come la storia dimostra, non si è mai interamente realizzata nella sua modernità, anche se un tempo si immaginava felice. E’ chiaro che in ragione della natura dell’essere umano, non può esistere una civiltà compiutamente equa solidale della quale farneticano, spesso in malafede, i politici. L'argomento al quale vorrei accennare brevemente è la ragione per cui Spengler ha scritto “ Il tramonto dell'Occidente”, in un periodo in cui si percepivano gli scricchiolii sempre più marcati anche nel campo della cultura. Si profilavano le prime avanguardie distruttive. Qualcuno ha sostenuto che i DADA nutrivano una sorta di odio per l'arte. Probabilmente era vero, a mio avviso l’azione delle avanguardie, non solo DADA, è stato soprattutto un atto di presunzione a cui non corrispondeva una cultura adeguata. Einstein aveva, si suppone, un docente, un maestro che l'ha guidato nei primi passi del sapere. Seguendo gli insegnamenti del suo maestro ha poi fatto passi avanti e lo ha di gran lunga superato. Le avanguardie hanno preteso di ignorare i maestri che le avevano precedute. La stessa presunzione di “essere artisti” era tutta da dimostrare. Hanno agito come se si trovassero al grado zero dell'arte. In realtà sono state proprio le avanguardie a portare l’arte al grado zero adottando una serie di espedienti attuabili a prescindere dalle specifiche competenze, che avrebbero dovute essere apprese; non solo le competenze di carattere per così dire tecnico, ma la stessa base culturale indispensabile per la realizzazione di opere che abbiano un significato. Tutto ciò avrebbe dovuto essere appreso. Come scrive Jean Francois Lyotard in “La condizione postmoderna”. “Non si insegna ciò che non si sa” . Più generalmente non si produce nulla senza sapere. Ecco quindi che se ad un certo punto gli artisti hanno supposto di poter fare a meno della conoscenza tecnica e umanistica che era la base della produzione artistica. Gli esiti che oggi constatiamo erano prevedibili.
piergiorgio firinu
L'infinito e sue antinomie.
“C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’infinito”, così ha scritto J.L.Borges. E’ impresa ardua provare ripercorrere le vicende di questa temibile categoria. Dalle origini greche sino alla ormai cronica “crisi dei fondamenti” del pensiero scientifico il concetto d’infinito, senza limiti, quale già appare in Anassimandro. Ma l’infinito greco, dai Presocratici alla sistemazione aristotelica, proprio in quanto lo si riteneva un principio “divino, immortale e indistruttibile”, viene maneggiato con estrema cautela nei procedimenti del pensiero discorsivo. E si tratterà sempre, allora, di un infinito potenziale, concepito nel segno della “negazione” e della “privazione” di Aristotele. La contesa tra il finito e l’infinito appariva dunque come una delle forme della contesa ultima fra tutte quella tra l’Uno e il Molteplice. Il numero, sinonimo di misura e armonia, valeva in essa da misterioso punto di mediazione fra il limite e l’illimitato. Dalla Grecia antica a oggi la sequenza delle metamorfosi dell’infinito è stata vertiginosa. Lo svilupparsi della matematica vi si intreccia con radicali mutamenti nel modo di concepire la realtà cosmica e mentale dell’infinito. A poco a poco abbiamo visto delinearsi quella che è la grande attrazione e tentazione del pensiero occidentale: l’infinito attuale, che i Greci avevano evitato è venuto assumendo un ruolo sempre più centrale. Nel bruciante tratto di storia, che va da Leibniz a Bolzano e Cantor, con sempre rinnovati tentativi di “indicare in modo esplicito l’infinito con ‘qualcosa’” , fintanto che questo ‘qualcosa’ si rivelerà “suscettibile per di più di essere manipolato come segno tangibile della meccanica algebrica”. Una soggiogante realtà cosmica si tramuta così in un esile segno sulla carta. Ma una volta giunti, con la teoria cantoriana del transfinito, alla fioritura di una specie inaudita della matematica, cominceranno immediatamente ad aprirsi le falle insidiose dei paradossi e delle antinomie, che metteranno in crisi i fondamenti stessi della scienza. Da questa crisi, in cui siamo ancora immersi, discenderanno le più importanti scoperte epistemologiche del nostro tempo.
piergiorgio firinu
Marx: arte e mito.
Gli strani percorsi dell’influenze culturali sono ricchi di sorprendenti contraddizioni. Karl Max e Wagner furono entrambi allievi di Ludwing Feuerbach, esponente della sinistra Hegeliana, autore tra l’altro di “Principi della filosofia dell’avvenire” che contiene la famosa affermazione: “Dare l’intelletto a chi non l’ha, non rientra nelle possibilità della filosofia”. Si potrebbe aggiungere che l’Accademia non è detto sviluppi sensibilità artistica in chi ne è privo. Non si dovrebbe mai dimenticare che tra i demeriti delle avanguardie, rilevante aver attaccato le Accademie, non per sopprimerle, ma per occuparle. Sorprendente come si siano diversificati percorsi dei due allievi di Feuerbach. Max diede vita a una corrente filosofico - politica che cambiò la concezione della storia e dell’economia. Wagner diventò una sorta d’icona del nazismo. Entrambi ebbero grande interesse per la mitologia greca. La prefazione alla dissertazione di dottorato di Marx del 1841 si conclude con la frase:” Prometeo è il più grande santo martire del calendario filosofico”. Wagner ebbe anche intuizioni profonde sul possibile degrado mercuriale dell’arte, partendo dal mito anticipò la realtà di oggi. In”L’arte e la rivoluzione e altri scritti politici” Egli scrisse: “ Un dio malvagio si è trovato ,/Mercurio, il signore del mondo dei bottegai,/ lui ha ora legato perfino l’arte”.
piergiorgio firinu
Filosofia e arte.
La questione “a cosa serve la filosofia” dovrebbe essere preceduta dall’interrogativo “cos’è la filosofia”. Appena poste le domande, appare evidente la difficoltà di dare risposte esaustive. Il pragmatismo contemporaneo è orientato in modo ansioso ad apprezzare solo ciò che è utile. Fino a non molti anni fa, le grandi multinazionali, nella scelta del personale si orientavano verso persone dotate di specializzazione specifica. In seguito è emerso che la rapidità degli aggiornamenti tecnici rendeva presto obsolete le conoscenze tecniche, inoltre le persone dotate di conoscenze specialistiche spesso non avevano sufficiente elasticità mentale per adeguarsi alle nuove realtà. Così l’orientamento è mutato, oggi vengono scelte preferibilmente persone con studi classici, che sottoposte a test, dimostrino di avere maggiore capacità di adattamento mentale, quindi in grado di affrontare nuove situazioni. Senza indulgere ad eccessive generalizzazioni non c’è dubbio che la propensione a riflettere su argomenti generali predispone a maggiore facilità nell’affrontare i problemi. La filosofia, in quanto ginnastica della mente, è utile, consente di adattarci più facilmente al mutare delle situazioni. La saggezza popolare infatti esprime il concetto nell’adagio “prenderla con filosofia”. Tuttavia vi è il pericolo che la filosofia, predisponendo a capacità dialettica, induca alla tentazione di manipolare fatti e realtà, adottandole alle proprie convenienze. Ciò diventa particolarmente pericoloso se associato al cinismo contemporaneo. Anni fa proposi che nelle accademie fosse introdotto lo studio della filosofia. Ovviamente il mio suggerimento non ebbe seguito. Oggi vediamo gli artisti come tanti produttori di effetti speciali, persi in dettagli di una realtà che non riescono a capire, quindi ad esprimere. L’arte uccisa dalla tecnica della quale diventa una modesta parodia.
piergiorgio firinu
Cultura, immaginazione, memoria.
Raffaello Sanzio da Urbino in una lettera a Baldassare Castiglione scrive:…”io mi servo di certa idea che mi viene in mente. Se questa ha in sé alcuna eccellenza d’arte , io non so: ben mi affatico ad averla”. Con Raffaello si viene delineando un’idea che il Rinascimento aveva coltivato, e poi finito per dirottare nella ricerca di immagini umanistiche della prospettiva ideale. Nella “Scuola di Atene” , Raffaello raffigura Aristotele che con la mano destra indica la Terra , in contrapposizione a Platone che indica il cielo, e nella mano sinistra tiene un volume sul cui dorso spicca la scritta “ETICA”. Era questa la cultura degli artisti del Rinascimento che hanno creato la prospettiva, la quale non era solo una escogitazione geometrica, ma il senso stesso che orientava la pittura nella ricerca di regole espressive che sono alla base dei capolavori che conosciamo. La bellezza emblematica , sostenuta da una forte convinzione tra arte, letteratura e filosofia., Ut pictura poêsis che culminerà nel Seicento, ancora su quell’esempio con Pussin. “Universalia sunt ante rem”. Nel 1506 Zorzi di Castelfranco Veneto, detto il Giorgione dipinse “ I Tre filosofi” , presumibile un richiamo alla tre filosofie teorizzate da Aristotele, anche se l’arcano non è ancora stato risolto dagli studiosi dell’arte. Il tema è affrontato da Gombrich commentando il perfetto simbolismo contenuto nelle opere degli artisti rinascimentali. Anche Wimckelmann nel 1775 affronta l’argomento nei “Pensieri sull’imitazione dell’arte nella pittura e nella scultura”. Va da se che affrontare questi temi relativi all’arte quando costituiva la fusione tra cultura, immaginazione e memoria, paragonare questo vertice di sensibilità artistica a uno dei tanti imbrattatele come il tedesco, Gerhard Richter, il quale, sull’onda del suo successo commerciale, pretende di confrontarsi con Tiziano Vecellio, è qualcosa che intristisce. Soprattutto è difficilmente comprensibile come la cultura artistica italiana abbia abbandonato la propria storia per celebrare in modo acritico una certa idea di contemporaneità.
piergiorgio firinu
Etimologia del sostantivo astrazione.
Quando gli artisti hanno abbandonata la nemesi per avventurarsi in campi diversi dei quali non avevano sufficiente conoscenza , per definire le loro opere sono ricorsi a denominazioni che non corrispondono alla realtà dell’oggetto. L’analisi dettagliata degli anacoluti con i quali sono state descritte le varie espressioni artistiche sarebbe impossibile in questo breve testo. Mi limiterò a brevi cenni sul concetto di astrazione. Il termine “Isagoge” usato da Ammonio, fu tradotto da Boezio in “khòriston” e poi nel termine latino “abstractum”. La scienza usa “motu inabstracta” in quanto considera le forme non separate dalla materia. Tommaso d’Aquino sembra identificare l’astrazione con l’intellezione delle assenze . Identificazione comune anche nei filosofi arabi Avicenna e Averroè. Viene riconosciuto che l’astrazione non è sufficiente a farci conoscere le essenze. Tommaso de Vio, detto Gaetano, ha distinto l’astrazione totale dalla astrazione formale. Astrarre ciò che è formale da ciò che è materiale , per esempio la materia sensibile, è più intellegibile in natura, mentre diventa deviante quando si usa il termine “astrazione” per definire una forma che, per definizione non può essere astratta. Il difetto generale della definizione di astrazione per oggetti materiali e tangibili è di tutta evidenza. Locke considerò l’astrazione utile solo a formare idee astratte. Dello stesso avviso Hume il quale spiego l’uso dei nomi generali come prodotto dell’abitudine, ma devianti dal punto di vista della significazione. Kant non ammetteva il concetto dell’astrazione in quanto i concetti derivano dall’esperienza e non esiste alcuna intuizione intellettuale che possa modificare l’ontologia. Per Hegel il temine astratto assume il significato di parziale, quindi falso contrapposto al concreto, cioè vero. Per Stuart Mill la nozione di astrazione ha un senso puramente psicologico e non può costituire una definizione. Anche Jacques Maritain riprende e fa propria la teoria proposta da Tommaso d’Aquino. Putman si richiama alla forma logica di cui parla Wittgenstein. Opera astratta è una contraddizione in termini per John H. Haldane in quanto un’opera ha una forma e una struttura, entrambe materiali, di conseguenza il temine astrazione diventa un ossimoro. In conclusione l’arte che si allontana dalla mimesi non può essere definita astratta. Le opere migliori di Kandisky possono essere considerate pregevoli costruzione geometriche, come quella di Mondrian, mentre le opere costituite esclusivamente dalla posa di colori su una tela, oltre alla giustificazione ontologica, sono ancora in attesa di una definizione che non contrasti con la semantica alla quale il termine “astratto” si richiama.
piergiorgio firinu
Verità e logica.
Come è noto Hegel considerava Aristotele il più grande filosofo di tutti tempi, anche se muoveva alcune critiche al trattato delle Categorie. Una delle grandi formulazioni filosofiche di Aristotele riguarda la logica, ampliata dai suoi discepoli Teofrasto e Eudemo. Alessandro di Afrodisia commentò tutte le opere logiche di Aristotele nel libro “Analitici primi”. Lo stagirita considerava la logica come strumento per la ricerca della verità. Questo spiega la ragione per la quale oggi la logica è usata prevalentemente con il metodo matematico. La tendenza è iniziata da Boole e sviluppata da Frege che tentò addirittura di creare una nuova forma di linguaggio basato sulla logica. Quando ci accostiamo alla cosiddetta filosofia dell’arte, soprattutto di matrice statunitense ci rendiamo conto, non solo, come espressamente scritto da Danto, che vorrebbe fare piazza pulita della Metafisica, quasi che un tema che ha improntato di se la filosofia per 25 secoli possa essere cancellato da un parvenu della filosofia. E’messa in ombra soprattutto l’ermeneutica logica della quale uno degli ultimi esponenti è stato George Gadamer . Si tenta cioè di archiviare lo strumento mediante il quale è possibile tentare di chiarire l’ontologia dell’arte. In questo modo il reale e l’immaginario giocano a nascondino senza preoccupazioni di senso. Quando, per venire ai giorni nostri, George Bataille, Merleau-Ponty e Lacan tentano di dare un’identità alla visione dell’arte come vettore di senso, sono costretti a elaborare anche una logica della percezione che ha radici nell’antica filosofia. Tuttavia la ricerca di senso arretra di fronte alla forma vuota. Se, come sostiene Aristotele, l’uomo è principio delle sue azioni, non c’è dubbio che in’epoca in cui domina la Idiocracy appare difficile che l’artista trovi le motivazioni per dare un senso al proprio operare. Persona è parola latina, significa travestimento o apparenza esteriore. Il meccanismo si riflette nell’opera la cui assenza di significato, o delimitazione ontologica, deriva dall’approccio privo di retroterra culturale adeguato. Le opere di Merz, Pistoletto, Kounellis, per citare solo alcuni artisti, hanno radici nella velleità di superare ciò che in realtà non fa parte del loro patrimonio culturale . E’ come affidare a un cieco la descrizione di un paesaggio. L’arte si pone fuori dal reale, in un limbo nel quale ha per riferimento se stessa, si sottrae alla natura , una forma metonimica che accampa pretese di rappresentatività simbolica. Unica rappresentazione che l’arte contemporanea attua, suo malgrado, è la realtà di un presente non più illuminato dalla luce della ragione creativamente utopica.
piergiorgio firinu
Tecnologia,verità, etica.
Secondo la legge di Murphy, una cosa che si può fare alla fine viene fatta. Sono stati raggiunti grandi progressi nella ideazione di PC quantistici enormemente più potenti di quelli oggi in commercio. Queste innovazioni rivoluzioneranno il modo di comunicare, di fare scienza e arte. Il problema è capire se l’attuale società è pronta ad usare i nuovi strumenti. Gli algoritmi influenzeranno sempre di più le nostre attività e decideranno delle nostre vite. E’ iniziata l’Era dei Droni con i quali è possibile colpire più obiettivi in modo preciso e con rapidità. Questo sviluppo tecnologico cambia la configurazione del potere, ci stiamo avviando verso la nascita di nuove oligarchie dalle quali dipendono le nostre vite e alle quali è affidata la sorte del pianeta. Già oggi cultura, arte, economia, sono dominate da una ristretta cerchia di persone. Dobbiamo chiederci se, insieme alla conoscenza tecnica, i gruppi che gestiscono un potere così grande hanno una sufficiente consapevolezza etica. Temo che la risposta sia decisamente negativa. Azioni e comportamenti di personaggi come Trump, Macron, e la struttura tecnocratica della UE, dimostrano un marcato cinismo pragmatico. E quindi è cruciale chiederci cosa può accadere in un mondo nel quale alla crescita esponenziale di potenti strumenti tecnologici fa riscontro una caduta verticale dell’Etica. Già oggi gli USA utilizzano droni per compiere massacri indiscriminati nello Yemen nell’indifferenza del mondo occidentale. Certo non aiutano alla crescita di responsabilità etica teorie come il femminismo che sovrappongono il corpo alla spiritualità e si perdono nella perenne contemplazione del proprio ombelico. Quando serve ci si richiama al passato per giustificare il presente con forzature nell’ermeneutica filosofica di Platone interpretato in un’ottica femminista, come nel recente libro “Platone” della femminista Adriana Cavarero una delle fondatrice del collettivo femminista di Verona denominato Diotima. Va da se che la fondamentale importanza della donna nella società, il ruolo che essa ricopre in ambito della famiglia e della scuola, ha il potere di concorrere alla formazione delle future generazioni e influenzare il presente in senso positivo o negativo. Quindi l’acquisizione di consapevolezza da parte del mondo femminile è determinante.
piergiorgio firinu
Prestigiatori di parole.
Quando Armand-Jean du Plessis de Richelieu nel 1635 fondò l’Académie Francaise lo scopo era purgare la lingua dalle impurità contratte dal linguaggio popolare. La democrazia capovolse la funzione, e in ragione del divenire, gradatamente divenne il popolo a dare linfa all’accademia. Il “Corso di linguistica generale” di Ferdinand de Saussure non ebbe gran seguito neppure tra gli intellettuali il cui linguaggio ha due estremi . L’assoluta oscurità di Heidegger che paradossalmente tentò l’impossibile pubblicando un piccolo e ambizioso libro: “ Che cosa significa pensare?” . La modernità si è autolegittimata ed attrezzata per assorbire ogni insegnamento e subito dimenticarlo, omologare ogni tendenza, dare un significato ad ogni pleonasmo. La Francia, seguendo l’impulso dell’opera di Egène Dalacroix: “ La libertà che guida il popolo”, è salita molte volte sulle barricate, tuttavia il popolo è rimasto popolo, le élite continuano a reggere il bastone. L’arma che serve a soggiogare il popolo è custodita nelle casseforti delle Banche. In compenso vi è totale libertà di eccessi e depravazioni, una massa distratta e rincoglionita è più malleabile. Non sarà un caso se la cultura francese ha riesumato Marchese De Sade sull’onda dell’entusiasmo filosofico di Blanchot. I guru della modernità e della post-modernità, non sempre sono sani di mente ma questo è un vantaggio dal punto di vista della comunicazione. Susan Sontang ha dedicato un libro a Antonin Artaud dal titolo “Sotto il segno di Saturno”, colui che non godeva di sanità di mentale e immaginava un corpo senza organi. La Francia ha seguito alla lettera l’indicazione dell’opera di Delacroix,che ha messo in cima alle barricate una donna in deshabillé. Le donne non sono più scese dalle barricate, anche se le loro pretese e i loro gusti nel frattempo sono cambiati, oppure più semplicemente vengono manifestati in totale libertà. Gli accademici di Francia, dotti prestigiatori della parola, Mallarmé, Bataille, Klossowshi, Levi-Strauss, Robert-Grillet, Foucault, per chi ha avuto la pazienza di leggerli ed è stato in grado di capirli, hanno ognuno messo una piccola tegola sulle barricate del popolo. Roland Barthes è stato affascinato da Ignazio di Loyola e dai gesuiti, quelli che Antoine Arnauld definì “boutique de Satan”. Baltasar Graciàn, dopo avere scritto “Oracolo manuale e arte di prudenza” , affermò: “ anche il sapere deve essere alla moda,e,se non è bene accetto, occorre saper essere ignoranti. Il modo di parlare e il gusto cambiano con il tempo: non si deve parlare all’antica, si deve invece parlare alla moderna…”. Che il sig Bergoglio e i populisti abbiano letto Graciàn?
piergiorgio firinu
Mitizzare la violenza.
Forse nessun libro ha descritto la folla come annullamento delle differenze con l’efficacia di Elias Canetti in “Mass und Macht”. In ogni ambito della conoscenza la diffusione del sapere in senso orizzontale ha potenziata la tendenza a dare una interpretazione di comodo al pensiero e alla storia umana a iniziare dal mito. Nietzsche e Rudolf Otto, hanno trasformato il carattere odioso di Dionisio, sottacendone la vera natura fatta di violenza e malvagità. Euripide è indubbiamente estraneo a simile interpretazione. Solo il donchisciottismo masochista del mondo di oggi poteva trovare dilettevole un dio che semina odio e distruzione. Il dio non ha essenza propria al di fuori della violenza. Se, al pari dell’Apollo di Delfi e del mito di Edipo, Dionisio è associato all’ispirazione profetica è soltanto perché nell’ebbrezza dell’abbandono dionisiaco si attua il rito sacrificale. Non vi è nulla nella tradizione dionisiaca antica che si riferisca alla cultura della vite o alla fabbricazione del vino. Tiresia definisce Dionisio il dio dei moti panici, dei terrori collettivi, egli incarna la più abominevole delle violenze, è sorprendente che venga associato, a partire da Nietzsche, alla gioia della festa, sia pure sfrenata delle Baccanti. Sotto il nome di Bromios, il Rumoroso, il fremente, Dionisio provoca un imprecisato numero di disastri. L’analisi dei testi conferma le ipotesi che fanno del culto di Dionisio un invito al sommovimento sociale. L’opera di Erwin Rohde esprime forse la più chiara e completa intuizione sulla vera natura del mito dionisiaco. Gli uomini hanno sempre tentato di porre la violenza al di fuori di se stessi, in una entità separata, sovrana e redentrice, utilizzando una vittima espiatoria. La civiltà di massa ha creato le premesse per dare carattere collettivo alla ricerca del capro espiatorio. I genocidi programmati del secolo breve ne sono testimonianza. L’ispirazione tragica dissolve le differenze fittizie nella violenza. Demistifica l’illusione di una comunità innocente. Abolite le differenze di genere, nelle feste dionisiache era permesso alle donne di bere vino, esse rivelavano una violenza ben più terribile di quella maschile. Sono infatti le donne le principali protagoniste dei baccanali dionisiaci. Euripide avverte tale ambiguità e la sottolinea. Marie Delcourt-Curvers si chiede quale significato abbia inteso dare il poeta allo scatenarsi delle Agave e delle sue compagne. La ripartizione manichea in buoni e cattivi si dissolve nel baccanale e tutto ciò che l’essere umano è nel suo profondo, viene fuori nell’esternazione della più sfrenata violenza. Sul ruolo delle donne nelle società primitive è ritornato Lèvi-Strauss nel suo saggio “Tristes Tropiques”, studiando i villaggi sudamericani dei Bororo. Il dionisiaco contemporaneo si attua anche attraverso la femminilizzazione degli uomini e la virilizzazione delle donne. L’idea accettata che gli uomini si comportino come donne e le donne come uomini provoca un preoccupate scompiglio. L’annullamento graduale delle differenze sessuali marca il regresso di una società confusa che non ha più neppure la capacità di avvalersi del rito per esorcizzare i radicalismi che rendono così effimero lo stesso concetto di civiltà.
piergiorgio firinu
Memoria e riflessione.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hegel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.
piergiorgio firinu
Considerazioni sull'umile candela.
La candela, umile oggetto ormai in disuso anche se amato specie dai seguaci della new age, è stato utilizzato come oggetto di riferimento per dispute filosofiche tra Descartes e Locke che hanno scritto due storie diverse ma complementari della candela: il primo ne ha realizzato uno schema intellettuale espropriato di ogni senso comune: “ Che cosa è dunque, ciò che si conosceva con tanta distinzione in quel pezzo di cera? Certo non può essere niente di quel che vi ho notato per mezzo dei sensi, poiché tutte le cose che cadevano sotto il gusto o l’odorato o la vista o il tatto o l’udito si trovano cambiate, e tuttavia la cera stessa resta….” Locke vede invece l’altra faccia: il grado d’intensità della esperienza ordinaria che è sufficiente per non metterci un dito sopra: “ Poiché, non rispondendo le nostre facoltà alla piena estensione dell’essere, né a una conoscenza perfetta , chiara e comprensiva delle cose , libera da ogni scrupolo e dubbio, bensì soltanto alla conservazione di noi stessi, cui sono date; e rispondendo esse, da come sono costruite, all’uso della vita, servono assai bene al nostro scopo finchè ci danno soltanto notizia certa di quelle cose che sono per noi convenienti o dannose. E infatti, chi veda un candela accesa, e abbia fatto esperienza della forza della fiamma mettendovi sopra un dito, non dubiterà davvero che esiste fuori di lui, che gli fa del male…” La scienza e il senso comune si sostengono reciprocamente; cioè sono aree che si spartiscono compiti e competenze diverse. Il senso comune per Locke finisce per essere tutto ciò che non è scienza; e quindi è odore, sapore, gusto e simili entro nessi di concomitanza empirica che costituiscono guide sicure per l’orientamento pratico. Il salto che a noi pare enorme tra i risultati della scienza di oggi, sono avvenuti con gradualità nell’accettazione comune di quelli che, viste nell’ottica degli antichi, sono scoperte strabilianti.
piergiorgio firinu
Cultura e notorietà.
L’incipit del VIII capitolo dei Promessi sposi. “Carneade! Chi era costui? Ruminava tra se don Abbondio seduto sul seggiolone..”. Il sofista greco Carneade, è così entrato nella storia della letteratura. Ma quanti carneadi hanno dedicato la loro vita a scrivere libri che ben pochi hanno letto. La convinzione che la cultura abbia grande influenza sulla società forse, nell’era di Internet, va rivista. A meno che per cultura s’intenda il trip del momento dei mezzi d’informazione che stranamente si avventano come mosche sempre sulla stessa m…a. La produzione di libri e la pubblicità che li accompagna, non ha, come scopo primario educare il pubblico. Piuttosto la cultura di massa va a traino dei fenomeni estemporanei e segue il gusto del pubblico. Esempio significativo in tal senso: i graffiti. Da espressione spontanea e gratuita di giovani marginali, sono diventati opere da museo pagate a caro prezzo. Radicato principio della democrazia moderna nella quale conta il numero, cioè la quantità, mai la qualità. Nicola Cusano definisce il sapere umano un sapere sempre confrontabile, mai reale. L’abbassamento del livello delle opere produce un effetto domino amplificato dai mezzi di comunicazione di massa. Il sostantivo “cultura” è usato come etichetta per attività e manifestazioni sociali di ogni genere. La “cultura” del cibo, la “cultura” della pipa, la “cultura” della droga. E così di seguito. In compenso la cultura senza aggettivi sembra diventata residuale. La lettura, esercizio solitario, richiede tempi di riflessione. La letteratura di evasione ha maggiore successo perché può essere letta in metropolitana.
piergiorgio firinu
Aporie.
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico. Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia. Anche per questo l’avanguardia ha fallito.
piergiorgio firinu
Linguaggio e formazione del concetto.
La formazione naturale del concetto va di pari passo con il linguaggio, ma non segue sempre l'ordine dell'essere, piuttosto forma le parole molto spesso sulla base di accidenti e relazioni, è cosa che trova la sua conferma appena si dà un'occhiata alle diaireseis platoniche o alle definizioni aristoteliche. Ma la preminenza dell'ordine ontologico, che è definito dai concetti di sostanza e accidente, riduce la formazione naturale dei concetti portati mediante il linguaggio al rango di una imperfezione legata alla limitazione della nostra mente. Solo perché noi conosciamo soltanto gli accidenti ci atteniamo ad essi nella formazione dei concetti. Anche se ciò è vero, da tale imperfezione consegue tuttavia un peculiare vantaggio che Tommaso d’Aquino sembra aver giustamente riconosciuto, cioè la libertà di una indefinita formazione di concetti di un sempre ulteriore possibile approfondimento del contenuto del pensiero. Se il processo del pensiero viene visto come processo di esplicazione attraverso la parola, viene in luce una funzione logica del linguaggio che non è possibile concepire chiaramente in base al rapporto con un ordine obiettivo delle cose quale può apparire solo all'occhio di una mente superiore. La subordinazione della formazione naturale dei concetti di cui il linguaggio è tramite, costituisce la struttura obiettiva della logica, che si afferma in Aristotele e anche in Tommaso D'Aquino. Questa modalità logica ha quindi solo una verità relativa. Dovremmo dunque rivolgere la nostra attenzione alla formazione Naturale dei concetti come essa accade nel linguaggio. Le idee diventano possibili solo quando si realizza il rapporto naturale di intima unità tra pensare e parlare. Cusano sviluppa una dottrina della conoscenza , nella quale si incrociano motivi platonici e nominalistici. Egli sostiene che ogni conoscenza umana è pura opinione perché basata su una inevitabile imprecisione dovuta alla parzialità del sapere. Ed è questa la dottrina che anche il linguaggio necessariamente pratica, affidandosi a scelte arbitrarie. Potremmo dire che l’evoluzione del linguaggio è dovuta in pari misura al caso e alla necessità esattamente come il linguaggio dell’arte sul quale si sprecano ermeneutiche e definizioni che in realtà ignorano la motivazione vera dell’agire dell’artista. Forse per l’elementare ragione che una ragione spesso non c’è.
piergiorgio firinu
La coscienza percettiva.
Secondo una linea propria l’analisi riflessiva non ci fa ritornare alla soggettività autentica; essa nasconde il ganglio vitale della coscienza percettiva, in quanto ricerca le condizioni di possibilità dell’essere assolutamente determinato e si lascia tentare dalla pseudo evidenza della teleologia che il nulla non è niente. Tuttavia i filosofi che l’hanno praticata hanno sempre intuito che c’era da cercare al di sotto della coscienza assoluta. Questo si evidenzia nella filosofia di Cartesio, ma sarebbe possibile dimostrarlo con altrettanta pertinenza a proposito di Lagneau, Alain e altri. Una volta condotta a termine l’analisi riflessiva non dovrebbe più lasciar sussistere, dalla parte del soggetto, se non un naturante universale per il quale esiste il sistema dell’esperienza, ivi compresi il mio corpo e il mio io empirico, collegati al mondo dalle leggi della fisica e della psicofisiologia. La sensazione che noi costruiamo come prolungamento “psichico” degli eccitamenti sensoriali non appartiene evidentemente al naturante universale e ogni idea di una genesi dello spirito risulterà spuria, in quanto ricolloca nel tempo lo spirito per il quale il tempo esiste, in quanto confonde i due Io. Tuttavia se noi siamo questo spirito assoluto, senza storia, e se nulla ci separa dal mondo vero, se l’io empirico è costituito dall’io trascendentale e se è dispiegato davanti a esso, dovremmo scoprirne l’opacità, non si vede come sia possibile l’errore, e tanto meno l’illusione, ossia la “percezione anormale” che nessun sapere può far scomparire. Si può ben dire che l’illusione e l’intera percezione sono al di qua della verità come dell’errore. Ma ciò non ci aiuta a risolvere il problema, giacchè si tratta allora di sapere come uno spirito può essere al di qua della verità e dell’errore. Quando sentiamo, noi non appercepiamo la nostra sensazione come un oggetto costituito in una rete di relazioni psicofisiologiche. Noi abbiamo la verità della sensazione. Non siamo di fronte al mondo vero. E’ la stessa cosa dire che noi siamo individui e dire che in questi individui c’è una natura sensibile in cui qualcosa non risulta dall’azione dell’ambiente. Se nella natura sensibile tutto soggiacesse alla necessità, se per noi ci fosse una maniera di sentire che si identificasse con quella vera, se ogni istante la nostra maniera di sentire risultasse dal mondo esterno, allora noi non sentiremmo. Così, il sentire non appartiene all’ordine costituito, non dispiegato di fronte all’Io, ma sfugge al suo sguardo, è come raccolto dietro di esso, vi forma una sorta di spessore o di opacità che rende possibile l’errore, delimita una zona di soggettività o di solitudine, ci rappresenta ciò che è “prima” dello spirito, ne evoca la nascita e sollecita una analisi più profonda che farebbe luce sulla “genealogia della logica”. Lo spirito ha coscienza di sé come “fondato” su Natura. C’è dunque una dialettica del naturato e del naturante, della percezione e del giudizio, nel corso del quale il rapporto si capovolge. Dare forma alla possibilità del sentito/pensato è compito dell’arte, se non vuole essere null’altro che oleografia dell’irresponsabilità semantica. L’opera dell’artista dovrebbe concretizzare in materia visibile sensazioni che ai più sfuggono, dunque aprire la possibilità di una maggiore fruita sensibilità.
piergiorgio firinu
La grande letteratura russa.
Come e forse più che la rivoluzione francese del 1789, la rivoluzione russa fu preparata e seguita dai grandi scrittori. Oggi, quando si parla di cultura, si tende a dare un gran peso all’internazionalismo e al multiculturalismo, soprattutto si tende a negare le radici nazionali della cultura. E’ curioso che la Russia abbia dato vita a una quantità di grandissimi scrittori, alcuni forse sopravalutati, come Leonid Andreev, di cui Piero Gobetti fu grande ammiratore e che citò nel suo libro Il “Paradosso”. Ma non c’è dubbio che l’elenco degli scrittori che hanno lasciato il segno nella storia, non solo nella letteratura, sarebbe davvero lungo. Dostoevskij,Gor’hij, Tolstoj, Pastenak, Puschkin, Turgenev. Vi è un aspetto singolare; a tanti talenti letterari non fanno riscontro filosofi di pari levatura. Quando Lenin si cimentò con la filosofia scrisse: “Empiriocriticismo”. Non certo un tema che possa aspirare a rappresentare il vertice del pensiero filosofico. In compenso molte opere di Dostoevskij sono considerati i veri e propri trattati di psicologia. i Turgenev a sua volta trasse ispirazione dalla filosofia di Schopenhauer . “Padri e figli” è chiaramente ispirato alla filosofia del filosofo tedesco preferito dallo scrittore il quale non apprezzava affatto Hegel. L’interesse per Schopenhauer, anche se non poteva diventare fenomeno di massa, fu assai diffuso nella Russia del tempo di Turgenev. L’altro grande schopenhaueriano della letteratura russa fu Tolstoj.Se confrontiamo la qualità e i temi degli scrittori citati, altri se ne potrebbero aggiungere, e seli paragoniamo alla letteratura contemporanea mediamente considerata non abbiamo motivo di ottimismo. Gli aedi del progresso si affannano a valorizzare il presente, il dubbio è che non conoscano il passato o che non abbiano capito il presente che esaltano.
piergiorgio firinu
Memorie e Riflessioni.
Dobbiamo tener presente l’analisi della coscienza nelle determinazione storica dei fenomeni culturali. Ciò significa che, quando un fenomeno artistico è contingente, cioè si situa nel presente, la sua percezione può essere di carattere emotivo ma non assume una vera rilevanza culturale. Sebbene sulla base della percezione sensibile il nostro interesse pratico ed emotivo possa essere risvegliato, si tratta di una sensazione transitoria che non ha rilevanza di carattere gnoseologico e si riduce a pura sensazione. Husserl tenta di risalire all’origine superando la idealizzazione dell’opera che costituisce particolare difficoltà per la soggettività dell’ego dell’artista il quale raramente sembra possedere un filtro critico, ma assume prevalentemente presunte positività trascurando le instantiae negativae. Bacone annovera tra gli idola tribus la tendenza a conservare nella memoria solo il positivo dimenticando le istantiae negativae. Qualcosa di analogo si verifica in rapporto al discrimine linguistico che determina le convenzioni. A partire dal Prometeo di Eschilo. L’ottimismo è un carattere dell’esperienza umana dal punto di vista del significato antropologico. La testimonianza più antica possiamo trovarla in Anassagora tramandateci da Plutarco . Platone attesta tuttavia, allo stesso modo di Aristotele, che si tratta di una tendenza a superare le forme di criticità non attraverso la riflessione, ma piuttosto in forma di superamento affidato alla amnesia. Temistio commenta e illustra questo passaggio richiamandosi alla difficoltà di apprendimento di cui parla anche Aristotele riferendosi ai concetti della scienza. Ecco dunque che quando l’artista produce un’immagine senza risvolti di carattere gnoseologico, sulla base di una epistemologia basata sull’emozione , il suo raccoglierli in serie successive conduce all’unità dell’archè, termine che significa insieme “comando” e “principio”. La negatività può anche avere un senso peculiarmente produttivo. Non può essere semplicemente illusione, riconosciuta come tale, ma una capacità di utilizzare la sensibilità consapevole per arricchire il proprio bagaglio di conoscenza. Su questo principio, analizzato da Hgel, richiama l’attenzione Heidegger , che se ne è sentito insieme attratto e respinto. In nessun caso comunque è stato risolto il difficile problema della lettura produttiva dell’opera d’arte il cui contenuto oggettivo resta di difficile definizione.
piergiorgio firinu
Il conservatorismo di Heidegger.
Heidegger arriva a rimettere in questione i concetti del mondo e di ente intramondano quali erano configurati nella sua opera principale “Sein und Zeit” .Questa rimessa in discussione avviene quando egli si pone il problema dell’opera d’arte. La riflessione sull’opera d’arte ha molta importanza sullo sviluppo del pensiero del filosofo. Egli tenta di affrontare i problemi che erano rimasti aperti nelle sue precedenti opere. Per Heidegger l’opera d’arte non è il prodotto di un conflitto, ma il conflitto stesso in atto. Uno dei modi in cui il conflitto si attua è l’accadere della verità nella sua natura più profonda. Ci sono vari modi in cui la verità “stabilisce se stessa nella propria apertura”, sono certi eventi decisivi per la storia della verità e dell’essere stesso: l’atto di fondazione di un ordine politico, l’esperienza religiosa, l’esperienza morale, la filosofia. Nel saggio sull’origine dell’opera d’arte, l’operare dell’artista è visto come uno dei modi in cui l’essere realizza il progetto. Qui emerge a chiare lettere tutta l’inattualità delle considerazioni di Heidegger. L’arte contemporanea infatti ha rinunciato ad imprimere un mutamento radicale attraverso una nuova epistemologia, in questo modo ha sottratto all’arte la facoltà di poter configurarsi come documento storico, ma solo espressione contingente della contemporaneità. L’arte ha perso ogni vera autenticità che gli deriva dalla corrispondenza di una riflessione che mal si concilia con i funambolismi delle avanguardie storiche. L’opera, anziché agire come apertura verso un nuovo mondo, si limita a crogiolarsi in una appagante mondanità il cui sostrato è il mercato. Questo vale a chiarire in maniera concreta le ragioni di una deriva dell’arte che ha rifiutato storia ed epistemologia ed ha orientato se stessa esclusivamente verso il soddisfacimento delle richieste del mercato, cioè di una massa di borghesi la cui ricerca di status symbol prescinde dalla conoscenza del loro significato, ammesso che, a questo punto, le opere un significato lo abbiano.
piergiorgio firinu
Ermenenutica o creazione?
Si può definire comprensibile ciò che costituisce veramente un’unità di senso. Quando leggiamo un testo, osserviamo un'opera, automaticamente cerchiamo di anticiparne la completezza e darne una nostra definizione, ovviamente se il presupposto si rivela inadeguato, l'opera non ci lascia capire semplicemente perché noi diamo la nostra interpretazione, dubitiamo delle trasmissioni attraverso l'opera che ci giunge e cerchiamo di escogitare un modo per comprendere le regole che adottiamo per l’accertamento critico. La corretta interpretazione del contenuto non sempre coincide con quanto l'artista si proponeva di rappresentare. A questo punto si apre un interrogativo: è compito dell’artista rendersi comprensibile, oppure è l’osservatore che deve adattare la propria interpretazione al contenuto? Può essere adeguata l’espressione di Ludwing Wittgenstein: “va bene così”. L’immanente unità di senso fornisce una guida all'osservatore nella comprensione se non si affida a ragioni trascendenti, intenzioni di senso da cui dovrebbe nascere un rapporto con la verità di quello che presumiamo essere il contenuto dell'opera. Come il destinatario di una lettera capisce le notizie che riceve nel vedere cose con gli occhi del corrispondente, cioè assume per vero ciò che questi scrive non va invece specificatamente a capire, poniamo, la particolare opinione dell'autore della lettera. Così in generale noi comprendiamo anche le opere della tradizione sulla base di aspettative di senso che derivano dal nostro precedente rapporto con ciò che conosciamo. Quando si interrompe questa catena logica è inevitabile che si debba affrontare una chiarificazione ulteriore. Non basta semplicemente sostenere che una relazione tra L'opera ha il senso che l'autore ristabilisce esista.. Questo non è possibile perché noi ci troviamo sempre di fronte a una realtà la cui conoscenza è demandata a forme incomplete di rappresentazione e quindi di comprensione. L’originario atto produttivo che noi conoscevamo presuppone una epistemologia decifrabile che si riflette nell’ontologia dell’opera. La presunzione dalla critica di capire l’autore meglio di quanto egli capisca se stesso e il proprio operato, costituisce l’equivoco apodittico che è alla base della equivoca posizione dell’arte contemporanea. Tale presunzione ha origine nel principio legato all'estetica del genio. Dobbiamo però ritornarvi in quanto tale principio alla luce delle considerazioni che abbiamo appena svolto acquista un nuovo significato nel momento in cui affrontiamo nel discorso di ermeneutico il problema della comprensione dell'opera senza una traccia che ci guidi. Il susseguirsi nella produzione artistica delle cosiddette “opere di rottura” non fa che frammentare la logica della narrazione con inevitabile perdita di senso. La verità dell'Opera si annida nella più oscura espressione di vita, e tuttavia viene presa sul serio nella sua pretesa verità. Anche questo, anzi proprio questo, si richiama al comprendere. La dimensione del problema ermeneutico è stata screditata dalla coscienza storica ad opera di una svolta psicologica impressa all’ermeneutica. Schleiermacher, ha fatto venire alla luce le aporie dello storicismo. La critica pretende di dare interpretazioni legandole a risvolti sociali, come nella Storia Sociale dell’Arte di Arnold Hauser. Ciò ha finito per spostare il problema estetico sul piano sociologico. Questione affrontata da Decker che ha messo in risalto come, sulla base di una collocazione ontologica priva di basi epistemiche, si rischia di navigare nel vuoto di significati. Si pone anche il problema della estemporaneità. La questione temporale non è secondaria, anche se spesso è soggetta a forzature ideologiche. La creazione dell'autore deve poter mantenere il significato a prescindere dalla distanza temporale. Consapevoli di questo problema alcuni critici hanno ripiegato sulla transitorietà dell’arte di “consumo”, buttando alle ortiche il valore “universale” dell’arte. Questa ermeneutica prêt- à- porter ha spalancato un abisso che si tenta di colmare con artifici dialettici sempre più astrusi. La continuità della tradizione, alla cui luce si mostra tutta la precarietà creativa, si arena in una realtà sempre più alienata.
piergiorgio firinu
Va bene così.
La lettura della critica e della filosofia dell’arte di questi ultimi 50 anni ci mette di fronte al fatto che l’ermeneutica delle opere non è più possibile nella forma oggettiva. Come scrive Gadamer : “ Dove abbiamo a che fare con un ‘opera d’arte , l’intentio è, per così dire, entrata interamente nell’opera e non può più venire cercata dietro o davanti all’opera stessa. Per questo si restringe il valore di tutte le introvedute biografiche e storico-genetiche in riferimento all’opera d’arte……L’opera “sta” qui. Se la sua storia degli effetti è appunto sua, allora quest’ultima non sussiste in ogni uso e abuso che viene fatto ad essa”. In realtà ci troviamo di fronte ad una sorta di camicia di Nesso, la realtà storica del qui e ora, esclude la possibilità di collegare l’opera a un discorso storico o teorico più ampio. L’artista il più delle volte non sa rendere conto del perché abbia realizzato l’opera (dottrina del nescio quid di Leibniz) e tuttavia l’opera è una realtà affidata alla interpretazione degli addetti ai lavori, i quali, a prescindere da scienza e conoscenza, vivono anch’essi nel presente vincolati ad una realtà fenomenologica sulla quale non hanno potere. Pareyson sosteneva che il fare artistico trova le proprie regole in corso d’opera. Nella pretesa di superamento di forma e significato l’artista compie un gesto arbitrario la cui unica giustificazione è data dalla narrazione che a sua volta è strettamente legata al valore economico ed ai risvolti sociali delle opere. Questo è confermato in modo lapalissiano dal fatto che molti sono gli artisti, pochi gli eletti, non sempre, anzi sarebbe più corretto dire raramente, per il reale valore dell’opera stessa. L’immagine dell’azione guidata da una prassi inconsapevole si affida al divenire storico che prescinde dal valore. Come sosteneva Charles Peirce: “ Un segno legge e una legge che è un Segno. Questa legge è fissata dagli uomini. Ogni segno convenzionale è un segno legge”. La presunta complessità dell’arte, la creatività dell’artista, in realtà si riducono al va bene così di Wittgenstein. Offrono pretesto per narrazioni infinite alla ricerca di un significato assente, com’è assente il contenuto estetico, dovuto alla rinuncia degli artisti contemporanei a misurarsi con l’arte nelle modalità epistemologiche sue proprie.
piergiorgio firinu
La cultura della classe al potere.
Se si ha la capacità di resistere alla depressione, può essere interessante considerare i comportamenti di taluni mostri sacri della cultura tutt’oggi celebrati. Massimo Gorky inneggiava ai Gulag comunisti. Nel 1943 Simone de Beauvoir viene cacciata dal ministero dell’educazione nazionale per aver trattenuto rapporti sessuali con una sua allieva. Con lungimiranza Rousseau, Schopenhauer, Nietzsche, Marinetti e molti atri intellettuali esprimono apertamente il disprezzo per la donna. Il 25 Giugno 1984 l’omosessuale Foucault muore di Aids. Nel 1972 Andy Warhol dipinge ritratti cartellonisti, secondo il suo stile, di Lenin e Mao. Cartier Bresson inaugura una serie di foto: “Godo per strada” “Godete qui e ora” . E’ in auge il motto:“vietato vietare”. Questi gli slogan dei “rivoluzionari” degli anni ’70 del secolo scorso. Alla Sorbona, tempio del sapere, circolano indicazioni del genere: “ Non dire più sig. professore, ma crepa stronzo”. Il sesso nelle aule universitarie e nelle scuole è prassi ordinaria. Non sapendo scrivere si ricorre all’affermazione:“L’ortografia è un mandarino”. E’ in atto un crescendo di parossismo “libertario”. La crema della cultura parigina firma una petizione da mandare in parlamento con la richiesta di abrogare la legge che vieta la pedofilia. I firmatari sono: Althuser (che assassinerà la moglie e finirà in manicomio), Aragon, Barthes, Beauvoir, Chatelet, Chèreau, Bory, Cuny, Deleuze, Derrida, Dolto, Jean Pierre Faye, Gavi, Gluckmann, Guattari, Daniel Guérin, Guyotat, Jacques Henric, Hocquenghem, Kouchner, Jack Lang, Lapassade, Leiris, Lyotard, Mascolo, Matzneff, Catherine Millet, Ponge, Olivier Revault, d’Allonnes, Robbe Grillet, Christiane Rochefort, Daniel Sallenave, Sarte, Schérer, Sollers…..Chi lo desidera può cercare le opere dei singoli autori. Ovviamente è solo l’elenco di intellettuali francesi che non sono dissimili dagli intellettuali del resto del mondo. Il manifesto citato è uno dei tanti “manifesti rivoluzionari” in auge negli anni ’60- ’70 che tutt’ora sono uno strumento di diseducazione di massa usato abitualmente dalla sinistra. Gli intellettuali elencati sono considerati grandi maitre a pense, i loro testi hanno “educato” le generazioni che oggi sono al potere, e continuano tutt’ora a influenzare le giovani generazioni. Nessuno ha più il diritto di stupirsi di ciò che accade. Il tramonto dell’occidente vaticinato da Oswald Spengler è pressoché compiuto.
piergiorgio firinu
Utopia capovolta.
L’essere umano, fin dai primordi, è sempre stato spinto alla ricerca dell’oltre, quello che Platone ha descritto nella “Repubblica”, Tommaso Campanella ne “La città del sole” Tommaso Moro in “Utopia” . Afflati spenti dalla pressione della necessità e dei condizionamenti dell’io, del corpo e suoi stimoli. Vi è inoltre la tendenza alla frammentazione di pensieri e attività, in parte dovuta alla necessità e all’abitudine. Biagio Pascal (Pensieri) pur attribuendo all’essere umano una superiorità sulla natura, quando scrive: “L’uomo non è che un giunco, il più debole della natura; ma è un giunco pensante”. Abbandonarsi alla eudaimonistica finisce per emarginare il pensiero e lasciar prevalere l’animale. La decadenza umana è in larga parte occultata dal progresso tecnico. Nessun animale va sulla luna, Nessun animale crea strumenti di produzioni sofisticata e di comunicazioni come quelli creati dell’uomo. E’ esattamente questo il grande inganno. L’enorme sviluppo della tecnica ha insuperbito l’essere umano, lo ha indotto a ritenere superflue le basi etiche della propria natura. L’arte, la cultura, la società in generale si sentono esonerati dal rispetto delle norme che hanno permesso la nascita della civiltà. Shaftesbury usa la metafora del mendicante che attribuisce titoli onorifici a chiunque per ottenere un obolo, pensando che ognuno potrebbe essere un uomo di potere. Trascurando le basi culturali il potere perde la capacità di percepire i moti sociali. Non vi è più alcun residuo di umiltà. La cultura e l’arte contemporanea sono null’altro che frammenti di pensieri autorefenziali, divagazioni sul nulla. E’ aberrante che il potere definisca leggi di civiltà, dovere morale, la omologazione delle peggiori depravazioni. Utopia capovolta. L’arte contemporanea ha totalmente fallito nella pretesa rivoluzionare epistemologia. Lo svilimento del linguaggio formale del’arte, la rozza rappresentazione della realtà costituiscono un impoverimento culturale e sociale che si farà fatica a superare.
piergiorgio firinu
Arte e secrezioni.
Forse dovremmo renderci conto che i nostri limiti non sono solo e sempre determinati da fattori esterni, essi nascono dentro di noi. Droysen definisce il rapporto tra libertà e necessità come capacità o assenza volitiva di controllo. Nel Saggio sull’intelletto umano Locke costruisce la sua antropologia accettando due soli principi naturali innati, il desiderio della felicità, cioè il piacere, l’avversione per il dolore. Egli non sembra rendersi conto che ridurre l’essere umano a questi due principi, a parte l’ovvietà della preposizione, lo riducono simile a tutti gli altri animali, ma privato dell’istinto. Locke non fa altro che confermare i capisaldi della antropologia hobbesiana , egli pone le basi di ciò che sarebbe seguito: trionfo del materialismo economicistico, fino a pervenire alle teorie del pensiero debole. Del tutto trascurato il messaggio che guida gli uomini nella ricerca di motivazioni della propria esistenza, ovvero stabilire se davvero l’esistenza si riduce a pura animalità. Parlare di disagio dello spirito, come alcuni filosofi ancora si azzardano a fare, diventa del tutto pleonastico, domina l’impulso del desiderio, che diventa disagio psichico quando il desiderio non è appagato. Non c’è dubbio che riducendo ogni cosa al desiderio, al cinico pragmatismo, si spalanca una porta aperta, si da spazio e credito alle premesse dei movimenti di pensiero sostanzialmente distruttivi . Economicismo e femminismo, entrambi nati da una costola del capitalismo, tendono a trasformare le masse in orde di consumatori compulsivi, quelli, per intenderci, che passano la notte fuori dei magazzini in occasione di saldi. Il femminismo fa di peggio. Sostenendo la parità uomo donna, principio ineccepibile, in realtà quando scrive libertà si legge sesso. L’arte contemporanea, tra le altre sciagure, ha subito l’onda d’urto della corporalità femminista che ha posto il sesso, il corpo, al centro dell’idea di arte, con aggiunta degli effetti collaterali, secrezioni, evacuazioni, sperma e quant’altro. Ecco dunque Hobbes e Locke hanno ottenuto successo al di là delle loro intenzioni.
piergiorgio firinu
Pandora. La fine della storia.
Heidegger formula riflessioni sul tema della fine della storia 75 anni prima di Francis Fukuyama. Anche Alexandre Kojève trasse dai suoi studi hegeliani la conclusione che la storia fosse giunta di fatto a una conclusione. Kojève condivideva con Dostoevskij la prospettiva antropologica secondo cui l’esistenza umana si presenta come una serie di lotte derivanti dal desiderio di appagamento. Quanto più il livello dell’umanità si avvicina al regno animale, tanto più la natura dell’appagamento si riduce al soddisfacimento di bisogni elementari. Lo psicodramma spirituale della storia del mondo che ha indotto a creare religioni e stimolata la riflessione filosofica, si disperde nella materialità sessuale e consumistica. La padronanza del proprio corpo, estranea alla natura femminile, determina i comportamenti e le scelte. Letteratura, arte, e finanche la filosofia non sono volte alla ricerca di soluzioni esistenziali possibili, per quanto difficili, ma piuttosto a mettere al centro esigenze fisiche e materiali. Partendo da un ipotetico originario confronto, prima tra individui poi tra classi, siamo arrivati al conflitto di genere. La coscienza infelice di un’antropologia non risolta, riesuma la primordiale battaglia per la sola esistenza. Secondo il mito greco, il primo essere umano di sesso femminile creato dagli dei fu Padora da cui ebbero inizio i vizi del mondo. E’ significativo che tutte le religioni videro la donna come fonte di corruzione. Fino all’era moderna ciò poteva apparire un pregiudizio. Oggi è una realtà che coincide con arte, cultura, filosofia. Le astratte formulazioni di Hegel, Heidegger, Kojève sono oggi realtà quotidiana esibita sui media nella letteratura e nell’arte. Che l’idea faccia agire le passioni a suo vantaggio, quella che Hegel chiamava: “l’astuzia della ragione”, si è dimostrata fallace. La prevalenza dell’animale umano è ben dissimulata dalla tecnologia che conferisce una sorta di delirio d’onnipotenza. Il contenuto del vaso di Pandora è così capillarmente diffuso da essere pressoché invisibile. Intanto una vittima di pedofilia femminile governa la Francia, un tycoon ignorante è a capo degli USA, una donna con evidenti problemi di equilibrio è a capo dell’Inghilterra. L’arte si defila interessata più che altro alle quotazioni dei singoli beniamini del mercato. Abbiamo un magnifico futuro dietro alla spalle.
piergiorgio firinu
Il se.
Ci sono due modi d’essere e due soltanto: l’essere in sé, che è quello degli oggetti dispiegati nello spazio, e l’essere per se che è quello della coscienza. Il sovrapporsi e confondersi dei due modi di essere è malattia mentale. L’altro starebbe di fronte a me come un in sé e tuttavia esiste per sé, per distinguerlo devo situarlo nel mondo degli oggetti e al tempo stesso pensarlo come coscienza. Nel pensiero oggettivo non c’è posto per l’altro e per la pluralità delle coscienze che non sono oggettivabili. E’ questa una delle ragioni per cui la diffusione dell’oggettività funzionale della tecnica, modifica gradatamente l’ essenza del rapporto tra persone. Il cinema compie il prodigio di stabilire un rapporto simpatetico con robot e personaggi di cartoni animati, quasi equiparandoli a esseri umani. Nelle rappresentazioni scientifiche del mondo e del corpo abbiamo perso il contatto tra oggettività e coscienza, per questo hanno largo seguito filosofie che, attraverso l’apparente valorizzazione dell’individuo, di fatto creano una vuoto nichilista e predispongono alla sostituzione della realtà con l’apparenza. Il mio corpo e il mondo non sono più soggetti i cui rapporti sono determinati da stati di sensibilità naturali e interiori, ma oggetti il cui meccanismo di reazione è provocato da stimoli esterni attraverso i quali si produce artificialmente emozione, desiderio sessuale, dolore. Il sistema dell’esperienza nella quale si sedimenta la razionalità sensibile, diventa pressoché superflua. Quando mi volgo verso la mia naturale percezione del reale, quando passo dalla percezione diretta al pensiero di questa percezione, io la ri-effetuo, ritrovo un pensiero vissuto che opera nei mie organi percettivi nei quali l’esperienza ha lasciata traccia. Nulla di simile accade allorché subisco un impulso artificiale, meccanico che non lascia traccia nella memoria del corpo perché non è vissuto ma semplicemente subito. L’altro non è più un essere dotato di coscienza e come tale complesso nella sua multiforme sensibilità. Egli viene colto con evidenza apodittica come puro oggetto di relazione funzionale. In particolare il soggetto culturale non ha più un centro di azione “umana”, culturale che applicherà nella percezione dell’altro, perché privo della possibilità di disporre del linguaggio dell’esperienza che costituisce la base del dialogo tra persone, tale contributo non è più utile tra due oggettività funzionali. E’ noto che una delle più difficili applicazione dell’intelligenza artificiale ai robot è l’umorismo. Questo perché l’umorismo è privo di necessità, estemporaneo, cosi come altre forme di sensibilità creativa. Di tutto questo abbiamo ampio riscontro nell’algida concretezza dell’arte contemporanea che non allude ma mostra, non crea ma produce.
piergiorgio firinu
La cultura ridotta a tautologia.
La cultura sembra ridursi a una continua tautologia,Roman Jakobson esprime quella che considera una parafrasi di Bertran Russel: “ tra i cani che si chiamano Fido non hanno in comune nessun attributo di “fidità”. La proposizione corrisponde tale e quale alla affermazione di Antistene quando, interpellando Platone afferma: “ Il cavallo lo vedo ma la cavallinità non la vedo”. Come dovremmo interpretare e definire questa citazione di Jakobson? L’impressione è che la cultura si riduca spesso alla ripetizione del già detto, ovvero alla sopraopposizione di segni. Secondo Carnap ogni interpretazione volta chiarire parole e frasi, costituisce un messaggio che rinvia a un codice. Ma quale codice? Il codice originario, Antistene, ovvero il codice reinterpretato Russell? Secondo Peirce il segno semiologico indica l’oggetto, il segno linguistico indica altri segni. La gran parte dei testi di critica e filosofia dell’arte sono volti a chiarire il significato dei segni pittorici, o più genericamente dell’arte. Questo, in buona sostanza significa che il linguaggio dell’arte non possiede una propria autonomia. L’ermeneutica ontologica non è mai neutra, essa porta inevitabilmente con se le scorie di un pregiudizio. La illeggibilità del messaggio artistico comporta quindi un’ulteriore deviazione di significato che si attua nel percorso ermeneutico. Gadamer afferma: “ Dove abbiamo a che fare con un’opera d’arte, l’intentio è, per così dire, entrata interamente nell‘opera e non può più venire cercata dietro o davanti all’opera stessa. Per questo si restringe il valore di tutte le introvedute di riferimento dell’opera d’arte, resta comunque la possibilità di un abuso ermeneutico”. Ed è esattamente sull’abuso ermeneutico ciò a cui l’arte contemporanea si affida per giustificare la propria insignificanza.
piergiorgio firinu
Ontologia dell'arte.
Secondo Bertrand Russel , “ nessuno può comprendere la parola formaggio, se prima non ha un’esperienza non linguistica del formaggio”. Roman Jakobson contesta l’assunto, a mio avviso con giuste argomentazioni, basate sulle distinzioni, non solo tra le varie lingue, ma anche nella definizione del genere. Qui non è possibile esporre le argomentazioni di Jakobson, basti dire che uno dei limiti della critica e filosofia dell’arte è riscontrabile nelle generalizzazioni linguistiche. Se ogni opera d’arte ha una propria definita ontologia, non è possibile un’ermeneutica critica che non si basi sulla singola opera. Spesso il riferimento della critica è ai generi, arte astratta, figurativa, Pop Art ecc. In moltissimi casi, con una sinèddoche , ci si sofferma sull’artista, ovvero sulla corrente a cui appartiene, anziché esaminare l’opera o le opere di cui ci si sta occupando. Questi espedienti narrativi sono utili per creare il mito del personaggio-artista ed esimersi dall’affrontare l’ontologia dell’opera. La narrazione si avvale spesso di riferimenti impropri, per esempio le neuro scienze, o attuando una sorta di copia incolla di etimologie filosofiche che stridono con l’evidenza che l’osservatore ha di fronte. Pratica e teoria dell’arte devono affrontare problemi complessi che spesso sono stati creati in un’ansia ermeneutica che nasce dalla necessità di creare una ragione di ricerca. Alla fine si sceglie di tagliare il nodo gordiano, elevando a norma l’impossibilità di una reale lettura dell’opera d’arte nelle forme in cui si realizza nella contemporaneità. Nel mettere in evidenza la complementarietà del linguaggio, oggetto e meta- linguaggio, Niels Bohr assumendo che: “..esiste una relazione complementare fra l’uso pratico di ogni parola e il tentativo di darne una definizione precisa”. L’ermeneutica dell’arte si affida esclusivamente alla narrazione, finendo per essere decettiva, senza chiarire il significato ontologico dell’opera ma accreditandolo come assioma.
piergiorgio firinu
Aporia
Dopo che i movimenti storici d’avanguardia hanno svelato l’istituzione arte come soluzione dell’enigma dell’effetto, o della mancanza d’effetto, dell’arte, nessuna forma artistica può rivendicare la pretesa di valere per un tempo indefinito, solo per se stessa. La pretesa è stata liquidata definitivamente. Non è stato ancora chiarito il significato dell’avanguardia per la teoria estetica contemporanea, questione a suo tempo affrontata da Adorno. Sull’argomento Burkhardt Lindner ha fornito uno degli spunti più interessanti, egli afferma che nel suo intento di superamento dell’arte nella prassi vivente dell’avanguardia può essere pensata come il più radicale e coerente tentativo di salvaguardare l’universale pretesa di autonomia dell’arte contro tutti gli altri ambiti particolari della società conferendo ad essa un significato pratico. Ovviamente simili giudizi globali andrebbero definiti nelle loro sfumature. Il significato della cesura nella storia dell’arte, provocata dai movimenti storici, non è consistita nella distruzione dell’istituzione arte, ma nella impossibilità di considerare valide le norme estetiche. E’ sfuggito ai movimenti dell’avanguardia, che eliminando il riferimento si rendeva possibile ogni sviluppo dell’aporia. Anche per questo l’avanguardia ha fallito.
piergiorgio firinu
Tecnica e vilipendio della natura.
L’essere umano è l’animale più indifeso del pianeta. Non ha fauci forti, non ha artigli, non emette veleni, è privo di aculei, non possiede capacità di mimetizzarsi. In ragione di questi limiti di difesa fisica, egli ha sviluppato l’intelligenza, vale a dire la capacità di costruire abitat e strumenti di protezione contro l’aggressività di altri animali e più in generale contro le insidie della natura. Il percorso di conoscenza per individuare le modalità di sopravvivenza viene definito progresso. Fin qui siamo all’interno di un meccanismo naturale che include anche manifestazioni non funzionali alla sopravivenza. E’ il caso delle pitture rupestri risalenti all’era paleolitica scoperte in Francia nelle grotte di Lascaux, in Sicilia nell’isola di Levanzo, in Francia nella grotta de La Marche, nell’area di Lussac-les-Chàteaux , nelle grotte di Altamira in Spagna. L’essere umano ha la capacità di pensiero che gli consente ciò che agli altri animali sono interdette. Il Cogito ergo sum” di Cartesio. “L’uomo come una canna che pensa” di Biagio Pascal, hanno conferito all’essere umano una considerazione di se che ha finito per tracimare nel velleitarismo. La vertigine del potere ha finito per far dimenticare che anche l’essere umano resta un animale, anche se la sua propensione ad aggredire i propri simili si avvale di strumenti sempre più sofisticati. Egli compie uno spreco enorme di energie mentali e fisiche, oltre che imponenti risorse materiali che potrebbero essere destinate a migliore la vita di milioni dei suoi simili, evitare che si creino divisioni e disuguaglianze. Abbiamo maturato competenza senza comprenderne l’uso corretto. Anche l’arte è stata ridotta a tecnica perdendo quella che Pareyson definiva: “formatività”. L’immagine dell’azione umana come prassi inconscia che diviene consapevole grazie al divenire storico come esplicano le filosofie da Vico a Hegel. Il percorso di evoluzione umana ha finito per soccombere all’aspetto meno nobile. L’essere umano, ormai sicuro di poter dominare la natura, ha preteso di modificarla, privilegiando soprattutto aspetti economici- funzionali. Il potere e la vittoria sulla natura che la tecnica favorisce, ha finito per i tradursi in enfasi di libertà che ignora le regole e consente lo scatenamento di aberrazioni delle quali la guerra è la peggiore. Il non riconoscere i limiti che la natura ha posto a salvaguardia di noi stessi è fonte dei disastri ecologici e sociali a cui stiamo assistendo.
piergiorgio firinu
Informazione corrotta.
Ventitre anni prima che Marshal Macluhan pubblicasse il noto saggio “Gli strumenti del comunicare”, che conteneva la nota affermazione: “Il mezzo è il messaggio”, Orson Wells realizzò quasi in solitudine il film “Quarto potere”. Era il 1941. Sotto lo pseudonimo di Citizen Kane. Wells narrava le gesta di William Randolph Hearst, magnate statunitense della stampa. Come sempre accade , per ignoranza e corta memoria, i problemi sollevati da Orson Wells sono stati archiviati. E’ rimasto il problema dei mezzi di comunicazione che si presentano come il baluardo della democrazia, quando il realtà rappresentano la forma peggiore della cattiva coscienza della società, oggi come ieri. Nel giornalismo vi è stata una crescita esponenziale della presenza femminile. Non vengono comunicate notizie, ma create. I giornalisti come pappagalli ripetono ciò che chiunque può vedere, ma spesso deformano la realtà a vantaggio di una parte politica. In Italia la RAI si presenta come servizio pubblico, pretesto per imporre un canone anche a chi, forse la maggioranza, non guarda i programmi rai. I media hanno interesse a raccontare ciò che si presume il pubblico voglio sentirsi dire, non perdendo di vista la propria posizione politica. La conferma la troviamo nelle rubriche “lettere al giornale”. Rubrica che, in teoria, dovrebbe ospitare le opinioni dei lettori, ma la selezione delle lettere in base alla “linea editoriale”. Gli argomenti che costituiscono il mainstream del pensiero unico: donne (femminismo), immigrati, omosessuali. Provarte a scrivere una lettera avanzare critiche su tali argomenti , verrà sicuramente cestinata. Il pensiero critico non è incompatibile con l’universo mediatico; sono in gioco ragioni di mercato e di potere. Dopo i fatti dell’11 settembre a New York, Jacques Derrida e Jurgen Habermas discussero su ciò che era accaduto. Il dibattito ebbe grande risonanza, ma le tesi dei due filosofi ebbero una connotazione diverse a secondo la linea politica dei singoli media. I giornali occidentali non hanno mai messo in risalto l’atroce azione criminale di George Busch , l’aggressione all’Iraq giustificata con l’esibizione all’ONU di notizie false, puntualmente avvallate dai media. I mezzi di informazione definiscono se stessi “baluardo della democrazia” , in realtà sono cassa di risonanza del potere e dei gruppi sociali organizzati, a favore dei quali fabbricano notizie false e propinano fatti in forma decettiva. spesso ignobile. La politica dell’occidente è costituita da una serie infinità di sopraffazioni . Ovviamente anche la cultura, genericamente intesa, fa la sua parte. Si consideri che è stato assegnato il Nobel per la pace a Barack Obama, l’uomo che affiancò il francese Sarkozy e il britannico Blair nella aggressione alla Libia, ha finanziato e addestrato gruppi islamici armati per combattere il Governo siriano. Il gruppo si trasformerà nell’ISIS che ha scatenato guerre e massacri che durano tuttora. Sull’origine di questo disastro la stampa occidentale tacque e continua a tacere.
piergiorgio firinu
Informazione corrotta.
Ventitre anni prima che Marshal Macluhan pubblicasse il noto saggio “Gli strumenti del comunicare”, che conteneva la nota affermazione: “Il mezzo è il messaggio”, Orson Wells realizzò quasi in solitudine il film “Quarto potere”. Era il 1941. Sotto lo pseudonimo di Citizen Kane. Wells narrava le gesta di William Randolph Hearst, magnate statunitense della stampa. Come sempre accade , per ignoranza e corta memoria, i problemi sollevati da Orson Wells sono stati archiviati. E’ rimasto il problema dei mezzi di comunicazione che si presentano come il baluardo della democrazia, quando il realtà rappresentano la forma peggiore della cattiva coscienza della società, oggi come ieri. Nel giornalismo vi è stata una crescita esponenziale della presenza femminile. Non vengono comunicate notizie, ma create. I giornalisti come pappagalli ripetono ciò che chiunque può vedere, ma spesso deformano la realtà a vantaggio di una parte politica. In Italia la RAI si presenta come servizio pubblico, pretesto per imporre un canone anche a chi, forse la maggioranza, non guarda i programmi rai. I media hanno interesse a raccontare ciò che si presume il pubblico voglio sentirsi dire, non perdendo di vista la propria posizione politica. La conferma la troviamo nelle rubriche “lettere al giornale”. Rubrica che, in teoria, dovrebbe ospitare le opinioni dei lettori, ma la selezione delle lettere in base alla “linea editoriale”. Gli argomenti che costituiscono il mainstream del pensiero unico: donne (femminismo), immigrati, omosessuali. Provarte a scrivere una lettera avanzare critiche su tali argomenti , verrà sicuramente cestinata. Il pensiero critico non è incompatibile con l’universo mediatico; sono in gioco ragioni di mercato e di potere. Dopo i fatti dell’11 settembre a New York, Jacques Derrida e Jurgen Habermas discussero su ciò che era accaduto. Il dibattito ebbe grande risonanza, ma le tesi dei due filosofi ebbero una connotazione diverse a secondo la linea politica dei singoli media. I giornali occidentali non hanno mai messo in risalto l’atroce azione criminale di George Busch , l’aggressione all’Iraq giustificata con l’esibizione all’ONU di notizie false, puntualmente avvallate dai media. I mezzi di informazione definiscono se stessi “baluardo della democrazia” , in realtà sono cassa di risonanza del potere e dei gruppi sociali organizzati, a favore dei quali fabbricano notizie false e propinano fatti in forma decettiva. spesso ignobile. La politica dell’occidente è costituita da una serie infinità di sopraffazioni . Ovviamente anche la cultura, genericamente intesa, fa la sua parte. Si consideri che è stato assegnato il Nobel per la pace a Barack Obama, l’uomo che affiancò il francese Sarkozy e il britannico Blair nella aggressione alla Libia, ha finanziato e addestrato gruppi islamici armati per combattere il Governo siriano. Il gruppo si trasformerà nell’ISIS che ha scatenato guerre e massacri che durano tuttora. Sull’origine di questo disastro la stampa occidentale tacque e continua a tacere.
Il mito e la parola.
Si racconta che quando il padre di Platone condusse il figlio da Socrate perché lo educasse. Socrate rivolgendosi a Platone disse: “Parla, così ti vedo” . Secondo la mitologia greca Zeus concepì un figlia con Metis, dea dell’intelligenza. Dato che gli aruspici previdero che la nascitura sarebbe stata pari a lui per sapienza, Zeus divorò la madre gravida. La conseguenza fu una faticosa gravidanza nel cervello a cui pose fine Efesto che con una scure divise il cranio di Zeus dalla cui testa uscì Atena. Zeus si rassegnò ad avere una figlia tanto intelligente, tuttavia, ogni volta che Atena interveniva durante il il raduno degli dei esprimendo le proprie opinioni, si limitava a dirle: figlia mia quali parole ti sono uscite dalla chiostra dei denti. La tendenza logofanica costituisce l’essenza dell’uomo. Quando Odisseo, a seguito del naufragio della sua zattera, approda sulla spiaggia dei Feaci, si addormenta in un cespuglio. Il giorno dopo, al risveglio, viene sorpreso da Nausicaa, la figlia del re Alcinoo, egli nudo, coperto di salsedine non è un bello spettacolo. Le ancelle della principessa fuggono spaventate, Nausicaa resta di fronte allo straniero nudo. Omero descrive la reazione di Odisseo che si rivolge alla fanciulla. (VI,vv149-87). Il significato delle parole di Odisseo è illustrato da Isocrate, principe degli oratori forensi dell’Ellade, con il suo famigerato studio “Elogio di Elena”, volto a dimostrare che un buon avvocato poteva vincere qualunque processo solo con l’uso della parola. Anche il sofista siciliano Gorgia vantava la capacità di parlare su ogni possibile argomento. Nel teatro di Atene lanciò una sfida: proponetemi qualunque tema ed io sarò in grado di rispondere. Questi brevi cenni per affermare l’importanza della cultura e della parola che venne espressa in una arguta considerazione da un saggista austriaco,Egon Friedell, secondo il quale “La cultura è dovizia di problemi , e noi troviamo che un epoca è tanto più illuminata quanti più enigmi essa riesce a svelare”. Mentre una quantità di linguisti è assorta nel definire i dettagli del linguaggio, la comunità civile contemporanea non è in grado di formulare con sufficiente chiarezza il proprio pensiero. Le parole sono contratte in abbreviazioni , o al contrario diluiti in logorroiche divagazioni nelle quali è difficile scoprire il senso. I Gorgia di oggi sono, ad esempio, i filosofi dell’arte che hanno la presunzione di modificare l’ontologia dell’arte attraverso spurie argomentazioni. La logofania contemporanea è priva di costrutto logico ed è quindi assimilabile a ciò che Zeus affermava di Atena, tradotto in un proverbio siciliano. “Parlano per dare aria ai denti”.
piergiorgio firinu
Analisi riflessiva.
Secondo una linea propria l’analisi riflessiva non ci fa ritornare alla soggettività autentica; essa nasconde il ganglio vitale della coscienza percettiva, in quanto ricerca le condizioni di possibilità dell’essere assolutamente determinato e si lascia tentare dalla pseudo evidenza della teleologia che il nulla non è niente. Tuttavia i filosofi che l’hanno praticata hanno sempre intuito che c’era da cercare al di sotto della coscienza assoluta. Questo si evidenzia nella filosofia di Cartesio, ma sarebbe possibile dimostrarlo con altrettanta pertinenza a proposito di Lagneau, Alain e altri. Una volta condotta a termine l’analisi riflessiva non dovrebbe più lasciar sussistere, dalla parte del soggetto, se non un naturante universale per il quale esiste il sistema dell’esperienza, ivi compresi il mio corpo e il mio io empirico, collegati al mondo dalle leggi della fisica e della psicofisiologia. La sensazione che noi costruiamo come prolungamento “psichico” degli eccitamenti sensoriali non appartiene evidentemente al naturante universale e ogni idea di una genesi dello spirito risulterà spuria, in quanto ricolloca nel tempo lo spirito per il quale il tempo esiste, in quanto confonde i due Io. Tuttavia se noi siamo questo spirito assoluto, senza storia, e se nulla ci separa dal mondo vero, se l’io empirico è costituito dall’io trascendentale e se è dispiegato davanti a esso, dovremmo scoprirne l’opacità, non si vede come sia possibile l’errore, e tanto meno l’illusione, ossia la “percezione anormale” che nessun sapere può far scomparire. Si può ben dire che l’illusione e l’intera percezione sono al di qua della verità come dell’errore. Ma ciò non ci aiuta a risolvere il problema, giacchè si tratta allora di sapere come uno spirito può essere al di qua della verità e dell’errore. Quando sentiamo, noi non appercepiamo la nostra sensazione come un oggetto costituito in una rete di relazioni psicofisiologiche. Noi abbiamo la verità della sensazione. Non siamo di fronte al mondo vero. E’ la stessa cosa dire che noi siamo individui e dire che in questi individui c’è una natura sensibile in cui qualcosa non risulta dall’azione dell’ambiente. Se nella natura sensibile tutto soggiacesse alla necessità, se per noi ci fosse una maniera di sentire che si identificasse con quella vera, se ogni istante la nostra maniera di sentire risultasse dal mondo esterno, allora noi non sentiremmo. Così, il sentire non appartiene all’ordine costituito, non dispiegato di fronte all’Io, ma sfugge al suo sguardo, è come raccolto dietro di esso, vi forma una sorta di spessore o di opacità che rende possibile l’errore, delimita una zona di soggettività o di solitudine, ci rappresenta ciò che è “prima” dello spirito, ne evoca la nascita e sollecita una analisi più profonda che farebbe luce sulla “genealogia della logica”. Lo spirito ha coscienza di sé come “fondato” su Natura. C’è dunque una dialettica del naturato e del naturante, della percezione e del giudizio, nel corso del quale il rapporto si capovolge. Dare forma alla possibilità del sentito/pensato è compito dell’arte, se non vuole essere null’altro che oleografia dell’irresponsabilità semantica. L’opera dell’artista dovrebbe concretizzare in materia visibile sensazioni che ai più sfuggono, dunque aprire la possibilità di una maggiore fruita sensibilità.
piergiorgio firinu
Democrazia e pedagogia.
Non pare che la cultura riesca a elaborare temi particolarmente innovativi. C’è un continuo ripescaggio di temi trattati in passato, una grande quantità di testi che riprendono i fili di un discorso interrotto e mai finito. Argomenti come rivoluzione, democrazia, giustizia sono affrontati in ottiche diverse, in astrazioni che alla fin fine risultano inconcludenti. Dopo attenta riflessione ci rendiamo conto che le teorizzazioni trascurano il punto centrale, lo snodo che è la radice del problema: pedagogia. Da qualche tempo è stata messa la sordina la tema della “società civile”, ci si è resi conto che in realtà la società civile non è migliore della politica, di tutto lo snodo nel quale si articola il potere, i cui rappresentanti provengono dalla società. Quando parliamo di società civile quale società ci riferiamo? Esistono due civiltà? Una civile e un'altra incivile? Basta porre la questione perché appaia chiara l’incongruenza di tematiche la cui astrazione non aiuta a risolvere i problemi di una società alla deriva. Quando assistiamo al penoso spettacolo di studenti che insieme agli antagonisti, sono sempre in prima fila in cortei vandalici, incuranti del fatto che sono oggettivamente parassitari della società che permette loro di seguire corsi di studio al termine del quale si aspetta di essere ripagata. La sinistra sostiene quasi sempre che le manifestazioni di piazza sostenendo che sono democratiche, salvo quando scendono in campo organizzazioni di destra. Ipotizzare che la democrazia è il migliore dei sistemi politici, si dice qualcosa di parzialmente vero. Democrazia significa una testa un voto. Ma cosa c’è dentro quelle teste? Sarà il caso di porci il problema? Non è necessario far ricorso a complicanti studi o indagini statistiche per sapere che intelligenza e cultura media sono piuttosto modeste, basta assistere a un programma tv di quiz. Persone che si dichiarano laureate, con parlantina sciolta, non sanno rispondere a domande su questioni elementari, non conoscono il significato delle parole che usano. Questo è il vero nocciolo del problema. L’ignoranza occulta che si nutre di luoghi comuni. Le stesse persone sono informatissime su attori, cantanti, protagonisti della vita mondana. Abbiamo una ministra dell’Università che presenta una laurea falsa e resta al suo posto, che si batte a favore della promiscuità dei generi, mentre non pare avere la stessa preoccupazione per il livello scolastico e soprattutto educativo della scuola. Nessuno si pone il problema del linguaggio, dell’abbigliamento, delle abitudini dei giovani. Le statistiche ci dicono che una gran maggioranza di studenti fa uso di stupefacenti, un gran numero non sa scrivere in modo decente. I giovani vengono istruiti male e non educati. Il mantra : dobbiamo ascoltare i giovani. In realtà dovremmo semplicemente educarli. Certo, non è impresa facile, specie per una generazione genitoriale che ha fatto della trasgressione un norma. Il femminismo si è battuto e si batte per la libertà sessuale senza chiedersi il senso e i fini di una promiscuità che pure difende a prescindere. L’arte è sulla stessa linea. Pittura cartellonistica, trovarobato, imitazioni spacciate per citazionismo. Il problema è che una società collassa quando prevalgono egoismi individuali e si incoraggia la stupidità collettiva. Si continua a blaterale di democrazia, libertà, arte, mentre intorno a noi prosegue il degrado, l’insicurezza, la nefandezza socio politica. L’arte dovrebbe lasciare la cartellonistica ai pubblicitari e orientarsi alla sostanzialità semantica del segno. Ma forse pensare che questo sia possibile significa peccare di ottimismo.
piergiorgio firinu
Intuizione e conoscenza.
Il dono naturale dell'arte così detta bella, deve comunque avere una regola. Di che genere potrebbe essere? Sappiamo che l'artista vive, oggi più di ieri, immerso nella realtà del mondo, egli apprende la propria arte, percepisce i propri stimoli dalla realtà che vive. Le idee dell'artista non nascono nel vuoto, l’arte è uno dei mezzi tramite i quali trasmettere alla posterità la nostra storia. L'arte contemporanea è realizzata da artisti totalmente immersi in un sistema che condiziona il loro operare,non solo dal punto di vista tecnico, anche dal tipo di frequentazioni mondane che inducono gli artisti a seguire il mainstream, cioè una forma d'arte che piace a coloro che possono essere artefici del successo sul mercato, deus ex macchina, dell’arte contemporanea. L'artista non è più colui che crea e che produce delle idee, ma piuttosto un produttore che soddisfa le richieste del mercato. il genio per fornire una materia dalla propria creatività dovrebbe forse sottrarsi alle cessioni condizionamenti dovrebbe dedicarsi a una ricerca personale oltre che è un perfezionamento tecnico tecnico nel senso che l'arte deve comunque essere prodotta mediante un'azione materiale citrato di scultura di pittura o di qualsiasi altra cosa ora l'artista sembra ignorare questi percorsi c'è la prossima Diva cultura che gli viene trasmessa nelle accademie diventa semplicemente un indirizzo di carattere generale Fermo restando che nelle accademie e vengono come dire celebrati artisti della modernità Cioè credo che coloro i quali il primo anno è l'indirizzo artistico generale siano i soliti americani Warhol Eccesso di condizionamenti che va di pari passo con la modesta preparazione culturale. Ebbi occasione di scrivere che l'artista oggi dovrebbe essere filosofo, non nel senso di pretendere di concretizzare in forma determinati concetti questo non solo fuori luogo ma avrebbe risultati negativi. In primo luogo fossilizzare un'idea. Eidos è per definizione estremamente mobili quindi si si modifica cambia. La pretesa di formalizzare un concetto che rimarrà stabile. L'artista e filosofo dovrebbe essere filosofo in quanto aspirazione in quanto a conoscenza in quanto riflessione che sia oltre la funzionalità della materia che lavora, ma nello stesso tempo non può, non dovrebbe dimenticare gli aspetti concreti del proprio mestiere. Ci troviamo in una situazione paradossale. C'è una sorta di sclerotizzazione sul tema dell’antropocentrismo, l'uomo al centro di tutto. Ma poi vediamo la realtà contemporanea nelle nostre vite e scopriamo il prevale di un cinismo edonistico, lo sfruttamento, anche nella sessualità. Procediamo per espedienti retorici. Nel Iibro “Decadenza” Michel Onfray sottolinea come le forme di depravazione e devianza, le unioni omosessuali, siano diventate una forma di riferimento civile. Si vuole capovolgere la realtà. Dopo un secolo di “avanguardie” restano presenti e attive le Accademia di Belle Arti, solo che le belle arti non ci sono più, non si insegnano più.
piergiorgio firinu
Ermeneuti e critica.
La critica d’arte è spesso criptica, abusa della tautologica. Tipica l’affermazione “è arte ciò che viene considerata arte”. Espressione densa di ambiguità. Assente l’esame dell’oggetto considerato, la critica diventa letteratura, s’infittisce di rimandi che sono altrettanti truismi, non entra nel vivo del tema. Scrivere: “Morandi è alla base della moderna civiltà dell’arte”. Cosa significa? Morandi ha vissuto e dipinto, il tempo di Henri Bergson, il tempo dell’élan vital, della corrente fonte dell’arte del primo ‘900. In realtà quel tempo ha coinciso con la definitiva attuazione dell’affermazione di Hegel sulla morte dell’arte. Non vi è nulla di sublime nello slancio distruttivo delle avanguardie. I Dada, hanno introdotto il principio della casualità, a iniziare dalla stessa definizione della corrente, quando al Cabaret Voltaire di Zurigo, aperto un dizionario, è stato posto il dito a caso, la parola sulla quale il dito si fermò fu “Dada”. Se fosse stata “pene”, “latrina”, qualunque altra parola simile, la corrente avrebbe assunta quella denominazione? Presumere di far coincidere casualità e creatività è temerario, prodromo a ciò che è seguito, e continua. Il segno accettato, si tratti dei Dada, delle geometrie di Piet Mondrian, delle provocazioni di Duchiamp, diventa base storica per successive evoluzioni che in realtà, prima o poi verrà chiarito, sono altrettante involuzioni, punto di appoggio per un linguaggio artistico che, più che astratto, è privo di senso, sul quale la critica si perde in effimere affabulazioni, le quali possono al più creare emozioni che purtroppo finiscono per costituire il filtro, la cifra, attraverso cui, a partire dalla quale ogni percorso artistico è legittimato a ignorare i significati. I precedenti delle avanguardie costituiscono la traccia che porta verso l’oscura casualità, un procedere auto- referenziale le cui conseguenze sembrano non finire.
piergiorgio firinu
Lavoro, arte trasformazione.
Vorrei tornare sul tema della lettura dell'arte fatta attraverso le neuroscienze. L’impressione è che sia un'operazione di marketing, intellettualmente poco corretta. Per tentare di definire questa mia convinzione vorrei prendere a riferimento il libro di Heidegger: “ Concetti fondamentali della filosofia aristotelica”. Scrive Heidegger:”..cos'è dunque un ente? Deve essere definito a partire da ciò che è movimento”. Cosa intendiamo per movimento? Esattamente il lavoro che realizza l’Ente e ne determina l’ontologia. Ciò avviene, non quando recuperiamo qualcosa, ma solo quando costruiamo qualcosa. Quando l’oggetto costruito ha pretese di ontologia artistica, deve contenere gli elementi che comunicano la sua natura. Un oggetto, che ha una propria ontologia, non lo possiamo trasformare tramite la narrazione. Movimento, nel senso inteso da Heidegger, significa anche trasformazione di qualcosa, aggiungendo valore. Non basta l’intenzione tanto meno la determinazione a posteriori. Il tema è importante perchè sgombera il campo da argomentazioni apodittiche. Mettere a confronto il ragionamento filosofico di Heidegger con la approssimazione logica che si affida ad espressioni enfatiche contenute nel libro di Eric R. Kandel: “Arte e neuroscienze”. La definizione dell'arte, nei termini adottati da Kandel, non porta da nessuna parte. Il mondo circostante e la forzatura dell' articolazione categoriale non contribuisce a comprensione della realtà del visibile. Se attraverso l’arte il mondo circostante non viene espressamente e genuinamente messo in tema. Qualcosa è visibile in quanto costituisce un’entità circoscritta, questo non è quell'altro, il logicamente fenomenologico è la parte terminale di un processo epistemologico. Ovvero attraverso conoscenza e lavoro siamo in grado di produrre un qualcosa che assume una propria ontologia. Un pezzo di legno è potenzialmente molte cose, giace davanti a noi inutilizzato. Il lavoro lo trasforma in qualcosa che ha una diversa figura e quindi muta carattere. Un cofanetto di legno, non è più solo legno, ma un oggetto che ha una propria ontologia. Il ricorso ai ready-made, non prevede trasformazione,solo ricupero, operazione alla quale si tenta di attribuire significato attraverso la narrazione. Nella bottega entra un pezzo di legno ed esce un oggetto con precise connotazioni semantiche. Quando diciamo che un oggetto è artistico? Quando la capacità e la fantasia di chi lo ha realizzato ne aumenta il valore estetico, in qualche caso funzionale. Utilizzabilità e determinazioni possono essere viste come fenomeno, il presente si concentra in quanto essere davanti a me nel luogo dove io mi trovo. Quindi quando io vedo un oggetto,reale, visibile, ne riconosco l’autonomia, esso mi comunica il proprio significato autonomo, la etimologia definibile in se stesso senza bisogno di sovrapposizioni letterarie. Un ready-made esiste a prescindere dall’uso. L’attribuzione di un significato che contraddica l’ontologia dell’oggetto è azione priva di giustificazione logica, un arbitrio, una forzatura volta a uno scopo extra artistico. La narrazione sull'oggetto è decettiva perchè riferita a qualcosa che in realtà non esiste, non è presente, non è parte dell’ontologia dell'oggetto. Tutto si riduce a farneticazione intellettualistica del critico o del filosofo. Quello che vediamo è diverso da ciò che ci viene narrato, con questo equipaggiamento ci si occupa della definizione del movimento di Aristotele che afferma che il movimento non è realtà ma possibilità, realtà in sé stessa è non realtà fino a che non giunge al termine. Sono al compimento dell’azione l’antinomia dialettica si scioglie nel significato e nella riflessione che provoca. La mancanza di senso, vanifica il percorso di realizzazione e mette in evidenza la mancanza di responsabilità. Il ragionamento di Heidegger interpreta la concettualità di Aristotele mentre Eric Kandel usa la sua conoscenza medica per estrapolare considerazioni su opere alle quali in realtà non è in grado di attribuire un senso.
piergiorgio firinu
Indagine sulla forma.
La famosa proposizione di Korzybski “la mappa non è il territorio” scaturì da una profonda riflessione filosofica, che risale alla Grecia e percorre la storia del pensiero europeo degli ultimi duemila anni. Nella questione è insita una specie di grossolana dicotomia sulla quale ci sono state molte profonde controversie, violente ostilità che hanno portato addirittura a spargimento di sangue. Tutto comincia con l’atteggiamento assunto dai pitagorici verso i loro predecessori. La controversia fu formulata in questo modo: “Chiedi di cosa sei fatto ? Se di terra, fuoco, acqua o altro? Oppure chiedi: Qual è la sua forma?”. Pitagora era per l’indagine sulla forma più che per l’indagine sulla sostanza. Collingwood ha fornito una lucida esposizione delle idee pitagoriche in The idea of Nature. Questa controversia si è protratta nel tempo, e il partito pitagorico è stato nel complesso perdente fino ai tempi recenti. Gli gnostici seguirono ai pitagorici, e gli alchimisti seguirono gli gnostici, e così via. La disputa raggiunse l’acme alla fine del Settecento, quando fu edificata e poi confutata una teoria evoluzionistica di sapore pitagorico, una teoria che implicava la Mente. La teoria evoluzionistica della fine del Settecento, la teoria di Lamarck, che fu la prima organica teoria trasformista dell’evoluzione, fu costruita in base a una curiosa tradizione storica che è stata descritta da Lovejooy, The Great Chain of Being: prima di Lamarck si riteneva che il mondo organico, il mondo vivente, possedesse una struttura gerarchica, con la mente al vertice. La catena, o scala, scendeva attraverso gli angeli gli uomini, le scimmie, giù giù fino agli infusori o protozoi, e ancora più in basso alla piante e alle pietre. Ciò che Lamarck fece fu di capovolgere la catena. Egli osservò che sotto la pressione dell’ambiente gli animali cambiavano. Queste osservazione ebbero il difetto di fermarsi all’apparenza formale dell’evoluzione trascurando gli aspetti che, per non essere materiali, sono difficilmente indagabili. Dove nasce il bisogno dell’uomo di dare una dimensione spirituale alla propria esistenza. Perché tutte le civiltà, nessuna esclusa, insieme all’ordinamento sociale hanno credenze religiose. A questi interrogativi la scienza non è in grado di dare risposte per cui si limita ad accantonarli. Così facendo lascia un vuoto che viene colmato in modo insoddisfacente dalle soddisfazioni materiali che finiscono per soffocare anche le ispirazioni più alte presenti negli esseri umani. Ci sarà una ragione se nella misura in cui cresce il benessere, l’arte e tutta la cultura non funzionale, assumono forme rozze e sgradevoli. Ridurre l’uomo alla sua sostanza animale, che pure fa parte della sua natura, non sembra costituire un progresso. Coloro che per un malinteso laicismo, esaltano la libertà assoluta, fine a se stessa, non rendono un buon servizio all’umanità. In nome della libertà vengono soppressi valori e spiritualità, visti come limiti, vincoli. Senza una tensione verso l’oltre anche l’arte si riduce a povera cosa, lo dimostra ciò che vediamo. E’ sbagliato usare l’alibi dei fondamentalismi religiosi per giustificare volgarità e consumismo.
piergiorgio firinu
Il percezione del razionale.
La ragione pratica, ci viene detto, consiste nel ragionare sul che fare, mentre la ragione teorica è il ragionare su cosa credere. Se le cose stanno davvero così, dovrebbe sembrarci un vero e proprio rompicapo il fatto che non disponiamo di una spiegazione accettata della struttura logica deduttiva della ragione pratica, come invece sembriamo avere della ragione teorica. Di fatto i processi mediante i quali pensiamo al modo migliore per raggiungere i nostri obiettivi sembrano essere processi razionali almeno quanto lo sono i processi attraverso i quali pensiamo alla applicazione delle nostre credenze, perché dovremmo possedere una logica così potente per un tipo di ragione e non per l’altro. Quando per esempio un artista si accinge a realizzare un opera, quale tipo di razionalità attiva? L’arte detta “concettuale” , contraddice il significato stesso del sostantivo “arte”, com’è noto deriva dal greco, significa fare, attua una contraddizione in termini. Ad Aristotele dobbiamo non solo il sillogismo teorico, ma anche, sebbene sia stato meno influente, il sillogismo pratico. Perché dunque, non c’è una teoria accettata del sillogismo pratico come ci sono invece teorie accettate del sillogismo teorico e una teoria della logica deduttiva generale? Per capire qual’è il problema, proviamo a esaminare in che modo il suo analogo è stato apparentemente risolto per la ragione teorica. E’ necessario innanzi tutto distinguere le questioni di relazioni logiche dalle questioni di psicologia filosofica. Grandi progressi sono stati fatti in logica deduttiva da quando, nell’Ottocento, Gottlob Frege ha separato l’ambito della psicologia filosofica, ovvero le leggi del pensiero, da quello delle relazioni logiche. Dopo Frege si è pensato che si fossero interpretate in maniera corretta le relazioni logiche, la psicologia filosofica avrebbe dovuto essere relativamente semplice. In realtà, quando il criterio razionale si affida alla mediazione del linguaggio il problema si fa intricato. Per linguaggio s’intende non solo verbale e scritto, ma tutte le forme di comunicazione e in particolare l’arte. I morfemi non si sviluppano sulla base della razionalità ma delle convenzioni. Dire “un cerchio e quadrato” è privo di senso soltanto perché si è convenuto che cerchio definisce una figura diversa dal quadrato. Non vi è una intrinseca razionalità nelle convenzioni come Frege ha ampiamente dimostrato nel suo tentativo di creare un linguaggio assolutamente logico. Se il discorso ha un senso, quando sosteniamo che l’arte “d’avanguardia” rompe le convenzioni, diciamo in buona sostanza che è priva di senso, attraverso questo passaggio, come sostiene Alexandre Lojève, cancelliamo il senso e facciamo emergere il simbolo. E qui ci ritroviamo all’interno delle circolarità del linguaggio, in quanto il simbolo ci riporta al concetto che, se privo di senso, non giustifica se stesso. Non c’è nulla di intrinsecamente sbagliato nella circolarità di argomenti e definizioni. Negel Warburton, in “La questione dell’arte” fa l’esempio di un dizionario: ogni parola in esso definita sarà descritta con parole che sono a loro volta definite dal dizionario, e dunque a qualche livello l’intero dizionario è circolare. Per questo il simbolismo dell’arte non può prescindere da un valore semantico auto-referenziale che però dovrebbe essere definito e intelligibile. Dunque ci ritroviamo nel circolo.
piergiorgio firinu
Illusione antropocentrica.
Secondo Aristotele si dice finito un Ente al di fuori del quale non può essere trovata neppure una sola parte che possa contribuire a completare l’Ente in questione. Ciò contrasta palesemente con quanto sostenuto da Umberto Eco nel libro “Opera aperta”. Vale piuttosto l’affermazione di Wittgenstein che nel “Trattato logico-filosophicus” si arrende all’incompletezza ripiegando sul “va bene così”. L’analisi di un’opera d’arte è spesso pretesto per critici e filosofi, una forma di paratissimo intellettuale che costruisce una narrazione densa di significati che hanno per riferimento l’atto “gratuito” dell’artista il quale non ha, non può avere, una reale consapevolezza delle determinazioni della sua opera. L’artista è spesso un sicofante, un millantatore, un suonatore di flauto a cui il mercato assicura un claque. Bisognerebbe dunque andar cauti con il concetto di teleologia, il collegamento tra pensiero- azione – significato espresso dall’opera. Nell’affidarci alla “metafisica” della creazione, siamo sottoposti un forte condizionamento antropocentrico che ci porta a sopravalutare tutto ciò che riguarda l’uomo. Se l’artista realizza una propria idea di arte, non per questo un marziano resterebbe affascinato dall’opera creata. Questo per dire che il condizionamento antropologico è totale, tanto che la trasposizione metaforica di un’opera d’arte avviene all’interno di un contesto precostituito, diventato più vago da quando l’arte ha abbandonato la mimesi. Parlare di metafora significa dare per scontato che segno, colore, oggetto, trovino collocazione all’interno di un sintassi definita. Così non è. Vi sono passaggi predeterminati, materiali e strumenti che collocati in una certa forma acquistano un significato diverso. Il colore diventa albero, figura, interno di una casa. Ci sottoponiamo alla suggestione della forma condizionati da un sapere che si fa emozione. Salvo arrenderci al completamente finito , ad un linguaggio esaurito, logoro dalla ripetitività. L’ontologia dell’oggetto arte, al quale abbiamo attribuito una pluralità di significati, ad un tratto ci appare quello che è. Ed è a questo punto che scatta un meccanismo di compensazione. L’oggetto è collocato nel percosso esistenziale collettivo, la storia è la traccia che ci consente di usare il passato, per tentare il riscatto del presente. Sempre più spesso gli artisti realizzano l’esposizione delle loro opere in musei di arte classica e in siti archeologici. In contrasto con Democrito ,Aristotele commenta che anche il cadavere di un uomo ha sempre lo stesso aspetto e la stessa figura, e non di meno non un uomo. Così è per tutto ciò che costituisce le finzione a cui ricorriamo per dare significato alla nostra precarietà. L’arte è il maggiore inganno della visione antropocentrica. Ci sforziamo di trasformare la materia in realtà mentale. L’arte contemporanea, avendo attuato troppe forzature, ha messo in luce l’inganno. Affidarci alle illusioni è sempre più difficile.
piergiorgio firinu
Etica Nicomachea.
L'Etica Nicomachea è tutt'altro che l'etica della mediocrità del vivere convenzionale. Si dovrebbe far chiarezza sulla sindrome del progresso, la reale necessità della continua rincorsa alle novità. Aristotele discute questa difficoltà nel libro secondo capitolo quinto dell’Etica Nicomachea, la risolve facendo riferimento a diversi rapporti impliciti che comportano l’affrontare nel modo giusto le situazioni. Egli cita il mestiere del calzolaio il quale costruisce una scarpa. Non è necessario valutare la natura etica del calzolaio perché è il prodotto che gli realizza è svincolato da ogni rapporto sociale se non per l'utilità. Altra cosa e invece la forzatura che distingue etica privata e pubblica. Il fatto che il problema sia stato trattato da Aristotele dimostra quanto antica sia l’ipocrisia di chi manipola anche l’Etica secondo la propria convenienza. Tempo fa, la tv italiana, esibiva uno spot pubblicitario del Governo, quindi pagato con pubblico denaro, nel quale si poneva un quesito: “quanto importano le tendenze e gusti di natura sessuale del chirurgo che opera?”. Conta la sua capacità di portare a buon fine l'operazione chirurgica. In astratto ragionamento ineccepibile. Nella realtà lo spot si è rivelato decettivo quando si sono verificati casi di violenza sessuale nei confronti di pazienti mentre si trovavano sotto l’effetto della anestesia. In altri casi medici, con infermiere loro amanti, hanno compiuti omicidi di pazienti affidati alle loro cure. Fortunatamente questi episodi sono emersi, quindi l'autorità giudiziaria ha potuto intervenire, non è detto che questo accada sempre. Inoltre ci sono situazioni in cui è difficile dividere il grano dall'Oglio perché le decisioni possono essere ispirate dalle opinioni di chi decide. I magistrati applicano la legge avendo ampi margini di arbitrarietà non contestabili in base alle leggi vigenti, salvo, per chi se lo può permettere, affrontare le spese di tre gradi di giudizio senza la certezza di poter far valere le proprie ragioni. Già Francois Rabelais affrontava il tema in “Gargatua e Pantagruele”. Shakespeare nel monologo di Amleto cita:”….della legge gli indugi, le offese e i torti che la virtù subisce conculcata dai tristi…”. Oggi è forse più attuale Donatien-Alphonse-Francoise de Sade, con le sue invettive contro la virtù. Anche Leopold von Sacher-Masoch è attuale più che mai. Le tendenze sociali influiscono irrimediabilmente anche sulla mentalità dei magistrati, come di tutte le istituzioni sociali che determinano comportamenti e decisioni in ambiti vitali per la vita della società. Come ho più volte scritto, l’arte non anticipa i tempi ma li segue zoppicando. Ragioni e modalità che determinano il successo o fallimento sono legate all’accettazione del mainstream corrente. Vi sono ragioni sottili, praticamente imponderabili. La cultura e l’informazione concorrono a formare la pubblica opinione. Il tema è stato trattato da Jurgen Habermas in due volumi. “Agire comunicativo e logica delle scienze sociali” del 1967 e ancora in “ Storia e critica dell’opinione pubblica” del 1977. In entrambi i testi il problema basilare dell’etica non è affrontato, anche se a mio avviso, non è un aspetto secondario della società perché rende permeabili le persone a forme di persuasione in cui la cultura direttamente e indirettamente è complice. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui i valori sono sovvertiti. Si presta più attenzione al criminale che alla vittima. Si è incapaci, o manca la volontà, di capire come non sia concepibile una generalizzata schizofrenia in base alla quale si omologano i comportamenti devianti, salvo fingere stupore sugli effetti che le deviazioni provocano. Si inneggia alla libertà ma poi non si accettano le conseguenze. La verità è che viviamo in una democrazia virtuale, intossicata dalla accettazione generalizzata di perversioni e devianze, omologate a termini di legge. Non vi è rispetto per la sensibilità di chi dissente e vorrebbe sottrarsi alla violenza comportamentale, verbale, estetica, morale.
piergiorgio firinu
Comunicare il nulla
Quando nel 1964 Marshall McLuhan pubblicò Understanding Media, uscito in Italia nel 1967 con il titolo Gli strumenti del comunicare, il libro ebbe grande successo, in breve tempo divenne un must per tutti coloro che si occupavano di comunicazione. Oggi resta una lettura stimolante anche se superata in alcune parti. Questo non solo perché non c’è, ne poteva esserci, alcun cenno a Internet al di là da venire, ma soprattutto perché non vi è accenno alla natura intrinseca della comunicazione. Negli stessi anni da Jurgen Habermas pubblicò due testi importanti. Agire comunicativo e logica delle scienze sociali. E Storia e critica dell’opinione pubblica. Nessuno di questi studi previde che il prevalere delle formazioni tecniche, funzionali alle ragioni dello sviluppo, avrebbe finito per mettere in un canto la cultura umanistica. E’ vero che, per esempio in Italia, le facoltà umanistiche sono ancora scelte dalla maggioranza dei giovani, ma questo avviene perché, per un insieme di ragioni che qui non è possibile affrontare, la struttura socio-politica dell’Italia offre ampie possibilità a chi consegue la laurea in giurisprudenza, scienze politiche, e simili. Tuttavia si tratta di preparazione tecniche che solo per consuetudine vengono definite umanistiche. Il clima generale, non solo in Italia, è senz’altro ostico a tutto ciò che non è funzionale al sistema di produzione e consumo. Il tema delle due culture, aggetto di saggi e infiniti dibattiti tra gli anni ’60 – ’70 dello scorso secolo, è oggi superato nei fatti dalla pervasività della tecnica. “Gli strumenti del comunicare” oggi sono oggettivamente comodi, peccato che la comunicazione abbia contenuti nella maggior parte dei casi, assolutamente effimeri. Non solo telefoni cellulari e Internet, ma anche buona parte dei libri pubblicati.
piergiorgio firinu
Funzione gnoseologica dell’arte.
Percepire il mondo significa avere la capacità di decifrarlo “In principio era il verbo”.La parola come strumento di possesso della realtà. Dare il nome alle cose significa farle proprie. L'espressione ampliare gli orizzonti, non significa accumulare esperienza, ma piuttosto capire le esperienze che si vivono. La preparazione culturale è propedeutica a ogni scelta, la sequela di scelte esperenziali fa di noi quello che siamo. L'abbassamento del livello culturale non consiste solo nella limitazione del sapere, ma piuttosto nella scelta e natura del sapere, e della comprensione che abbiamo. Il disturbato mentale che impara a memoria i nomi di una guida telefonica non sa nulla delle persone di cui conosce i nomi. Questa è l'estremizzazione di un finto, inutile, sapere, ecco dunque che la funzione gnoseologica dell'arte non può consistere nel porre il colore su una tela, nel frammentare la realtà raffigurando oggetti e persone, o semplicemente mettere insieme colori. Il linguaggio dell'arte ha funzione di conoscenza, non di solo piacere, di riflessione, non di pura emozione. Quando i manieristi realizzarono le loro opere, per altro splendide sotto il profilo formale, veniva loro imputato di affidarsi alla maniera, di privilegiare il mestiere rispetto all’invenzione. Appare dunque un paradosso sostenere che la caduta casuale dei colori sulla tela costituisca una raffinata tecnica pittorica. C’è chi addirittura arriva a sostenere che Pollock sapeva indirizzare la caduta del colore in modo millimetrico. Affermazione falsa ed anche contraddittoria. Il linguaggio dell’arte, come quello verbale, ha una sua grammatica, non può ridursi a un borbottio, a gergalità, ciò costituisce regressione. Anche gli animali emettono suoni, versi, comunicano tra loro guidati dall’istinto non certo da regole grammaticali. L’immaginazione è prerogativa esclusiva dell’uomo, almeno alla stadio attuale delle nostre conoscenze. Quando l’artista si accinge a realizzare un’opera si suppone abbia in mente un’idea, un progetto. L’opera è già, per così dire, nella sua testa. Tecnica e immaginazione sono gli strumenti con i quali egli realizza il suo lavoro,attua una comunicazione attraverso la forma. L’opera è riuscita quando la comunicazione riproduce una realtà possibile, o una realtà semplicemente immaginata. Il dato gnoseologico si attua nella riuscita della comunicazione visiva. La forma è il messaggio
piergiorgio firinu
Arte e neuroscienze.
Si dice che Umberto Eco avesse una parte della propria biblioteca, una specie di sgabuzzino, nel quale metteva i libri che egli giudicava espressione del “pensiero coglione”. Non so se questa cosa risponde a verità ma certo se così fosse lo sgabuzzino doveva essere stracolmo. Il “pensiero coglione” non consiste, a mio parere, nell’esprimere concetti o idee sbagliate, ognuno ha il proprio limite di conoscenza e intelligenza, quanto piuttosto di voler teorizzare come fondate idee e concetti assolutamente privi di significato logico, spacciandoli come verità assodate. Questa lunga premessa per parlare di un libro, uscito recentemente, scritto da un neurologo che insegna all'Università Columbia University di New York. A costui è stato assegnato il premio Nobel per la medicina. Si tratta sicuramente di una egregia persona la quale scrive di qualcosa che esula dalla propria professione: l'arte. Egli ritiene di collegare la neurologia all'arte. Per far questo si affida a truismi ed anacoluti. Leggo alcuni brani. “il mio scopo In questo volume quello di illustrare un modo per fare arte concentrandomi su un punto, quello di illustrare le due culture, la scientifica la cultura umanistica, il modo in cui possono incontrarsi e influenzarsi a vicenda nell'arte contemporanea e nelle neuroscienze. Si tratta di porre in modo diretto e coinvolgente domande e obiettivi che sono centrali per il pensiero umanistico in questa ricerca convivono in misura davvero sorprendente alcune metodologie”. Considero questo brano un concentrato di insensatezze. Kandel non si riferisce a un singolo artista, per il quale il discorso potrebbe avere un senso, egli si riferisce in modo generico a tutti coloro che realizzano arte astratta. Prosegue: “ il processo artistico e spesso rappresentato come pura espressione della fantasia umana, io mostro che gli artisti si sono posti obiettivi ricorrendo a metodologie simili a quelle usate dagli scienziati. Gli espressionisti astratti della scuola di New York negli anni 40 e 50 del secolo scorso sono un esempio di un gruppo che ha assodato i limiti dell'esperienza visiva estendendo notevolmente la definizione stessa di arte visiva” Di fronte a simili argomentazioni resto senza parole, è difficile anche contestare simili madornali sciocchezze, queste tesi apodittiche. Egli sostiene che l’arte occidentale ha realizzato un nuovo modo di rappresentare il mondo, in una prospettiva che non è più tridimensionale, immagini riconoscibili in modo familiare, l'arte astratta ha rotto questa tradizione per mostrarci il mondo in modo decisamente insolito esplorando il rapporto reciproco tra forma spazi e colori. Questo nuovo approccio ha messo profondamente in discussione le nostre aspettative relativamente all'arte. “Per realizzare i loro obiettivi i pittori della scuola di New York hanno spesso assunto nel loro lavoro un approccio investigativo sperimentale hanno esplorato la natura della rappresentazione visiva riducendo le immagine ai loro elementi essenziali di forma linea colore luce io esamino le somiglianze tra loro approccio riduzionistico che gli scienziati usano concentrandomi su questi artisti in particolare sull' opera del primo pittore riduzionista Piet Mondrian e dei pittori della scuola di New York Willem de kooning Jackson Pollock e Morris Louis nel loro passaggio dall'arte figurativa all'arte astratta”. Io trovo queste argomentazioni prive di una base logica. Difficile opporre argomentazioni critiche. Personalmente ho conosciuto decine, centinaia di artisti astratti e figurativi, non ho mai costatato che seguissero un metodo precostituito. Quando l’artista si pone di fronte a una tela inventa, crea. Se il suo lavoro seguisse un metodo programmato, contraddirebbe il principio fondamentale dell'arte: la non codificazione. Assimilare una opera astratta a un procedimento scientifico è una forzatura paradossale. Questo scienziato si propone di esaminare attraverso l’arte attraverso la conoscenza neurologia. Se applicasse lo stesso metodo agli artisti di cui tratta il Vasari ne Le Vite, andrebbe incontro a uno spiazzamento totale. L'arte è impulso,intuizione, ciò che nasce da una sensibilità e cultura radicata.
piergiorgio firinu
Il mondo che verrà
Le tecnologie che attualmente stanno maturando non scompariranno tanto presto. Eppure le opzioni che offrono sono decisamente sconsolanti, alimentano le peggiori paure dei Tecnofobi. Cinici e Tecnofili deridono le previsioni pessimistiche, le definiscono allarmismi sensazionalistici, senza alcun fondamento nella realtà. Atteggiamento che non tiene conto dei fatti. Sembra che costoro dimentichino che esiste una vasta maggioranza che abita in luoghi dove si potrebbero apprezzare con facilità le nostre fiorenti tecnologie. Nonostante il grido dall’allarme lanciato da Frantz Fanon fin dal 1961 quando pubblicò, con la prefazione di Jean Paul Sartre “I dannati della terra”, nulla è cambiato nei confronti dei paesi che hanno minori risorse e quindi maggiore difficoltà a dotarsi delle tecniche in grado di aiutarli ad ottenere uno sviluppo sufficiente a consentire un’autonoma sopravvivenza. A partire dagl’anni ’80 c’è stato un incremento di più del 50% della popolazione nell’Africa sub-Saariana. La metà della popolazione è costituita da giovani al di sotto dei 25 anni. E’ previsto che per la metà di questo secolo, il 90% di tutti i neonati nasceranno in paesi in via di sviluppo. In un breve arco di tempo i paesi industrializzati conteranno meno di un miliardo di persone. Nel 2050, gli africani saranno tre volte più numerosi degl’europei. Il problema non è solo di numeri, Attualmente un miliardo e trecentomila persone vivono con un reddito inferiore a un dollaro al giorno.Quattro miliardi e ottocentomila persone non dispongono di nessuna tutela sanitaria, un terzo di loro non ha accesso all’acqua potabile.Oltre un miliardo di persone sul pianeta è completamente analfabeta. Tutto questo mentre in questi stessi paesi il prodotto interno lordo è in calo, per via del predominio delle multinazionali delle sementi e delle forniture industriali e prezzi inaccessibili per i paesi poveri. I danni all’eco sistema si assommano all’effetto serra provocando danni ecologici irreversibili. In Brasile un quinto della foresta pluviale amazzonica è già stato distrutto. Aumenta la quantità e la dimensione dei centri urbani. Il numero delle città con più di un milione di abitanti ammontava a 163 nel 1990, si prevede che saranno 368 entro il 2010. Nel 1960 soltanto Tokyo e New York contavano più di dieci milioni di abitanti; entro il 2015 ci saranno 26 “megacittà”, 22 delle quali nelle regioni meno sviluppate. Proprio in queste aree si verificherà la più rapida proliferazione di esseri umani. A tutto questo si aggiunge all’incuria ecologica che dura tutt’ora, ai guasti del mercato globalizzato. I politici più avvertiti, pochi per la verità, avvertono l’incombente disastro. Bob Carr, già primo ministro del Nuovo Galles del Sud, in Australia ha dichiarato che nel corso di una vista nei paesi del Nord-Est asiatico, ho potuto constatare il futuro che ci aspetta.
piergiorgio firinu
Cautele superflue.
“La situazione emotiva è esistenzialmente connessa un’aprente remissione al mondo in cui possiamo incontrare ciò che ci procura affezioni”. Queste scrive Heidegger in Essere e Tempo, una chiave di lettura per capire i comportamenti delle masse. Dobbiamo constatare che la scoperta, e accettazione del mondo è affidata alla emotività sulla quale fanno perno tutte le forme di persuasione. Vi è una strano paradosso nel supporre che attraverso l’emozione, si percepisca di più e meglio la realtà. Più di cento anni fa Charles Darwin espose la teoria secondo la quale le emozioni sono universali, e quindi senza dubbio sono una parte di quello che possiamo definire “natura umana”. Ogni interpretazione si dovrebbe fondare sulla comprensione. Il senso è ciò che viene articolato e motivato. Chi ha definito la ragione “la principale caratteristica umana”, evidentemente si riferiva a una umanità estinta. Quando Pascal argomenta che l’uomo è “una canna che pensa” e la sua superiorità deriva dalla consapevolezza, immaginava un essere umano che se mai è esistito, è estinto da tempo. Qui non si tratta di teorie millenaristiche, si tratta semplicemente di prendere atto della realtà La visione ambientale quotidiana non è fatta di contemplazione teoretica, ma è appiattita anticipatamente su una conoscenza parziale, distorta, del mondo. Senza supporre l’irraggiungibile ideale della conoscenza assoluta, di fatto irrealizzabile, ma neppure di rassegnarci all’opposto. E’ proprio di una visione instabile, emotivamente frammentata, porta a scelte indotte, per compiere le quali non vi è riflessione, solo valutazioni di convenienza e/o di piacere. Il grande potere di adattamento dell’essere umano si è ritorto contro se stesso. La visione del mondo contemporaneo è la prova più evidente che l’Illuminismo ha fallito. Le biblioteche sono cimiteri di “ismi”, leve con le quali alcuni ottimisti hanno tentato di sollevare l’uomo all’altezza delle sue potenzialità. Non è stato mai sufficientemente sottolineato l’alto contenuto simbolico della debolezza di Adamo che perde tutto per una mela. Atto di disubbidienza, volontà di accedere all’albero della conoscenza. Fetonte è, insieme ad Adamo, la metafora dell’uomo che non riesce a mettersi all’altezza delle proprie aspirazioni, per ambizione, viltà, improntitudine.
piergiorgio firinu
Produzione di differenza.
Che cosa è una differenza? Differenza è un concetto molto peculiare e oscuro. Non è una cosa, un evento. E’ una sensazione soggettiva. Se cominciamo a porci le domande sulla natura delle differenze abbiamo difficoltà a definirle. Una differenza che si produce nel corso del tempo viene definita “cambiamento”. Nelle scienze fisiche gli effetti delle differenze costituiscono condizioni concrete. Un nero è diverso da un bianco, un pezzo di legno è diverso da un pezzo di carta. Ma quando si entra nel campo della comunicazione, dell’organizzazione, gli effetti non sono più così evidenti. Quando io guardo carta e legno, percepisco la differenza in quanto conosco a priori le caratteristiche della carta e quelle del legno. In caso contrario non potrei rilevare la differenza, potrei constatare soltanto che le due materie hanno caratteristiche diverse. La differenza tra legno e carta viene rilevata dalla retina ed elaborata dal cervello. L’elaborazione è possibile in base alle mie conoscenze. Nelle mia mente il nulla, ciò che non esiste, non può essere elaborato. Il cervello funziona solo in base alla captazione di dati sensibili o in base a esperienze pregresse. Nelle scienze fisiche noi ricerchiamo le cause, partendo dal presupposto siano reali. Ma, esistono effetti che la nostra conoscenza-esperienza da per scontati. Chi mai ha visto l” energia” eppure sappiamo che esiste una forza che convenzionalmente viene definita “energia”. Si dice anche “energia dello spirito”. Buona parte di ciò che crediamo di sapere in realtà consiste in un atto di fede su fenomeni e materia che non siamo in grado di verificare e spesso neppure di capire interamente. Le analogie dalle scienze fisiche sono prese a prestito come base concettuale per costruire teorie psicologiche e del comportamento. Questa struttura alla Procuste è spesso insensata, sbagliata. La parola “idea” , nella sua eccezione più elementare , è sinonimo di differenza. Nella critica del Giudizio, Kant afferma che l’atto estetico più elementare è la scelta di un fatto; egli sostiene che in un pezzo di gesso c’è un numero infinito di fatti potenziali. La Ding an sich, il pezzo di gesso, non può mai entrare nella comunicazione o nel processo mentale proprio a causa di queste infinite potenzialità. I ricettori sensoriali non possono intercettarle; le eliminano. Tra l’infinito numero di differenze ne scegliamo un numero limitatissimo, che diviene informazione. In effetti ciò che intendiamo per informazione , per unità elementare d’informazione, è una differenza che produce differenza. Se noi valutiamo sotto il profilo informativo un’opera d’arte, scopriamo che quello che ci viene comunicato non è informazione, se non in rari casi, ma piuttosto conferma di una visione stereotipata di una porzione di realtà-conoscenza. Un’opera che riproduce frutti o sottobosco in materiale plastico quale tipo d’informazione veicola? Una riproduzione seriale di una icona della modernità quanta informazione contiene? Siamo in presenza di espedienti elementari che fanno perno sul fenomeno di semplificazione psicologica basata sul riconoscimento, sul déjà vu. L’arte contemporanea, contrariamente a quanto presume, è essenzialmente coazione visiva, immersa com’è nel contingente mondano. La stessa serialità, se non è dovuta a una tendenza alla diplopia, è dimostrazione evidente della difficoltà degli artisti contemporanei di sottrarsi ai limiti della loro modesta cultura, ricorrendo modesti artifizi. Ogni opera degli antichi maestri, e dei migliori artisti moderni, fa storia a se, illustra stimola, propone, allude. Caratteristica dei pasdaran dell’avanguardia, è la cifra ripetuta all’infinito. E’ ciò che il mercato richiede, l’immediata univoca identificazione, stereotipi ripetuti, logo immediatamente identificabile.
piergiorgio firinu
Cos'è la cultura?
Tra le tante domande inevase, una ricopre importanza particolare perché basica: Che cos'è la cultura? Per alcuni una professione; scrittori, filosofi, docenti, forse anche artisti. Tutti costoro esprimono le loro opinioni, scrivono per divulgarle. Capita che queste opinioni abbiano successo. In tal caso si arenano in una accettazione rassegnata. Realizzare una certa opera, scrivere un libro è semplicemente mestiere. Nella migliore delle ipotesi, per i più ottimisti o più ingenui, è un tentativo di concorrere a modificare il mondo, arricchire la realtà sociale attraverso nuovi pensieri. Se vediamo in questa ottica la cultura dovremmo scartare molta parte di essa, tutta quella che forse modifica il mondo, ma in peggio. Il narcisismo ha una parte importante nello stimolare chi crede di aver capito più degli altri. Non si tratta solo di guadagnarsi il pane, ma di nutrire la vanità. Ho sempre considerato una sciocchezza coloro che si considerano tanto importanti da sentire il bisogno di scrivere la propria autobiografia. Si interessa della vita degli altri soprattutto chi non è soddisfatto della propria, cioè la maggioranza di noi. Questa la ragione per cui le autobiografie hanno successo. Soprattutto se scritte da degenerati/te. Le donne parlano di sè, qualunque cosa scrivano. Nei libri parlano di sesso e di vittimismo. Nelle opere d’arte spesso rappresentano se stesse tout court. Tanto maggiore è il senso di inadeguatezza tanto più necessario il consenso degli altri. Dite a una donna che è bella e intelligente,ve ne sarà grata. Vi crederà anche se è davanti a uno specchio che la smentisce o sta leggendo un libro che non capisce. La presunzione dei maschi li rende meno sensibili alle lusinghe. Il femminismo pensa di liberare le donne dai loro complessi, in realtà le colma d’illusioni, prodrome di futuri disastri. Diceva il grande dandy Oscar Wilde: “ Le donne non sono fatte per essere capite ma amate”. Ma oggi molte hanno baypassato il problema: si amano tra loro. Scienza e tecnologia sono sempre più nelle nostre vite, servono anche a mascherare il qualunquismo culturale che dilaga. Sull’inserto culturale di un quotidiano ho letto un articolo. Titolo: “Quando la sovversione diventa classica”. Chi ha stabilito questa cosa? Quando si fanno simili affermazioni bisognerebbe anche spiegare ciò che la filosofia di un tempo indicava come “principio di ragion sufficiente”. Il ’68 non ha modificato i canoni estetici, semplicemente li ha ignorati. D’altra parte dopo DADA, Fluxus, Pop, Body e Trash, parlare di canoni dell’arte non ha senso. Aleggia il brutto, il kitsch che piace tanto alle borghesotte che affollano i saloni in cui si esibiscono modelle o artisti; senza differenze di rilievo. Vagine, tampax, merda in scatola, hanno da tempo cancellato ogni illusione sul riscatto dell’arte. Gli intellettuali da rotocalco ritengono di dare una veste plausibile a fenomeni di una realtà che ci sfugge di mano. Pollock è diventato un classico, Warhol un’icona. Non so se ci sono ancora scalini da scendere o ci si debba buttare direttamente nel vuoto. Come nelle opere di Pollock la ricaduta casuale di parole si stratifica. Si formano cumuli di opinioni, pensieri, teorie. Noi chiamiamo tutto questo cultura. Privi di capacità critica, non esaminiamo i fenomeni, li accettiamo. La cultura contemporanea è una continua celebrazione del presente, elegia tutto ciò che accade. Progresso è la nuova idolatria.
piergiorgio firinu
Combattimento per un immagine.
Non c'è dubbio che l'arte contemporanea si è trovata di fronte a una grave difficoltà. O confrontarsi con l'arte del passato, quindi con una grandissima esperienza tecnica ed immaginativa, oppure affrontare in altro modo e creare condizioni particolari in cui fosse possibile esplicare in modo diverso un sistema dell'arte che fosse originale. Purtroppo così facendo ha buttato, come si suol dire, il bambino con l'acqua sporca; nel senso che rovesciando il tavolo ha fatto cadere anche un riferimento di originalità artistica. L'immaginazione non è altro che l'unione del molteplice nell'intuizione, l'intelletto per l'unità del concetto che interpreta la rappresentazione. Tale facoltà matura attraverso L'esperienza è la conoscenza raggiunta con l’umiltà di affrontare in modo semplice la realizzazione delle opere d'arte, per esempio con la manualità. Non manualità tecnica, facendo ricorso ad effetti speciali e/o tutta una serie di attività che non hanno nulla a che vedere con la tecnica e l'esperienza legata all'arte. Benjamin sottolineava come nel tempo della riproducibilità tecnica l'arte ha perso buona parte della propria aurea. Aurea Intesa nel senso di trasmettere qualcosa che abbia un significato simbolico e rifletta una gradevolezza estetica. A parte lodevoli eccezioni, è chiaro che l'arte contemporanea è molto lontano da queste forme espressive. Creare situazioni di gradevolezza estetica, non è che un aspetto della produzione dell'arte perché questa può essere creata anche con una forma elaborata dalla tecnica come in effetti avviene. Noi assistiamo a manifestazioni che vengono definite artistiche e francamente non sono che ridicoli stereotipi. Le luci d'artista che date proposte dall'assessore l'allora assessore Alfieri a Torino, poi adottate da altre città. Cosa significa “luci d’artista”? Una scritta posta di traverso sulla strada, il colore di un lampione?. Tutte operazioni realizzate da un operaio elettricista che dovrebbe allora essere considerato il vero artista, non semplicemente un tecnico. L’operaio che realizza le “opere”, con tutto il rispetto, realizza qualcosa di assolutamente ordinario. Potrebbe essere l’insegna di un esercizio commerciale, di un Supermarket. Queste queste forme di degradazione dell'arte hanno conseguenze estremamente spiacevoli, perché confermano l’idea che arte sia tutto, secondo la tesi del famigerato George Dickie. Tali forme di “arte” vengono poi imitate dai giovani artisti,cooptate dalle accademie. Una bellezza naturale, diceva Kant, è una cosa bella, la bellezza in arte e la rappresentazione di una cosa bella Vedere una cosa bella in luce colarata, signfica che si dovrebbe andare in visibilio passeggiando nelle vie di una città in cui ci sono insegne al neon di molti colori. L'artista contemporaneo deve combattere con il profluvio di immagini che affollano tv, giornali, cinema, ogni aspetto della realtà quotidiana è ricco d’immagini, ciò rende sicuramente più difficile il proprio mestiere dell’artista, ma proprio per questo, non vi sono soluzioni facili. Si dovrebbe affrontare il problema con gli strumenti propri dell'arte. Nei fatti è stato abbandonato ogni tentativo di dare un senso a quello che viene generalmente definito arte spesso, si procede per successive improvvisazioni.
piergiorgio firinu
Akrasia.
Secondo David Hume la ragione dovrebbe essere schiava delle passioni. L’accettazione di questo principio, congiuntamente alla diffusa akrasia, renderebbe il nostro mondo ancora più confuso di quanto già non sia. Non c’è dubbio che la psicologia dell’inconscio spesso vanifica l’esperienza cosciente della libertà Hume diceva anche: “non è contrario ai dettami della ragione che io preferisca la distruzione del mondo intero allo scorticarsi del mio dito mignolo”. Ciò spiega perché la filosofia possa essere usata per giustificare le peggiori propensioni umane e arrivare all’attuale relativismo morale. Se questo vale per ragioni fondamentali come la stessa distruzione del mondo possiamo immaginare quanto di più possa valere per molteplici debolezze umane. Combattuto tra illusioni e debolezze siamo alla ricerca di qualcosa che alimenti le prime e giustifichi le seconde. L’illusione ci è compagna creando spiragli di possibilità. Vi è una teoria secondo la quale il /colore è un’illusione. Un’illusione che non possiamo fare a meno di avere. Molto più facile invece rinunciare a ogni credenza se, come sostiene J.R. Searle: “La credenza è un impegno nei confronti della verità”, quindi ci impegna verso le consequenzialità logiche che derivano, limitando per ciò stesso le possibilità della ragione a servire la passione. Sia la ragione pratica sia quella teorica sono soggette a vincoli razionali, ma la verità è impersonale. La verità è una ragione per credere per tutti. Per questo è bene sbarazzarcene rendendola soggettiva, quindi relativa, quindi inutile. La laicità del sapere può usare la ragione per annullarla. Per Platone e Aristotele, la conoscenza tende al possesso assoluto della verità in un percorso senza fine, perché senza fine sono le domande che l’essere si pone. La stessa domanda del “Cos’è”, al centro del dialogo socratico, indica un percorso infinito nel il cinismo è un pesante quanto inutile bagaglio. . Pare che l’uomo contemporaneo, con la sua “piccola scienza” creda di avere trovato tutte le risposte. Come un sordo che confonde la sua impossibilità di udire, con l’esistenza oggettiva del silenzio intorno a se.
piergiorgio firinu
Arte povera arte.
E’ in corso una mostra a Genova con la quale Germano Celant celebra se stesso. Nel sottotitolo dell’articolo che recensisce la mostra è scritto: “ Mezzo secolo fa un movimento rivoluziona l’Estetica. ≤ creare diventa un lavoro in cui ci si sporca le mani≥”. Intanto l’arte povera non rivoluziona nulla, semplicemente segue la scia di Dada e Fluxus , inoltre non vi è affatto l’utilizzo delle mani, sia perché abbondano i ready made e la fotografia, sia perché molte delle opere si avvalgono dell’ apporto di specialisti che non sono artisti, pensiamo all’uso abbondante di neon. L’arte povera quindi si limita a riprodurre le cifre dell’arte che hanno accompagnato la produzione artistica dell’ultimo secolo. L’arte contemporanea si riduce a produrre un dettaglio, ricorre al riciclo sotto specie di ready made. Esaminiamo le opere che illustrano l’articolo su citato. Opera di Jannis Kounellis, senza titolo, del 1960, costituita da una tela con segni indecifrabili e numeri. L’opera di Pino Pascali, titolo “coda di delfino” 1966, rappresenta una sagoma di pesce abbozzata. Giovanni Anselmo, titolo “Torsione” 1968, appare una croce rovesciata, simili a un piccone. Michelangelo Pistoletto,titolo “lui e lei” 1968, rappresenta un uomo e una donna di fronte che si guardano negli occhi. Di Mario Merz è presente il ben noto igloo con luci al neon, titolo “Object rache” 1968-1977. Luciano Fabro esibisce la classica immagine dell’Italia, titolo “Nazione Italica” 1969. Segue Pier Paolo Calzolari che espone un’opera in cui è raffigurata una sedia sovrastata da una scritta al neon,anno1970. Giulio Paolini presenta un nudo di donna in gesso, reperibile in qualunque gipsoteca, su di un cubo, titolo “1 e 2 come gli orienti sono due” 1970. Alighiero Boetti presenta una carta geografica, titolo “Mappa” 1989. Infine Giuseppe Penone, la cui opera raffigura quello che appare un albero secco con rami, titolo “Pelle di foglie” 2005. Mi sono dilungato nella descrizione, spero
sufficientemente precisa, delle opere nell’impossibilità di presentare le immagini. Mi astengo dall’indicare le quotazione che sono indicate in calce alle opere stesse, il costo non costituisce una eccezionalità, tanto più dopo la quotazione esorbitante dello squalo in formaldeide di Damien Hirst, la rana crocifissa di Martin Kippenberger , il lampadario costruito con tampax di Joana Vasconcelos. Non mi pare oggi esistono più spazi per le provocazioni, anche se resta insuperato Piero Manzone con i suoi barattoli di merda quotati 20000,00€. Non resta che prendere atto che l’arte si è arenata in un cul-de-sac del non senso. Avendo puntato tutto sulla provocazione, l’arcinoto “épater le bourgeois” , in realtà non ha provocato nessuno, tutte le opere sono state prontamente assorbite dal mercato. All’arte non è rimasto spazio per ulteriori azzardi. In questi ultimi anni, a parte l’arte femminista che persiste nell’usare il corpo, la gran parte degli artisti, abbandonati gli schemi Dada, Fluxus, Arte Povera, si è rifugiata nel ludico tecnologico, nel citazionismo digitale. La lunga agonia dell’arte prosegue, tenuta in vita, per ragioni di lucro, dall’accanimento terapeutico del mercato.
piergiorgio firinu
Fantasia e razionalità
Sembra che i matematici, e ancora più gli studiosi di logica, per l’eccessiva concentrazione della mente su sfumature del pensiero finiscano spesso per perdere il controllo e nel loro comportamento lascino emergere stranezze di ogni genere fino al punto di arrivare al suicidio. Godel si lasciò morire di fame. Church si comportava in modo strano, parlava da solo ad alta voce. Post veniva sottoposto periodicamente all’elettroshock. Nel film Beautiful Mind viene rappresentata la vita travagliata di John Nash, in bilico tra genio e pazzia. Forse è da questa instabilità mentale dei geni che nasce l’affermazione “l’arte inizia dove la scienza(razionalità) finisce”. Anche se l’affermazione va presa con cautela, tuttavia è vero che voler raggiungere l’essenza logica del pensiero affidandosi alla pura razionalità, in molti casi ci si perde. L’arte segue il metodo opposto. L’artista, crea una realtà alle quale fa partecipare tutti noi, così che, in un certo senso, siamo noi a perderci. Le costruzioni fantastiche più riuscite entrano a far parte del nostro immaginario, diventano punto di riferimento delle nostre fantasie, metro di paragone con la realtà. A volte l’arte appare volutamente irrazionale, apre spiragli sul possibile, su inesplorati angoli della nostra mente, attraverso linguaggio e immagini. Kafka con le sua fantasia ci porta al limite dell’assurdo a cui può giungere la nostra esistenza. Kafkiano è termine di paragone per gli aspetti della realtà chew ci sfuggono. Così come le opere di Ionesco e Beckett, i mondi fantastici creati dai surrealisti. La morale che se ne può trarre, è parzialmente in contraddizione con il titolo della celebre opera di Goya “Il sonno della ragione genera mostri”. In molti casi il sonno della ragione ci mette di fronte ai limiti della nostra capacità di capire, induce a riposare la mente, permette di mantenere o riacquistare il senso della misura, l’equilibrio di cui abbiamo bisogno per affrontare la realtà quotidiana,
piergiorgio firinu
Il Nobel e altri disastri.
George Bernard Shaw, che in quanto a boutade non era da meno di Oscar Wilde, una volta disse: “si può perdonare ad Alfred Nobel di avere inventato la dinamite, ma non di aver creato il premio che porta il suo nome”. Con la scienza del poi, più che una boutade quell’affermazione appare una premonizione. E’ noto che la Svezia, come quasi tutti paesi del nord Europa, è sempre stati all’avanguardia nell’omologare ogni forma di perversione, non a caso il potere femminile è prevalente da decenni. Questo finisce per costituire giustificazione ed alibi per altri paesi, anche quando hanno tradizioni culturali e antropologiche agli antipodi dei paesi nordici. Perché questa digressione? Perché ci aiuta a capire le ragioni per le quali è stato dato il premio Nobel per la pace a Barak Obama prima ancora che salendo al potere dimostrasse di essere un uomo di pace; infatti, anche grazie alla pressione e ai suggerimenti di Hillary Clinton, Obama ha scatenato guerra alla Libia e alla Siria, finanziato l’ISIS che poi è diventata fucina di terroristi con i quali l’Europa deve fare i conti. Qualcosa di analogo è accaduto con Aung San Suu Kyi, diventata un’eroina sotto la pressione delle potenti lobby femministe e liberal, una volta raggiunto il potere “l’eroina”non ha trovato di meglio che compiere una strage prendendo a colpi di mortaio il popolo Rohingya, minoranza etnica di religione islamica. Infine il brian trust di Stoccolma, ha pensato bene di assegnare il premio per la letteratura allo statunitense Bob Dylan, un cantante country . Simile decisione non costituisce certo incoraggiamento alla cultura, ma piuttosto sprone alle case discografiche che presto organizzeranno lobby per far ottenere il premio ai loro autori. Last but not least, c’è da tener conto degli effetti collaterali. Un autore a cui venga assegnato il Nobel, a prescindere dalla qualità del suo lavoro, vedrà aumentare le vendite. Gli editori raschieranno, come si dice, il fondo del barile per pubblicare tutto ciò che ha scritto, anche nei periodi di obnubilamento creativo che colpisce ogni autore. In conclusione affidare a un gruppo di vecchietti di non specchiata virtù il compito di indirizzare le masse verso un autore, è effettivamente un atto abominevole che solo all’inventore di uno strumento di distruzione di massa poteva venire in mente.
piergiorgio firinu
Economia e arte.
A ogni disciplina corrisponde inevitabilmente una storia che ne racconta gli sviluppi. Quella che definiamo genericamente storia della filosofia ha lo scopo di stabilire uno schema dialettico, una gerarchia di valori fra filosofi che la tradizione si trova unanime nel riconoscere come degni di questo nome. Per quanto riguarda la storia dell’arte, la cesura della contemporaneità, l’ha di fatto annullata. Non solo perché l’arte ha subito un processo di involuzione, anziché di evoluzione, ma soprattutto perché i riferimenti dell’arte non sono più in ambito culturale ma di mercato. L’arte come fenomeno mondano è esentato da riprodurre valori, proseguire un processo gnoseologico di rappresentazione e insieme d’interpretazione del mondo. La storia della filosofia conta oltre 30 secoli, la storia dell’arte è nata contestualmente al mercato. Nel momento in cui l’arte è stata considerata un valore di scambio, si è fatta merce tra le merci, da quel momento l’arte in quanto tale, nella sua oggettività, è retrocessa, in primo piano è balzato si è posto il produttore, come personaggio mondano, la cui esibite stranezze, lo rendono un buffone della borghesia, cioè dei suoi clienti. Detto in altri termini, alla degenerazione del prodotto “arte” si è accompagnata la valorizzazione dell’artista come personaggio. Poco importa che la sua cultura sia modesta, se non inesistente, egli è un produttore. Tutto ciò è coerente con i principi economici illustrati nella dottrina di Marx, Riccardo, Adam Smith.. Non solo le opere prodotte per il mercato, ma anche le opere a carattere religioso sono diventate oggetto di scambio, valori, merce. Oggi che anche i giornali finanziari si occupano con ampiezza del prodotto artistico, la storia dell’arte diventa irrilevante, se ancora resiste, è perché serve a “nobilitare” prodotti che altrimenti, come valore intrinseco, non varrebbero quanto un sacco di legumi.
piergiorgio firinu
Dada
Fa una strana impressione leggere la sequela di banalità scritte da Jean Arp, tratte dal catalogo della sua mostra a Venezia, e confrontarle con la dotta esegesi della poetica Dada scritta da Massimo Cacciari. “Dadaisti sono mossi da un duplice sentimento di disgusto e di rivolta: disgusto verso tutte le forme di civilizzazione moderna e rivolta contro convinzioni e convenzioni imperanti in ordine a concetti e principi come l’Onore, la Patria, la Famiglia, l’Arte, la Religione, la Libertà. Il movimento nasce da una profonda esigenza morale, da una volontà implacabile di attingere a un assoluto morale e di guardare il mondo con occhi “nuovi”………” ci vuole davvero molta ma molta fantasia per scorgere una “volontà implacabile” nelle scelte casuali dei Dada, ancora di più per vedere nelle loro azioni l’intenzione di attingere a un “assoluto morale”. Già Karl Marx aveva scritto “ fin’ora i filosofi si sono limitati a descrivere il mondo. E’ ora di cambiarlo”. Sappiamo com’è finita. La razionalità dell’azione, la sua efficacia e utilità deriva innanzi tutto dalla chiarezza dei concetti su cosa si vuole modificare e quali strumenti sono più adatti per ottenere il risultato voluto. Ora sarà difficile sostenere, al di la della retorica di chi si esalta al suono della sue stesse parole, sostenere che dopo i Dada e grazie ai Dada il mondo è migliore, anche minimamente migliore. Più facile sostenere il contrario, soprattutto se limitiamo l’attenzione al solo campo dell’arte dove i nipotini di Duchamp dilagano. L’Istituzione Arte non è stata minimamente toccata dalle azioni dei dadaisti il cui fallimento è certificato dal fatto che le loro opere sono diffuse nei musei e istituzioni d’arte, hanno quotazioni altissime, sono entrate nella storia dell’arte, hanno offerto pretesto e giustificazione a tutte le brutture che gli artisti hanno prodotto dopo di loro.
piergiorgio firinu
Religione e arte.
Nessun altra religione ha avuto tanto amore per l’arte come la chiesa Cattolica di Roma. Spesso si tende e dimenticare che l’immenso patrimonio d’arte dell’Italia, lo si deve alla curia romana. Per nostra fortuna nel conflitto contro gli iconoclasti, vinse la Chiesa di Roma, grazie a questa vittoria fu possibile il Rinascimento e lo sviluppo dell’arte che conosciamo. Quasi tutti i Papi furono grandi collezionisti, anche se non tutti amarono la pittura con la stessa intensità di Sisto V e Giulio II. . Paolo III a esempio nutriva un interesse per gli scavi che rasentava il fanatismo. Dai giardini di Cesare e dalle terme di Diocleziano e Caracalla furono portati via i pezzi principali che oggi arricchiscono il museo archeologico di Napoli. Logorio affermò che il numero dei capolavori asportati supera ogni fantastica previsione. Paolo III lascio tutte le sue collezioni al nipote, il cardinale Alessandro Farnese. Molte delle opere sottratte agli scavi servirono in qualche modo ad abbellire Roma. Furono anche usati per eseguire lavori per la trionfale accoglienza che la città riservo alla visita dell’imperatore Carlo V al suo arrivò a Roma il primo aprile del 1536. Alessandro VI aveva già concesso al Farnese, quando ancora era cardinale, pieni diritti sulle rovine, degli edifici e le fortificazioni intorno a san Lorenzo fuori le Mura. Il cardinale li usò come cava di materiali da costruzione con i quali costruì Palazzo Farnese. Le rovine residue degli edifici dal secolo VIII al XII, furono ammassate e servirono come barricate improvvisate contro le invasioni dei Saraceni e dei Teutonici. Le collezioni Farnese, fu lasciata da Paolo III al nipote, da quest’ultimo donate alla città con un testamento del 1587. A voler essere maliziosi, si potrebbe mettere in relazione il declino del papato, con il declino dell’arte, come è stato ipotizzato, estendendolo alla nobiltà. Con l’avvento della borghesia, la nascita del mercato, l’arte è diventata una merce come un'altra.
piergiorgio firinu
Beuys
Nessuno può dubitare che Beuys appartenga alla tradizione dei movimenti d’avanguardia. Nel suo discorso in occasione del conferimento del premio Lehmbruck lo ha dichiarato egli stesso. Egli tuttavia è stato consapevole che i movimenti d’avanguardia hanno fallito non essendo riusciti a realizzare i loro progetti relativi ai rapporti arte-società. Il giudizio rimane all’interno della logica dell’aut-aut. Il fallimento avviene, come ha chiaramente scritto Ernst Bloch quando una promessa di cambiamento non viene mantenuta. Si può indagare sulle cause, ma la sostanza non muta. Il dadaismo e il primo surrealismo erano sostenuti dalla speranza che liberare la fantasia, delegittimare le accademie, fosse sufficiente a distruggere l’istituzione autonoma dell’arte. Di tutto questo in Beuys rimane ben poco. Egli sposta il concetto di arte avvicinandolo a quello di scienza; questo a sua volta viene poi differenziato dal concetto di scienza dominante e assimilato a quello di apprendimento di metodo. Nel 1943 Joseph Beuys precipita in Crimea con il suo aereo da guerra. Dopo molti giorni in cui rimane privo di conoscenza viene trovato nella neve da alcuni tartari, che lo strofinano con del grasso e lo avvolgono nel feltro, cosi lentamente egli si rianima e riacquista colore corporeo. Questi due materiali, grasso e feltro, restano legati per sempre all’esperienza della rinascita dalla morte per assideramento grazie alle proprietà calorifere del grasso e a quelle isolanti del feltro. Eccò perché i due materiali diventano simbolo di una mitologia individuale. Beuys sulla base dei materiali si crea una sorta di alfabeto, che però non consiste in fenomeni ma in concetti complessi. Così l’opera “L’angolo del grasso” esposta al Guggenheim Museum , non consiste soltanto in un oggetto percepibile, nel grasso spalmato nell’angolo di una stanza, ma anche nell’auto-interpretazione e nel commento del catalogo. Quanto i due livelli di significato possano divergere tra loro lo si vede ancor meglio nell’opera gestuale “Come spiegare dei quadri a una lepre morta”. Beuys siede su uno sgabello che ha una gamba avvolta nel feltro; sopra la testa si è versato del miele; al piede destro ha fissato una suola di ferro, il piede sinistro sta sopra una suola di feltro di pari grandezza; in grembo tiene una lepre morta; la mano destra è sollevata in gesto di ammonimento; alle pareti sono riconoscibili dei disegni. Una foto di Ute Klophaus coglie il momento dell’azione. Ogni particolare ha per l’artista un preciso significato allegorico. L’allegoria della scena mostra lo spostamento semantico che Beuys espone nelle dichiarazioni che esprimono la la sua problematica dell’arte . Ma quali sono gli elementi che permettono all’osservatore di interpretare l’opera in coerenza con le intenzioni dell’autore? Le teoria è eteronoma sia rispetto all’esperienza della ricezione sia ai singoli elementi che costituiscono la scena. Che l’allegoria si realizzi nel senso voluto dall’artista, liberando in tal modo se stessa nel significato simbolico voluto, non lo si può stabilire con una anticipazione teoretica. Senza dubbio Beuys ha fatto molto affidamento sui media. Anche chi è estraneo all’arte avanguardistica non avrà mancato di notare l’uomo dal cappello di feltro. I suoi lavori però restano esoterici, inaccessibili anche per chi cerca di attenersi ai suggerimenti del suo stesso autore.
piergiorgio firinu
Razionalità è libertà?
Vi è ampio consenso alla tesi secondo cui la razionalità è presupposto della libertà. Le azioni sono considerate positivamente se, e solo se, compiute liberamente. In astratto è un corretto principio di democrazia. Se però prestiamo attenzione alla manifestazione di libertà, qualche dubbio affiora. Intanto bisognerebbe supporre un livello intellettuale minimo, in caso contrario la capacità di decisione e scelta viene meno. Inoltre accade, che individui più dotati, o pou astuti e spregiudicati, ottengono la supremazia. Libertà quindi implica equilibrio sociale ed un livello abbastanza omogeneo di capacità intellettive. Le scelte presuppongono la coscenza di oggetti e/o situazioni sui quali si esercita. La persona il cui atto è determinato da credenze e desideri, nel modo teorizzato dal Modello Classico, agisce in maniera costrittiva al di fuori dell’ambito complessivo della razionalità, quindi non agisce liberamente. Nella vita pratica siamo soggetti a una serie di condizionamenti. La pubblicità ha come unico scopo suscitare desiderio, quindi motivazioni ad agire acquistando la cosa desiderata. La politica spesso ha carattere decettivo, attua falsi ideologici facendo credere qualcosa di non vero. Sia la pubblicità che la politica fanno perno su quello che i sociologi definiscono “istinto del gregge”. Per gli animali, non umani, l’azione ha ragioni immediate. Il linguaggio è la condizione per creare ragioni indipendenti dai desideri. E’ l’uso corretto del linguaggio la fonte della libertà. Allo stesso tempo il linguaggio è lo strumento per la falsificazione. Per poter organizzare il tempo su base sociale sono necessari meccanismi idonei a giustificare aspettative ragionevoli facendo riferimento anche al comportamento degli altri membri della società. Il futuro ha anche carattere sociale. Sappiamo che in ogni situazione della vita reale vi sono un gran numero di ragioni in contrasto tra loro, quando giunge il momento di decidere, se ci affidiamo all’istinto animale, decidiamo ciò che in quel momento sembra più utile a noi. Non è detto sia la scelta giusta. Per questo la caratteristica dell’egoismo è la miopia, se non altro perché non tiene conto della reciprocità. Qualcuno ha detto che “la bontà è la forma suprema dell’intelligenza”. Non è una frase campata in aria. Agire razionalmente presuppone l’abilità di riconoscere e operare con coerenza. Bernard Williams sostiene che non esistono ragioni esterne per agire, tesi che risulta tautologicamente vera. Il problema consiste nel valutare ciò che siamo riusciti a mettere dentro di noi. Sarà più lungimirante l’agire di Madre Teresa di Calcutta, o quello del drogato totalmente concentrato sull’effimero piacere del momento. Quali “libere” decisioni avranno condotto ad esiti tanto diversi. I neo-utilitaristi e liberisti ad oltranza dimenticano che in origine l’essere umano era totalmente libero. Rinunciò a una parte della sua libertà aggregandosi con suoi simili dando inizio a quella che definiamo “civiltà” la quale non vive senza norme. Le regole sono sempre a vantaggio dei più deboli. La libertà è una condizione dell’Essere. Acquista significato e concretezza quando si creano le condizioni perché possa essere esercitata. Un essere umano lasciato libero in un deserto o in una landa desolata ha come unica libertà quella di morire di fame o essere dilaniato da animali. Ciò che avviene a livello individuale si riflette ovviamente nella collettività. L’arte, la cultura in generale, ispirata da solipsismo, condizionata dal trend, potrà avere successo immediato quanto effimero, ma certo non concorre ad arricchire il sentimento di libertà quando esalta le forme più abiette della condizione umana.
piergiorgio firinu
Idee sommerse.
Critica e filosofia dell’arte si prodigano nel giustificazionismo dell’esistente ed assumono come riferimento la storia dell’arte del recente passato. Nel far questo producono teorie ancipiti, e incorrono in omissioni. Per esempio è trascurato il percorso epistemologico che conferisce all’artista, ovvero al critico, la facoltà di attribuire valore estetico e/o artistico ad un determinato oggetto. Inoltre non viene affrontato il problema del ripudio dell’estetica da parte di alcune correnti artistiche. Quale riferimento resta all’arte che rifiuta l’estetica? Non restano più riferimenti, soltanto molteplicità o varietà di scelte arbitrarie e variamente motivate. La nozione di unità del senso sembra estranea all’arte contemporanea. La presa di potere dell’insignificanza semantica è la cifra della modernità: l’arte si accoda. Chi agisce non parla. L’artista lascia al critico l’attribuzione di senso alle sue opere, a lui basta il riconoscimento del mercato. La molteplicità delle voci non è un contradditorio, ma un coro salmodiante al potere di chi decide davvero. E’ interesse del capitale voler ottenere la globalizzazione. Un’unica massa di consumatori, il mercato planetario è il sogno del capitalismo. La frammentazione disturba quando non può essere inglobata all’interno di un meccanismo di controllo. Per questo il potere inventa la definizione di “minoranze” finte, manipolabili e prontamente omologate. Andranno ad ingrossare la massa di consumatori, ovvero, quando sono “minoranze intellettuali” a valenza socio-politica, serviranno a far apparire tollerante il potere. L’omologazione della depravazione non disturba il mercato, anzi, crea nuove opportunità di consumo, altri prodotti. La pornografia, per indicare un esempio, è un ricco e fiorente mercato, film, giornali, locali. La disgregazione della società, la dissoluzione dei vincoli familiari rende più agevole l’omologazione degli individui in una massa indistinta, resa più manovrabile da vizi e perversioni. Anche i libri, un tempo minuscoli meccanismi del pensiero,oggi tracimano nel mainstream, seguono il filo della mediocrità che finge di opporsi a se stessa, visto che da tempo la mediocrità ha conquistato il potere. Il libro classico, pensiamo a Marcel Proust, esprimeva un bella interiorità, un’esistenza alla ricerca di se stessa. La legge del libro era quella della riflessione. Nell’era dell’affannosa ricerca di “originalità”, le idee residuali sono sommerse, cancellate dal conformismo. La cultura ha perduto il suo asse, al soggetto pensante non è più possibile alcuna dicotomia, si perde nell’ambiguità, nella ambivalenza. Gli stati emotivi, la tremula vacillante volontà, sono definite sensibilità. Le aperture verso il possibile si perdono nell’inconoscibile.
piergiorgio firinu
Le intuizioni di Kafka,
Vorrei ritornare sul libro di Ulrich Beck “La metamorfosi del mondo” . Quando si parla di metamorfosi, il pensiero corre al Franz Kafka e al personaggio di Gregor Samsa. In quel caso la metamorfosi era visibile, oggi il mondo si trasforma radicalmente assumendo che si tratta di un passo verso un maggiore livello di civiltà. Inganno colossale. Beck mette l’accento sulla mutata condizione genitoriale radicalmente mutata. Mettere al mondo un figlio raramente è un atto d’amore, più spesso è un evento casuale, oppure un procedimento effettuato in laboratorio, inseminazione artificiale, uteri in affitto e quant’altro. Va da sè che questo stato di cose è strettamente connesso, per così dire, a un effetto collaterale, la liberalizzazione sessuale femminile. Il femminismo è uno degli aspetti, forse più deteriori del mainstream dominante. La logica è ignorata. Quando si dice che la matematica è la base della musica si dice una cosa vera, se si escluse il jazz che segue percorsi emozionali. Allo stesso modo la nostra società è ha predominio femminile ed i limiti e condizionamenti che la natura impone sono ignorati e/o mal sopportati. Le femministe d’antan sostenevano che la natura è fascista. Siccome il fascismo è il riferimento negativo del passato come del presente, ne consegue che il rispetto dei ritmi e delle norme che la natura impone vanno ignorate o superate. L’arte femminista esibisce la contro natura come una conquista. Nel secondo dopoguerra si raggiunse l’apice del fulgore marxista, una quantità di docenti universitari, scrittori, folte le schiere di filosofi, inneggiarono al comunismo, Fleischer, Altthusser, Mannheim, Mandel, Galvano della Volpe, Sartre, Korch e moltissimi altri. L’egemonia della sinistra rendeva praticamente impossibile il contradditorio. E’ quanto avviene oggi con il femminismo. E’ mai stato pubblicato un libro che contesta le teorie femministe? Quindi la situazione è peggiorata, non è più solo una teoria politica a dettare le regole sociali, il femminismo coinvolge la maggioranza della società. L’inquinamento socio culturale del femminismo ha raggiunto livelli che potranno difficilmente essere contenuti. Come accadeva con il periodo di fulgore del marxismo, le teorizzazioni femministe, non poggiano sulla logica, ma in base a rivendicazioni e apodismi che deformano realtà e ragione. Forse tra cinquant’anni avverrà una resipiscenza che sarà sicuramente onerosa per l’intera società. In attesa che questo avvenga cultura, arte, società, saranno soggette a questa forma di devianza psico-culturale che ha già prodotto non pochi danni.
piergiorgio firinu
Parodia dell’Arte.
Non è più vera l’affermazione di Ippocrate, riportata da Seneca e citata da Shakespeare in re Lear: “ La vita è breve, l’arte è lunga”. L’idea che l’arte possa essere affidata all’improvvisazione emotiva ha preso piede da quando anche nell’arte ha prevalso la dominanza femminile. In realtà il sentimento è l’opposto della ragione. Come dice Spinoza, una pietra lanciata in aria, se avesse coscienza, crederebbe di volare. Così per fare arte non basta presumere di dar forma alla propria sensibilità. Per Kant, spazio, tempo e causalità con tutte le loro leggi esistono nella nostra coscienza. Compito dell’intelletto è ordinarle, il lavoro dell’artista consiste nel dar loro forma. L’intelligenza non basta se non è guidata dalla volontà, ecco dunque che l’impegno che l’artista pone nel perfezionale i propri strumenti ed affinare il proprio pensiero, costituisce la differenza visibile nel risultato. Poco importa il grado di apprezzamento dei contemporanei, o forse dovremmo dire poco importava, perché l’artista contemporaneo agisce nel presente, sul presente ed è ansioso di raccogliere rapidamente i frutti del proprio lavoro. Siamo alla parodia dell’arte. Si manifesta stridente il contrasto tra l’oggetto della intuizione e quello del pensiero, quest’ultimo si basa essenzialmente su due principi, quello del terzo escluso e della ragion sufficiente. Entrambi i principi, per essere percepiti, richiedono una presa di distanza dalla soggettività. Pensare significa racimolare le sensazioni e confrontarle con le possibilità, per questo il concetto di pensiero autonomo è non senso. E’ invenzione dei romantici la cosiddetta “intuizione” , quasi che un arcano potere conferisse la virtù della creazione lontana dalla ragione e dalla conoscenza, quando in realtà, parafrasando Eistein, il risultato di un opera è il 95% duro lavoro e conoscenza, il 5% è intuizione.
piergiorgio firinu
Il problema è il linguaggio.
Forse il problema nasce dal linguaggio. Usiamo sostantivi che non sono più adeguati ad esprimere le realtà sottostante. Arte, filosofia, sociologia, politica, democrazia, cosa significano oggi? A prescindere dall’ analisi di dettaglio, esiste una sovrapposizione semantica che finisce per incidere anche sulla epistemologia. La frammentazione del sapere produce disorientamento cognitivo e lascia spazio a pregiudizi , leggende metropolitane, posizione settarie e configurazioni neologiche che nascondono altrettanti pregiudizi devianti. Il pluralismo confuso, non dà contributo alla ragione, ma rappresenta piuttosto una sorta di abdicazione dell’intelligenza. Sopravvive solo chi si mette in scena meglio. La menzogna come strumento di successo sociale e politico. Vittima di questa falsificante rappresentazione è anche l’arte, nella sua forma più vera. Peter Sloterdijk .segnala la corrispondenza tra cimitero e museo. La folla che affluisce ai musei, perché indotta dalla pubblicità è la stessa che si accalca nei concerti rock e nelle partite di calcio. Il difficile smaltimento culturale delle pulsioni indotte e rese difficile dal fatto che la montagna dei rifiuti cresce più rapidamente della montagna del sapere. Il museo contribuisce a smaltire le presunzioni di sensibilità. Scriveva Nietzsche: “ L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il superuomo, un cavo sopra l’abisso”. La cifra dell’arte contemporanea è l’arbitrio estetico che ha lo scopo di approssimarsi al valore più alto. Per questo nelle Fiere, Biennali e manifestazioni varie, la mondanità prevale sulla cultura. La cultura va capita, la mondanità è solo vissuta. “Le opere vengono esposte come azioni alla borsa estetica” (Sloterdijk) In questo bailamme mondano commerciale quale posto occupa la filosofia dell’arte? Quale potere ha di riesumare valori ormai cancellati dall’irruenza del mercato? Per quale ostinata ignoranza continuare ad utilizzare il sostantivo arte per manufatti dall’oscura semantica? Non sarà un caso se, alla Biennale d’Arte di Venezia del 2017 ai seminari sull’arte sono state sostituite le cene con artisti, per lo più artiste?
piergiorgio firinu
Le uova del cuculo.
E’ stato ripetuto spesso che la peggiore recensione si ha quando il critico non si concentra sul libro o sull’opera che ha davanti, ma su quello che, a suo parere, si sarebbe dovuto scrivere o dipingere. Questo per dire che la critica ha origine innanzi tutto dalla cultura e dalla sensibilità di chi scrive. Detta così sembra cosa ovvia, in realtà chi è condannato alla sterilità sensibile tende ad individuare le forme espressive “forti”, a prescindere dalla connettività del segno con il significato. La formula, così espressa, appare abbastanza innocua. Anche se in realtà il critico che comunica attraverso un media, finisce per trascinare nel vicolo cieco del senso uno stuolo abbastanza ampio di persone. Non si tratta tanto di accettare o respingere un giudizio sulle idee astratte dell’artista, quanto sulla sua capacità di attuarle. Fra gli artisti più sensibili e colti dell’Ottocento molti disapprovavano fortemente il sistema sociale in cui vivevano, ma, anche con la migliore volontà del mondo , è impossibile affermare che il Radicalismo abbia dato origine ad un’arte di grande coerenza , valore o significato. Si trattava comunque di artisti dotati di cultura e di specifica conoscenza tecnica, o per dirla in modo più filosofico, di una ricca epistemologia in grado di permettere un uso corretto degli strumenti e nutrire la sensibilità creativa. E’ possibile attribuire alla quasi generalità degli artisti contemporanei lo stesso bagaglio di conoscenza? E’ vero che pittura e scultura, almeno negli ultimi 150 anni, sono sempre dipese da qualche forma di patronato, ma è appunto anche la qualità dei mecenati, o più semplicemente dei “collezionisti” che costituisce stimolo in una direzione o nell’altra. Vi sono state vistose eccezioni di artisti che di loro iniziativa, espressero le loro opinioni politiche attraverso le loro opere. E’ il caso di: “La Libertà sulle barricate” di Delacroix, dipinta per celebrare la cacciata dei Borboni nel 1830, dovette essere nascosta perché, per il governo di Luigi Filippo, era sovversiva. Proviamo a soffermarci sugli artisti moderni, a partire dall’inizio del secolo scorso; da qualunque prospettiva si guardi il loro lavoro, riesce estremamente difficile scorgere segni di abilità tecnica e motivazioni culturali. Le cosiddette “avanguardie” ,termine di origine militare deprecato da Roland Barthes, esprimevano esattamente gusti e livello culturale dei ricchi squilionari e dei critici che le esaltarono e servirono ad aprire la strada all’invasione delle opere degli artisti USA che in termini di ignoranza e cattivo gusto emergevano nel confronto con le correnti artistiche europee.
piergiorgio firinu
Lo strumento libro.
Chi parla, chi agisce. L’intellettuale è solitamente un essere pensante dalla debole volontà. Questa debolezza si riflette nelle sue opere. Quando si tratta di pensieri contemporanei il rapporto teoria pratica si fa ancora più flebile. Filosofia e fiction s’incrociano in una recita farsesca della realtà. La scrittura ricopre il campo di quella che si chiamava letteratura e oggi è un mélange non troppo attento alla forma. La letteratura un tempo era pensata sul modello della filosofia , cioè presumeva di esprimere un significato, il cosiddetto “messaggio”. Oggi anche la filosofia si frammenta in forme psicogorroiche, un turbinio di assiomi il cui senso , quando non si perde nell’at trito con la realtà, resta argomento per specialisti, non utilizzabile per i non addetti ai lavori. Il libro ideale dovrebbe esporre avvenimenti che abbiamo l’apparenza del vissuto, un vissuto mentale, una traccia verso significati possibili, non solo, come avviene nella pullulante letteratura femminile con valenza intimistica e richiami alle sensazioni del corpo, stati emotivi per lo più simulati. Kleist inventò una scrittura di questo tipo, con variabili, trasformazioni, precipitazioni. Spesso le emozioni sono come i formicai, la maggior parte può essere distrutta, e tuttavia tornano a ricostruirsi se non si elimina il rizoma che sta alla base. Quando fu chiesto a Michel Foucault cosa rappresentava un libro per lui, rispose: “ E’ una scatola di arnesi”. Per Proust il libro era “un paio di occhiali” ,” dovete provarli, se vi vanno bene riuscirete a percepire ciò che non avete potuto cogliere altrimenti; diversamente lasciate perdere quel libro e cercatene altri più adatti a voi”.
piergiorgio firinu
Canoni del disgusto.
Esistono ancora artisti o ci sono solo più geni? Quando l’insieme dei saperi si arena in un solipsismo cinico, la ricerca di miti diventa una sorta di virus mentale, una via di fuga dalla razionalità pensante. L’annuncio di una mostra di Maurizio Cattelan, rigorosamente in inglese “Be right back” , la locandina pubblicitaria precisa: “il Genio che ha rivoluzionato l’arte contemporanea”. Sorge spontanea la domanda: quanti sono i “geni” che hanno rivoluzionato l’arte contemporanea? A partire dai Futuristi, Dada, Fluxus, Pop Art, Arte Povera, Transavanguardia, Punk Art. Tutti geni? Tutti rivoluzionari? La mia opinione è che si tratti per lo più di mediocri soggetti esaltati dalla critica e sostenuti dalla propensione al kitsch delle masse contemporanee. Basta fotografare clochard ed esporli in mostra per riscuotere il plauso della critica. L’arte non dovrebbe essere sociologia, ma rappresentare, in forma metaforica, aspetti della realtà. Si resta perplessi nel leggere su quotidiani nazionali, di proprietà di capitalisti, con redazioni di giornalisti garantiti e lautamente retribuiti, che nella presentazione di una mostra al PAC di Milano scrivono: “ ..c’è sempre qualcosa di dignitoso in queste persone (accattoni) che non riescono ad essere funzionali all’interno di un sistema corrotto e sfruttatore..”. Così il capitale e suoi accoliti recitano due parti in commedia, mentre i veri derelitti, che non sono solo gli accattoni, ma molte vittime di un potere che, si autodefinisce democratico, favorisce, anzi impone, forme di disordine e disgregazione sociale. Siamo di fronte a saperi negati senza che siano stati davvero compresi nella loro complessità socio-etica. Abbandono spurie teorie e semplificazioni ideologiche che pretendono di attuare un’ermeneutica della realtà. Chi parla, chi agisce, chi risolve; chi paga il prezzo delle semplificazioni teoriche o, nel caso dell’arte, dell’ossequio al mercato. L’arte costituisce anch’essa un piccolo tassello di una molteplicità sociale che agisce nel profondo delle coscienze, qualsiasi cosa si intenda con “coscienza”. Come scrivevano Deleuze e Guattari in Rizoma, il libro è una piccola macchina da guerra. Il problema è che gli intellettuali non la sanno usare e sparano a casaccio. I libri di oggi in generale non descrivono né informano, non nutrono la coscienza collettiva. L’arte ha cessato da tempo di imitare la natura, la scrittura ha cessato di occuparsi della realtà, per quella che è, non vista attraverso l’immaginazione di bolsi soloni al riparo dalla conseguenze del loro teorizzazioni. L’elenco delle correnti artistiche, elencate sopra, è in parallelo con le mode, gonne lunghe, gonne corte, voile o jeans. La massa,suggestionata dai media, seguirà passivamente. Conformismo rassegnazione e disgusto sono le cifre della modernità.
Verbo circolare.
Non ho mai del tutto compreso la presunzione dei filosofi e la loro pretesa di dimostrare con le parole la verità, la cui definizione resta del tutto oscura. Per chi crede, trova nel Vangelo la dichiarazione: “In verità in verità vi dico…”. Nell’etica di Spinoza, ogni preposizione è seguita dall’acronimo: “C.d.d.”. (Come dovevasi dimostrare). In realtà Spinoza non dimostra nulla, tanto è vero che le sue affermazione sono state contestate da molti altri filosofi con argomenti altrettanto plausibili. Friedrich Nietzsche pretende di risalire alla “Nascita della tragedia” e dare una propria interpretazione che non può che partire dalla scrittura, vale a dire quando l’umanità aveva già percorso un lungo tratto di strada verso una possibile civilizzazione. Ed è curioso immaginare che, mutatis mutandis, ciò che non è scritto passa senza lasciare traccia, in coerenza con la tesi di Maurizio Ferraris sulla documentabilità. Ma anche quando ritroviamo le tracce del passato, l’interpretazione avviene con gli strumenti e la mentalità del presente. Carlo Magno, sapeva leggere, ma non scrivere, egli volle introdurre e codificare la categoria dei notai, cioè coloro che annotano, documentano contratti e atti giudiziari. La negatività di Hegel, secondo Heidegger, non avrebbe capito il Sofista di Platone, il tratto essenziale del sapere assoluto lontano dalla apparente verità dell’arte che esprime una sorta di tautologia della realtà, non priva di devianze intimistiche. L’uomo non è mai stato “storico”. Ha avuto ed ha una storia, un tracciato del quale si è perso il segno per i primi milioni di anni, quando ancora non vi era coscienza del tempo che solo la civiltà ha costruito, impendendo, da allora, all’uomo di perdersi nell’immensità di un pensiero “inutile” . L’esistenza è costituita da molti “sentieri”, alcuni portano all’abisso, altri, forse la maggioranza, sono circolari. Ben lo aveva intuito Eraclito quando affermava: “Entriamo e non entriamo nello stesso fiume.” Il fiume, come metafora del tempo. Scrive Verulanio, il fiume trasporta ciò che è leggero e lascia affondare ciò che è pesante. La leggerezza dell’essere non è una scelta, ma destino. Quando Heidegger tenta di risalire all’origine dell’opera d’arte, in realtà confabula con se stesso senza approdare ad alcuna convincente definizione che non sia tautologica. Nell’affrontare il tema dell’arte dovremmo rassegnarci ad accettare l’incompletezza e considerare che sul tema“ nullum est iam dictum quod non sit dictum prius”.
Il Nobel e altri misfatti.
Vi è un aspetto per così dire antropologico della nostra società che riguarda in larga misura anche il mondo dell’arte. Consiste nella tendenza a creare personaggi, icone. Può darsi che in parte dipenda anche dalla progressiva femminilizzazione della società che include anche i mezzi di informazione. Resta il fatto che quando giornali e tv esaltano un personaggio non è mai uno scienziato vero, o un personaggio che ha compiuto qualcosa d’importante per la società. Si tratta sempre di attori, cantanti rock, personaggi della tv, gentucola di poco conto che però i media collocano tra i VIP. Non è un aspetto secondario del degrado sociale, soprattutto se consideriamo che di questi soggetti viene messo in risalto come “valore” soprattutto l’aspetto trasgressivo. Viene da sorridere quando si legge che uno di questi individui “ha rotto i tabù”. Ma di quale tabù farneticano? Se, a fronte di questo stato di cose pensiamo ai veri grandi personaggi, pietre miliari della scienza come Isaac Newton che di sè scrisse:” Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle di giganti”. Se scorriamo la biografia di molti geni, scopriamo che le loro principali scoperte li hanno compiute in un’età in cui i giovani oggi sono considerati bravi se superano a male pena l’esame di maturità. La sindacalista che regge il ministero della Cultura senza neppure avere una laurea, vuole rendere gli esami ancora più facili, incurante del fatto che già ora i laureati che non sanno scrivere non sono pochi. Ormai in tarda età Newton scrisse:” Non so come il mondo potrà giudicarmi, a me sembra soltanto di essere un bambino che gioca sulla spiaggia , e di essermi divertito a trovare ogni tanto un sasso o una conchiglia più bella del solito, mentre l’oceano della verità giaceva inesplorato davanti a me”. Se Newton vivesse oggi probabilmente verrebbe ignorato, come verrebbe ignorato Shakespeare, visto che il Nobel per la letteratura, per quello che vale, viene assegnato un cantante country americano, una delle tante icone di latta di questo nostro tempo disastrato. George Bernard Shaw, dopo aver rifiutato il Nobel per la letteratura disse:” Posso perdonare Alfred Nobel per avere inventato la dinamite , ma solo un demone in sembianze umane può aver inventato il premio Nobel”. Come sempre la lungimiranza degli artisti (di un tempo!) aveva colto nel segno se pensiamo che è stato assegnato il Nobel per la pace a un soggetto come Barak Obama che durante la sua presidenza, anche sotto la spinta della Clinton, ha scatenato più guerre del criminale guerrafondaio George Bush. Questa è la “civiltà” in cui ci tocca vivere.
piergiorgio firinu
Significato e bellezza.
Le esperienze sensoriali sono improntate ad un alto grado di soggettività. Le generalizzazioni rischiano di essere arbitrarie. Definire bello un brano musicale è espressione impropria. La bellezza implica una valutazione estetica. La bellezza non è la sola, nemmeno la principale caratteristica dell’arte. Lo studio dei meccanismi neurali coinvolti nell’esperienza estetica dimostrano una varietà di reazioni agli stessi stimoli. Le filosofie dell’estetica e della storia dell’arte si basano su intuizioni personali non verificate e non verificabili. E’ la ragione per cui l’enorme letteratura sull’arte, non solo non ha una coerenza logica, ma non è mai giunta alla definizione logica del linguaggio artistico assumendo che l’arte è sottratta a giudizi di valore. L’esperienza della bellezza non è legata a fattori ermeneutici, ma sensoriali. D’altra parte l’artista non crea un’opera esclusivamente per ragioni di “sentimento” nella sua eccezione letterale, legata ai sensi. Se così fosse l’arte non avrebbe risvolti di simbolismo storico culturale. Il corpo umano è da sempre uno dei riferimenti dell’arte, ma non sempre per l’aspetto estetico. Pensiamo alle deformazioni morfologiche attuate nella pittura di Francis Bacon. Il cervello deve stabilizzare i segnali che provengono dal mondo esterno attraverso un processo di identificazione e valutazione. E’ in questo snodo che si situa l’educazione, o maleducazione, estetica, soggetta a progressivo adattamento normativo. L’avversione di Platone nei confronti dell’arte era motivata dalla possibilità di illusione che l’arte offre. Ma oggi siamo ben oltre quel rischio. L’inganno consiste in una mistificazione epistemologica, la pretesa dell’arte di farsi scienza e filosofia la lasciano a mezza strada, privandola di bellezza e di significato.
piergiorgio firinu
Arte impura.
Sempre meno ci si stupisce del degrado dell’Europa, dell’Italia in particolare. Tra le ragioni della decadenza, che tra l’altro ha aperto la strada alla invasione di immigrati, c’è sicuramente l’infimo livello culturale. Filosofia, letteratura, arte, hanno da tempo iniziato un percorso involutivo del quale non si vede la fine, anche grazie al dilagare dell’ideologia femministoide, una cultura nettamente contraria alle donne, volta più che altro a dare importanza agli aspetti più retrivi della sessualità e dell’apparenza femminile. Siamo al punto che fa notizia il fatto che un candidato all’Eliseo, faccia ricorso a una citazione colta. Forse è il prezzo che paghiamo alla democrazia, versione XXI secolo. Oggi vi è un profluvio di pubblicazioni di libri il cui contenuto è spesso alimento all’ ignoranza e alla devianza. Vi era un tempo in cui i libri avevano valore, ed esprimevano valore culturale. Dopo tre anni dalla salita al trono di Enrico II, nel 1550, erano deceduti Marot, Rabelais,il medioevo si avviava alla fine anche nella Francia tardo Gotica. Nel breve spazio di una sola generazione furono pubblicati libri che segnarono un’epoca. I saggi e i diari di Michel de Montaigne. davano il quadro della mentalità del tempo favorevole ai bibliofili sulla scia della tradizione dei primi Valois, soprattutto Luigi XII, ma anche Diana di Poitiers, Caterina de Medici, Margherita, regina di Navarra. Donne di potere ma anche appassionate alla conoscenza che non ha, o non dovrebbe avere, distinzioni di genere, se questa non viene sottolineata ed enfatizzata per coprire gravi lacune culturali. Gli artisti ebbero stimolo e sostegno. Le opere del Rinascimento francese andarono ad arricchire le Wunderkammern in Francia e in Germania. Con il senno di poi abbiamo constatato quanto fu errata la speranza espressa da Ludwig Feuerbach in “Principi della filosofia dell’avvenire” , testo nel quale Feuerbach ipotizzava che gli esseri umani, liberati dalla fame, avrebbero dedicato il loro tempo e le loro energie allo studio, all’arte, alla poesia. Forse mai come in questo nostro tempo il conformismo di massa ha carattere degenerativo. Droga,alcolismo,pornografia, promiscuità,sodomia, lesbismo sono perfettamente omologati e rubricati sotto la voce “diritti individuali”, nel quadro delle “libertà democratiche”. Sarebbe ridicolo, se non fosse drammatico il consumo di carta e inchiostro consumati per giustificare le perversioni . Come recita l’Ecclesiaste: “dio toglie la ragione a coloro che vuole perdere”. Non ho titolo, ne propensioni al moralismo, ma ho occhi ed orecchie e quindi: “quando vedo quello che vedo, penso quello che penso”(Virginia Woolf).
piergiorgio firinu
Le vere Avanguardie risalgono a 30000 anni fà
La storia, l’archeologia, l’astronomia confermano che l’arte è parte importante fin dai primordi dell’umanità, a partire dal Paleolitico superiore, intorno a 30.000 anni fa. Fin dagli albori della civiltà, gli uomini di Cro-Magnon ebbero propensione per la creatività artistica. Le grotte di Lascaux, prima che fossero chiuse al pubblico nel 2008, hanno dimostrato l’istinto artistico dei primitivi. Pablo Picasso, con una delle sue boutade, affermò che gli artisti rupestri avevano lasciato poco spazio alla creatività dei posteri. L’epoca dei Cro –Magnon è durata venticinquemila anni, le loro pitture, non solo sono pregevoli per il segno grafico, ma contengono una quantità di richiami astronomici estremamente precisi. Sul soffitto della sala dei Tori, in una delle grotte dei complesso di Lascaux, campeggia una grande figura di uro, magistralmente disegnato. Accanto vi sono sei punti. Michael Rappenglùck dell’Università di Monaco di Baviera, ha sostenuto che i sei punti corrispondono alla rappresentazione delle Pleiadi. In epoca più vicina a noi, altri fenomeni certificano la creatività artistica associata a credenze religiose. Pensiamo alla colossale costruzione del sito di Stonehenge nelle pianure di Salisbury, nell’Inghilterra meridionale. Enormi massi quadrati, monoliti di peso di decine di tonnellate, disposti in cerchio con architravi posti fino all’altezza di 8 metri. La mancanza di reperti scritti o figurativi rende quasi impossibile risalire alle motivazioni di quella mastodontica realizzazione, di certo non era casuale, ma realizzata in base a precisi riferimenti astronomici. Stonehenge non è un caso isolato. Sono numerose le costruzioni megalitiche sparpagliate in un’ampia zona che comprende il Nord-Ovest dell’Africa e la sponda atlantica del Portogallo e della Spagna. Di fronte a queste certificazioni storiche, con i profondi significati che esse contengono diventano francamente risibili certi conati artistici. L’avanguardia artistica, nata ancor prima delle rappresentazioni nelle grotte di Lascaux dimostra che la perdita di aurea dell’arte, non è tanto conseguenza della sua riproducibilità, come sosteneva Walter Benjamin, quanto piuttosto della perdita di sensibilità spirituale, il che non significa necessariamente religiosa. L’etica è estetica. Troviamo conferma nella scurrile volgarità della nostra era nella quale, in assenza di creatività, si tenta di rimediare con il massiccio ricorso alla tecnica.
piergiorgio firinu
Conoscenza e creazione.
Il processo di astrazione che porta alla costruzione di un’ontologia immaginaria risale ai primordi della filosofia ed assume particolare sviluppo nel ‘700, secolo dei Lumi. Du Marsais affronta il tema in molti suoi testi. Egli sostiene che attraverso l’astrazione vengono forgiati Enti immaginari, privi di esistenza reale, per questo propone un’ontologia, per così dire, riduzionistica. Il suo suggerimento non ha, evidentemente trovato ascolto dalla critica e filosofia dell’arte. Vi è anzi una sorta di oscurantismo culturale che tende ad utilizzare argomenti apodittici per cancellare riferimenti culturali di grande spessore critico. Come abbiamo più volte rilevato, l’ansia di “nuovo” lascia poco spazio a riflessione e conoscenza. I testi del passato non sono sottoposti a lettura critica, più semplicemente sono ignorati. E’ possibile immaginare che i due volumi di estetica pubblicati da Gyὄrgy Lukàcs nel 1963 non abbiamo più nulla da dire alle nuove generazioni? Gli artisti contemporanei si dichiarano antagonisti, ma avranno dato un’occhiata alla “Storia sociale dell’Arte” di Arnold Hauser pubblicata nel 1955? La domanda è: quale livello di conoscenza hanno gli innovatori tecnologici? Che l’ontologia del Geist abbia anche nel XXI secolo ragioni di sopravvivenza in forme differenti, è comprensibile. La fenomenologia, specificatamente nei lavori di Heidegger, Husserl, Merleau-Ponty ha ancora molto da dire sulla epistemologia e ontologia dell’arte, forse in modo più convincente e profondo dei libercoli che vengono sfornati con eccessiva frequenza. L’illusione, la figura, la menzogna, hanno un linguaggio comune con la verità. Secondo Fréret, la storia del pensiero non è che la continua e quasi circolare ripetizione di alcune idee fondamentali che hanno radice negli antichi filosofi. Il pensiero, attraverso la filosofia, approfondisce la nostra capacità di decifrare il continuo scorrere del reale. Quando guardiamo un’ immagine, tentiamo l’ermeneutica di una opera, la nostra mente non nutrita dalla conoscenza sensibile, perde la neutralità, percepisce soltanto nei limiti nei quali è predisposta a ricevere. Lento e faticoso è il processo di sviluppo della nostra capacità intellettiva. Critica e filosofia dell’arte, essendo al servizio del mercato, non si pongono problemi di comprensione, si limitano ad usare stilemi dalla parvenza colta per dare senso al nulla. Le opere finiscono per essere un pretesto per una esibizione narcisistica.
piergiorgio firinu
Esiste la morale laica?
Nel dibattito su religione e laicismo, una delle questioni dirimenti sostenuta dai laici è che l’etica non ha nulla a che vedere con la religione, nel senso che il rispetto dell’etica era anche prerogativa dei laici. Oggi credo che la tesi sia smentita dalla società e dalla storia. Appare di solare evidenza che, nella misura in cui contro il sentimento religioso, prima ancora dell’appartenenza , si sono manifestati atteggiamenti volti a rimuovere il richiamo alla radice di ogni principio etico. Pur tralasciando la cosiddetta filosofia denominata genericamente “pensiero debole” , le pretese di capovolgimento, sottolineo non modifica, ma vero capovolgimento, dei valori morali, ha avuto la meglio, complice una certa idea di progresso. Il dibattito che nel sei/settecento ha coinvolto Cudworth, Locke, Clake, Berkeley, Voltaire, Boulainviller, Melier, Toland, Fréret, d’Holbach, è stato da tempo archiviato. Spinoza avviava un discorso in chiave panteistica mai rinunciando ai principi etici, tanto che uno dei suoi libri più importanti è intitolato “Etica”. Così Bayle teorizzava un ateismo virtuoso, citando come esempio paradigmatico Kant. Come già per gli antichi cultori dei Veda e Pitagora, anche Spinoza si augurava che il suo Tractatus non cadesse in mano al volgo. Spinoza immaginava l’animale uomo dominato dalla passione, dalla paura, da sentimenti che portano a compiere azioni i cui esiti non si possono provvedere. Egli sosteneva nel Tractatus che solo le leggi possono tentare di tenere a bada l’aggressività reciproca. In questo concordava con Hobbes, specie quando afferma che lo Stato non sarebbe necessario se gli esseri umani avessero senso etico. Hobbes era ateo, anche se non dichiarato. I Libertini del ‘600 non erano certo virtuosi, la differenza con la contemporaneità è che sapevano di compiere azioni trasgressive. Oggi basta collegarsi a un sito web, anche non pornografico, per vedere di tutto di più. Come aveva previsto Spinoza, e con lui un gran numero di filosofi, la natura antropologica del popolo ignorante, negando i principi etici e religiosi finirà per dare la stura ai peggiori istinti dell’essere umano. Cartesio,Malebranche e Spinoza hanno posto la questione di piena coerenza logica sui limiti oggettivi della libertà. Nell’Appendice della Parte I dell’Ethica, Spinoza affronta il tema dell’origine psicologica e antropologica che ha portato gli esseri umani ad elaborare le nozioni di bene/male, merito/peccato, lode/biasimo, ordine/confusione, bellezza /bruttezza. Il fatalismo,l’ignoranza, e la tendenza ad assecondare le proprie pulsioni finiscono per rimuove le differenze tra l’essere umano e le bestie. Concludendo, la tesi che esista una morale laica si è dimostrata infondata. La società del XXI secolo è priva di principi e l’obbedienza alla leggi è imposta in modo lasso ed è in larga parte disattesa.
piergiorgio firinu
Obbedienza
L’etimologia della parola obbedienza deriva dal prefisso latino ob, significa dinnanzi, e il verbo audere, ascoltare. Non ubbidire significa innanzi tutto non ascoltare. Scrive Spinoza: “ l’uomo non è quasi mai un essere razionale, ma quasi sempre un animale dominato dalla passione e dalla paura che lo portano a compiere azioni che lo danneggiano. Occorre dunque che si stabilisca un potere terreno in grado di dominare le passioni degli esseri umani attraverso prescrizioni che ne limitino l’aggressività reciproca”. E’ questa la ragione per cui nel Tractatus , usa spesso il concetto chiave di obbedienza. Nulla di diverso sosteneva Hobbes quando affermava la necessità dello Stato. Zabarella e Hobbes avevano ravvisato alla base degli enunciati logici messi in evidenza da Occam la necessità di disciplinare i comportamenti sociali. Declinare in senso positivo l’espressione “trasgressione” , denota innanzi tutto assenza di razionalità, la capacità di valutare atti e fini. Quando parliamo di trasgressione ci riferiamo innanzi tutta alla nostra libera scelta, non valutiamo con la necessaria chiarezza razionale le conseguenze che anche noi potremmo subire per comportamenti devianti altrui. Fatti di cronaca, subito dimenticati, dovrebbero far riflettere, essi costituiscono sintomi di una società nella quale prevale il miope interesse individuale. Antigone sembra essere oggi il modello sociale. Hobbes sottolinea la circostanza che la verità e la falsità sono proprietà del discorso, non delle cose. Mal interpretata questa affermazione potrebbe avere la conseguenza che la menzogna rischia di diventare stabilmente parte della epistemologia sociale, portando con sè un graduale adattamento a comportamenti privi di equità.
piergiorgio firinu
Ubbidienza.
L’etimologia della parola obbedienza deriva dal prefisso latino ob, significa dinnanzi, e il verbo audere, ascoltare. Non ubbidire significa innanzi tutto non ascoltare. Scrive Spinoza: “ l’uomo non è quasi mai un essere razionale, ma quasi sempre un animale dominato dalla passione e dalla paura che lo portano a compiere azioni che lo danneggiano. Occorre dunque che si stabilisca un potere terreno in grado di dominare le passioni degli esseri umani attraverso prescrizioni che ne limitino l’aggressività reciproca”. E’ questa la ragione per cui nel Tractatus , usa spesso il concetto chiave di obbedienza. Nulla di diverso sosteneva Hobbes quando affermava la necessità dello Stato. Zabarella e Hobbes avevano ravvisato alla base degli enunciati logici messi in evidenza da Occam la necessità di disciplinare i comportamenti sociali. Declinare in senso positivo l’espressione “trasgressione” , denota innanzi tutto assenza di razionalità, la capacità di valutare atti e fini. Quando parliamo di trasgressione ci riferiamo innanzi tutta alla nostra libera scelta, non valutiamo con la necessaria chiarezza razionale le conseguenze che anche noi potremmo subire per comportamenti devianti altrui. Fatti di cronaca, subito dimenticati, dovrebbero far riflettere, essi costituiscono sintomi di una società nella quale prevale il miope interesse individuale. Antigone sembra essere oggi il modello sociale. Hobbes sottolinea la circostanza che la verità e la falsità sono proprietà del discorso, non delle cose. Mal interpretata questa affermazione potrebbe avere la conseguenza che la menzogna rischia di diventare stabilmente parte della epistemologia sociale, portando con sè un graduale adattamento a comportamenti privi di equità.
Tramandare la memoria.
Kandinsky, elogiato dal nipote Kojève, apre suo malgrado uno spazio vuoto nella memoria dell’arte, quando assume l’irrappresentabilità del reale, una sorta di oggettiva negazione del percorso della scrittura visiva. L’artista, con umili strumenti, pennello e colore, crea una realtà separata nella quale, il fascino del segno stimola lo sguardo. L’assenza di futuro ha reso cieco l’artista che si rifugia nel seriale e raccoglie il plauso dei produttori di parole. Imbratta i muri dando sfogo all’ira che nasce dall’impotenza creativa. La filosofia si è occupata della cecità dell’artista. Scrive Derrida: “L’occhio del disegnatore,irrigidito nella ricerca del proprio sguardo, rinviato dallo specchio, somiglia all’occhio di un cieco”. Quando si sovrappongono lessico e pittura, è il verbale che inquina la pittura. L’epistemologia dell’arte subisce il condizionamento della parola. Le avanguardie del XX secolo sono frutto della parola, di un discorso dissestato. L’artista si trasforma in fabbro, trovarobe, raccoglitore di rifiuti, tecnico delle luci, giardiniere di frutti artificiali, attore in happening con pretese di concettualità . Attraverso questi passaggi le avanguardie hanno rinunciato alla metafora esibendo la crudezza del reale non mediato. L’artista non rappresenta più, “mostra”. Fermare la memoria per cercare una rassicurazione in una civiltà sempre in bilico. Troppi artisti hanno volto le spalle alla storia, impauriti. Consapevoli della loro incapacità di tradurre la scrittura visiva in lessico contemporaneo. Parafrasando ciò che Shakespeare fa dire a Prospero,in “La Tempesta”: siamo fatti della stessa sostanza dei nostri pensieri. Per la creazione, la cecità dell’occhio è meno letale della cecità del pensiero. L’artista non raffigura ciò che vede, ma ciò che pensa. E’ tema trattato da Merleau-Ponty ”Il visibile e l’invisibile”. L’io creativo si perde nel vuoto mascherato da spontaneità apparente. Spontaneo rispetto a cosa? Il paradosso della civiltà dell’apparenza priva d’immaginazione, della consapevolezza che ogni materia ogni forma è necessariamente “apparenza”, soggetta all’usura del tempo, alla macerazione. L’affermazione che l’arte contemporanea è destinata a non durare, è una banalità tautologica. L’artista aveva la funzione di tramandare la memoria, per quanto possibile. Per questo, ancora oggi, ammiriamo i reperti dell’arte dell’antica Grecia che avevano suscitato l’ammirazione di Marx.
piergiorgio firinu
Metafisica del presente
L’invisibilità del pensiero non ci rende sufficientemente consapevoli della sua forza vitale. Quando una persona sta male diciamo che “perde conoscenza”. Diciamo anche che una persona è “grave”, che significa anche pesante, gravido, pieno. Il senso di morte che si diffonde in una società allo sbando, deriva anche dalla incapacità e/o assenza di pensiero. La narrazione della realtà costituisce uno sguardo sul presente. Ma cosa intendiamo per presente? Siamo consapevoli che nella contemporaneità il presente non esiste? L’Ulisse di Joyce è paradigma letterario della modernità. L’edizione dei Meridiani Mondadori pubblicata nel 1960, conta 1048 pagine, contengono il racconto di una sola giornata di Stephen Dedalus. Il tempo compresso,non in pensieri, ma in azioni di assoluta banalità. I romanzi di fine ‘800, quando la modernità non era ancora tracimata nel nichilismo, romanzi come “Papa Goriot” di Honoré de Balzac. “Madame Bovary” di Gustave Flauber . Narrazioni di una borghesia che crescendo andava degenerando, i cui figli avrebbero declinato un nichilismo attivo che trova sfogo nell’arte. “Tenera è la notte”, “Belli e dannati” di Francis Scott Fitzgerald, il canto del cigno di un’epoca che marcava il tramonto della vita intesa come avventura possibile. Una civiltà, che come l’arte, è stata soggiogata da parole prive di sentimento. Nascono avventurieri dell’arte come Picasso, tutta la genia di affabulatori che all’ombra dell’ideologia perseguono i loro fini. L’arte si allontana da se stessa sulla strada della mondanità. E dunque anche i sentimenti sono incerti, si pone la necessità di interrogarci. “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” si chiede Raymond Carver in un suo libro pubblicato nel 1981. La guerra tra generi, la cosiddetta “rivoluzione sessuale femminile”, ha prodotto un cimitero di sentimenti e feti, sacrificati all’egoismo individuale senza controllo. La metafisica del presente è un esame di residualità. L’incontenibile pesantezza del vivere cerca vie di fuga nell’artificiale chimico o si rifugia nella realtà virtuale. Il filosofo scozzese David Hume sosteneva: che domani sorga il sole è una mera ipotesi. L’arte rispondeva con ottimismo non rinunciando ad una progettualità utopica. “Il sole sorgerà ancora”, il primo romanzo di Ernest Hemingway, un’apertura di credito verso il futuro destinato ad arenarsi in una confusa modernità.
piergiorgio firinu
Eidos e parola.
Nei testi relativi all’arte c’è sempre un generico riferimento al “mondo dell’arte” che in realtà è un’iperbole. Il mondo dell’arte è costituito da una oligarchia che Tom Wolfe ha valutato in non più di diecimila persone. Sarà utile chiarire che l’oligarchia in questione non si forma su basi di merito e conoscenza, la maggior parte degli esponenti del mondo dell’arte sono soprattutto persone spregiudicate, non particolarmente colte; d'altronde, per il commerciante, la cultura non è requisito fondamentale. Dunque, il cosiddetto mondo dell’arte, nel quale vanno incluse certe riviste create e usate per fare commercio d’arte più che informare, si presta a giochi speculativi che in qualche caso potrebbero assumere gli aspetti che rasentano l’usura in versione XX e XXI secolo. In un interessante libro “La borsa e la vita”, Jacques Le Golf afferma che, dopo Dante, nessuno meglio di Ezra Pound è riuscito nella difficile distinzione tra usura e interesse. Nei Cantos una quartina descrive questo tema. Vista la situazione è naturale che si moltiplichino filosofi e critici da mercato. Tiziana Andina in “Ontologia sociale”, che nei fatti è, tra l’altro, l’ennesima celebrazione di Warhol scrive: “…Andy Warhol amava il denaro e amava fare arte..”. Io credo, forse ingenuamente, che amare l’arte significhi dedicarsi ad essa fuori da ogni secondo fine. Cosa avviene nel momento in cui ci si mette a scrivere a proposito dell’arte? Se da un lato sono le stesse opere a provocare quella presa di parola che è sempre sul punto di fagocitarle, occorre che la scrittura abbia il necessario distacco, non cada nel vizio della esaltazione per fini estranei all’opera stessa. I filosofi dell’arte hanno voluto prendere le distanze dall’analisi del bello attuata da Kant, troppo vincolante ad una logica estetica e all’eidos. Il ricorso a divagazioni apodittiche, il proliferare di neologismi privi di costrutto, la retorica del commento senza alcun riferimento all’opera, costituiscono spesso la narrazione di critica e filosofia dell’arte. Vi è un’assioma assolutamente inamovibile che la filosofia conosce fin dai suoi inizi, basti pensare al paragone del sole con il bene nella Repubblica di Platone,(VI 507d -508c). La visibilità che si costruisce con un disegno o con la pittura è riducibile al visibile? Non sono necessarie particolari ermeneutiche “ricostruttive”. Il disegno ha origine da due grandi logiche dell’invisibile. Quella trascendentale e quella sacrificale, firmate rispettivamente da Kant e Baudelaire, riprese da altri filosofi per dar vita a una complessa irruzione nella memoria. L’atto di disegnare riesce a restituire la forma di una percezione interiore, personale, eppure condivisibile . L’arte, anzi le arti, sono una nozione complessa, non possono essere studiate come un tutt’uno. Questo vizio eziologico ha reso possibile e giustificato lo sviluppo dell’arte come prodotto seriale. L’oggettiva violenza della critica è fondata sul privilegio del logos.
piergiorgio firinu
Collezionismo: motivazioni.
Il significato etimologico della parola “Collezione” è raccolta. Collezionista è colui che raccoglie, non colui che acquista. Dovremmo dunque chiederci quale è la motivazione del collezionista che non raccoglie ma acquista, spesso a caro prezzo, opere che in molti casi finiscono nei caveau privati o di Banche. L’acquisto di un’opera d’arte, o presunta tale, non è un investimento produttivo, ma speculativo. Tra le ragioni dell’acquisto di opere c’è sicuramente la vanità, la volontà di cercare conferma al proprio status sociale, ma allo stesso tempo la ricerca di rassicurazione. Procrastinare il vantaggio che deriva dal possesso si traduce in una sorta di rito propiziatorio. Cras, in latino,significa “domani”. La parola possedeva una sua elasticità semantica, e si riferiva ad un vago “più tardi”. Procrastinare il godimento estetico o/e economico di un’opera d’arte è un atteggiamento venuto alla luce con l’avvento della modernità. Il suo nuovo significato a valenza etica deriva dal presupposto valore che prescinde dall’uso o godimento immediato. Questo atteggiamento, generalizzandosi, è all’origine della costituzione di musei e istituzioni artistiche, una sorta di dossologia dell’arte con molteplici fini. La procrastinazione ha un’insita tendenza a spezzare in anticipo qualsiasi limite temporale. Assegnare un valore che dura nel tempo alle opere d’arte è il fine ultimo della procrastinazione, in aperta contraddizione con la fragilità transeunte di molte opere contemporanee. Come ci ha spiegato Max Weber, la modernità si sforza di conciliare fretta e conservazione. Paradossalmente, la negazione dell’immediatezza si traduce in elevazione e nobilitazione. D’altra parte, come afferma Georges Steiner, noi viviamo in una “cultura da casinò”. Il denaro sembra essere obiettivo e interesse principale della società contemporanea. E tuttavia vi è l’incontenibile pulsione al consumo esibito. L’unica qualità delle cose e delle azioni che conta è l’immediata gratificazione, atteggiamento che mal si concilia con la procrastinazione del godimento delle opere e la loro museificazione. Sono contraddizioni solo apparenti. In realtà è il tentativo di conciliare aspetti diversi di una società che, come dice Derrida, è governata dall’estetica del consumo da cui si ricava gratificazione, una sorta di pharmakon che è contempo medicina e veleno. La cultura che muove guerra alla procrastinazione è una novità assoluta nella storia moderna, secondo Heidegger è la modalità dell’essere, così come noi lo conosciamo, in sovrapposizione con l’avere. E’ in questo coacervo, per definizione destrutturato, di modalità e fini diversi, che l’arte assume più funzioni. Speculazione, esibizione, mentre l’appagamento estetico è residuale. A venir meno è soprattutto l’essenzialità propria dell’arte, modalità di produzione si adeguano al mercato.
Il lamento dei Chierici.
Viviamo in un’epoca di scarsa creatività, non solo nel campo dell’arte, ma della letteratura e della scienza. In parte ciò è dovuto alla sempre più complessa realtà a cui fa riscontro una cultura enciclopedica, nel senso deteriore del termine, complice la rete, che lascia supporre sia superfluo l’esercizio della memoria. Vi è uno sperimentato metodo di divulgazione adottato in larga misura non solo sugli inserti culturali di giornali, ma anche nei libri; consiste nel proporre le proprie “verità” immergendole in un mare di citazioni dotte, ovviamente scelte ad hoc. La realtà diventa una creazione della parola. Riesumando il motto degli strutturalisti: non esistono fatti solo opinioni. Indulgendo in sinèddoche per proporre una propria weltanschauung immaginifica. Diceva Weber: “ Chi cerca visioni del mondo vada al cinema” E’ particolarmente irritante leggere sui media ed ascoltare in tv i cahier des dolèances di coloro che sono sulla scena politica e culturale da decenni. La sinossi della realtà trascura sistematicamente l’eziologia. Coloro che occupano le redazioni dei giornali, le cattedre universitarie, la magistratura, la politica, sono stati protagonisti, o comunque partecipi, di movimenti ed eventi storici. Anche l’arte, nonostante la demagogia corrente, è accessibile a pochi. Salvo, ovviamente, una visione momentanea in musei e gallerie d’arte. Il mondo della produzione del commercio dell’arte presenta una visione non proprio esaltante. Il know how non pare essere bagaglio essenziale per gli artisti.
piergiorgio firinu
Sensi e intelletto.
Searle ha elaborato la teoria dell’imposizione di funzione, creando un gap linguistico. Funzione è per definizione esercizio pratico di una facoltà. La forzatura semantica trova applicazione soprattutto nella critica e filosofia dell’arte. Prendiamo ad esempio l’opera di Joseph Kosuth: “One and Three Charirs”. Si presume apoditticamente che l’oggetto creato per una precisa funzione, in ragione dell’intenzionalità collettiva, possa mutare la propria ontologia, da sedia, destinata ad uso pratico funzionale, a opera d’arte. Teoria supportata da inverificabile ipotesi. Il rischio è che il procedimento mentale si riduca a processo eidetico. Vi è un’oggettiva difficoltà nel decidere, sic et simpliciter, la mutazione ontologica. A quale tipo di facoltà dovremmo far ricorso? Il problema maggiore consiste nell’oggettiva imposizione dell’esito finale di una operazione mentale difficilmente condivisa e condivisibile. Detto in altre parole, il fruitore dell’opera dovrebbe, in ipotesi, ripercorrere il processo mentale che ha portato alla mutazione ontologica. Qui si dovrebbe iniziare con porci la domanda sull’origine dell’opera d’arte. Ci troveremmo a dover stabilire una definizione atemporale dell’essenza dell’opera d’arte. La domanda è intimamente connessa con la possibilità di una teoria estetica e di ciò che può rappresentare oggettivamente. Il superamento dell’estetica, è determinata dalla concezione dell’ente come ciò che può rappresentare oggettivamente. Il superamento dell’estetica risulta dal confronto storico con la metafisica. La distruzione dell’essenzialità ontologica dell’arte, presume una radicale riconsiderazione epistemologica. Il titolo di un libro di John R. Searle: “Vedere le cose come sono” , sembra presumere l’inessenzialità del processo ermeneutico che accompagna, spesso “crea”, l’oggetto artistico. Il procedimento può trovare un riferimento nella tesi che Platone attribuisce a Socrate. Nel Fedone si parla caratteristicamente della cecità, del “perdere l’occhio della propria mente”. Socrate quando ammonisce dal pericolo di fidarsi dei sensi. Si rinuncia a un tipo di percezione per salvarne un altro. Se osserviamo con sguardo disincantato la realtà dell’arte contemporanea dobbiamo constatare che, la modificazione epistemologica, è avvenuta solo in parte mentre la lettura ontologica è stata soggetta a forzatura filologicamente deviante.
piergiorgio firinu
Liberi e infelici
La tesi secondo cui la filosofia pone domande e non dà risposte si è tradotta in luogo comune e pretesto. In realtà quando Socrate dialoga con Alcibiade attua la maieutica, provoca cioè risposte dal suo allievo. La filosofia contemporanea è parcellizzata in specializzazioni alcune delle quali richiamano i dibattiti sul sesso degli angeli dei teologi bizantini. Anche quando il tema è la società contemporanea vi è quasi esclusivamente attenzione alla fenomenologia del presente, poco sull’eziologia. I fenomeni sociali non possono essere considerati epifanie casuali. Come è avvenuto l’imborghesimento e insieme le accresciute differenze sociali? Fenomeni discordanti derivanti dalla sostituzione dell’essere con l’avere, tema trattato nel libro “Avere o essere” pubblicato da Erich Fromm nel 1976. A poco serve creare il mito della libertà, che può essere acquisita in opposizione alla società o, come avviene oggi, con il consenso generale e con l’appoggio del potere. La libertà si affianca all’ansia del nuovo. Il cambiamento considerato positivo a prescindere. Richard Sennett ricorda la vecchia controversia tra Adam Smith e Denis Diderot. Smith metteva in guarda contro i degradanti e invalidanti effetti della routine lavorativa, mentre Diderot non pensava che la routine lavorativa fosse degradante. Una sorta di scambio delle parti tra il maggior esponente dell’economia moderna e un filosofo dei lumi. Anthony Giddens ha provato a riesumare l’intuizione di Diderot tentando di dimostrare l’importantissimo valore dell’abitudine sia nell’espletamento delle attività sociali che per la comprensione di sè. Uno tra i molti esempi di elogio della ripetizione. Anche i marxisti residuali hanno preso atto della mutata antropologia sociale indotta da una società in perenne fibrillazione. Alain Touraine dichiara in “European of Social Theory” , la fine dell’essere umano come essere sociale. Ciò che non va nella società in cui viviamo, ha scritto Cornelius Castoriadis, è che abbiamo smesso di metterci in discussione. La nostra è una società che non riesce ad immaginare nessuna alternativa. Come ha ammonito Leo Strauss, la nostra società che permette una libertà senza limiti conduce a un’impotenza senza precedenti. Le ottimistiche previsioni di Ludwig Feuerbach in “Principi della filosofia dell’avvenire” , si sono rivelate totalmente errate.
piergiorgio firinu
La grammatica del senso.
L’alfabeto della lingua italiana è composto da 21 lettere. Qualsiasi argomento deve essere esposto disponendo in vario modo queste 21 lettere. In qualche caso, libri di argomento scientifico o storico, si avvalgono di grafici e/o disegni per chiarire meglio un concetto. Anche la linguistica paradossalmente si avvale di grafici e disegni per illustrare concetti e il significato di percorsi teorici. L’immagine serve a visualizzare ciò che non sempre è facile descrivere. Ecco quindi che alla luce di questa realtà diventa difficile accettare l’idea che sia necessario che la critica e la filosofia dell’arte abbiano necessità di far ricorso alla narrazione adottando una sorta di epochè semantica che conferisca senso mancanza di credibilità alla incapacità espressiva dell’arte. L’arte si rifrange ogni volta in una molteplicità lontanissima dall’essere omogenea, ma proprio l’eristica della critica si traduce in tautologia. L’opacità del pensiero critico affidato per lo più a teorie ancipiti apre enormi varchi al non senso. L’esperienza eidetica dell’arte viene messa in sottordine rispetto alla narrazione critica. Il procedimento è spesso giustificato dall’intelligibilità delle opere, non per oggettiva difficoltà ermeneutica, ma per assenza di significato. Questa incapacità espressiva dell’arte è esaltata da filosofi come Danto perché offre loro il pretesto di ricami verbali il cui significato si affida a una logorroica verbosità che a tratti può apparire plausibile. Sia nell’arte che nella narrazione la fantasia non ci esime dal dare senso alle parole che usiamo. Il valore di un opera consiste nel significato la cui comprensione non necessità di una improbabile ermeneutica. Se l’opera d’arte non “parla” a poco servono le protesi critiche. Dovremmo resistere alla suggestione di testi critici, sforzarci di veder le cose come sono, come recita un libro di John R. Searle. Invece ci arrampichiamo su una catasta di parole, per aspera ad astra.
piergiorgio firinu
Carne,sangue,arte.
Ci troviamo a fare i conti con una società femminilizzata, ebbra di libertà che non sa utilizzare. L’arte ha abbandonato l’uso della metafora, si esprime con parodie sempre più deprimenti. Tentativo di rispetto della natura, a partire da Pitagora, vi è il rifiuto della cruenta uccisione di animali, Ovidio nel XV libro delle metamorfosi accenna all’astinenza di Porfirio. In entrambi i casi si tratta di una presa di distanza dalla nostra natura animale di predatori carnivori. Il consumo di carne secondo Pitagora: “fecit iter sceleri”. Lucrezio si esprime in modo netto contro il sacrificio di animali. Nell’Iliade vi è la descrizione dello sfacelo che si compiva sui guerrieri achei e troiani. La civiltà, da un lato, con abituale ipocrisia, elimina dalla vista il macello degli animali, le cui parti sono esposte nei supermercati in modo ascetico. Dall’altra, compie massacri di esseri umani. La storia contemporanea di questi ultimi decenni vede massacri in Iraq, Afganistan, Libia, Siria. La modernità ha consistito nel porre grande distanza tra gli assassini e le loro vittime. Non più la spada, il corpo a corpo, gli assassini sono legalizzati dalle convenzioni internazionali. Chi uccide non vede la vittima; basta premere un bottone su aerei in alto nei cieli. A volte si verificano errori. Vengono massacrate persone mentre celebrano matrimoni. Ma questi sono “effetti collaterali” .Televisioni e giornali ne danno notizia en passant, pronti a mettere l’accento su atti di terrorismo in cui muoiono una o due persone. In Iraq , il criminale Bush, ha sulla coscienza 200.000 persone massacrate dalle truppe statunitensi. Quale è la posizione dell’arte in questa disastrosa ipocrita carneficina? Alla criminalità politica l’arte risponde con l’esibizione oscena di animali e sangue. L’”artista” austriaco Hermann Nitsch esibisce il sangue come oggetto artistico, così fa Marc Quin. Piero Manzoni si limita ad elevare le feci a oggetto d’ arte, Maurizio Cattellan esibisce un cavallo infisso in una parete, Damien Hirst espone uno squalo in formaldeide. Vi è dunque, anche in questo caso, perfetta contiguità tra arte, società, potere. L’artista ha cessato da tempo di operare in contrapposizione a ciò che rende triste e sgradevole la società, al contrario concorre alla celebrazione dei tristi riti della modernità. Abbandonata la ricerca di un’ esaltante utopia progettuale capace di aprire uno spazio virtuale “exit in immensum” prevale il rifiuto del sacro, la presa di distanza dallo spirituale, tutto ciò che ci lascia in balìa della nostra ferina animalità. Abbiamo perso la capacità, e forse la volontà, di elevarci oltre la materia. Crediamo di procedere verso il futuro mentre in realtà andiamo a ritroso omnium contra omnes. La tecnica è solo un paravento.
L'arte e il mito.
Mito, religione, storia; queste erano fino a ieri le principali fonti di ispirazione della letteratura e dell’arte.”Et in Arcadia ego” opera di Nicolas Poussin, attribuita in un primo tempo al Guercino. “La Zattera della Medusa” 1818-19 di Théodore Géricault. Sono due tra i moltissimi esempi di rappresentazioni storico mitologica. La coscienza della propria connessione con lo scorrere della realtà è condizione primaria per una creazione artistica. Quale sarebbe lo stato della mente che precede l’elaborazione formale? Rudolf Carnap raccontò che Einstein, suo collega a Princeton , diceva di essere molto tormentato dal problema del presente. Il problema dell’identità che precede l’atto della creatività artistica oggi è obnubilato dal rumore di una società che si agita senza scopo. L’arte come la scienza, a partire da Descartes, hanno seguito un percorso omettendo di indagare il grande problema della psiche. Si è scritto, si scrive molto sulla neurofisiologia nella presunzione che capire lo strumento renda possibile interpretarne il funzionamento. Il tentativo di Freud si è arenato in astratte teorizzazioni. La scienza ha finito per condizionare l’arte, in questo modo limitandola, perché essa stessa si trova davanti a un continente ignoto: la corrispondenza tra mente e mondo. Per uscire dal pantano delle teorie della conoscenza Colin McGinn ha avanzato un ipotesi:”Vi sono aspetti specifici della coscienza e aspetti specifici dell’intelligenza umana i quali fanno si che quest’ultima sia mal equipaggiata per percepire la prima”. Ed è questo il nodo che tiene la realtà ancorata ai propri disconosciuti limiti. E’ come se la nostra conoscenza ci aiutasse a capire tortuosi meccanismi , senza permetterci di conoscerne la genesi. Comprendiamo il come, raramente il perché. Gli antichi greci tentarono di superare il limite inventando l’arte e la mitologia. La fantasia poetica che immaginò lo sbarco nell’isola di Eea, l’isola di Circe, per seppellire Odisseo, colui che era stato amante di Circe, marito di Penelope padre di Telemaco e di Telegono, figlio avuto da Circe. La perversa Atena intervenne, impose che Telegono si unisse a Penelope, mentre Telemaco avrebbe dovuto unirsi a Circe. Da Circe e Telemaco nacque Latino, dal quale prese il nome la lingua, mentre da Telegono e Penelope nacque Italo che dette il nome all’Italia. Ecco dunque il modo in cui il mito creava le basi di un immaginifico passato la cui traccia nel presente venne seguita dall’arte.Ovidio traccia una metamorfosi senza ritorno. L’arte ha rappresentato molte immagini appartenenti al mito, fino a quando è prevalsa la tendenza , sarebbe forse dire la presunzione, di usare l’arte come una sorta di formalismo filosofico che gradatamente ha perso il filo della rappresentazione. A quel punto l’arte ha cambiato natura. L’artista è un tecnico che produce oggetti richiesti dal mercato se riesce a superare l’accanita, sleale, concorrenza.
piergiorgio firinu
Anime sterili.
Diamo forma alle nostre idee con consunte parole aggrappati alla speranza che i nostri modesti tentativi colgano nel segno. Purtroppo ciò che vediamo non è confortante. Diceva Democrito: “ Gli uomini si sono forgiato l’idolo del caso come una scusa per la propria mancanza di senno”. Non possiamo scegliere i nostri sogni, tanto meno il nostro destino. Se è vera la tesi che Jacques Monod espone nel libro “Il caso e la necessità” , come riusciremo mai a dare senso alle nostre vite. Tra tutti gli idoli creati dalla percezione dei sensi l’idolo del caso è uno dei più pericolosi; esso infatti minaccia di tenerci per sempre fermi all’ignoranza. Solo il pensiero riesce a tenere a bada questo limite, forse non riusciremo a superarlo, ma quando meno pensare ci aiuta a vedere che quanto esiste è frutto di una necessità logica che noi dovremmo sforzarci di capire. Purtroppo la cultura dell’ultimo secolo, soprattutto la cultura artistica, è andata in direzione diametralmente opposta. Diceva Eraclito: “Occhi e orecchie sono cattivi testimoni per uomini che hanno anime barbare”. Vi è questo oscuro riferimento all’intuizione che è impossibile indagare. I cinque corpi platonici in cui Platone fa consistere ogni essere fisico, non sono cose fisiche, ma pure forme stereometriche: alla terra corrisponde il cubo, al fuoco corrisponde il tetraedro regolare, all’aria l’ottaedro, all’acqua l’icosaedro. (Timeo 55 D). Se questa fisica platonica per così dire priva di corpo, nella quale tutto l’esserci e tutte le differenze della materia si risolvono e dissolvono in determinazioni geometriche puramente ideali: Può allora apparire paradossale , in proposito è bene ricordare che questa fisica non solo è stata ripresa , in linea di principio, da Descartes all’inizio della filosofia moderna, ma il suo concetto metodico fondamentale sembra aver trovato una sorprendente applicazione nella fisica moderna. Dunque le forme del pensiero sono appannaggio della sola filosofia essendo l’arte immersa in forme espressive che, in buona sostanza, trovano alibi nell’intuizione per sottrarsi al più impegnativo percorso del pensiero senza comodi ricorsi alla scorciatoia della provocazione come appunto è avvenuto negli ultimi cento. Il ripudio dell’estetica significa in buona sostanza la rinuncia all’espressività della forma a vantaggio di un non chiaro sviluppo di astratta improvvisazione. All’ingresso dell’Accademia di Platone un cartello recitava “non varchi questo cancello chi ignora la geometria”. Oggi le accademie accolgono tutti. Potremmo definire “la democrazia dell’ignoranza” la realtà di oggi si rifugia nella tecnica che si propaga in modo esponenziale non solo nel mondo dell’arte. La tecnica è l’alibi a cui ricorre chi non sa pensare. E’ stata costruita una barriera di silicio dietro la quale, manterremo sterile la nostra ormai inutile anima.
piergiorgio firinu
La grammatica dell’arte.
Può apparire paradossale confrontare il livello democratico dell’arte plastica, o figurativa che dir si voglia, e le altre arti, letteratura, teatro, poesia. In realtà, ad una attenta riflessione, appare evidente che, anche grazie alla dominanza mercantile dell’arte plastica, la differenze esiste in misura rilevante. Rilevante la paradossale contraddizione tra le enunciazioni degli artisti che in gran parte accampano motivazioni sociali e politiche caratterizzate da un pensiero di sinistra, mentre poi le loro opere sono quasi di esclusivo appannaggio di capitalisti borghesi . Dunque la maggior parte delle persone può vedere le opere sono nelle gallerie e nei musei, spesso pagando un biglietto il cui costo equivale al costo di un libro. Ma tralasciando queste contraddizioni evidenti il mondo dell’arte nell’ultimo secolo ha assunto aspetti francamente poco eclatanti. Si fa spesso ricorso a iperboli per descrivere supposti capolavori che consistono in opere insignificanti se non accompagnate da una ermeneutica che li giustifichi. Possiamo supporre che vi sia stato uno sviluppo lineare? Oppure vi sono stati cambiamenti che non siamo in grado di determinare perché casuali? Quando visitiamo biennali e fiere dell’arte vediamo sequenze di opere di diverso significato e natura. Dobbiamo dare per scontata un affinità di specie, la stessa che viene negata dalla critica? L’accumulo di oggetti difformi il cui unico legame è la loro commercializzazione. Si potrebbe obiettare che anche in una libreria o in una fiera libraria sono esposti libri che trattano temi diversi. Ma il contenuto dei libri, a differenze delle opere d’arte, non è immediatamente visibile. Vengono scelti per argomenti e la loro lettura richiede l’impegno della lettura. Nulla del genere nella sequenza visibile delle opere poste in sequenza la cui visibilità è istantanea, Ciò costituisce uno svilimento reso necessario da ragioni squisitamente mercantili. Alla luce di tutto questo appare chiaro che molto di ciò che viene scritto sull’arte è pura e semplice vacuità per giustificare il costo esorbitante delle opere. Nulla di tutto questo avviene nella buona letteratura. L’esempio è l’amico Italo Calvino, ispiratore e la guida di molti giovani della mia generazione. “Gli amori difficili” Pubblicato da Einaudi nel 1958 con il costo di copertina di £. 700. “Le città invisibili” dello stesso editore pubblicato nel 1972 costo di copertina £ 800. “Lezioni americane” pubblicato sempre da Garzanti nel 1988 prezzo di copertina £. 20.000. (Copiato dal copertina e incomprensibile). Immaginiamo il costo di una qualsiasi opera d’arte nello stesso periodo e il diverso segno che lascia nella nostra memoria. Senza disquisire sulla narrativa che tenta di dare ordine al mondo, tracciare segni di vite parallele coinvolgendoci in un pensiero dinamico che accompagna la nostra crescita umana, possiamo fare un accostamento sulle opere viste dei “grandi” dell’arte contemporanea cosa ci è rimasto dentro ben poco.
piergiorgio firinu
L'età della ragione.
Sempre più spesso si parla del futuro dei giovani, delle loro difficoltà nel trovare sbocchi professionali ed esistenziali. Hanno senso queste riflessioni? Vanno ascritte alla progressiva femminilizzazione della società? Se scorriamo la storia della scienza e dell’arte, constatiamo che sono stati centinaia i giovani, spesso giovanissimi, che hanno realizzato capolavori memorabili, fatto scoperte che hanno segnato il progresso della nostra civiltà, in una età in cui i giovani di oggi non hanno ancora preso una laurea, Biagio Pascal, morì a 39 anni dopo avere lasciato una traccia indelebile nella storia della cultura e della scienza. Raffaello Sanzio morì a 37 anni, Caravaggio a 39 e l’elenco potrebbe continuare. L’assenza di un processo educativo, l’eccesso dei consumi, la sessualità precoce, l’incapacità educativa di madri rese ansiose dai sensi di colpa che derivano anche dalle loro pregresse esperienze di vita non edificanti, (è noto che i padri , anche quando esistono, sono esautorati) tutto questo contribuisce ad allentare le capacità e volontà d’impegno dei giovani. Se a questo si aggiunge la totale mancanza di etica, si ha un quadro non rassicurante della società del nostro tempo e la spiegazione delle carenze di responsabilità individuale e collettiva. Nei media dilaga l’espressione “populismo” , termine del quale ognuno dà la propria definizione. Aderire alla volontà popolare ha assunto una connotazione negativa. La scuola di Francoforte, Adorno, Horkheimer, in “ Dialettica dell’Illuminismo” , avevano già affrontato il problema in chiave marxista. I tempi erano diversi, l’evoluzione, o involuzione, sociale ha seguito altri percorsi. Il mito della libertà si è espresso in forme irresponsabili contribuendo a consegnare il potere nelle mani di personaggi privi di cultura e di etica. Viene assegnato il Nobel per la pace a Obama che ha scatenato due guerre, spinto anche dalla “liberal” Hillary Clinton. Il Nobel della letteratura è attribuito a un cantante il cui merito dichiarato è di essersi espresso contro il potere, quasi che l’Accademia Reale di Stoccolma costituisca un contropotere. Il sonno della ragione genera democrazie deformi nelle quali prevale l’apparenza della democrazia. L’arte, la cultura mai come oggi sono ancelle del potere, la trasgressione si esprime quasi esclusivamente in eccessi sessuali, uso di stupefacenti, eccesso di alcol. La vertigine della libertà funziona da narcotico delle coscienze.
piergiorgio firinu
Un mondo di libertà.
Trump e Clinton espressioni dell’America contemporanea. Visti in prospettiva le differenze tra i due sfumano. Entrambi utilizzano molteplici filtri narrativi, per evitare che trapeli la verità. La Clinton ha sostituito alla rappresentanza di classe la battaglia per la prevalenza di genere. Come Obama, i due contendenti, sono interessati soprattutto alla potenza americana . Pochi cenni alla giustizia sociale. Nessun accenno alla cultura. Andy Warhol, degno rappresentante americano, come Madonna e i cantanti rock, affermò: “ Ogni artista è innanzi tutto un uomo d’affari”. E’ quindi naturale, per la legge dei contrari, che un uomo d’affari sia un artista. Trump è un artista, usa il linguaggio che le masse percepiscono. Poco importa che egli sia miliardario. Clinton afferma di battersi per le donne nel momento in cui è finanziata per la sua campagna elettorale dall’Arabia Saudita, paese in cui le donne non hanno neppure il permesso di guidare l’automobile. Due figure icastiche, non solo degli USA, ma dell’Occidente del tempo. Conferma plateale di ciò che vado scrivendo da tempo; cultura e arte forgiano i costumi il modo di (non) pensare alla realtà, creano l’humus da cui nascono i fiori della politica: Clinton e Trump. L’Europa, prona ai voleri degli USA, per interesse e similitudine, accetta il pensiero unico planetario forgiato dai persuasori occulti di Hollywood, Sodoma e Gomorra del III° millennio. Dietro la foglia di fico del multiculturalismo, la nostra cultura, i nostri costumi, si annullano. Abbiamo superato la Francia per numero di immigrati. La Francia è un paese ex coloniale, molto più grande e ricca dell’Italia. Paradossalmente la mancanza di cultura rende più agevole l’integrazione degli immigrati che rapidamente assimilano i nostri difetti e sfruttano i nostri vizi. Gli intellettuali, in larga parte fortemente ideologizzati e/o cattolici, operano alacremente contro il paese nella prospettiva di “alti ideali”. Così poveri e anziani diventano capri sacrificali, combustibili per tenere alta la fiamma degli ideali. Anche l’arte si associa e celebra con immagini il nuovo mondo di libertà, come illustra l’opera allegata alla news, realizzata da Karol Radziszewski, un polacco di 36 anni diplomato all’Accademia di Belle Arti di Varsavia. Servono commenti? Ignoranza, cinismo edonismo, tenuti insieme da un esasperato solipsismo, la miscela che farà implodere l’occidente, in primis l’Italia governata da giullari bugiardi. E’ molto probabile che il risveglio delle coscienze avverrà quando avremo superato il punto di non ritorno al quale siamo prossimi.
piergiorgio firinu
La retorica della diversità
Herman Melville fa dire a Qeequeg, uno dei personaggi di Moby Dicke: “ Vivere è questione di volontà”. Evidentemente non tutti siamo dotati della stessa volontà, oppure semplicemente dell’interesse alla vita, manca l’Elan Vital di cui tratta la filosofia di Henri Bergson. Nell’inserto culturale di un quotidiano vi è un’intera pagina che recensisce la mostra di Jean- Michel Basquiat in corso a Milano. Concordo quasi in nulla su ciò che i due critici scrivono a proposito dell’artista newyorchese. More solito, la narrazione critica non ha riscontro nella vita e nell’opera del giovane artista nero. Si legge che Basquiat realizzava: pittura drammatica che affonda le radici nella cultura degli afro-americani e del loro disagio. Tesi fantasiosa. Intanto l’artista non ha mai avuto alcun rapporto con l’Africa. Figlio di madre portoricana e padre Haitiano, dotato di scarsa cultura (non ha terminato il liceo che frequentava) , adottato molto giovane dalla ricca comunità omosessuale di New York, Basquiat ha frequentato l’eterogeneo mondo di una città crudele e corrotta che lo ha portato a morire di overdose all’età di 27 anni. I modelli di comportamento che il giovane nero ha assimilato, erano lontani anni luce dalla cultura afro- americana creata, raccontata, vissuta da personaggi come Angela Davis, Eldridge Cleaver, George Jackson, Malcolm Little, meglio noto come Malcolm X. Basquiat ha trascorso la sua breve vita sfruttato e usato, tra orge e disordine. Temo avrà avuto ben poche occasioni di leggere un libro, o semplicemente meditare sulle ragioni del proprio agire. La sedimentazione di esperienze negative egli le esprimeva anche con un’esuberanza fisica e sessuale che attirava parassiti della sua vitalità. In buona parte sono gli stessi che tutt’ora speculano sulle sue opere. E’ loro interesse fare del povero ragazzo nero un personaggio, un mito. E’ un vecchio espediente, già attuato con altri artisti, per valorizzare le loro opere. A farne le spese è sempre l’arte, ovvero le forme dell’espressività sensibile alla base delle quali c’è qualcosa di più che pura energia fisica e sessuale. Questo mio controcanto non avrà certo molti echi sulla mentalità di coloro che presumono di conoscere Basquiat. Si può star certi che presto leggeremo su giornali e riviste d’arte, le strepitose quotazioni d’asta a cui sono giunte le opere di Basquiat.E’ di Blake la massima secondo cui “Il genio è sempre al di sopra del suo tempo” . Non è certo il caso di Basquiat, come della maggior parte degli artisti contemporanei immersi totalmente nel mainstream e vittime del loro stesso successo mondano.
piergiorgio firinu
Il canone Bloom.
Qual è la funzione della critica? Una chiave di lettura dell’opera? In questo caso c’è il rischio che l’osservatore o il lettore subiscano un condizionamento e vedano cioè l’opera con gli occhi del critico. Non c’è dubbio che la critica è parassitaria, vive dell’opera e sull’opera. Oscar Wilde sosteneva il contrario. Nella raccolta “Intentions” , inizialmente intitolata “ La vera Funzione e il vero valore della critica”, Wilde sostiene che la critica è più creativa della creazione. Ciò è smentito dal fatto che i critici sono per lo più artisti mancati e scrittori mancati. Ma non è questo il pericolo maggiore costituito dalla critica. Cesare Pavese dette impulso alla pubblicazione della narrativa americana. A 16 anni, passavo interi pomeriggi alla biblioteca USIS di Piazza San Carlo a Torino (ora nello stesso posto c’è un negozio di scarpe. Segno dei tempi!). Divoravo romanzi di John Steinbeck, Erskine Caldwell, William Carlos Williams, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, William Faulker, Thomas S Eliot. Harold Bloom, con prosopopea tipicamente americana, nel 2002 pubblicò un libro dal titolo: “Il genio” nel quale elencava 100 autori che, a suo avviso, erano i geni che avevano marcato la storia della letteratura e in parte della filosofia. Presumere di poter stabilire quali siano i geni che hanno creato le opere migliori è espressione di sconfinata presunzione. Tuttavia tale impulso di megalomania può essere accettato considerandola una scelta personale,per quanto discutibile . Ma, come recita il detto: “errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, diventa meno accettabile il contenuto del libro pubblicato nel 2016; “Il Canone americano”. Qui ci troviamo di fronte a una esibizione di cultura e senescenza, un incrocio tra le proprie nevrosi e propensioni personali verso la letteratura. Bloom, che evidentemente ha il complesso delle statistiche, seleziona 12 autori. Cos’è che disturba in questo libro? I giudizi tranchant innanzi tutto, poi l’ossessione omoerotica che trasferisce su quasi tutti gli autori. Soprattutto la ridondanza culturale, un’esibizione di sapere che in un certo senso prevarica gli autori di cui scrive, finisce per esaltare soprattutto se stesso. Ogni opera letteraria deve essere giudicata dalla scrittura. Come recita l’affermazione di Roland Barthes : la letteratura è ricerca della parola giusta. In un saggio di critica, chi scrive, dovrebbe, per cosi dire, farsi da parte, soffermarsi sull’opera dell’autore che esamina, senza prevaricarlo. E’ inoltre discutibile la scelta di stabilire classifiche seguendo l’ideologia del buon ebreo americano, proteso ad esaltare lo spirito della grande Madre America, che non si fa scrupolo d’ignorare uno dei più grandi poeti del secolo scorso, Ezra Pound e il poema “The Cantos” . Harold Bloom ritiene di poter stabilire “Il Canone Americano” , inglobando,bontà sua, anche Thomas S. Eliot che americano è solo di nascita, non certo per cultura.
piergiorgio firinu
Il peso delle parole.
La leggerezza della poesia è appesantita dalla critica. Un impalpabile stato d’animo deve necessariamente essere tradotto in parole per essere condiviso, creando una prima zavorra a cui si aggiunge l’intervento del pensiero terzo che sempre appesantisce e spesso deforma. Sarebbe magnifico se ognuno potesse creare i suoi sogni poetici, un nirvana della mente, una riemersione di sentimenti profondi. Ma il mondo esige che tutto sia condiviso e monetizzato, celebrato e riconosciuto. Nessuno è tanto forte da vivere per se stesso. La critica letteraria, come la critica d’arte, ha necessità di creare miti alla cui ombra adagiarsi in una ricreazione dell’anima ed un profittevole mestiere. Il parassitismo di chi ha pensieri brevi e un’anima pesante. L’ermeneutica è uno strumento di appropriazione. L’arte è inquinata dall’ansia di successo. Come avviene con la peste non si salvano i migliori. Il critico è l’untore che fa balenare il successo. Necessità e caso governano il mondo. Alter ego di Melville, il capitano Achab è destinato a fallire per quanti sforzi compia il suo creatore. Così Santiago avrà solo la carcassa del pesce che gli è costata tanta fatica catturare. Hemingway quando ha capito di non riuscire ad abitare la realtà che creava ha scelto di abbandonare il mondo a modo suo. Anche nel suo caso l’aggressiva stupidità del mondo ha vinto.
piergiorgio firinu
I canoni della forma.
Da tempo si è rinunciato ad affrontare il tema dell’ontologia dell’arte. Le teorizzazioni che si sono susseguite in oltre un secolo, non hanno trovato accordo tra gli studiosi. L’influenza preponderante del mercato è tale, visto anche il volume di denaro che gravita intorno alle opere d’arte, da impedire sereni giudizi. Le varie tesi sull’arte o si contraddicono oppure sono incomplete. La fenomenologia dell’arte non si richiama più a valori culturali che includono prassi e credenze. Una conferma della prevalenza degli aspetti mondano- mercantili è data anche dalla presenza femminile nel mondo dell’arte che si avvia a diventare preponderante. Questo significa imprimere un’impronta ideologica di carattere femminista. Da notare inoltre il peso delle Case di Moda che hanno preso possesso di istituzioni dell’arte e creato nuovi luoghi espositivi. Anche in questo caso l’attivismo dei produttori di abbigliamento non è senza conseguenze ed è di tali dimensioni da condizionare in qualche misura la stessa produzione artistica. A questo punto verrebbe da chiederci quale è la posizione degli artisti: hanno una propria intenzionalità in rapporto ai prodotti che realizzano? John R. Searle, quando ha affrontato il tema del’intenzionalità, dopo avere bocciato in blocco la filosofia degli ultimi 400 anni, Locke, Berkeley, Hume, Cartesio, ha tentato la formulazione di una propria teoria arrivando ad avanzare ipotesi sulle intenzioni degli artisti che hanno prodotto capolavori. I filosofi su citati riconobbero che la conoscenza empirica espressa linguisticamente debba avere il proprio fondamento nella percezione. L’arte è una forma di comunicazione pre- linguistica che tuttavia, fino a ieri, si realizzava all’interno di canoni il cui fine non era imporre limiti, quanto piuttosto determinare una grammatica della forma per una decifrazione del significato. E’ noto che nella scienza viene riconosciuta una scoperta quando la formula che la descrive può permettere ad ogni scienziato di pervenire allo stesso esito. E’ chiaro che in arte il problema si pone in modo diverso, l’obiettivo non è il percorso per raggiungere risultati predefiniti, ipotesi impraticabile, semplicemente permettere la comprensione. A questo punto si profila una contraddizione; l’opera prescinde da riferimenti culturali, il suo riconoscimento è affidato quasi esclusivamente al mercato. Tuttavia continua a rientrare nell’alveo della cultura, tanto che è materia scolastica. Tempo fa l’allora direttore dell’Accademia d’Arte di Torino, Accademia Albertina, prof. Curto, confermò la mia opinione che gli artisti avrebbero dovuto studiare filosofia. Il problema è che se i filosofi propugnano tesi come quelle di Arthur C. Danto e George Dickie credo che la confusione, e quindi la deriva dell’arte, invece di un freno avrebbero ulteriore impulso.
piergiorgio firinu
Impariamo dagli animali.
Scrive Michel Foucault: “ ..scopo della procreazione è quello di rimediare alla scomparsa degli esseri viventi e dare alla specie nel suo complesso ,l’eternità che non può essere accordata ad ogni singolo individuo” . Nicolas Chamfort asseriva che: “ in ogni specie animale la degenerazione comincia sempre dalla parte femminile”. Come la procreazione tramanda la specie, la cultura trasmette la situazione sociale dell’epoca nella quale viviamo. Accade che l’accresciuta sterilità di donne e uomini, si aggiunga alla tendenza alla unione tra persone dello stesso sesso. Anche se unite in matrimonio, in un simulacro di ritualità, non si risolve il problema della sterilità che limita la riproduzione della specie. L’ansia di libertà ci rende estranei alla natura. Pensiamo agli elefanti che non cambiano la compagna che si è scelto. Quando si accoppiano lo fanno in modo discreto, lontano dal gruppo. L’accoppiamento avvale ogni tre anni e dura cinque giorni. Nessuno ha mai visto l’atto sessuale tra elefanti. Passati i cinque giorni, prima di riunirsi al gruppo la coppia si lava accuratamente in uno specchio d’acqua. Un confronto con noi esseri civili è improponibile. In parallelo al degrado sessuale, assistiamo a una crescente sterilità culturale, in parte contenuta e mascherata dalla tecnica. Una società materialista, femminilizzata, priva di etica, produce inevitabilmente un’arte e una cultura priva di regole e di spiritualità. La sessualità è ridotta a vizio, una sorta di coazione a ripetere. Scriveva Platone: “l’atto sessuale assicura all’individuo un germoglio di se stesso”.Diotima nel Simposio azzarda la similitudine tra umani ed animali. Come abbiamo visto con gli elefanti, ad uscirne meglio sono gli animali. Ogni giorno si eseguono migliaia di aborti, nonostante la quantità di metodi contraccettivi. Sempre più spesso le madri buttano i figli nella spazzatura. Di tutto questo la “cultura” femminista non parla, se non per esaltare in scritti e opere il proprio corpo. Ogni riferimento al genere è per lo più in chiave di recriminazione. Non ci si rende contro della contraddizione. Chi è capace di determinazione non è indotto a far ricorso a giustificazioni di carattere sociale e psichiatrico. E’ il tempo della sessualità, esibita, nel tentativo di esorcizzare l’insensibilità e l’impotenza a cui si è soggetti. La stessa impotenza trova riflesso nella cultura e nell’arte e più in generale nei comportamenti sociali. Tutto questo lascerà una traccia nell’evolversi della civiltà. Siamo fieri dell’impronta che stiamo dando alla società in cui viviamo? Consideriamo più importante soddisfare le nostre voglie, senza preoccuparci di quale sarà il futuro delle generazioni che verranno? Lasceremo come testimonianza dell’arte del nostro tempo, orinatoi, barattoli di merda, fotografie di vagine. Le opere che si affidano alla tecnica sono destinate a scomparire, ovvero essere superate dai progressi che seguiranno. Di sicuro ciò che caratterizza l’attuale società è un esasperato solipsismo, un grande vuoto ed una altrettanto grande miopia.
piergiorgio firinu
Etica e competenza.
La nostra società tende a rifiutare l’etica che associa alla religione. Gli intellettuali si richiamano spesso alla “morale laica” che è un po’ come “l’araba Fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Vi è un totale rifiuto di ciò che i greci definivano askềsis. All’interiorità di una riflessione religiosa si contrappone l’esibizionismo della modernità. Non esiste neppure più il “conflitto spirituale” perchè non vi è più traccia di spiritualità nella moderna civiltà dei consumi. Tutto questo non può che riflettersi nella cultura e nell’arte. Senofonte designava la temperanza che con la pietà, la saggezza,il coraggio e la giustizia faceva parte delle cinque virtù. Socrate considera successivamente le quattro virtù fondamentali , saggezza, coraggio, giustizia e temperanza. Basta enumerarle per capire che stiamo parlando di qualcosa di assolutamente estraneo alla odierna società. Sono molti i filosofi dell’antica Grecia a considerare, ben prima di Seneca che sosterrà le stessa tesi, che il principale ostacolo verso la libertà è la mancanza di controllo di noi stessi. Per Aristotele la nostra facoltà di desiderare deve confrontarsi con la ragione. Socrate insegnava che non basta che l’uomo abbia appreso cosa significa essere giusto, egli deve continuare ad esercitare la sua volontà perchè il corpo esercita la pressione dei desideri. Platone evocherà questo principio socratico dell’askềsis e l’insegnamento di Socrate ad Alcibiade e Callicle che pretendevano di occuparsi della città e guidare gli altri senza prima aver appreso tutto ciò che è necessario per esercitare con equità e giustizia il potere. Penso all’Italia di oggi dove il potere viene distribuito a caso per diritto generazionale o di genere. In linea generale tutto ciò che serve all’educazione politica dell’uomo in quanto cittadino, servirà anche alla sua moralità. La società è composta da persone che svolgono varie attività e coprono diversi ruoli, quindi la società e variegata per attività e competenze. Tuttavia non può esistere la stessa varietà morale, ovvero una morale che guidi l’esercizio della competenza. Quando, come nella nostra società contemporanea, questo si verifica, l’arte diventa laida, la corruzione dilaga, la giustizia è assente, l’equità non esiste più. A poco serve dunque manifestare stupore o indignazione quando avvengono fatti deplorevoli. Abolita l’etica non basta la forza pubblica a tenere la società negli argini di norme minime di convivenza.
Quantità e qualità.
Possono convivere quantità e qualità? La risposta a questa domanda ci metterebbe in condizione di capire l’evolversi, o l’involversi,della cultura contemporanea. Sarebbe interessante conoscere il numero di scrittori, filosofi, artisti, attivi nel mondo contemporaneo. Sappiamo che quasi ogni città del pianeta conta una propria Università. Quasi tutte le Università tendono a moltiplicare cattedre e discipline. Spesso vengono rese pubbliche notizie di questo tenore relative a ricerche condotte da Università: ” Gli uomini con gli occhi azzurri tendono a guidare peggio l’automobile”. “ Le donne che praticano il sesso precoce sono più intelligenti” . “ Chi dorme sul lato destro risulta più conservatore”. Tempo fa venne dato ampio spazio a una notizia resa pubblica da uno “scienziato” francese il quale sosteneva che l’acqua conservasse la memoria. Buona parte di queste comunicazioni vengono rapidamente dimenticate, ma questo non ci esime dal porci la domanda: a cosa si dedicano i docenti nelle Università? Per scrivere romanzi non è necessario acquisire una laurea, lo hanno scoperto anche le donne. Infatti pullulano romanzi intimistici e pornografici che vanno, ovviamente per la maggiore. C’è chi avanza la pretesa di attuare un’ermeneutica della natura umana, operazione di fatto non riuscita a Freud, o addirittura stabilire qual’è la causa che può giustificare l’uccisione di una persona. A questo tema si è dedicato il filosofo prof. Jeff Macmahan. Tutti questi “ricercatori” hanno quasi sempre ricchi curriculum. C’è poi la versione letteraria e filosofica delle fiere dell’arte; sono i Festival. Eventi culturali ai quali vengono invitati insigni letterati e filosofi che trattano temi epocali con assoluta leggerezza, non senza profluvi di citazioni. Non so quante volte in questi ultimi mesi ho letto la citazione di Archiloco: “ La volpe sa molte cose, il riccio una sola“. Non importa che questo citatissimo brano, contenuto in un libro di Isaiah Berlin con lo stesso titolo “Il Riccio e la volpe”, pubblicato da Adelphi nel 1978. Prima l’opera fu pubblicata nel 1948 -1951 – 1953 – 1955 – 1956 – 1960 – 1961 – 1972 - . Cito tutte queste date perché sia chiaro quante volte è stata fritta l’aria che Roberta de Monicelli ha scelto di trattare al Festival filosofia di Moderna, Carpi, Sassuolo. Dovrebbe essere chiaro che questo modo di rimasticare la cultura denota quanto meno povertà creativa, oltre alla pretesa di farsi grandi salendo sulle spalle di giganti. Ritornando alla domanda che ci siamo posti all’inizio: possono convivere quantità e qualità? Di sicuro c’è un vantaggio economico. I giornali hanno argomenti per riempire pagine. Gli editori sperano di vendere qualche copia in più. Questa ragione è sufficiente?
piergiorgio firinu
Percezione.
Osserviamo un involucro con la scritta “fragile”. Dalla forma che traspare immaginiamo essere un bicchiere. Un parallelepipedo di cartone contiene all’interno dei fogli di carta. Supponiamo sia un libro. Quattro linee, due poste in verticale collegate con due in orizzontale, vediamo un quadrato, non le singole linee. La visione di oggetti avviene tramite l’occhio, ma è letta con la mente a cui l’occhio invia le immagini. Se non sapessimo cos’è un bicchiere, un quadrato, un libro, non vedremmo null’altro che ciò che appare. Berkeley negava che esistano oggetti al di là delle idee della mente. Una posizione piuttosto radicale. Sulla questione della percezione sono stati scritti molti libri. Maurice Merleau-Ponty nel 1945 scrisse un voluminoso libro “Fenomenologia della percezione” nel quale liquidava ogni equivoco idealistico a cui,secondo lui, dava adito la fenomenologia di Husserl. Mentre i filosofi tentavano una definizione della percezione, l’arte contemporanea scivolava nel ready made che solo un’ermeneutica sofistica poteva collegare alla percezione. L’arte, nell’ansia di sottrarsi all’accusa di creare illusioni, ha scelto di affidarsi al “concettuale”, con la pretesa di filosofeggiare sulla forma. Purtroppo è accaduto l’inevitabile tracimazione nella più piatta materialità. L’illusione, di creare una realtà parallela, sembra essere una necessità per l’essere umano. Sigmund Freud, pur dichiarando apertamente il proprio agnosticismo, riconosce che la religione è illusione necessaria, anche perché tiene a bada le pulsioni asociali ed egoistiche che covano in ciascuno di noi. L’arte, al pari della religione, in forme e modalità diverse, era creatrice di illusioni, una lettura per immagini di una realtà sognata e mai vissuta . Nel 1618/1622 Nicolas Poussin dipinse “Les bergers d’Arcadie”. Negli stessi anni Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, dipinse “Et in Arcadia ego” . Questo accadeva quando l’arte era nutrita di cultura e illusioni, prima che la banalità del nostro tempo la travolgesse. Ci sono rimaste le “Banane” di Andy Warhol e la versione “artistica dei nani da giardino” delle opere di Jeff Koons. Forse il suicidio dell’arte è uno dei prezzi che la “civiltà” paga al progresso.
piergiorgio firinu
Rileggere Sigmund Freud
La nevrastenia,secondo Binswanger, è una malattia prettamente moderna. Dobbiamo a Beard, la prima esauriente descrizione di essa; egli era convinto che tale malattia si sia sviluppata particolarmente negli USA. Di certo, anche a una superficiale analisi della vita contemporanea, emergono tali e tante contraddizioni e paradossi, bel oltre “I cinque paradossi della modernità” descritti da Antoine Compagnon in un libro pubblicato nel 1990. Ciò che lascia sgomenti è l’assoluta indifferenza alla regressione in atto da oltre un secolo. Vediamo cosa ascriveva Sigmund Freud in “Il disagio della Civiltà” ,pubblicato tra il 1908 e il 1915. “ La vita nella grandi città diventa sempre più inquieta. I nervi esausti cercano ristoro in stimoli più intensi, in piaceri piccanti. La letteratura moderna si occupa prevalentemente dei problemi scabrosi, che sommuovono le passioni, incoraggiano la sessualità e la sete di godimento, il disprezzo di tutti i principi etici e di tutti gli ideali: essa presenta allo spirito del lettore figure patologiche, problemi di psicopatologia sessuale e d’altro genere. Le nostre orecchie sono stimolate e sovraeccitate dalla musica invadente e chiassosa, somministrata in grandi dosi; i teatri tengono avvinti tutti sensi con spettacoli provocanti; anche le arti figurative si rivolgono di preferenza al ripugnante, al deforme e all’eccitante e non esitano a metterci sotto gli occhi, con rivoltante verismo, anche gli aspetti più mostruosi offerti della realtà” ( il brano è tratto dalla edizione dell’editore Paolo Boringhieri del 1977 pagine 13 – 14). Se consideriamo Freud uno scienziato capace di valutare la realtà, dovremmo tener conto di ciò che scrive, in caso contrario significa che uno stuolo di studiosi ha seguito gli insegnamenti di un farneticante reazionario. Cosa è successo negli oltre 100 anni che ci separano da quello scritto? Sono stati elevati alla dignità dell’arte orinatoi, barattoli di merda, rane crocifisse, atti sessuali e molto altro. E’ successo che con Internet la pornografia dilaga. Che la musica dei tempi di Freud è sepolta, è nata la musica rock seguita da masse entusiaste. E’ successo che la filosofia ha in buona parte archiviato il concetto stesso di spirito, valore, verità. Che non solo la sessualità, ma finanche il matrimonio tra persone dello stesso sesso, è stato omologato, inclusa la possibilità di adottare bambini. L’elenco di turpitudini è tale che certo non possono essere elencati in questo breve scritto. Dobbiamo pensare che questi “progressi” abbiano resa migliore, più civile la società? Temo che in molti sosterrebbero questa tesi, posto che i filosofi dell’arte non trovano nessun imbarazzo a scrivere elegie di opere che al tempo di Freud sarebbero semplicemente state impensabili. Viviamo beati nelle nostre putrescenti società come le mosche nelle feci. Sarà difficile ripristinare la decenza, più facile convincere le mosche a cibarsi solo di fiori.
piergiorgio firinu
Imposizioni democratiche.
Qualche intellettuale comincia a rabbrividire rendendosi conto della discrepanza tra progresso tecnico e morale. I nuovi strumenti tecnici ci hanno reso più potenti ma per nulla migliori. Goethe ha espresso ciò con semplici parole: “ nulla distrugge l’essere umano quando l’aumento del suo potere sia disgiunto dalla sua bontà”. Lenin immaginava un mondo unito dalla elettrificazione, in realtà il mondo è uniformato dalla corruzione, orami nemmeno più considerata tale, se non quando riguarda questioni economiche e monetarie. Ma non è solo il crollo del senso etico (ed estetico) , ma i colossali errori delle politiche sociali. Negli anni ’60 del secolo scorso sembrava che il problema più grave fosse quello demografico. In occidente si scatenarono furiose battaglie perché le donne non mettessero al mondo figli. In Africa e Asia continuarono a nascere figli mentre in Europa, Italia in particolare, vi fu un crollo della demografia. Gli stessi che ingigantirono il problema demografico, oggi si battono per l’arrivo di immigrati assumendo che è necessario colmare il gap tra nascite e morti. Tutto ciò non è privo di conseguenze. Il welfare dei paesi europei, introdotto da Bismarck, con l’arrivo di milioni di immigrati, molti con una quantità di figli, trova molte difficoltà ad essere applicato, oltre a costi enormi. Anche i proclami degli illuministi dopo la rivoluzione dell’89 “ Libertè, Egalitè, Fraternitè” , mai davvero applicati, oggi sono sempre più disattesi. I governi “democratici”, si trovano a dover imporre a cittadini riluttanti la convivenza e la spartizione delle risorse con i nuovi arrivati in nome di astratti principi socio-religiosi e di solidarietà universale. In compenso, ciò che non hanno potuto le dottrine politiche in Cina, Africa e Asia lo ha imposto il mercato che ha uniformato usi e consumi, con grande gaudio delle multinazionali, in primis quelle statunitensi. L’arte, more solito, segue pedissequamente lo spirito dei tempi, produce oggetti richiesti dal mercato. Non è cosa nuova. Dopo la rivoluzione borghese dell’89, seguita dal terrore e un bagno di sangue, emerse la figura di Napoleone Bonaparte, il quale, in spregio degli altisonanti principi di uguaglianza degli illuministi, si fece incoronare imperatore dei francesi. Il pittore Jacque-Louis David rappresentò le scene di gloria del Bonaparte, come anche lo scultore italiano Antonio. Canova. Oggi, epoca di democrazia apparente in nome della globalizzazione vengono imposte mutazioni antropologiche, cancellate le tradizioni locali, deturpati i linguaggi nazionali con neologismi anglosassoni. L’arte, da sempre flessibile alle mode e soggetta al potere si adegua alla globalizzazione adottando uno stile uniforme, uguale in ogni angolo del pianeta.
piergiorgio firinu
Le opere e i giorni.
Abbiamo in più occasioni affrontato la materia delle ragioni relative all’agire umano. Gli animali agiscono per istinto in vista di un fine. Le azioni degli esseri umani hanno ragioni molto più complesse, spesso semplicemente agiscono senza una ragione. La scelta pone di fronte alla responsabilità che però può essere ignorata. Pensiamo agli etilisti, tossicodipendenti, pedofili. Dopo avere dibattuto per secoli sul determinismo, e sul valore dell’etica, abbiamo optato per il cinico pragmatismo la cui foglia di fico è il mito della libertà. La concezione standard sulle azioni, ha come riferimento a due termini: desiderio e credenza. Ma cosa accade quando non vi è alcuna credenza? Tutta la cultura contemporanea è orientata a giustificare il soddisfacimento del desiderio. Vi è un carpe diem permanente, quello che per il poeta Orazio costituiva l’attimo, la locuzione significa “cogli il giorno”, è diventata la cifra della modernità priva di etica. L’arte contemporanea costituisce anch’essa un momento privo di storia e di futuro. Opening , installazioni provvisorie, opere con materiali deperibili, sembrano esprimere la rassegnazione e l’inutilità dell’arte insieme all’ idea del transeunte
piergiorgio firinu
La fantasia logica
Quando si affronta il tema dell’arte, ci si trova immersi in un bailamme di sproloqui di vario genere, quasi che l’arte sia null’atro che un diversivo ludico la cui storia è solo una sequenza di modalità di esecuzione. Quando, intorno all’anno mille il matematico arabo Alhazen affrontò il tema della prospettiva, aveva in mente un’idea della rappresentazione riferita a canoni scientifici ben precisi. La realtà dei fenomeni ha natura oggettiva, dunque l’artista, quale che sia il fenomeno che intende rappresentare, dovrebbe collegarsi al significato, nel senso descritto da Platone. L’arte dovrebbe costituire un ponte tra il sapere e l’esistenza empirica. Ogni sapere è nella sua forma e nella sua essenza volto alla determinazione. Se l’arte si abbandona all’indeterminatezza, per ciò stesso viene meno alla sua funzione. Va da sè che, anche una motivazione priva di costrutto logico è nulla. Secondo Goethe ogni oggetto, rettamente considerato, rivela in noi un nuovo organo della visione. La ricchezza dell’arte consiste nella possibilità, sottolineata da Hilbert, che la grande quantità di relazioni possibili vengano raccolte in un singolo oggetto e rappresentate in virtù di quell’’oggetto. I giudizi sull’arte si pronunciano spesso intorno a possibilità che non trovano riscontro nella rappresentazione. Ovvero, la rappresentazione si traduce in pura tautologia. Un esempio è l’opera di Mario Merz che si richiama al matematico Leonardo Pisano, detto il Fibonacci, e la sua sequenza dei numeri. Che significato può avere la riproposizione visiva dei numeri se non il senso della nota derivazione di Dedekind.Già in Bacone l’obiezione essenziale che viene mossa contro ogni pensiero concettuale, è che esso si ferma all’immagine, ovvero ad una realtà già sperimentata e non è in grado, particolarmente nella forma artistica, di esprimerla se non trasformandola,e in questa trasformazione, la falsifica. In tal modo la pretestuosità dell’arte che vuol farsi concetto , si traduce in puro arbitrio privo di ragione. Il concetto, comunque espresso, non può porre né produrre alcun nuovo contenuto della conoscenza ; esso può solo spostare in diverse maniere, unire e separare a piacere idee semplici che gli vengono offerte dalla sensazione. I modi sui quali si sofferma Locke, nascono dall’intelletto quando la percezione interna resta inespressa, priva di connessioni esterne in grado di rappresentarla in modo appropriato. Anche Berkeley condanna i concetti che, o si traducono in tautologia, come abbiamo visto sopra, oppure restano articolazioni indeterminate e, come si esprime Berkeley: “ Non rendono lo spirito più acuto, bensì più ottuso nel cogliere l’unica vera realtà, che ci è data dalla percezione”. L’arte, più in generale la cultura contemporanea, ha risolto il problema rifiutando la stessa concezione di spirito, di verità, di sensazione intelligente. Quello che resta è ciò che vediamo nelle fiere dell’arte.
piergiorgio firinu
Mani e Narciso
La nostra è l’era dell’apparenza e dell’ignoranza. Un binomio pericolossimo che concorre in misura rilevante a capovolger il senso delle cose. Siamo dominati dalla religione fondata da Mani nel 250 d.c. Il manicheismo era allora manifesto e dichiarato, oggi è subdolo, si maschera da tollerante progressismo, condito di rassegnazione. Il gemello parlò a Mani da un riflesso sull’acqua. E’ riesumato il mito greco di Narciso,associandolo alla fatuità di un riflesso. Nihil novi sub sole,la nostra “cultura” è costituita in prevalenza di immagini supportate da parole che non tengono in alcun conto la verità. Che si tratti di costruire episodi di razzismo per incrinare la compattezza di una nazione, o si tratti di costruire effimere icone dell’arte, il processo che viene messo in moto ad hoc non tiene in alcun conto i fatti che devono essere adattati alla narrazione di una weltanschauung di una inesistente democrazia. Quando Hegel, nella sua lezione di psicologia afferma che la madre è il genio del bambino, descrive il necessario punto di partenza dell’educazione e presume che i trascorsi della madre la rendano adatta a dare un imprinting positivo al figlio. E’ ben chiaro che oggi le madri, le donne in generale, pretendono soprattutto una libertà totale, come non manca di ripetere la signora Boldrini presidente pro tempore della Camera dei Deputati. E’ fin troppo ovvio che ciascuno di noi prima di essere un artista, un operaio, un politico, è stato un figlio. Se la condizione di figlio è improntata in modo errato, crescerà un essere umano sbagliato, non ci sarà modo di modificare o annullare l’imprinting ricevuto. I paralogismi della contemporaneità saltano sempre la prima parte della storia e la teleologia delle azioni. E’ del tutto ovvio che la libertà implica innanzi tutto liberarsi dalle responsabilità. Una “libertà” consapevole è una libertà che si autolimita. Per considerare il cavallo di battaglia del femminismo, la libertà sessuale, mal si concilia con la famiglia, con i figli. Infatti la famiglia nelle società occidentali è solo più una provvisoria finzione. I figli, molto spesso senza padre, o con un padre diverso da quello biologico, vivono una frustrante solitudine. Non a caso vi è una crescita esponenziale in questi ultimi anni di tossicodipendenti, alcolisti, prostituti/te, criminali, in giovanissima età. La fatuità rumorosa della modernità impedisce il silenzio della riflessione, si autogiustifica con la segmentazione dei fatti. Ogni singolo fenomeno sembra scaturire dal nulla. Le donne lamentano di essere oggetto di violenza, ma non considerano che i violenti sono figli di donne, hanno avuto l’imprinting da donne. L’arte nasce in questo contesto sociale. Gli artisti non hanno una propria visione del mondo. Come scrive Friedrich Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”: “ Nessun pastore e un sol gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente va da sè in manicomio”. Dostoevskij e Nietzsche hanno introdotto la nozione di idiota, sulla base dell’evidenza della modernità che si andava profilando. Le opere e i giorni sono legati dalla follia di un mondo senza futuro, dove le donne affittano anche l’utero e l’arte si bea del proprio nulla che giustifica adducendo “l’essenzialità del segno”.
piergiorgio firinu
Femminismo,arte, denaro.
La storia dell’arte registra gli eventi dando ad essi una cronologia e un filo conduttore che fanno apparire le varie sequenze come un’evoluzione logica. Nei fatti, fino ad una certa epoca, la storia dell’arte ha avuto un senso. Nel ‘700 l’Italia era un faro per l’Europa. Nel 1748 il sovraintendente de Marigny, fratello di Madame de Pompadour, intraprese, con Soufflot e Cochin, un viaggio di studio in Italia, dando inizio all’usanza dei pellegrinaggi nel nostro paese. Con Winckelmann comincia la ricerca archeologica sistematica, per opera di Mengs. Dunque l’arte aveva una forte caratura culturale e storica, senza risvolti ideologici o pretese concettuali. Nel momento in cui la borghesia prende il soppravvento anche l’arte diventa oggetto di mercato. Il carattere culturale si attenua, prevale l’aspetto commerciale. Tuttavia i tempi della storia non sono brevissimi, l’evoluzione dell’arte diventata merce, inizia gradatamente ad evolversi in senso peggiorativo, aumenta contemporaneamente il supporto dei critici alle varie forme d’arte. Tutto avviene con una certa gradualità. Fino a quando alle esigenze mercantili si contrappongono posizioni ideologiche. Le prime avvisaglie erano apparse nel romanticismo. Per quanto possa apparire strano oggi, il romanticismo nacque come corrente d’avanguardia. La deflagrazione nel mondo dell’arte, avvenne tra la fine del ‘800 e l’inizio del ‘900. Futurismo, Dada, Surrealismo furono i movimenti artistici che diedero il via alla deriva dell’arte. Mentre il surrealismo, conservava ancora interesse per la pittura e una traccia delle forme d’arte “convenzionali” , come in parte anche il futurismo, al di là di manifesti e proclami,la corrente Dada nasce come forza d’urto distruttiva, volta a demolire ogni forma di arte com’era stata fino ad allora. Un gruppo di artisti e intellettuali si riunisce nei locali del Caffè Voltaire a Zurigo, e, scegliendo a caso una parola sul dizionario, si autodefinisce Dada. La sua patria di adozione diventa presto New York, dove vi era molta ricchezza e scarsa cultura artistica. Agli artisti americani non parve vero di aver trovato uno strumento per intaccare il predominio culturale dell’Europa. E’ questa la ragione per la quale il rumeno Tristan Tzara, il maggior teorico e strenuo difensore della corrente, trovo entusiastica accoglienza a New York dove già allora il mondo dell’arte vedeva una grande preponderanza femminile. Come scrive Aline B. Saarinen in “I grandi collezionisti americani” tra i quali spicca Katherine Sophie Dreier, la ricca ereditiera che finanziò l’altro noto protagonista del gruppo, Marcel Duchamp. La Dreier era una convinta femminista, partecipò come delegata all’incontro femminista internazionale che si svolse a Stoccolma nel 1911. Fin d’allora femminismo e arte s’incrociano, con due risultati. Il primo spostare gradatamente l’asse del sistema dell’arte dall’Europa a New York, il resto degli Usa rimasero ancora a lungo lontani dal mondo dell’arte. Come conseguenza creare le premesse, con l’ausilio dei ricchi mercanti e collezionisti americani, che John G. Johnson aveva definito “squilionari”, per ottenere il predominio americano nel sistema dell’arte che iniziò con astrattismo e culminò con la Pop Art. Ciò che stupisce in tutto questo gioco di potere e denaro, è l’assoluta passività dell’Europa, anche tenuto conto che fin dall’allora la Gran Bretagna era la testa di ponte degli Stati Uniti nel vecchio continente.
piergiorgio firinu
Cosa sappiamo della realtà?
L’ontologia riguarda la realtà, la cui essenza è del tutto indipendente da noi. L’epistemologia riguarda invece ciò che sappiamo della realtà. Consideriamo che la più importante rivendicazione dell’illuminismo riguarda l’autonomia, cioè la libertà di pensare individualmente, la cui inevitabile estensione retorica sottolinea la necessità di sottrarci ai dettami dell’autorità in ogni campo, ci troviamo di fronte ai semi di un’anarchia che fa perno sulla supposizione che le persone sono agenti autonomi ed hanno coscienza della responsabilità delle loro decisioni. Quali sono le conseguenze di questi presupposti? Intanto la nostra conoscenza è quasi sempre settoriale e approssimativa. Dipendiamo da esperti la cui competenza non siamo in gradi di valutare. Cosa succede nel caso, non infrequente, in cui il sistema di valutazione degli esperti sia corrotto, ovvero indirizzato a interessi di parte? Esempio emblematico le perizie giudiziarie. Ognuna delle parti si avvale di un perito le cui conclusioni, guarda caso, sono favorevoli a chi l’ha assoldato. Da quando è stata abolita la pittura nessuno, nel settore dell’arte, è più in grado di valutare il valore di un’opera. La presunzione che un individuo sappia e voglia decidere secondo giustizia, non secondo convenienza, è francamente apodittica. Si è diffusa la tesi “sodomia e lesbismo uguale libertà e civiltà”. La stessa tesi non è mai stata così rimarcata per gli etero. Quando la lesbica o il sodomita si accingono a compiere atti sessuali, hanno in mente di compiere un gesto di libertà? Di ribellione? O cos’altro? Per essere davvero realisti dovremmo innanzi tutto chiamare le cose con il loro nome e cercare di capire le motivazioni dell’agire. Sicuramente ci troveremmo in notevole difficoltà. Per secoli si è dibattuto sull’esistenza del libero arbitrio, ma non pare che i filosofi siano giunti a conclusioni condivise. Molti filosofi considerano un grande errore la negazione che il mondo esista solo perché lo percepiamo. Questa tesi, in forma diversa, è stata sostenuta da Bacone, Cartesio, Hume, Kant, Leibniz, Locke, Spinoza. Nessuna di queste teorie ha inciso più di tanto sui concreti comportamenti umani. Le femministe, appropriatesi del sapere filosofico, hanno deviato l’attenzione sui problemi di genere, arrivando a mettere in discussione la stessa distinzione naturale tra maschi e femmine. Se dalle teorie filosofiche passiamo alle considerazioni politiche, ci rendiamo conto che sia nell’ambito della sinistra come della destra, l’intellighenzia s’inginocchia di fronte al volere delle masse, la cultura contemporanea non guida ma segue. Le teorie del neo-realismo portate avanti da Maurizio Ferraris, devono fare i conti con il crescente imperio del virtuale. E’ in corso una mutazione nel vissuto, nello stesso concetto di realtà. Se a questo aggiungiamo la rimozione di ogni principio etico, ci troviamo sotto in un vuoto nel quale fatica il proseguimento del pensiero. La competizione per sempre maggiori margini di libertà, non può far altro che adottare le varianti ontologiche della pornografia per guardare in modo più profondo le viscere della realtà libera da norme etiche. Se prevale il pragmatismo opportunistico non c’è dubbio che si amplia lo spazio per crimini e misfatti che producono reddito senza pastoie ideologiche. Siamo avviati alla dissoluzione della civiltà, così come è stata creata in 6000 anni di storia.
piergiorgio firinu
Qual è l’oggetto della sociologia?
Ogni scienza ha un oggetto, qual’è l’oggetto della sociologia? Durheim, nel libro “Le regole del metodo sociologico” , sostiene che la sociologia non ha oggetto. Stuart Mill pone come condizione per una scienza sociologica la semplice esistenza del determinismo, per il quale ciascuno stato delle cose, in ciascun istante risulta semplicemente dallo stato anteriore. Se questo è vero la storia sociale dell’arte di Arnold Hauser è la trattazione analitica di un reperto, autopsia di corpo morto. Questo perché la sociologia è una sorta di biologia della società, possiamo rappresentacela come Esprit des lois. Ma cosa succede quando le norme sociali vengono disattese o addirittura sovvertite? La società è costituita da raggruppamenti sociali che seguono norme e riti. “L’Uomo savio” di Baltasar Gracian è una sociologia scritta da Machiavelli. Secondo Parson la sociologia è un insieme di categorie descrittive. Kant considerava la natura un’opera d’arte eseguita secondo fini. La cultura contemporanea nega l’idea di natura. In breve la sociologia è una parola a cui si attribuiscono vari significati. Riscrivere la storia della sociologia da Comte, Durkheim, Weber, Parson Lazarsfeld, significherebbe non scrivere la storia di una disciplina, ma di una parola che non ha un percorso lineare. Cosa resta della sociologia tedesca da Tὄnnies al nazismo? La questione vera è che si inizia a giocare con le parole e si finisce per travolgere l’insieme dei comportamenti sociali. Negli anni ’60 del secolo scorso il Gruppo di Roma lanciò martellanti campagne in tutto l’occidente, in Italia in particolare, denunciando il rischio di un boom demografico. Venivano colpevolizzate le donne che partorivano figli. La campagna stampa, supportata dall’ideologia femminista, ha avuto successo. Oggi, giugno 2016, l’Italia è il paese in occidente in cui nascono meno figli. C’è stata qualche ammissione di colpa? Assolutamente no. La soluzione che viene proposta è di far arrivare in Italia trecentomila immigrati all’anno.
piergiorgio firinu
I mezzi e i fini.
Oggi la situazione dell’arte è tale per cui ognuno può improvvisarsi artista, anche quando è privo di cultura. Per cultura intendo cultura tecnica, come è richiesto per l’esercizio di ogni mestiere, e cultura umanistica che nutre e ispira, o dovrebbe ispirare, la creazione artistica. La percezione individuale, l’arricchimento della visione hanno per condizione che si sappia agire in modo adeguato. Una critica d’arte culturalmente attrezzata, di fronte a un’opera, si pone molte più domande e vede molte più cose di quante ne veda l’uomo della strada. La ricchezza di visione di Burckhardt che contempla il Rinascimento italiano, gli permette di aiutarci a capire molto di più di quanto la nostra visione ci consentirebbe Per l’artista, un vissuto privo di profondità rende povera la sua opera. Vi è una ragion d’essere nella educazione secolare alla visione. Il valore non si trova in ciò che l’artista dice, ma in ciò che produce. Frege diceva che due espressioni possono avere lo stesso significato, ma un diverso senso. Questo vale a maggior ragione nell’espressione formale. Ludwig Wittgenstein nella preposizione 6.421 del Tractatus logico-philosophicus scrive: “Etica ed estetica son uno”. Richiamarsi alla “passione” per giustificare la scelta, è per lo più un truismo. Per Foucault le passioni non appaiono mai alla stato selvaggio (puro), ma sempre abbigliate con il costume dell’epoca. Infatti non è l’intelletto che decide la passione. L’arte, come la scienza, è organizzazione dei mezzi, entrambe sono normative e descrittive, così che i fini di per se non c’insegnano nulla, se non sono riscontrabili nell’opera compiuta.
piergiorgio firinu
Sapere al neon.
Se il compito della scienza consiste nell’articolare in linguaggio verbale o matematico i fenomeni della natura dai quali trarre le leggi che consentono interventi pratici, l’arte non svela nulla, non compie indagini,si limita a creare forme simboliche. Se la scienza scopre, l’arte si trova ai confini tra significati ontologici e significati che appartengono alle teorie della comunicazione, essa costituisce l’orizzonte mobile di proposte delle possibilità della forma tra il reale e l’immaginario. La materia dell’arte assume senso in base all’utopia progettuale. L’arte migliore adotta l’azione espressa dal verbo greco “proballein, che significa gettare avanti. Le opere parlano dell’intelligenza dell’artista, delle soluzioni che egli apre alla partecipazione. Se il mondo è quello che c’è, quello che c’è è riproposto e riprogettato dalla sapienza del segno. La metafora dell’arte non è codificabile , essa dispiega, explica, in significati multipli le possibilità della materia. La ricerca della verità dell’artista, non può essere un percorso di pura evasione. Heidegger esaminò questa prospettiva, partendo dal termine greco per indicare la verità “Aletheia” egli tradusse in disvelamento basato sull’analisi del termine composto da “lete” , svelamento, nascondimento,oblio, e il prefisso negativo “a”. Il concetto si basa sull’idea che è “vero” o, meglio, che accede all’ambito della verità, ciò che emerge dalla creazione formale dell’artista. L’immagine è la rappresentazione di una verità la cui essenza, proprio perché non codificabile, la rende preziosa. Dal punto di vista concettuale la presentazione della verità formale, si contrappone alla metafisica inaugurata dalla dogmatica di Platone e di altri presocratici. L’arte riscatta cosalità mute, prive di senso, lontane dai segni. Nelle tecnologie moderne, secondo Heidegger i concetti sono eccessivamente riduzionisti per ragioni funzionali. E’ questa la ragione per la quale quando l’arte si avvale della tecnologia snatura se stessa e cade nella cosalità priva di valore. Un sapere manipolabile, “ciò che è dato” alla percezione senza comprensione. Un sapere al neon, com’è definito da Sloterdijk. Si dà il caso che il neon sia molto usato da artisti contemporanei.
piergiorgio firinu
Stratagemmi convenzionalistici.
Il dibattito epistemologico sulla socializzazione dell’arte è stato obliterato dallo sviluppo del mercato. L’inverificabilità delle teorie sull’arte apre il campo ad ogni anomalia che possa essere suffragata da stratagemmi convenzionalistici, esemplificati nella nota affermazione “è arte ciò che è considerato arte”. Intorno a questa tautologia si è sviluppato un dibattito surreale il cui obiettivo non è, un apporto di verità, per quanto possibile, ma il confluire della retorica in grado di contrabbandare come atto di libertà espressioni di ignoranza. In ogni caso, anche cambiando i principi dell’arte, ciò non esenterebbe l’artista dalla necessità di determinare un rapporto con i fenomeni che rappresenta al di là della pura raffigurazione, pena cadere nella pittura cartellonistica, tipica di buona parte della Pop Art. Il sistema del’arte, come sta sviluppandosi, si sottrae alle prassi artistiche tramandate nei tempo, senza tuttavia trovare forme espressive che abbiano una precisa connotazione ontologica, quella che un tempo era definita “corrispondenza con la realtà” . Popper cercò di superare la difficoltà con l’interessante distinzione tra logica e psicologia. Anche ammesso che l’arte possa prescindere dalle idee, la giustificazione del segno non può avere una natura nebulosa, non basta far ricorso a rivendicazioni di libertà che spesso coincidono con il non senso. I metodi usati da una possibile verifica, possono interessare una questione di fatto – il “quid facti?” Di Kant – o questioni di giustificazione o validità - “il quid juris? “Di Kant-. Certo la soluzione peggiore è far ricorso a elementi arbitrari nei quali confluiscono casualità e personalizzazioni. Queste ultime possono costituire la spinta ad operare, non la giustificazione dell’opera. Anche nell’arte, l’epistemologia dovrebbe essere in grado di concretizzare principi normativi, che possono essere innovativi fin che si vuole, ma non possono essere sostituiti da intimismo, una sorta di omeostasi, un soggettivismo che si scontra con le ragioni stesse della comunicazione. Se questo avviene il linguaggio dell’arte è ridotto a soliloquio. Come sosteneva Von Neumann, il linguaggio è un fatto storico, esso può assumere varie forme, ma il senso deriva dall’intelligibilità che non può prescindere da una base empirica, all’interno di una logica normativa, che può essere frutto di libera scelta, non di puro arbitrio. La critica d’arte trascura abitualmente la correlazione, vale dire il nesso che esiste tra giustificazione e teoria. In questi ultimi decenni i modi di vita sono mutati più rapidamente delle riflessioni che li riguardano. La scelta peggiore è lasciarci trascinare dalla corrente dimenticando che la corrente scende sempre verso il basso. Di certo non c’è stato soccorso da parte della letteratura divulgativa corrente, i “divulgatori” sembrano pensare che il futuro si avveri nominandolo. L’artista dovrebbe essere come gli storioni che risalgono la corrente per depositare a monte il frutto del loro lavoro, non correre il rischio che, trascinati dalla corrente, finiscano, come purtroppo è già accaduto a molti, nella fogna del qualunquismo assumendo che la sopportazione del fetore è il prezzo che si deve pagare per il consenso.
piergiorgio firinu
Il linguaggio è la coscienza reale.
La consapevolezza che vi sono vari progetti possibili di trasformazione della realtà, in particolare della natura, vi è sempre stata. Secondo Aristotele: “ la natura si presenta come un ideale che è compito dell’arte realizzare o ristabilire, come norma della quale l’arte, per raggiungere i suoi scopi, deve seguire precetti e indicazioni”. Coloro che vogliono imporre una cesura tra i diversi periodi artistici, o addirittura negare la consequenzialità nella narrazione dell’arte, il meno che si possa dire è che peccano di presunzione. E’ innegabile che possano esserci più visioni del mondo, questa è la ragione per la quale non hanno senso apriorismi definitori, in senso negativo o positivo. Scrive R.K. Merton:” Con l’aggravarsi dei conflitti sociali, le differenze di valori, di atteggiamenti e di processi mentali fra gruppi si accentuano fino a che gli orientamenti che i gruppi avevano in comune vengono oscurati”. Non solo si sviluppano differenti opinioni, ma l’esistenza stessa di ciascun gruppo trova la propria ragion d’essere nel negare legittimità agli altri. La coesistenza all’interno di una medesima società diventa problematica, il confronto tra opinioni impossibile. Siamo ben oltre le dotte argomentazioni di Karl Marx, il quale oltre ad ammirare l’arte dell’antica Grecia, nei suoi scritti citava spesso lo “spirito”. Egli scriveva: “ fin dall’inizio lo spirito portò con se la maledizione di essere infetto dalla materia che si presenta come strati d’aria agitata da suoni: il linguaggio..” Il linguaggio è antico come la coscienza, anzi il linguaggio è la coscienza reale , pratica, in comune con i gruppi sociali senza distinzione di classe, salvo sfumature per i diversi gradi di cultura. A determinare la differenza è il grado di consapevolezza che distingue le singole azioni, l’agire umano in generale. E’ noto il brano del Capitale nel quale, Marx si richiama alla nota definizione di Biagio Pascal: “l’uomo come canna che pensa”. L’autore del Capitale scrive : “Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l’ape fa vergognare l’architetto con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall’ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera”. Dunque ciò che distingue l’attività umana è l’aspetto progettuale, l’idea che precede il progetto. Ecco dove si colloca il principio di responsabilità. Le rozze generalizzazioni della cultura contemporanea, la preminenza dell’aspetto emozionale, che porta ad esempio ad esibire il corpo umano come una sorta di ready –made certificano la rinuncia alla razionalità creativa. Sono state le avanguardie del secolo scorso che, in nome della libertà dell’arte, hanno preteso di azzerare valori e modalità tecniche della produzione artistica. La pretesa di innovazione radicale portava a un’insanabile cesura. Oggi comincia a profilarsi una maggiore consapevolezza, che però è condizionata dal fattore economico, visti i grandi interessi in gioco e il vuoto culturale che nel frattempo si è creato.
piergiorgio firinu
Retorica e decezione.
La retorica è lo strumento attraverso il quale si manifesta un pensiero, come tutti gli strumenti è neutra, caratterizzata dalla natura del pensiero che promuove. L’eccellenza linguistica dovrebbe corrispondere ai valori che esprime. Siamo subissati da libri e discorsi che sono altrettante finzioni. Di cosa parliamo quando ci appelliamo al “sentire comune”. Il sentire comune non ha nulla di spontaneo, è costruito dalla lettura di libri e dai media. Roberta Martina Zagarella nel saggio:” La dimensione personale dell’argomentazione”, sviluppa la tesi secondo cui la retorica è questione emotiva e personale. La retorica collegata alla fisicità di chi argomenta. Se questo è vero, si rendono necessari anticorpi per conseguire condizioni di obiettività legata alla dimensione razionale. Arthur Schopenhauer quando scrisse “L’arte di ottenere ragione”, indicò una serie di artifizi verbali fatti propri dagli intellettuali. Lo snodo consiste nel chiederci se, nella argomentazione retorica si miri all’efficacia, ovvero si abbia come fine la verità. Siamo circondati da affabulatori le cui argomentazione sono tanto convincenti quanto decettive. Nel “Trattato dell’argomentazione” Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, viene messo in luce come l’articolazione retorica sia tanto più efficace quanto più va incontro e interpreta, opinioni e desideri di coloro a cui è rivolta. Quindi efficacia e verità sono antitetiche. L’avvocato che sviluppa una tesi difensiva, non ha alcuna preoccupazione per la verità. Certi testi del femminismo sembrano adombrare la lettura di Ludwig Feuerbach in chiave intimistica. Le teoriche del femminismo hanno dato ampio spazio all’emotività a scapito della razionalità. Partendo da una base di verità, sono state sviluppate teorie che, oltre ad essere zoppicanti dal punto di vista logico, spesso collidono con natura e antropologia. Gli aggregati umani sono andati articolandosi nel corso dei secoli in base al principio di necessità, non attraverso la soprafazione come sostengono alcune teorie femministe, che entrano in conflitto anche con l’idea di natura. Tanto che le femministe francesi hanno definito fascista la stessa natura. Ogni discorso retorico dovrebbe muovere all’interno di un confronto. Aristotele definiva questa prassi “sinestesia” , ovvero sentire comune. Ma il “sentire comune” ai tempi dello stagirita non era inquinato da media e dall’insinuante propaganda femminista nelle scuole e in ogni sede di comunicazione. Pensiamo, ad esempio, al martellamento costante di film e telefilm Made in Hollywood, Sodoma contemporanea. Quali forme di difesa può attivare il comune fruitore di questi messaggi espliciti e/o sublimali, recepiti anche da adolescenti. Ecco dunque che la retorica uscita dall’alveo di un confronto culturale, entra nell’ambito della manipolazione di massa i cui comportamenti finiscono per rispecchiare i modelli divulgati dai media, che, a loro volta, sono condizionati dal mainstream. Si crea un cortocircuito che esclude razionalità ed etica. Purtroppo ogni confronto è impossibile. Il tentativo di modificare la mentalità diffusa si scontra con enormi difficoltà. Viene in mente il protagonista dell’aneddoto narrato da Agostino. Il bambino che pretendeva di travasare in una buca fatta nella sabbia tutta l’acqua del mare. Per quanto riguarda il sistema dell’arte, dietro all’astratto discorso retorico si nascondono sconfinati interessi di mercato. Alla famigerata industria culturale degli anni ’50 si sono aggiunti interessi del cinema di consumo, e spettacoli tv di una volgarità stupefacente; protagoniste di primo piano le donne che continuano ad esibire il corpo come Ready –Made.
piergiorgio firinu
L’arte e la pretesa di autoreferenzialità.
L’idea che l’arte abbia una totale autoreferenzialità è ingenua. Si confondono le posizioni soggettive dell’artista con la funzione sociale dell’arte, separata dalla consapevolezza dei singoli. Se i filoni costitutivi della maturazione dell’artista sono deviati da un’eccessiva sottomissione al mercato, si alimenta il feticismo. L’uomo, come produttore e consumatore, è sempre più dominato dalle cose, a prescindere che siano dotate di proprietà culturali o sociali, questo significa essere preda del feticcio della merce in cui è inclusa la produzione artistica. Sia chiaro, non stiamo formulando ipotesi teoriche, registriamo semplicemente ciò che è in atto, questione che rientra in una controversia che dura da almeno cento anni. La contraddizione sul concetto di valore e di costo, affrontata in altri ambiti da Sraffa, è esattamente ciò che produce ed alimenta la propensione feticistica che trova spazio nel vuoto dell’irrisolto. Il processo che conduce alla consapevolezza non può avvenire mediante ciò che usiamo definire “intuizione”. Al contrario, l”intuizione” è sbocco finale di un processo di conoscenza meditato. Troppo tardi H.Marcuse è pervenuto alla consapevolezza che lo spontaneismo, di cui era promotore, costituiva il grimaldello con cui l’anticultura, e conseguente mercificazione dell’arte, è un generico richiamo alla “libertà d’espressione”. Oggi la cultura accademica condivide lo spontaneismo espresso all’inizio dalla filosofia di Marcuse. La rivoluzione dell’arte è naufragata nel mercato. L’unica possibilità di risalire la china, consiste nel tentativo di riesumare i valori umani diversi dalla compravendita. E’ grave la responsabilità di chi, facendo leva sulle debolezze e sul carattere misticheggiante di critici irrazionalisti, ha posto il falso dilemma tra progressisti e oscurantisti. Falsa e dannosa l’idea che l’epistemologia non abbia rilevanza. Capire valore,significato e funzione sociale dell’arte è la premessa necessaria per una possibile riacquisizione di senso. Non è possibile restituire valore sociale all’arte, senza prima darne una definizione adeguata. L’atto produttivo dell’artista, non può essere disgiunto dalle ragioni che lo motivano.
piergiorgio firinu
Percezione.
Alla fine della seconda guerra mondiale due intellettuali francesi assunsero posizioni opposte nei confronti del marxismo. Maurice Merleau-Ponty era contro i processi montati a Mosca da Stalin. Jean-Paul Sartre era invece favorevole. Va da sè che, di tutto il dibattito che ne è seguito, non è rimasto nulla. Le riflessioni e le opere di entrambi gli intellettuali furono rubricate come esistenzialiste. Entrambi avevano posizioni diverse anche sull’arte in generale. Oggi non sono più possibili confronti accesi sull’arte. Domina il nichilismo. Essere radicali significa prendere le cose alla radice e per l’uomo “La radice è l’uomo medesimo” (Marx). Nell’ansia globalizzante l’io non è stato mondializzato. Diceva Nietzsche:” tutta la bellezza, tutto il sublime che abbiamo attribuito alle cose reali o immaginarie, voglio rivendicarlo come la proprietà e il prodotto dell’uomo….” . Scegliendo dei titoli incongrui per i capitoli di “Ecce Homo” Nietzsche finisce per dimostrare l’inizio della sua fuga verso la pazzia, unico punto di approdo per chi possiede una lucida visione del mondo. L’essere si definisce in molteplici modi, sottolineava Aristotele, l’essere dell’uomo e delle cose, delle cose in rapporto all’uomo. La fertilità del pensiero nasce dall’ingenuità di credere come possibile la verità. E’ ben poca cosa una cultura che si affida a una ginnastica dialettica nella quale il linguaggio resta incrostato di tutte le ambiguità. Quando affermo l’albero è verde, l’albero è definito come soggetto della mia preposizione e il verde con cui qualifico l’albero è il predicato. In autunno l’albero non sarà più verde, dunque il verde è solo un accidente primaverile. Anche il porro e l’erba sono verdi dunque il verde non appartiene all’albero. Questa difficoltà di definizione delle cose è fatta propria dalla pittura quando Chagall dipinge con colori e in posizioni improbabile i suoi personaggi, esprime una possibilità, per quanto remota. Merleau-Ponty in “Fenomenologia della percezione” affronta questo tema che esattamente come i suoi dibattiti con Sartre sul marxismo, è stato archiviato senza essere risolto nel senso di un significato ontologico, oltre che gnoseologico dell’arte in quanto linguaggio della sensibilità formale. Il mondo “è unità che ha in sè tutte le opposizioni” . Compito dell’arte è la narrazione della possibilità estetica. L’arte espresse i principi primi della conoscenza umana, “cattolica”, parola che deriva dalla lingua greca, significa orientato verso la totalità degli esseri verso le cose come sono. Nelle Grotte di Altamira e di Lascaux l’uomo tracciava segni per evocazione magica ed esercizio di conoscenza e ricordo. La simbologia dell’immagine si è persa in un mare d’ indifferenza. Quando Sandro Botticelli dipinse “La nascita di Venere” nel 1477-1478 era ancora viva la conoscenza della lingua greca. Afrodite, anche nota come Venere, deriva dal greco aphros, schiuma, ed esprime la fragilità della bellezza che come schiuma si forma e si dissolve nel pensiero creativo, è l’essenza dell’arte. Oggi sono arte le sculture di Richard Serra,pesanti parallelepipedi di acciaio di fattura industriale. Gli artisti americani giocano spesso sul gigantismo, sulla pesantezza, o all’opposto su lacerti consumisti della Pop Art.
piergiorgio firinu
Linguaggio e segno
La negatività del soggettivismo delle “avanguardie” consiste nella presunzione di poter azzerare la storia adattandola alla propria visione del mondo e/o “farsi piacere la costruzione del gusto” come recita il titolo recente di Emanuele Arielli. E’ significativo che, a partire dall’inizio del secolo scorso, tutti i movimenti artistici si sono fregiati (o sfregiati) della definizione di avanguardia. Quando Giuseppe Penone, in una recente intervista a un quotidiano sostiene che: “….Se vado a New York mi è impossibile continuare lo stesso tipo di lavoro, sono costretto a lavorare con i mezzi tecnici, le logiche e la cultura di New York , perdo la mia identità, E cosa è più importante nell’arte se non le identità?”. Assunto che rispecchia interamente la tesi di cui sono intessuti tutti i miei scritti e filmati. Peccato che, voltando la pagina dello stesso quotidiano che riporta l’intervista, si legga la segnalazione di una mostra di Botto & Bruno dal titolo: “ Society you’re a crazy beed”.Qualunque sia il tema della mostra, non credo possano esserci dubbi sul fatto che, se l’arte ha radici nel luogo in cui nasce, a maggior ragione il linguaggio è la caratteristica distintiva di un popolo. Cos’è se non provincialismo dare un titolo inglese a una mostra che si svolge a Torino? A meno che non nasca come prodotto di esportazione e richieda una etichetta nel linguaggio dominante. Il problema, sit venia verbis, è l’ignoranza che si ammanta di attualità. Il difficile compito dell’artista è dare significato all’apparenza. Non si conosce il mare guardandone la superficie. La china che da tempo trascina l’arte, consiste nei processi di contestazione, immaginata semplicemente in nome di un altro ordine. Si dovrebbero avere basi solide e idee chiare. Così non è. Non esiste contestazione senza fini. Come la filosofia che non è esercitata come ai tempi dei Greci, l’arte privata ha un’esistenza pubblica che riguarda la collettività. L’arte non può essere ridotta a cosa di assessori e intrallazzatori di sottogoverno che finanziano Fondazioni e Musei, vedi il Maxxi di Roma, per ragioni partitiche. E’ improprio fare appello alla socratica ignoranza appellandosi all’emozione. Il mito, scrostato dal tempo, ha reso evidente che l’oracolo di Delfi mentiva. Socrate non era forse il più sapiente degli uomini, ma qualcosa sapeva, anche se non ha mancato di creare imbarazzo ai suoi interlocutori attraverso quell’irriducibile aporia che tutt’ora è usata da molti. Aristofane facendo suo “so di non sapere” , ha, dopo secoli, stimolato la risposta di Kierkegaard il quale si è sottratto al soffocante hegelianismo. Come Socrate, apparentemente l’ironista del “non so niente” , dissimulava la sua autentica arte, la “maieutica” . La capacità maieutica dell’artista consiste nel far emergere sensibilità ed emozione, questo non avviene con cavalli infissi nei muri, scarabocchi su tela, reperti di recenti di strutture industriali.
piergiorgio firinu
La logica della creazione
Vi è una parola Akrasia, ovvero debolezza della volontà, che in molti casi caratterizza i comportamenti . Vi sono gli astuti imprenditori del disagio sociale, come il sig. Ciotti, il quale ha istituito addirittura corsi contro la pulsione consumistica. Secondo le teorie di John R. Searle, la soggettività produce uno squilibrio che porta al solipsismo esasperato. In buona sostanza la frammentazione degli stati di coscienza, conseguenza della perdita di controllo, e comportamenti non ortodossi, producono squilibrio, di fatto l’abbandono del comportamento razionale. La psicologia dell’inconscio probabilmente vanifica l’esperienza cosciente della libertà. Le cause psicologiche possono determinare le nostre azioni, ma non ci consentono di chiarirne le ragioni. L’arte galleggia in questo stato di indeterminatezza. Paul Valery ha scritto:” non si finisce mai una poesia , la si abbandona per disperazione”. Affermazione che trova la conferma di Ludwing Wittgenstein, il quale sosteneva che a un certo punto del processo creativo, l’artista si rassegna ad un “va bene così”. Frege sosteneva che un’espressione può avere lo stesso significato ma un diverso senso. E’ in questa complessità epistemologica che trovano spazio le forme d’arte la cui indecifrabilità non è data dalla complessità, ma dall’assenza di significato. Wittgenstein rivela come vi sia un parallelo tra logica e misticismo . La cifra comune è forse la ricerca dell’essenza, un tentativo di presa di distanza per meglio vedere; il soggetto non appartiene al mondo, è un limite al mondo”. Le azioni volontarie, intenzionali, richiedono un agente cosciente che agisce in piena consapevolezza. Diversamente l’azione sarebbe soltanto l’accadere di un evento. Questo contrasta con quelle che definiamo intuizioni, ispirazioni, creazioni. Vi è quindi una situazione psicologica pregressa nutrita dal sapere che conduce alla motivazione dalla quale deriva l’azione. Una credenza è un impegno nei confronti della verità. Quando ho una credenza, sono impegnato nei confronti di tutte le conseguenze logiche. Se esaminiamo alla luce di queste considerazioni il metodo di produzione artistica contemporanea, appaiono evidenti incongruenze, a giustificare le quali non basta il richiamo alla libertà creativa dell’artista.
piergiorgio firinu
La tecnologia sovrasta l’arte.
Il tema della manualità nell’arte non è una semplice scelta di metodo ma include implicazioni più ampie, anche di carattere esoterico in quanto la mano è stata per così dire celebrata ancor prima del sorgere della civiltà. Nelle pitture rupestri ritrovate nelle grotte di Altamira e Lascaux, le mani sono ritratte in varie posizioni. Riti magici e religiosi prevedono l’imposizione delle mani e si richiamo a poteri occulti. Ad Amarna in Egitto è stato scoperto un bassorilievo risalente al XIV secolo a.C. in cui appare il disco del sole che invia i suoi raggi che terminano nelle mani di uomini. Anche in medicina la mano ha una funzione essenziale, non solo per l’ovvio utilizzo pratico, pensiamo ad esempio alla chirurgia, il significato etimologico del termine chirurgo deriva dal greco keirourgos, che opera con le proprie mani. La parola è composta da keir, che significa mano ed ergon,che significa opera. Nel 1965 Leroi-Gourhan ha pubblicato un trattato in due volume dal titolo “Il gesto e la parola” in cui illustra la progressiva liberazione della specie umana attraverso l’apprendimento dell’uso delle mani. Nella nostra era il dominio della telecrazia sembra condizionare anche la concretezza operativa delle mani come strumento di lavoro ed anche di comunicazione com’era nelle forme primitive del linguaggio dei segni. La progressiva disumanizzazione, in corso da almeno due secoli, dall’avvento della rivoluzione industriale che ha introdotto l’uso delle macchine, relegando sempre più la mano ad aspetti marginali. Anche l’arte, che era per definizione abilità manuale, si è arresa alla tecnica. La simbologia della mano è ignorata dalla cultura contemporanea. L’ importanza simbolica di un semplice gesto. Michelangiolo Buonarroti ha ritratto nella Cappella Sistina il gesto delle mani tese al contatto dell’uomo con Dio. Pensiamo alla semplicità del gesto che si esprime prevalentemente con il contatto manuale, la carezza del volto di un bambino o della persona amata. Seguire la gradevole sinuosità di una scultura, il contatto della mano sembra ravvivare la materia inerte con la quale è costituita. Qualunque cosa si possa dire sull’arte contemporanea è difficile negare che la manualità ha perso il primato, la propria “necessità” . L’essenza e il fenomeno. L’arte contemporanea trascura l’essenza e rappresenta il fenomeno, cioè l’apparenza, mentre la manualità contribuisce alla ricerca della forma vissuta attraverso il tatto sensoriale.
piergiorgio firinu
Le complicazioni della modernità.
La natura di Homo sapiens sembra renderlo incapace di districarsi dalle complicazioni della modernità che egli stesso ha creata. Friedrich Nietzsche è stato il creatore di scomode profezie che si stanno avverando. Vivere nel deserto etico della modernità è possibile solo a idioti e ai cinici. Ciò che Heidegger ha definito “essere per la morte”, designa non tanto gli individui, singolarmente ignari delle ragioni dello loro azioni, quanto la massa, afflitta da una sorta di agorafobia che si trasforma in ossessione per assembramenti numerosi. In aperta contraddizione, la filosofia dell’intimità diventa morfologia politica, tracima in forme d’arte che sono altrettante estasi di solipsismo, elevate poiesi dimezzate. Una tale contradictio in adiecto riflette il dilemma formale dell’attuale situazione del mondo, nella quale, attraverso i mercati e i media globali, infuria una virulenta guerra delle forme di vita , delle merci, delle informazioni. L’arma usata è la menzogna sistematica, organizzata in forme socio- politiche- culturali. Ciò che oggi si celebra in modo enfatico in tutti media, è la globalizzazione, non di pensieri o di atti umanamente postivi, ma di merci, tutte le merci. Gli esseri umani hanno il doppio valore; come merce e come consumatori, vendono se stessi in forme metaforiche, improvvisando elegie al potere, e reali. Corpi usati come strumenti sessuali, donatori di organi, soldati per la democrazia. E’ tipico delle culture di massa essere tenute a bada con la creazione di continue emergenze, mai affrontate e risolte, sempre usate come pretesti. La distruzione di nazioni, Somalia,Iraq, Afganistan, Libia, Siria hanno arricchito i produttori di armi, consentito scoop ai media, giustificato l’instaurazione di democrazie dimezzate. Il contrario avrebbe voluto dire paesi in pace, sia pure governati in modo non conforme alla astratta idea di democrazia propria dell’occidente. In assenza di guerre ci sarebbe stata la disponibilità di miliardi di euro-dollari da destinare ai paesi da cui provengono i disperati che perdono la vita in mare. Troppo semplice. Il venir meno delle emergenze mette il potere sotto la pressione di richieste che esigono risposte. L’entropia mentale precede l’entropia sociale, anzi la crea. Guardiamo i personaggi che sono ai vertici della democrazia USA, il “paese guida dell’occidente”. Sono in competizione per la presidenza, una donna, la stessa che, come segretario di Stato ha fatto pressione su Obama per scatenare la guerra in Libia, l’ennesima guerra in meno di un quarto di secolo. La controparte è un razzista arricchito che odia tutto ciò che non è americano; ama ciò che è tipo degli USA, vale a dire, un uomo bianco con pistola. Una femminista multisex. Malcon X, George Jackson, Eldridge Cleaver, avevano capito la vera natura degli USA, per questo sono stati assassinati o chiusi in carcere. Obama ha dovuto scolorirsi l’anima ed adottare i metodi della star system per approdare al vertice del potere, dove si è dimostrato inadeguato e impotente. Il resto è affidato alla storia che verrà e certo presenterà il conto.
piergiorgio firinu
Mondanismo.
Prima dell’avvento delle avanguardie storiche , gli artisti erano straordinari interpreti del clima delle proprie culture. I raffinati impressionisti francesi si distinguevano nettamente dalle forme grossolane e pesanti degli espressionisti tedeschi. L’arte americana seguiva la lezione che proveniva dalla vecchia Europa, prima di ribaltare il tavolo e mettere sul bancone hamburger e zuppe pronte. Centinaia di anni di cultura spazzati via da un’isteria progressista. Gli individui moderni non sono in grado di dire cosa vogliono quando dichiarano di volere la libertà. George Simmel nel suo saggio sulla cornice scrive: la funzione della cornice è quella di attestare la rottura ontologica tra l’opera e l’ambiente. Per fare dell’opera un’isola autoreferenziale , la cornice dovrebbe provocare intorno all’immagine “uno scorrere che si chiude in se stesso”, ed escluderla dal suo milieu. Lo scudo di Achille, come è descritto da Omero nell’Iliade, si presenta come la prima opera d’arte che erige un mondo aggregandolo in un piccolo spazio. Le antiche culture si esprimevano in forme elementari dotate di pregnanza simbolica. I Mandala buddisti utilizzavano contemporaneamente il cerchio e il quadrato. Il quadrato indica lo spazio, mentre il cerchio rappresenta il tempo. La cultura contemporanea, in affanno di rappresentazioni, ha rinnegato le tradizioni filosofiche, artistiche, religiose, procedendo per successive metamorfosi la cui materialità ha cancellato il simbolo. Il dualismo tra pensiero e materia è trattato ampiamente nella Upanisad. La metafisica dell’immanenza di Platone è esposta nello schema gnostico fondamentale. La rinuncia alle tradizioni ha finito per tradursi in una rinuncia alla cultura tout court, tanto che anche il “materialista” Max Weber finì per denunciare la prigionia della vita negli “involucri duri come l’acciaio” e si scagliò contro il mondanismo, la grande complessiva formula che costituisce l’icastica manifestazione del vuoto della società contemporanea.
Quantità, qualità, signficato.
Chi è filosofo? Una persona che insegna filosofia, oppure chi realizza un sistema teorico portando un tassello alla crescita della conoscenza? Temo che ognuno abbia una propria idea in proposito, specie se è coinvolto direttamente nel problema. La domanda me la sono posta leggendo un articolo di Maurizio Ferraris pubblicato su un quotidiano. Titolo, insensato ma accattivante: “Picasso, i dieci tetrapak di Tavernello e l’eterna lotta tra quantità e qualità”. Mi auguro che il titolo non l’abbia suggerito Ferraris perché più sciocco non avrebbe potuto essere. I 60 anni di Ferraris sono stati celebrati anche su Ilsole24ore, in occasione della segnalazione di un libro sul professore, dal titolo impegnativo, scritto da due sue allieve. Non conosco Carola Barbero. Di Tiziana Andina ho letto”Filosofie dell’arte”. Definirlo insignificante è un eufemismo. Ferraris viene considerato il caposcuola del “realismo”. Tema che coinvolge i filosofi da oltre 800 anni. Duns Scoto (1266-1308) negava che il discorso filosofico potesse ricondurre tutto a una dimensione naturale. La critica a questo principio diventa radicale con Ockham la cui riflessione rileva un’esigenza logica della tradizione nominalistica: ogni conoscenza ci perviene dai sensi; soltanto la conoscenza immediata, intuitiva, ci consente di percepire il reale, l’esistente; la conoscenza teoretica, fondata sulle parole e sui concetti, non ci rivela che il necessario, ma tale necessità è soltanto quella costituita dalle stesse regole del discorso, ed è in realtà, sul piano ontologico, assolutamente confusa e incerta. L’epistemologia di Ockham sfocia nell’empirismo, anticipando di 5 secoli Locke, Hume. Berkeley e altri empiristi inglesi. Al di là delle realtà individuali, le sole accessibili al nostro intelletto, noi non vediamo che il contingente, istituti, regole, determinismo. Quando questi sono soltanto vane costruzioni della mente. Eccoci arrivati a Ferraris e alla sue volenterose allieve. La distinzione non è tra quantità e qualità come sostiene Ferraris, ma include il significato. La citazione di Ferraris di Willard Van Orman Quine, circa l’abitudine del filosofo di registrare tutti posti che visitava, è pleonastica. Quine non è certo noto per quella sua abitudine. Altrettanto improprio è il riferimento a Picasso che, a detta di Ferraris, se avesse dipinto un solo quadro non sarebbe stato Picasso. Ciò implica che sia il mercato e la quantità a fare l’artista, non la qualità a prescindere dalla quantità. Alexandre Kojève scrisse: “Picasso riesce a fare un quadro una volta su cento in cui mette dei colori su una tela”. Il realismo della documentazione sostento da Ferraris costituisce una sorta di minimalismo epistemologico. Indirettamente finisce per giustificare la situazione dell’arte descritta da Mario Perniola in “L’arte Espansa”.. In questa sede non è possibile approfondire il tema dei riflessi del pragmatismo su cultura e arte. Basti dire che documenti ed etichette si possono falsificare, le lauree acquistare, la conoscenza non si può millantare. Il reale pretende qualcosa di più di una documentazione cartacea. Socrate non aveva conseguita la laurea.
piergiorgio firinu
Il mercato dello sguardo.
Viviamo in un’epoca nella quale le immagini prevalgono sulla parola. Vi sono vari modi di definire l’attenzione visiva: sguardo, visione, osservazione .Assistiamo a una deriva tanto da un preteso spirito laico, quando da una filosofia inconsciamente occamista dello sguardo. A volte un’immagine stimola la riflessione, genera visioni fantastiche. Una parte importante nell’universo della immagini è occupata dal corpo femminile. Per la ben nota teoria platonica, guardare non significa solamente essere toccati da impressione, ma trasferire sull’oggetto del nostro sguardo un impulso della nostra sensibilità. Lo sguardo è partecipazione. I costumi contemporanei femminili hanno cancellato la misteriosa curiosità che nei secoli ha circondato il corpo delle donne. Scrostato da ogni alone romantico, il rapporto tra i sessi, è ridotto a disinvolte prestazioni di piacere reciproco. Tuttavia qualcosa di morboso resta, se continua ad avere ampio mercato la pornografia, il mercato dello sguardo. La realtà virtuale ha surclassato l’immaginazione. Alle masse solitarie, l’arte offre sinopsi di vite possibili. Slanci creativi appesantiti dall’eccesso, da una realtà che fagocita, oscura ogni punto di fuga. Ci si rifugia in convenzioni che hanno l’apparenza di provocazioni, ma sono trasgressioni consuetudinarie. La natura ci soccorre. Un deltaplano che volteggia sullo sfondo dell’aurora boreale è un’immagine bellissima, ma non è creazione dell’uomo. Secondo Platone la vista del bello provoca un shock che nasce dalla reminiscenza. Se consideriamo l’arte alla stregua di documentazione del reale, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Un Paolo Uccello redivivo farebbe l’operatore TV. L’arte non solo ha ripudiato la bellezza, ma anche la sua stessa essenza, vale a dire l’uso metaforico dell’immagine. Cosa c’è di metaforico nelle immagini di sesso di Jeff Koons? Il sole prodotto da Olafur Elaisson è un effetto speciale, un prodotto della tecnica, non dell’arte. O dobbiamo pensare che tra le due discipline non esista differenza? Certo, le patetiche operazioni nostalgia di Bill Viola, oltre ad essere parassitarie di opere del passato, sono di grande effetto. Avviene la stessa cosa nei film di Tom Cruise. Una società che è un pot-pourri di molte cose, la fantasia, come il pensiero sono esclusi, richiedono troppo tempo e una solitudine a cui i moderni non sono più avvezzi. Dunque basta la tecnica. La rana crocifissa appartiene a un altro genere di perversione artistica. Costituisce un atto che sembra sospendere, o retrocedere, l’antropogenesi. Johann Caspar Lavater sarebbe stato sicuramente interessato a studiare, non l’opera, ma l’artista. Forse trarrebbe sconfortanti conclusioni e si vedrebbe costretto a dar ragione a Giovanni Battista della Porta che sostenne la tesi dell’analogia tra animali e umani. Nè allora nè oggi gli animali ebbero modo di sollevare proteste. In compenso i contemporanei di della Porta lo hanno giudicato infame. Ma eravamo nel 1586, la modernità era solo all’orizzonte.
piergiorgio firinu
Cataloghi.
Ho seguito una trasmissione su rai3 arte in cui Michelangelo Pistoletto affermava che l’arte è alla base di tutto, e altre considerazione di un intollerabile narcisismo culturale. Sembra che la cultura, anche quella che un tempo era considerata di “sinistra” abbia smarrito il senso della storia. Agli immigrati si richiede l’adesione senza riserve agli usi e costumi del paese ospitante. E’ giusto? Che ne è del multiculturalismo? Focillon in “Arte dell’occidente” descrive i debiti culturali che l’occidente cristiano ha nei confronti dei popoli mediorientali. Tuttavia solo in occidente esiste la storia dell’arte. Le altre arti trovano citazioni più o meno ampie nella storia dei singoli paesi. Così come le “avanguardie artistiche” esistono solo in occidente. Roland Barthes ridicolizzò il termine “avanguardia” facendo notare che era tratto dal lessico militare. Tutto si spiega con il materialismo pragmatico che ha permesso all’occidente lo sviluppo che conosciamo. Pare che si avvicini il momento della resa dei conti. Robert Fossier in “Il tempo della crisi”, documenta come a partire dalla seconda metà del XII secolo il denaro sia diventato, per così dire, il punto di riferimento dell’intera società europea. Come scrive Peter Sloterdijk, il denaro è la terza persona della trinità. L’emergere della borghesia come classe, accentua questo dato di fatto. Sono sortii e distrutti imperi, ideologie, Stati, il denaro è rimasto riferimento immutato. Anche la scuola si pretende sia sempre più al servizio della produzione, questo perché, al di là della fumosa retorica sui valori umani, nessuno è disposto a rinunciare al proprio benessere. Non solo, ma la nostra società ha raggiunto un tale livello di degradazione e di cinismo che le peggiori perversioni sono ascritte sotto la voce “civiltà & progresso” ovvero diritti individuali. I paesi che non si adeguano sono tout court considerati barbari. Quando poco prima del X secolo in Europa si vendeva carne umana al mercato, le città della Mesopotamia erano al massimo del loro fulgore. La storia scritta dall’occidente è tutta un’elegia alla nostra civiltà, tanto che consideriamo normali le grandi differenze tra i popoli. A chi interessa capire le ragioni dell’ingiustizia distributiva? Un serio esame del problema porterebbe alla luce i disastri provocati dal colonialismo. L’Inghilterra, considerata patria della democrazia, ha compiuto massacri per colonizzare popoli, sulla scia della Spagna quando approdò sul continente americano con la benedizione della Chiesa di Roma. Francia, Belgio e altri paesi hanno seguito l’esempio. Questi brevi riferimenti storici gettano un po’ di luce sulle ragioni del mio totale dissenso da certe affermazioni apodittiche che sembrano ignorare l’attuale disordine planetario, frutto dell’arroganza dell’occidente, che la “cultura” sembra alimentare, forse anche inconsapevolmente. Violenza e venalità sono fili conduttori della nostra storia. La materialità ha travolto anche arte, letteratura, e ogni forma di spettacolo e di cultura. La lungimiranza di Benjamin trova conferma. Le opere d’arte, come il prezzo del petrolio e delle azioni, hanno come riferimento grafici che indicano le quotazioni. Alla qualità scadente di merci e opere si supplisce con la pubblicità, diretta e redazionale. Ci sono cataloghi per ogni tipo di merce,inclusi i corpi umani offerti per uso ludico. Tutto è merce, tutto è in vendita. Va da sè che i cataloghi contengono figure accompagnate da scritti che decantano la qualità della merce in vendita, per l’arte il compito è affidato alla critica.
piergiorgio firinu
Estraniazione dell’arte.
Una delle differenze più marcate tra gli artisti dei secoli passati e i contemporanei, consiste anche nell’idea che l’artista aveva di se stesso e della propria arte. Gli artisti di un tempo avevano atteggiamenti dimessi, maggiore applicazione nel loro lavoro, erano di fatto consapevoli demiurghi. Con l’esplosione del mercato e conseguenti bolle speculative che ne sono conseguenza, l’artista da un lato è indotto alla produzione continua, quasi industriale, e nel contempo si sente esentato nell’impegno nello specifico del suo lavoro in termini di unicità e qualità. Così amplia il suo orizzonte fino ad assumere atteggiamenti da intellettuale, anche quando in realtà non ha una sufficiente preparazione culturale. Non attribuisce importanza al lavoro ben fatto, si affida all’improvvisazione, conta sulla provocazione. Quando l’artista pretende di sostituirsi al filosofo rischia di far male entrambi i mestieri. La concettualizzazione finisce di snaturare il lavoro, l’artista si convince di poter attribuire significato e valore universale alle proprie paranoie, in questo è incoraggiato e sostenuto da critici e filosofi, ansiosi di realizzare monadi di sapere in grado di illuminare le strade del progresso. Tutto questo avviene mentre si aggrava l’entropia socio- culturale e il pianeta è sempre più degradato. L’arte è ormai un fenomeno estraneo ed estraniante.
piergiorgio firinu
L’arte sommersa.
Nella sezione quarta della logica trascendentale Kant scrive: “ Voler risolvere tutti i problemi e rispondere a tutte le domande sarebbe una invereconda millanteria, e un’arroganza così stravagante da far perdere perciò sena’altro ogni fiducia” . Oggi anche Kant, secondo taluni filosofi contemporanei, è finito nel deposito degli strumenti inservibili. Con estrema iattanza, un modesto filosofo, Maurizio Ferraris, ha scritto un libricino di 149 pagine dal significativo titolo: “ Goodbye Kant!” . Significativo per sostanza e forma a cominciare dal titolo sulla scia della dominanza linguistica anglosassone, addio Kant sarebbe stato troppo semplice. Parafrasando Cesare Pavese potremmo dire: pensare stanca. Soprattutto elaborare un pensiero che non segua mode e vezzi correnti. E’ chiaro che allo stato dell’arte ogni discorso risulta quanto meno pleonastico, tuttavia, dato che questo è il nostro mestiere, cerchiamo di svolgerlo al meglio consapevoli della modestia del nostro sapere e della difficoltà di deviare verso un principio di ragione il pensiero corrente che non nasce per le strade ma nelle Università. Archiviato Kant, seppellita l’estetica, continua la decettiva narrazione dell’arte. Alcune francamente prive di costrutto, ad esempio “ Filosofie dell’arte” di Tiziana Andina della Università di Torino. Altri con infarinature di verità è un contenuto apodittico come “Dopo la morte dell’arte” di Federico Vercellone, docente di estetica all’Università di Torino. A pagina 97 del suo libro Vercellone afferma: “ ….l’arte tende a oltrepassare i confini che gli sono stati assegnati…” . Assegnati da chi? Nigel Warburton, Senior Lecturer presso il dipartimento di Filosofia dell’Open University in Inghilterra, affronta il tema in “La questione dell’arte” mettendo insieme una serie di considerazioni che non trovano una chiara conclusione critica, tanto meno una presa di posizione, ovvero contrapposizione teorica, alla serie di anacoluti concettuali contenuti nei testi di due dei più attivi filosofi statunitensi, Danto e Dickie, ampiamente citati, sicuramente tra i protagonisti della deriva dell’arte contemporanea. A Danto è stata assegnata la Laurea onoris causa dalla Università di Torino, che sembra essere il covo dei predatori del senso perduto. Il gioco linguistico della critica e filosofia dell’arte si coagula spesso in una fraseologia opaca. Il problema dell’arte è essenzialmente la dislocazione di senso avvenuta quando la filosofia ha preteso di definire il contenuto del sostantivo con l’implicita convinzione che il linguaggio dell’arte non abbia una propria autonomia lessicale. Nel solco di questa convinzione si è attribuito lo status artistico ad ogni genere di provocazioni intellettuali. L’artista sembra essere una sorta di giocoliere del senso. L’affermazione di Kant citata all’inizio si riferisce soprattutto a tali atteggiamenti. Basterebbe tornare a Max Weber, al suo libro “Storia economica e sociale dell’antichità” , per trovare, espresse in modo chiaro, le idee sull’arte e sulla sua reale natura e funzione.
piergiorgio firinu
Pleonasmi formali.
L’infinita diatriba sul significato dell’arte non arriva mai a una definizione condivisa per una serie di ragioni non solo teoriche, ma pratiche. Trattasi dell’enorme influenza del mercato e dell’aspetto per così dire mondano dell’arte. In entrambi i casi molto semplicemente prevalgono ragioni estranee all’arte. Se così non fosse lo studio dovrebbe avere come oggetto il linguaggio dell’arte nelle sue multiformi espressioni. Rudolf Carnap nega l’antica credenza di molti filosofi secondo cui il libro della natura sarebbe scritto in linguaggio matematico. Gli artisti che usano il linguaggio dell’arte, dovrebbero avvertire la differenza tra gli enunciati formali che sono si frutto di quella che con termine quanto mai approssimativo viene definita “creazione” , e rispondono, se non a norme, quanto meno ai fini. Se il significato del linguaggio deriva da una convenzione linguistica, anche il linguaggio dell’arte sottostà, necessariamente a quel tanto di convenzionale che lo rende intellegibile. Seguendo le regole generali della semantica, diventa naturale usare il concetto di sovrapposizione per rappresentare pensieri e creare forme artistiche come oggetti ideali che eludono in modo ambiguo una pluralità di idee coesistenti all’approccio creativo. Per rendere ciò che sta tra l’immaginazione e la realtà Aristotele, in “De Anima”, inventa l’espressione “phantasia”, ripresa da Proclo che la colloca come una sorta di facoltà che sta fra pensiero e sensibilità. Il punto dunque non consiste nel sottrarre l’arte alla convenzione, ma più semplicemente mutare il riferimento convenzionale. L’arte femminista, per fare un esempio d’attualità, pretende di utilizzare i riferimenti al proprio corpo e attribuire loro un significato simbolico collegato alle problematiche femminili. Dunque non di libertà e tanto meno di “phantasia” si tratta, ma di un linguaggio al servizio di una precisa ideologia. Il rischio consiste nell’attribuire ai risvolti ideologici un tale peso semantico da porre in secondo piano il più neutro significato del linguaggio artistico, ove sia sottratto ad apriorismi. Hempel ha tracciato un memorabile quadro della struttura di una teoria che abbia lo scopo di chiarire il significato oggettivo di un processo normativo. Ipotesi e definizioni sono necessarie e cogenti per qualsiasi epistemologia, sempre che si abbia come scopo l’attribuzione di un significato. Ma il significato non può in nessun caso essere sovrapposto con procedimento verbale a posteriori. Negli ultimi anni il concetto di teoria, nel senso in cui usiamo questo termine – postulati teorici con regole di corrispondenza che collegano i termini teorici e osservativi- è caduto in disuso. Ci troviamo oggi in piena entropia concettuale che è la strada maestra per ogni espressione di materialismo formale privo di riferimento estetico e/o logico.
piergiorgio firinu
Simulacri
Jean Baudrillard scrisse un quarto di secolo fa un testo sul simulacro della modernità. Egli sosteneva che, venuta meno ogni fede, valore, credenza, la contemporaneità si riduceva all’apparenza, alla finzione. Nel suo testo “Della seduzione” rimarcò in forma diversa lo stesso concetto. “La sessualità – egli scrisse –è oggi soltanto un simulacro”. Correva l’anno 1979. Oggi,settembre 2015, constatiamo più che mai la verità di quanto Baudrillard aveva teorizzato. Anche ciò che nella nostra società risulta più “sacro”, il denaro, è ridotto a realtà virtuale. Ogni aspetto della vita contemporanea sembra una parodia. Si fa un gran parlare di regali, feste, viaggi. cose effimere, virtuali. Che senso ha fare migliaia di km per alloggiare in alberghi simili a quelli sotto casa, consumare cibi peggiori di quelli della trattoria all’angolo, andare in discoteche dove arredi e musica sono pressoché identici ai locali frequentati abitualmente. I cosiddetti paesi esotici, un tempo luoghi di avventura e di magia, sono ormai molto simili alle città dell’occidente, nella foggia delle case e degli stili di vita, solo più pericolosi. Unico punto di differenza: la più diffusa povertà, che dovrebbe farci riflettere. Un tempo vi erano uomini, e donne, capaci di vivere fino in fondo le loro passioni. Quando nell’800 l’Europa “scoprì” l’Africa, la visse come un mondo di magia e d’avventura. Nel 1956 una giovane e bella donna olandese, Tinne Alexandrine, si recò in Egitto, spinta da un desiderio di avventura. Voleva esplorare le sorgenti del Nilo, vivere con coerenza e determinazione le sue passioni. Al Cairo viveva in una vecchia casa egizia, semi-diroccata, circondata da arabi e africani, avvolta in abiti orientali, fermamente decisa a non far più ritorno in Europa. Infatti morì durante un viaggio ai margini del Sahara assassinata da un Tuareg che era stato sconvolto dalla passione per la giovane donna. Per vivere ci vuole coraggio. Il cinismo di oggi non lascia spazio alle passioni. Siamo simulacri, viviamo di simulacri.
L’estetica negata.
L’assioma secondo cui l’arte non è codificabile è ancora vero? La produzione seriale, l’uso della tecnologia, l’utilizzo di ready made, procedimenti che si basano sull’illusione che la realtà sia costituita dalla visione di oggetti dei quali non riusciremmo ad andare oltre la superficie. L’attribuzione di significati attraverso paralogismi, come quello attribuito a Duchamp seconda il quale un oggetto, terminato l’uso per il quale è stato costruito, possa essere visto nella sua valenza estetica. In realtà L’oggetto che si situi fuori da conoscenza ed utilizzo empirico, diventa un pretesto per cervellotici apodismi. L’invisibile passaggio tra pensiero soggettivo e oggetto, necessità di una maggiore sostanzialità empirica senza la quale si resta nel campo di possibilità non realizzate. La pretesa di portare l’intelletto al di là di un significato di esperienza materica, in ciò che definiamo impropriamente “creatività” è spesso una velleità possibile solo in presenza di grande sensibilità, e solo quando non vi sia pensiero in potenza, ma in atto. Se anche i concetti non hanno mai un’assoluta purezza, essi originano sempre e comunque dalla ragione. Essi sono determinati da cause naturali. Infatti i fenomeni nascono dall’accadere contingente, devono essere filtrati da un processo mentale dal quale scaturisce l’idea che è necessariamente frutto della ragione in quanto è la ragione che ha la facoltà di ricavare il particolare dall’universale. L’arte è in sostanza un processo di sineddoche nel quale il dettaglio esprime il significato complessivo. Vi è un principio logico nel significato che il pensiero comprime nel particolare. La ragione presuppone conoscenze dell’intelletto legate innanzitutto all’esperienza. ripudio dell’estetica e della manualità hanno snaturato i concetti legati al significato del sostantivo arte e permesso una dilatazione impropria di significati o peggio dichiaratamente privi di significato.
piergiorgio firinu
Agire comunicativo.
I processi di apprendimento svolgono un ruolo insostituibile nel definire il principio di organizzazione produttiva dell’arte. Rickert ha per primo dato vita a un tentativo di fissare da un punto di vista strettamente metodologico il dualismo di scienza della natura e scienza della cultura. Egli ha ristretto le esigenze della critica della ragione kantiana al solo campo delle scienze nomologiche, per far posto alle scienze dello spirito che Dilthey aveva elevato a livello di conoscenza critica. In quale posizione si trova l’arte tra queste due derivazioni epistemologiche? Identità è il principio che costituisce la soggettività e l’oggettività ponendole in rapporto l’una con l’altra. Ma tale rapporto ha senso solo se la forma che esprime comunica un significato tramite un linguaggio formale concettualmente intellegibile in quanto autonomo. Questo percorso è stato seguito dall’arte classica, nei limiti della mimesi e della testimonianza storica, ed è stato espresso, in forma verbale dalla grande filosofia europea che ha proceduto alla messa a fuoco concettuale di una ricerca che però ha finito per arenarsi in ancipiti astrazioni ideologiche o frammentazioni analitiche delle quali anche l’arte ha subito le conseguenze fino ad approdare ad una discrasia tra soggetto e oggetto. Si è creata una sorta di dispersione che ha tracimato nel più vieto e volgare materialismo, non senza ricadute in venature intimistiche. L’individualità critica ipotizzata da Adorno ha perso ogni significato antropologico, e finito per galleggiare sul ludico e sul non senso. L’ottimistica supposizione che si possa dedurre a priori una creatività istintuale, si scontra con un sistema di valori la cui transitorietà finisce per essere legata a un contenuto estemporaneo, mondano, trascurando del tutto un’escatologia ontologia. Il linguaggio dell’arte contemporanea corrisponde a stereotipi lessicali riduttivi. Come sostiene Chomsky, l’arte ha la funzione di dilatare il significato senza cadere in distorsioni di senso che, obliterando l’intelligibilità del segno, renderebbero la forma artistica priva di possibilità comunicative.
piergiorgio firinu
L’arte impura.
Nella produzione di opere d’arte il concetto di creazione appare piuttosto contradditorio. L’abbandono dell’estetica e l’eccessiva inclinazione ludica nella “creatività” si traduce in una modifica lessicale e porta a rifluire nella definizione di ri- creazione. L’abbandono della mimesi, deprecata da Platone nella Repubblica, l’accoglimento del ready made, ha condotto alla pura e semplice imitation. L’artista racconta, fa l’inventario di ciò che esiste assumendo di possedere il dono della trasformazione iconica. L’artista tiene uno specchio davanti al mondo. Forse l’arte si riduce all’incapacità di vedere il mondo così com’è, un rifiuto a volte patologico a volte infantile del “principio di realtà”, Freud insegna. E’ come se l’artista fosse colto da affanno, nel tentativo di ordinare la materia seguendo il filo del proprio pensiero che non è puro, ma inquinato dall’esperienza, così non vuole, o forse non sa, riprodurre, condizioni di realtà. Nessun pittore ha mai inventato un nuovo colore. Persino il più anarchico, parola che significa “non- incominciato”, tra artefatti e recuperi si arrabatta con la materia che vorrebbe gestire. Nessuna forma artistica nasce dal niente. Il contemporaneo sembra la manifestazione della esasperazione per uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati gli artisti. Spinti dalla presunzione di cambiare il mondo, hanno perso la capacità di descriverlo. Ezra Pound spronava poeti e artisti “Make it new”, non poteva immaginare la deriva in cui l’arte sarebbe finita. Gli astrofisici contemporanei concordano nell’ipotisi di una pluralità di universi. Ciò è per alcuni fonte di speranza, per altri di angoscia, ma per tutti dovrebbe essere chiara la necessità di ridimensionare le nostre ambizioni di dominio. Se ascoltiamo le tematiche e vediamo le opere di buona parte degli artisti contemporanei, dobbiamo rassegnarci al fatto che l’arte non è più metafora di nulla, ma solo parodia.
piergiorgio firinu
Oggetto e significato.
Da quasi mezzo secolo la critica, per giustificare certe forme d’arte adotta l’insistente richiamo alla esperienza quotidiana. Sull’argomento ho scritto un libro nel 1975 “La logica del quotidiano”, nel quale sostenevo la tesi totalmente contraria. E’ mia convinzione che, l’insistita valorizzazione degli oggetti comuni, finisce per eliminare la funzione metaforica propria dell’arte riducendo l’arte stessa a parodia. Il richiamo ai filosofi analitici anglosassoni, a Husserl, Dewey, non è altro che l’ammissione che il lessico dell’arte è insufficiente a giustificare il gesto dell’ l’artista, la forma che egli crea. L’utilizzo di oggetti non è atto creativo, ma semplice deviazione di senso la cui finalità resta tutta nella mente dell’artista. Chi ricorda il plauso di molta critica italiana alla presentazione alla Biennale di Venezia del 1964 della Pop Art statunitense, rileggere oggi i testi pubblicati allora, non solo appaiono datati, ma dimostrano un’ingiustificata enfasi, prodromo all’invasione in Europa, in Italia in particolare, dell’arte americana gi&a